Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 novembre 2014 - Ricorsi n. 997/05 - Maiorano e Serafini c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA MAIORANO E SERAFINI c. ITALIA

(Ricorso n. 997/05)

SENTENZA

STRASBURGO
25 novembre 2014

 

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Maiorano e Serafini c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), riunita in un Comitato composto da:

András Sajó, Presidente,
Helen Keller,
Robert Spano, giudici,
e Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 4 novembre 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 997/05) proposto contro la Repubblica italiana con il quale quattro cittadini italiani, i Sigg. Giovanni Maiorano, Carmela Maiorano, Manuela Maiorano e Maria Rosaria Serafini (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”), in data 4 gennaio 2005.
  2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avvocato C. Ventura, del foro di Bari. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, Sig.ra M.E. Spatafora, dai suoi ex co-agenti, Sigg. N.Lettieri e F. Crisafulli, e dal suo co- agente, Sig.ra Paola Accardo.
  3. Il 29 agosto 2006 il ricorso è stato comunicato al Governo.

    IN FATTO

    I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
     
  4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1947, 1952, 1965 e 1921, e vivono rispettivamente a Perugia, Fano e (la terza e la quarta ricorrente) Lecce.
  5. I fatti della causa possono essere riassunti come segue.
  6. I ricorrenti sono proprietari di un appezzamento di terreno sito a Galatina. Il terreno in questione, di superficie pari a 6.241 metri quadrati, era distinto al catasto dei terreni al foglio n. 76, particella n. 29.
  7. Rispettivamente in data 10 luglio e 9 agosto 1985 il sindaco di Galatina emanò due ordinanze che autorizzavano il Comune a occupare, mediante procedura d’urgenza e sulla base di una dichiarazione di pubblico interesse, 560 e 894 metri quadrati di terreno, per iniziare la costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
  8. Con due atti di citazione notificati, rispettivamente, in data 17 settembre e 8 ottobre 1990, i ricorrenti avviarono delle azioni risarcitorie contro il Comune di Galatina dinanzi al Tribunale di Lecce. Affermarono che l’occupazione del terreno era illegittima e che i lavori di costruzione erano stati ultimati senza che vi fosse stata una formale espropriazione del terreno e che fosse stato versato un indennizzo. Chiesero una somma corrispondente al valore venale del terreno nonché l’indennizzo per la superficie del terreno diventata inutilizzabile in conseguenza del lavoro di costruzione. Chiesero inoltre una somma a risarcimento della perdita del godimento del terreno durante il periodo di occupazione legittima.
  9. In data 13 novembre 1991 e 15 gennaio 1992, il Tribunale dispose due perizie di stima del terreno in relazione ai due procedimenti.
  10. In data 22 novembre 1996 i ricorrenti presentarono un’istanza ai sensi dell’articolo 186 quater del codice di procedura civile italiano chiedendo che il Tribunale disponesse con ordinanza l’immediato pagamento da parte del Comune dell’indennizzo richiesto.
  11. In data 13 dicembre 1996 il Tribunale concluse che esistevano prove sufficienti per emettere l’ordinanza. Esso accolse l’istanza e riunì i due procedimenti. Con ordinanza emessa in pari data il Tribunale di Lecce si avvalse delle relazioni peritali per concludere che il valore venale del terreno alla data della sua irreversibile trasformazione (31 dicembre 1985) corrispondeva a ITL 355.000.000 (EUR 342.199). Su questa base il Tribunale statuì che i ricorrenti avevano diritto all’indennizzo equivalente a quest’ultimo importo, rivalutato per l’inflazione e maggiorato degli interessi legali, per un totale pari a ITL 600.000.000 (EUR 309.874.139). La domanda concernente la perdita del godimento del terreno durante il periodo di occupazione legittima fu respinta.
  12. L’ordinanza fu notificata al Comune di Galatina il 24 marzo 1997 e divenne quindi immediatamente esecutiva.
  13. Nell’aprile del 1997 il Comune presentò un’istanza ai sensi dell’articolo 186 quater del codice di procedura civile italiano, esprimendo l’intenzione di rinunciare alla pronuncia della sentenza definitiva. L’istanza fu notificata ai ricorrenti il 4 aprile 1997 e depositata in cancelleria il 31 maggio 1997. In virtù della summenzionata disposizione, dopo che l’istanza è notificata e depositata in cancelleria, l’ordinanza diventa definitiva e può pertanto essere impugnata.
  14. Il 2 giugno 1997 il Comune impugnò l’ordinanza dinanzi alla Corte di appello di Lecce, sostenendo principalmente che la porzione di terreno soggetta a espropriazione era in realtà inferiore alla dimensione individuata nell’ordinanza del Tribunale di Lecce. Il Comune domandò pertanto che fosse presentata una nuova perizia di stima e che la Corte di appello ricalcolasse la somma finale da accordare ai ricorrenti ai sensi della legge n. 662 del 1996, entrata nel frattempo in vigore. Il Comune chiese inoltre la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Lecce.
  15. Il 4 giugno 1997 i ricorrenti presentarono un controricorso sostenendo che il procedimento di impugnazione avrebbe dovuto essere dichiarato nullo in quanto, inter alia, l’applicazione dell’articolo 186 quater del codice di procedura civile italiano violava i loro diritti di difesa. I ricorrenti chiesero inoltre il rigetto dell’impugnazione proposta dal Comune in quanto manifestamente infondata. Non furono formulate richieste in ordine alla perdita del godimento del terreno durante il periodo di occupazione legittima.
  16. Il 30 luglio 1997 la Corte di appello di Lecce dispose la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Lecce.
  17. Il 27 agosto 1997 i ricorrenti presentarono un’istanza chiedendo l’esecuzione dell’ordinanza.
  18. Il 30 luglio 1997 la Corte di appello di Lecce confermò la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Lecce.
  19. Il 13 luglio 1999 la Corte di appello dispose una perizia di stima per verificare la dimensione del terreno in questione e calcolare l’importo dell’indennizzo ai sensi della legge n. 662 del 1996. La perizia fu depositata in cancelleria il 2 febbraio 2000.
  20. Secondo il perito il terreno che era stato effettivamente occupato, unito alla porzione diventata inutilizzabile a causa del lavoro di costruzione, aveva un’estensione inferiore a quella accertata nella sentenza del Tribunale di Lecce e ammontava a 2.132 metri quadrati. Egli concluse inoltre che l’occupazione legittima era terminata per la prima porzione di terreno in data 2 agosto 1994 e, per la seconda porzione, in data 6 settembre 1994. Il perito concluse che il valore venale del terreno nel 1994 corrispondeva a ITL 67.000 al metro quadrato e valutò l’indennizzo dovuto ai ricorrenti in conformità alla legge n. 662 del 1996 in ITL 83.308.412 (EUR 43.025).
  21. Con sentenza del 4 aprile 2001, depositata in cancelleria il 4 giugno 2001, la Corte di appello stabilì che i ricorrenti avessero diritto a un risarcimento pari a ITL 83.308.412 (equivalenti a EUR 43.025) da rivalutare per l’inflazione, oltre agli interessi legali. Il Tribunale rigettò le rimanenti richieste.
  22. In data imprecisata dell’anno 2001 i ricorrenti ricevettero il pagamento di EUR 56.130,81.
  23. Il 12 novembre 2001 i ricorrenti proposero ricorso in punto di diritto.
  24. Con sentenza del 13 febbraio 2004, depositata in cancelleria il 15 luglio 2004, la Corte di Cassazione rigettò il ricorso.

    II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI 
  25. Il diritto e la prassi interni pertinenti concernenti l’espropriazione indiretta si trovano nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009).
  26. Con sentenze nn. 348 e 349 del 22ottobre 2007, la Corte costituzionale italiana statuì che la legislazione nazionale dovesse essere compatibile con la Convenzione così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte e, conseguentemente, dichiarò incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11luglio 1992 come modificato dalla legge n. 662 del 1996.
  27. Con sentenza n. 349 la Corte costituzionale osservò che l’insufficiente livello di indennizzo previsto dalla legge del 1996 contrastava con l’articolo1 del Protocollo n.1, nonché con l’articolo 117 della Costituzione italiana, che prevede il rispetto degli obblighi internazionali. A seguito di tale sentenza la disposizione in questione non può più essere applicata nell’ambito di procedimenti nazionali pendenti.
  28. A seguito delle sentenze della Corte costituzionale avvennero diverse modifiche nella legislazione nazionale. L’articolo 2, comma 89, lettera e), della legge finanziaria (legge n. 244) del 24 dicembre 2007 stabilì che in caso di espropriazione indiretta l’indennizzo da versare dovesse corrispondere al valore venale del bene, senza possibilità di riduzione.

    IN DIRITTO

    I. SULLA DOMANDA DEL GOVERNO DI CANCELLAZIONE DEL RICORSO AI SENSI DELL’ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE
     
  29. Con lettera datata 12 giugno 2014 il Governo ha presentato una dichiarazione unilaterale finalizzata a risolvere la questione sollevata dal presente ricorso e ha chiesto alla Corte di cancellarlo dal ruolo.
  30. Quanto al danno patrimoniale, al danno morale e alle spese, il Governo ha proposto di accordare ai ricorrenti EUR50.000.
  31. Con lettera datata 26 giugno 2014 i ricorrenti si sono opposti alla proposta del Governo.
  32. La Corte ribadisce che in alcune circostanze essa può cancellare un ricorso dal ruolo ai sensi dell’articolo 37 § 1, lettera c), sulla base di una dichiarazione unilaterale del Governo convenuto anche nel caso in cui il ricorrente auspichi la prosecuzione dell’esame della causa. Se la dichiarazione unilaterale offra una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli non esige che la Corte prosegua l’esame della causa dipende dalle particolari circostanze della stessa (si vedano, tra molti altri precedenti, Tahsin Acar c. Turchia (questione preliminare) [GC],n. 26307/95, § 75, CEDU 2003‑VI, e Melnicc. Moldavia, n.6923/03, §22, 14novembre 2006).
  33. La Corte ha ritenuto che la somma proposta in una dichiarazione unilaterale possa essere considerata una base sufficiente per cancellare un ricorso dal ruolo in tutto o in parte. La Corte considererà a tale riguardo se la somma sia commisurata agli importi che essa accorda in cause simili (si veda Przemyk c. Polonia, n. 22426/11, § 39, 17 settembre 2013).
  34. Avendo studiato i termini della dichiarazione unilaterale del Governo, la Corte è del parere che, nel caso di specie, la somma proposta per il danno patrimoniale e morale subito dai ricorrenti in conseguenza dell’espropriazione indiretta del loro terreno non abbia un rapporto ragionevole con le somme accordate dalla Corte in cause simili contro l’Italia (si vedano, tra altri, Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009, e Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, 12 luglio 2011).
  35. La Corte ritiene pertanto che, date le particolari circostanze della causa dei ricorrenti, la dichiarazione proposta non fornisca una base sufficiente per concludere che il rispetto per i diritti dell’uomo come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli non esiga che essa prosegua l’esame della causa.
  36. Date le circostanze, la Corte rigetta la domanda del Governo di cancellazione del ricorso dal ruolo ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione e proseguirà conseguentemente l’esame della ricevibilità e del merito della causa.

    II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 
  37. I ricorrenti hanno lamentato di essere stati privati del loro terreno in circostanze incompatibili con i requisiti dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita:
    “Ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”
  38. Il Governo ha contestato l’argomento dei ricorrenti.

    A. Sulla ricevibilità 
  39. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione. Osserva inoltre che essa non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

    B. Sul merito 
  40. I ricorrenti hanno sostenuto di essere stati privati della loro proprietà in base alla norma sull’espropriazione indiretta, mediante la quale le autorità pubbliche acquisiscono un terreno approfittando della propria condotta illegittima. I ricorrenti hanno affermato che l’applicazione della norma sull’espropriazione indiretta alla loro causa non rispettava il principio dello stato di diritto.
  41. Secondo il Governo, nonostante l’assenza di un formale decreto di esproprio e il fatto che l’irreversibile trasformazione del terreno a seguito della realizzazione delle opere “pubbliche” ne impedisse la restituzione, l’occupazione in questione era stata effettuata nell’ambito di una procedura amministrativa fondata su una dichiarazione di pubblico interesse.
  42. La Corte osserva che le parti concordano che è avvenuta una “privazione di proprietà” ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
  43. Per quanto riguarda l’espropriazione indiretta, la Corte rinvia alla propria giurisprudenza consolidata (si vedano, tra altri, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000‑VI; Scordino c. Italia (n. 3), n.43662/98, 17 maggio 2005; e Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18marzo2008) per una sintesi dei principi pertinenti e una visione d’insieme della propria giurisprudenza in materia.
  44. Nel caso di specie la Corte osserva che, in conformità alla norma sull’espropriazione indiretta, la Corte di appello di Lecce ha ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro terreno tra il 2 agosto e il 6 settembre 1994. La Corte considera che tale situazione non potesse essere considerata “prevedibile”, poiché si è potuto ritenere che la norma sull’espropriazione indiretta fosse stata effettivamente applicata soltanto nella decisione definitiva del procedimento in esame. La Corte conclude conseguentemente che i ricorrenti non hanno avuto la certezza di essere stati privati del loro terreno fino al 15 luglio 2004, quando è stata depositata in cancelleria la sentenza della Corte di Cassazione.
  45. Alla luce delle precedenti osservazioni, la Corte ritiene che l’ingerenza lamentata non fosse compatibile con il principio di legalità e che essa abbia pertanto violato il diritto dei ricorrenti al pacifico godimento dei loro beni.
  46. Ne consegue che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1.

    III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELL’INIQUITÀ DEI PROCEDIMENTI 
  47. I ricorrenti hanno affermato che la promulgazione e l’applicazione alla loro causa della legge n. 662 del 1996 costituiva un’ingerenza da parte del potere legislativo in violazione del loro diritto a un equo processo garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, le cui parti pertinenti prevedono:
    “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente … da un tribunale … il quale sia chiamato a pronunciarsi sui suoi diritti e doveri di carattere civile ...”

    A. Sulla ricevibilità 
  48. La Corte osserva che la presente doglianza è collegata a quella esaminata precedentemente e deve pertanto analogamente essere dichiarata ricevibile.

    B. Sul merito
    La Corte ha concluso che l’ingerenza nei diritti di proprietà dei ricorrenti non fosse compatibile con il principio di legalità e che abbia pertanto violato il diritto dei ricorrenti al pacifico godimento dei loro beni di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano i paragrafi 40-46 supra).
  49. Vista la conclusione di cui sopra, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare se, nel caso di specie, vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 (si vedano, tra altri precedenti, Rivera e di Bonaventura c. Italia, n. 63869/00, §§ 27-30, 14 giugno 2011, e Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, §§ 46-50, 12 luglio 2011).

    IV. SULLE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE
    I ricorrenti hanno infine lamentato, ai sensi dell’articolo 6 § 1, l’iniquità del procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale di Lecce concernente la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza e l’applicazione dell’articolo 186-quater del codice di procedura civile italiano. Essi hanno lamentato altresì l’iniquità del procedimento svoltosi dinanzi alla Corte di Cassazione.
  50. La Corte ha esaminato il resto delle doglianze dei ricorrenti così come presentate dagli stessi. Tuttavia visto tutto il materiale di cui è in possesso e nella misura in cui tali doglianze rientrano nella sua competenza, la Corte conclude che esse non rivelano alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli.
  51. Ne consegue che questa parte della doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE 
  52. L’articolo 41 della Convenzione prevede:
    “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

    A. Danno patrimoniale 
  53. Quanto al danno patrimoniale, i ricorrenti hanno chiesto un importo corrispondente alla differenza tra l’indennizzo che avevano tentato di ottenere dinanzi al Tribunale di Lecce e l’importo accordato dalla Corte di appello, rivalutato per l’inflazione e aumentato dell’importo degli interessi dovuti. I ricorrenti hanno inoltre chiesto l’indennizzo per il periodo di occupazione legittima. Nel gennaio 2007 la somma richiesta ammontava approssimativamente a EUR 286.806, rivalutata per l’inflazione e aumentata dell’importo dell’interesse dovuto.
  54. Il Governo ha contestato tale importo.
  55. La Corte ribadisce che una sentenza in cui essa riscontra una violazione pone in capo allo Stato convenuto l’obbligo giuridico di porre fine alla violazione e ripararne le conseguenze in modo tale da ripristinare per quanto possibile la situazione esistente prima della violazione (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000‑XI).
  56. La Corte osserva inoltre che, nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], sopra citata, la Grande Camera ha ritenuto opportuno adottare un nuovo approccio in ordine ai criteri da utilizzare per valutare i danni nelle cause di espropriazione indiretta. In particolare, la Corte ha deciso di rigettare le pretese dei ricorrenti nella misura in cui esse erano basate sul valore del terreno alla data della sentenza della Corte e, nel valutare il danno patrimoniale, di non tenere ulteriormente conto delle spese di costruzione degli edifici eretti dallo Stato sul terreno.
  57. La Corte ha ritenuto che la riparazione del danno patrimoniale debba essere pari all’intero valore venale del bene alla data della sentenza interna che ha dichiarato che i ricorrenti avevano perso la proprietà del loro bene, e tale valore deve essere calcolato sulla base delle perizie disposte dal tribunale, redatte nell’ambito dei procedimenti interni. Una volta dedotto l’importo ottenuto a livello nazionale, e ottenuta la differenza con il valore venale del terreno al momento in cui i ricorrenti hanno perso la proprietà, tale importo deve essere convertito nel valore attuale per compensare gli effetti dell’inflazione. Su tale importo dovrà inoltre essere pagato un interesse legale semplice (applicato al capitale progressivamente rivalutato) per compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo per il quale i ricorrenti sono stati privati del terreno.
  58. Nel caso di specie si può fare riferimento alla sentenza della Corte di appello di Lecce, secondo cui i ricorrenti avevano perso il diritto alla proprietà del terreno tra il 2 agosto e il 6 settembre 1994. In base alle perizie disposte dal tribunale, redatte nel corso del procedimento interno dinanzi alla Corte di appello, il valore venale del terreno in quel periodo corrisponde a ITL 142.844.000 (EUR 73.772).
  59. Visti i precedenti fattori e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti EUR88.000, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale cifra.
  60. Resta da valutare la perdita di chances subita dai ricorrenti a seguito dell’espropriazione (Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], sopra citata, § 107). La Corte ritiene di dover tenere conto del danno causato dall’indisponibilità del terreno per il periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (tra il 10 luglio e il 9 agosto 1985) e la data della perdita della proprietà (tra il 2 agosto e il 6 settembre 1994). Deliberando in via equitativa, la Corte accorda ai ricorrenti EUR 39.000 per la perdita di chances.

    B. Danno morale
    I ricorrenti hanno chiesto EUR 200.000 per il danno morale.
  61. Il Governo ha lasciato la questione alla discrezione della Corte, pur sottolineando che l’importo richiesto dai ricorrenti era eccessivo.
  62. La Corte ritiene che le sensazioni di impotenza e frustrazione derivanti dalla violazione dei diritti dei ricorrenti di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione abbiano provocato loro un notevole danno morale che dovrebbe essere opportunamente risarcito.
  63. Alla luce di quanto sopra e deliberando in via equitativa, la Corte decide di accordare congiuntamente ai ricorrenti EUR 15.000 a questo titolo.

    C. Spese
    I ricorrenti hanno presentato una nota degli onorari e delle spese e hanno chiesto il rimborso di EUR 91.664 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni ed EUR 35.950 per quelle sostenute dinanzi alla Corte.
  64. Il Governo ha contestato gli importi.
  65. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, le spese possono essere accordate ai sensi dell’articolo 41 solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008).
  66. Benché non sia contestato che i ricorrenti abbiano sostenuto delle spese per ottenere riparazione dinanzi alla Corte, essa ritiene che la somma richiesta sia eccessiva.
  67. Visti i documenti di cui è in possesso e la sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole accordare la somma di EUR 5.000 per il procedimento dinanzi alla Corte.

    D. Interessi moratori
    La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta ladomanda del Governo di cancellazione del ricorso dal ruolo;
  2. Dichiara ricevibili le doglianze concernenti gli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 6 § 1 in ragione dell’applicazione della legge 662 del 1996 e irricevibile il resto del ricorso;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  4. Ritiene che non sia necessario esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 6§1 della Convenzione;
  5. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 127.000 (centoventisettemila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno patrimoniale;
      2. EUR 15.000 (ventimila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      3. EUR 5.000 (cinquemila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali.

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto il 25 novembre 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Abel Campos
Cancelliere aggiunto

András Sajó
Presidente