Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'11 febbraio 2014 - Ricorso n.7509/08 - Contrada c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Rita Pucci, funzionario linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA CONTRADA c. ITALIA (N. 2)

(Ricorso n. 7509/08)

SENTENZA

STRASBURGO

11 febbraio 2014
 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Contrada c. Italia (n. 2),
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), costituita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 14 gennaio 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 7509/08) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, il sig. Bruno Contrada («il ricorrente»), ha adito la Corte il 31 gennaio 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’Avv. E. Tagle, del foro di Napoli. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

3. Il ricorrente lamenta in particolare i ripetuti rifiuti dei giudici interni di accogliere le sue istanze di differimento dell’esecuzione della pena e di ammissione al regime della detenzione domiciliare per motivi di salute (articolo 3 della Convenzione). Denuncia inoltre una violazione del suo diritto ad un equo processo (articolo 6 § 1 della Convenzione).

4. Il 14 maggio 2012, la Corte ha comunicato al Governo la doglianza relativa all’articolo 3 della Convenzione. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1931 e risiede a Palermo.

A.  Il procedimento penale attivato nei confronti del ricorrente

1.  Il procedimento in primo grado dinanzi al tribunale di Palermo

6. Con sentenza del 5 aprile 1996, il tribunale di Palermo condannò il ricorrente alla pena di dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione di stampo mafioso (articoli 110, 416 e 416 bis del codice penale). In particolare, il tribunale lo ritenne colpevole di avere, tra il 1979 e il 1988, in qualità di funzionario di polizia poi di capo di gabinetto dell’alto commissario per la lotta alla mafia e di vicedirettore dei servizi segreti civili (SISDE), apportato sistematicamente un contributo alle attività e al perseguimento degli scopi illeciti dell’associazione mafiosa denominata «cosa nostra». Secondo il tribunale, il ricorrente aveva fornito ai membri della «commissione provinciale» di Palermo della suddetta associazione informazioni riservate riguardanti le indagini e le operazioni di polizia di cui essi, ed altri membri dell’associazione in questione, formavano oggetto.

7. Il tribunale fondò il suo giudizio sull’esame di un numero considerevole di testimonianze e di documenti e, in particolare, sulle informazioni fornite da più collaboratori di giustizia, già membri dell’associazione «cosa nostra».

2. Il procedimento in appello dinanzi alla corte d’appello di Palermo

8. Il ricorrente e il pubblico ministero fecero entrambi appello.

9. Il ricorrente fece valere il principio di tassatività della norma penale in quanto corollario del principio più generale della non retroattività della norma penale. In particolare, egli riteneva che, all’epoca dei fatti della causa, l’applicazione della legge penale riguardante il concorso esterno in associazione mafiosa non fosse prevedibile in quanto risultato di un’evoluzione giurisprudenziale successiva.

10. Con sentenza del 4 maggio 2001, la corte d’appello di Palermo rovesciò la sentenza di primo grado e assolse il ricorrente perché il fatto non sussiste.

11. Pur evidenziando diverse anomalie nel comportamento del ricorrente nel suo ruolo di dirigente della polizia (fatti per i quali egli poteva incorrere in un procedimento disciplinare), la corte d’appello ritenne che le prove prese in considerazione non fossero determinanti, diede peso ad altre testimonianze di collaboratori di giustizia raccolte nel frattempo e osservò che i giudici di primo grado avevano sottovalutato la possibilità che le testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, arrestati in passato dallo stesso ricorrente, potessero essere la conseguenza di un progetto di vendetta nei confronti di quest’ultimo. 

12. La corte d’appello non fece riferimento alle considerazioni del ricorrente relative alla tassatività della norma penale.

3. Il primo procedimento dinanzi alla Corte di cassazione

13. Il procuratore generale della Repubblica propose ricorso per cassazione.

14. Con sentenza del 12 dicembre 2002, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte d’appello di Palermo e rinviò la causa davanti a questa. In particolare, essa ritenne che la sentenza in questione non fosse stata debitamente motivata. A titolo di esempio, la corte d’appello aveva omesso di spiegare il motivo per cui alcune testimonianze raccolte non potevano avere valore di prova e non aveva validamente suffragato la tesi della «vendetta» di alcuni collaboratori di giustizia nei confronti del ricorrente.

4. Il nuovo procedimento dinanzi alla corte d’appello di Palermo

15. Con sentenza del 25 febbraio 2006, una diversa camera della corte d’appello di Palermo, presieduta dal giudice S., confermò la sentenza del tribunale del 5 aprile 1996.
Per giungere a tale decisione, da un lato, essa si soffermò su molti altri documenti e testimonianze raccolti nel corso dell’inchiesta e, dall’altro, ritenne che la sezione della corte d’appello che si era pronunciata in precedenza non avesse attribuito ad alcune testimonianze la giusta valenza probatoria.

16. Il nuovo collegio giudicante rigettò, tra l’altro, la richiesta del ricorrente volta ad ottenere l’audizione di F.C., direttore del Servizio centrale di protezione del ministero dell’Interno all’epoca dei fatti. Quest’ultimo aveva infatti affermato che, nella sua attività di organizzazione della vita quotidiana dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari, gli erano stati segnalati circa seicento incontri tra collaboratori di giustizia.

17. Secondo la corte d’appello, il punto non era se le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in questione potessero, in quanto tali, essere utilizzate. Infatti, l’esclusione, come modalità di prova, delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia che avevano avuto contatti tra loro era stata introdotta solo nel 2001 (con la legge n. 45/2001), quindi non si applicava nel caso di specie. La questione pertinente riguardava piuttosto, secondo la corte, la credibilità delle dichiarazioni prese in se stesse, circostanza che aveva già formato oggetto di un esame attento e scrupoloso da parte dei giudici di primo grado.

18. Quanto alla configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa, la corte d’appello ritenne che la sentenza di primo grado che aveva condannato il ricorrente avesse applicato correttamente i principi sviluppati dalla giurisprudenza in materia.

5.  Il secondo procedimento dinanzi alla Corte di cassazione

19. Il ricorrente propose ricorso per cassazione.

20. Egli invocò nuovamente il principio della non retroattività e della tassatività della norma penale, ritenendo che la questione non fosse stata oggetto di alcun esame da parte dei giudici di merito e chiese che i fatti della causa fossero qualificati come favoreggiamento personale.

21. Il ricorrente lamentò inoltre il fatto che il giudice S. avesse presieduto il collegio giudicante della corte d’appello che aveva pronunciato la sentenza del 25 febbraio 2006. Al riguardo, egli spiegò che quello stesso giudice aveva già rigettato, con ordinanza del 1° ottobre 1993, il suo ricorso contro un’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che negava la revoca o la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti.

22. Inoltre, egli contestò, tra l’altro, l’utilizzo delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia (il sig. A.G.) rese durante il dibattimento, a suo dire in data successiva alla scadenza del termine stabilito dall’articolo 16 quater della legge n. 82/91, che era di sei mesi dalla manifestazione della volontà dell’interessato di collaborare con la giustizia (si veda la parte «Diritto interno pertinente»).

23. Il ricorrente chiese altresì, da un lato, l’acquisizione agli atti dei documenti riguardanti il programma di protezione dei collaboratori di giustizia sentiti nel corso del procedimento, dall’altro, l’audizione di un testimone (il sig. F.C.). Di fatto, il ricorrente riteneva che diversi collaboratori di giustizia (in particolare, i sigg. G.M., M.M., R.S., S.C., G.C., M.P., P.S. e G.M.) che avevano avuto contatti tra di loro si fossero accordati allo scopo di rendere dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti. Le prove utilizzate contro di lui sarebbero state quindi viziate.

24. Con sentenza pronunciata il 10 maggio 2007 e depositata in cancelleria l’8 gennaio 2008, la Corte di cassazione rigettò il ricorso del ricorrente.

25. Quanto al fatto che il giudice S. avesse presieduto il collegio giudicante della corte d’appello che aveva pronunciato la sentenza impugnata, la Corte di cassazione rispose che quanto esposto dal ricorrente poteva eventualmente costituire un valido motivo di ricusazione, ma non influiva sulla regolarità del procedimento in questione.

26. Quanto all’utilizzo delle dichiarazioni del sig. A.G., la Corte di cassazione osservò che la regola fissata dall’articolo 16 quater, comma 9, della legge n. 82/91 si applicava soltanto alla fase delle indagini preliminari e non a quella del dibattimento, come da essa constatato anche nella sentenza n. 18061 del 13 febbraio 2002. Pertanto, nel caso di specie, le dichiarazioni in questione erano state acquisite agli atti con legittima ragione.

27. Inoltre, la Corte di cassazione rigettò la richiesta del ricorrente di assunzione di nuove prove, in quanto questa rientrava nella competenza del giudice di merito e non nel controllo del giudice di legittimità, salvo che il rigetto di una simile richiesta non fosse stato debitamente motivato, il che non era nella fattispecie. Nel presente caso, quanto alla richiesta di audizione del sig. F.C. e alla pretesa inammissibilità delle prove rappresentate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, la Corte di cassazione osservò che questi motivi di ricorso erano già stati rigettati dalla corte d’appello in modo ampiamente e debitamente argomentato. Essa notò che la regola dell’esclusione, dalle modalità di prova ammesse, delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia viziate dall’esistenza di contatti tra gli interessati era stata introdotta solo nel 2001 (con la legge n. 45/01) e che, pertanto, essa non trovava applicazione nel caso di specie. La Corte di cassazione osservò anche che comunque i contatti verificatisi tra collaboratori di giustizia nel corso del procedimento non riguardavano nessuna delle persone che avevano reso le dichiarazioni effettivamente utilizzate per provare la colpevolezza del ricorrente.

28. Infine, la Corte di cassazione ritenne che la parte del ricorso relativa al principio della non retroattività e della tassatività della norma penale fosse manifestamente infondata in quanto in realtà metteva in discussione le valutazioni di merito operate dai giudici e non solo la legittimità della sentenza impugnata.

29. Essa giudicò quindi che la corte d’appello avesse motivato debitamente la sua sentenza e che non fosse necessario integrare il fascicolo con l’assunzione di altri elementi di prova.

6. Il procedimento di revisione della causa davanti alla corte d’appello di Caltanissetta

30. In seguito, il ricorrente tentò di ottenere una revisione del processo. Con sentenza del 24 settembre 2011, la corte d’appello di Caltanissetta dichiarò inammissibile la richiesta presentata dal ricorrente in tal senso.

31. Con sentenza depositata in cancelleria il 25 giugno 2012, la Corte di cassazione rigettò il ricorso del ricorrente contro tale decisione.

B. Lo stato di salute del ricorrente e le istanze da questi presentate dinanzi al magistrato e al tribunale di sorveglianza

32. Il ricorrente fu incarcerato l’11 maggio 2007 nel carcere militare si Santa Maria Capua Vetere. Con lettera del 20 agosto 2007 indirizzata al magistrato di sorveglianza, egli rappresentò di essere affetto da un numero considerevole di patologie.

33. Con certificato datato 1° ottobre 2007, un medico del servizio sanitario dell’istituto penitenziario attestò che il ricorrente soffriva dei postumi di un’ischemia cerebrale, di alcune patologie dell’apparato visivo, nonché di cardiopatia, diabete, ipertrofia prostatica, artrosi, iponutrizione e depressione.

I procedimenti avviati dal ricorrente al fine di ottenere la scarcerazione, il differimento dell’esecuzione della pena o la detenzione domiciliare

a) La prima istanza

34. Il 24 ottobre 2007 il ricorrente presentò un’istanza davanti al magistrato di sorveglianza al fine di ottenere la scarcerazione o il differimento dell’esecuzione della pena.

35. Il 22 e il 31 ottobre 2007 e il 24 novembre 2007 furono depositati davanti al magistrato di sorveglianza tre referti medici (due dei quali redatti da medici incaricati dal ricorrente e uno da medici del servizio sanitario dell’istituto penitenziario). I tre referti menzionavano le patologie, numerose e complesse, da cui era affetto il ricorrente e concludevano per l’incompatibilità del suo stato di salute con il regime detentivo al quale era sottoposto.

36. Con decisione depositata in cancelleria il 12 dicembre 2007, il magistrato di sorveglianza rigettò l’istanza del ricorrente. Nonostante il riferimento ai tre referti medici e alle conclusioni ivi contenute, il magistrato di sorveglianza ritenne che «non si può, tuttavia, affermare che le patologie da cui [il ricorrente] è affetto siano, al momento attuale, gravi e tali da non poter essere curate in carcere. [Esse richiedono tuttavia] un controllo continuo che può essere garantito attraverso il ricovero e la costante vigilanza da parte del servizio sanitario dell’istituto penitenziario».

b) La seconda istanza

37. Deducendo la mancanza di equità di tale decisione, il 17 dicembre 2007, il ricorrente presentò davanti al magistrato di sorveglianza una nuova istanza avente lo stesso oggetto della precedente.

38. Stando ai due referti medici del servizio sanitario dell’istituto penitenziario depositati il 21 e il 27 dicembre 2007, lo stato di salute del ricorrente era stazionario, se si eccettuava il calo ponderale, accentuatosi dal 31 ottobre 2007. Il referto concludeva per l’incompatibilità dello stato di salute del ricorrente con il regime detentivo al quale questi era sottoposto.

39. Con decisione depositata in cancelleria il 28 dicembre 2007, il magistrato di sorveglianza rigettò l’istanza sulla base, fondamentalmente, degli stessi argomenti esposti nella decisione del 12 dicembre 2007. Egli ritenne inoltre che, secondo la giurisprudenza costante in materia, le condizioni per la concessione della scarcerazione e del differimento dell’esecuzione della pena non fossero soddisfatte dato che, nel caso di specie, lo stato detentivo non comportava «l’impossibilità o l’estrema difficoltà» di ricorrere alle cure sanitarie che si rendessero necessarie. Il magistrato di sorveglianza autorizzò anche il ricovero del ricorrente per il tempo necessario all’esecuzione di alcuni controlli sanitari. Il giorno stesso, il ricorrente fu ricoverato e sottoposto a vari esami.

c) La terza istanza

40. Il 3 gennaio 2008 il ricorrente presentò un’istanza dallo stesso contenuto delle due precedenti. Egli sostenne anche che lo stesso organo di sorveglianza aveva concesso il differimento dell’esecuzione della pena in un’altra causa in cui lo stato di salute del detenuto in questione era meno grave del suo.

41. Furono depositati due referti medici. Essi evidenziarono le cattive condizioni di salute del ricorrente e fornirono indicazioni quanto al trattamento farmacologico seguito. 

42. Con decisione depositata in cancelleria il 7 gennaio 2008, il magistrato di sorveglianza rigettò l’istanza. In particolare, egli ritenne che i referti non fornissero elementi nuovi rispetto a quelli contenuti nel fascicolo in occasione delle precedenti decisioni e affermò di non avere ancora ricevuto l’esito degli esami eseguiti in ospedale. Quanto alla valutazione della «gravità» delle patologie del ricorrente e della sussistenza di un’«impossibilità o di un’eccessiva difficoltà» di curarle in carcere, il magistrato di sorveglianza giunse alle stesse conclusioni delle sue decisioni del 12 e del 28 dicembre 2007.

d) La quarta istanza

43. Quello stesso giorno, il ricorrente presentò un’istanza avente lo stesso contenuto di quelle precedenti. L’istanza fu rigettata con decisione del magistrato di sorveglianza del 21 febbraio 2008.

e) La decisione del tribunale di sorveglianza del 15 gennaio 2008

44. Nel frattempo, le tre decisioni precedenti, che avevano carattere provvisorio, furono confermate dal tribunale di sorveglianza con ordinanza depositata in cancelleria il 15 gennaio 2008. Esso osservò, tra l’altro, che la depressione di cui soffriva il ricorrente non era una patologia psichiatrica, ma un disturbo dell’umore dovuto allo stato detentivo e di gravità insufficiente a giustificare un differimento dell’esecuzione della pena.

f) Il primo ricorso per cassazione proposto dal ricorrente

45. Il 19 gennaio 2008 il ricorrente propose ricorso per cassazione. In particolare, egli sostenne che il tribunale di sorveglianza non aveva considerato debitamente la gravità delle patologie da cui era affetto.

46. Secondo due referti medici depositati il 26 febbraio e il 12 marzo 2008 (uno redatto da un medico designato dal ricorrente, l’altro da un medico del servizio sanitario dell’istituto penitenziario), lo stato di salute del ricorrente non era compatibile con il regime detentivo al quale questi era sottoposto.

47. Il 27 febbraio 2008 il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiese al presidente della Corte di cassazione di annullare l’ordinanza del tribunale di sorveglianza e di rinviare la causa dinanzi a quest’ultimo.

48. Con sentenza depositata in cancelleria il 5 maggio 2008, la Corte di cassazione rigettò il ricorso del ricorrente. Essa ritenne che l’ordinanza del tribunale di sorveglianza fosse stata debitamente motivata e che il ricorrente avesse omesso di esporre in maniera dettagliata, facendo riferimento alle diverse patologie in questione, la sua contestazione delle conclusioni del tribunale di sorveglianza secondo le quali tali patologie non avevano carattere di gravità.

g) La decisione del tribunale di sorveglianza del 15 aprile 2008

49. Con decisione depositata in cancelleria il 15 gennaio 2008 [sic], il tribunale di sorveglianza confermò la quarta decisione di rigetto del magistrato di sorveglianza, nonché altre due decisioni di rigetto da quest’ultimo adottate nel frattempo, il 28 febbraio e il 19 marzo 2008.

h) La decisione del tribunale di sorveglianza di concedere al ricorrente la detenzione domiciliare

50. In seguito ad altre due decisioni di rigetto (del 12 maggio e del 19 giugno 2008) di istanze proposte dal ricorrente, con ordinanza depositata in cancelleria il 24 luglio 2008, il tribunale di sorveglianza autorizzò la detenzione del ricorrente al domicilio della sorella, sito a Napoli, per un periodo di sei mesi con divieto di qualsiasi contatto con persone diverse dai familiari e dal personale medico.

51. Il tribunale di sorveglianza tenne conto di un referto redatto da un medico dell’istituto penitenziario che evidenziava un peggioramento della salute del ricorrente, già precaria, in particolare con riferimento al calo ponderale (20 chili nel corso dell’ultimo anno) e alla comparsa di una poliposi multipla del colon in aggiunta alle patologie già esistenti.

52. A giudizio del tribunale di sorveglianza, il controllo e la cura di tali patologie in regime carcerario erano incompatibili con i principi umanitari e con il diritto alla salute sancito dalla Costituzione.

53. Il tribunale di sorveglianza rigettò l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena, sottolineando la pericolosità sociale dell’interessato, il tipo di reato per il quale egli era stato condannato e il periodo di pena che gli rimaneva da scontare.

i) Il secondo ricorso per cassazione proposto dal ricorrente e il rinvio della causa dinanzi al tribunale di sorveglianza

54. Il 1° agosto 2008, il ricorrente propose ricorso per cassazione. Egli contestò la sua pericolosità sociale, tenuto conto della sua età e del suo stato di salute.

55. Chiese il differimento dell’esecuzione della pena per il periodo di un anno e la possibilità di scontarla al suo domicilio, dove abitava la moglie.

56. Con sentenza depositata in cancelleria il 21 ottobre 2008, la Corte di cassazione annullò l’ordinanza del tribunale di sorveglianza depositata in cancelleria il 24 luglio 2008 e rinviò la causa davanti ad esso. In particolare, la Corte ritenne che il tribunale di sorveglianza avesse omesso di specificare i motivi per i quali il ricorrente era considerato socialmente pericoloso.

j) L’ordinanza del tribunale di sorveglianza che conferma la decisione di non autorizzare il differimento dell’esecuzione della pena

57. Con ordinanza del 20 novembre 2008, il tribunale di sorveglianza confermò la sua decisione depositata il 24 luglio 2008. Esso osservò che il ricorrente era stato condannato per associazione mafiosa, reato per il quale esiste una presunzione assoluta di pericolosità sociale.

58. Il tribunale di sorveglianza sottolineò che la direzione distrettuale antimafia di Palermo aveva ritenuto che la pericolosità sociale del ricorrente dovesse considerarsi di carattere permanente. Il ricorrente aveva infatti operato per anni secondo le modalità descritte nella sentenza di condanna ed aveva quindi legami con l’associazione mafiosa in questione.

k) Il terzo ricorso per cassazione proposto dal ricorrente e la decisione di rigetto della Corte di cassazione

59. Il ricorrente propose ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di sorveglianza del 20 novembre 2008. Con sentenza depositata in cancelleria il 23 dicembre 2009, la Corte di cassazione rigettò il ricorso, ritenendo che l’ordinanza fosse stata debitamente motivata.

l) La scarcerazione del ricorrente

60. L’11 ottobre 2012, avendo scontato la pena, il ricorrente fu scarcerato.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

61. Ai sensi dell’articolo 16 quater, comma 9, della legge n. 82/91 (introdotto dall’articolo 14 della legge 45/01), le dichiarazioni rese da un collaboratore al procuratore o alla polizia giudiziaria possono essere utilizzate come prove solo a condizione che siano intervenute entro il termine di sei mesi dalla manifestazione della volontà dell’interessato di collaborare con la giustizia.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

62. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente ritiene che, tenuto conto della sua età e del suo stato di salute, i ripetuti rigetti, da parte del magistrato e del tribunale di sorveglianza, delle sue istanze di differimento dell’esecuzione della pena o di ammissione al regime della detenzione domiciliare abbiano costituito un trattamento inumano e degradante.

63. Il testo dell’articolo in questione dispone così:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

A. Sulla ricevibilità

64. Il Governo sostiene innanzitutto che il ricorrente ha omesso di formulare la sua doglianza davanti agli organi nazionali, come poteva fare utilmente giacché le sentenze della Corte costituzionale nn. 347 e 348 del 2007 esigono dalle autorità un’interpretazione delle leggi interne conforme alla Convenzione.

65. Il Governo convenuto sostiene inoltre che è stato violato il principio del contraddittorio del procedimento dinanzi alla Corte in quanto i fatti comunicati al governo convenuto si riferiscono a decisioni diverse da quelle citate dal ricorrente nel modulo di ricorso (in particolare, il Governo menziona le decisioni adottate in data 12 dicembre 2007, 28 dicembre 2008, 7 gennaio 2008 e 10 gennaio 2008).

66. In terzo luogo, il Governo osserva che le decisioni interne, adottate da più organi giurisdizionali di grado successivo, erano comunque debitamente motivate. La Corte sarebbe quindi chiamata a fungere da giudice di «quarto grado».

67. Il ricorrente contesta queste osservazioni.

68. La Corte constata che non vi è dubbio che il ricorrente abbia formulato la sua doglianza più volte davanti agli organi nazionali, lamentando in particolare l’incompatibilità del suo stato di salute con il regime carcerario. L’eccezione sollevata dal Governo relativamente al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne non può quindi essere accolta.

69. Inoltre, l’argomento relativo alla violazione del principio del contraddittorio appare infondato. Infatti, l’oggetto della controversia, come descritto nei motivi di ricorso formulati dal ricorrente nel modulo di ricorso, riguarda comunque il rifiuto delle autorità di accogliere le sue istanze di differimento dell’esecuzione della pena o di ammissione al regime della detenzione domiciliare.

70. Infine, quanto all’argomento relativo alla circostanza che essa sarebbe invitata a svolgere il ruolo di giudice di «quarto grado», prescindendo dal fatto che la presente doglianza non riguarda un’eventuale violazione del diritto ad un equo processo (si veda, a contrario, tra molte altre, Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 162, CEDU 2010), la Corte osserva che, lette nella loro sostanza, le considerazioni del Governo sono legate al merito della causa. Esse saranno quindi esaminate con il merito, qui di seguito.

71. A parere della Corte, la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararla ricevibile.

B. Sul merito

1. Gli argomenti delle parti

72. Il Governo osserva che i ricorsi proponibili dinanzi al giudice di sorveglianza e alla Corte di cassazione consentono di chiedere la scarcerazione di un detenuto in caso di grave peggioramento delle sue condizioni di salute. Questi può del resto, in alcuni casi, chiedere la grazia al Presidente della Repubblica, ai sensi dell’articolo 681 del codice di procedura penale. Il sistema legislativo offre quindi delle garanzie, ma esse non possono tradursi in un obbligo generale di scarcerare un detenuto per motivi di salute.

73. Il Governo sostiene infine che, nel caso di specie, quando le condizioni di salute del ricorrente sono apparse incompatibili con il regime carcerario, il giudice competente ha disposto l’ammissione al regime della detenzione domiciliare.

74. Il ricorrente contesta le osservazioni del Governo e sottolinea che la sua doglianza riguarda in modo particolare il fatto che le autorità interne che hanno rigettato le sue istanze hanno omesso di prendere in considerazione i referti medici che concludevano per l’incompatibilità del suo stato di salute con il regime carcerario.

2. La valutazione della Corte

a) Principi generali

75. Conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di tale minimo è relativa: essa dipende dal complesso degli elementi della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dalle conseguenze fisiche o psichiche dello stesso e, talvolta, dal sesso, dall’età e dalle condizioni di salute della vittima (si vedano, tra le altre, Price c. Regno Unito, n. 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII, Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 37, CEDU 2002-IX, Gennadi Naoumenko c. Ucraina, n. 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Le denunce di maltrattamenti devono essere suffragate da adeguati elementi di prova (si veda, mutatis mutandis, Klaas c. Germania, sentenza del 22 settembre 1993, serie A n. 269, § 30). Per la valutazione di tali elementi, la Corte aderisce al principio della prova «al di là di ogni ragionevole dubbio», ritenendo tuttavia che una tale prova possa risultare da una serie di indizi, o da presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A n. 25, § 161 in fine, e Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 121, CEDU 2000-IV).

76. Perché una pena e il trattamento che la accompagna possano definirsi «inumani» o «degradanti», la sofferenza o l’umiliazione devono comunque essere superiori a quelle derivanti inevitabilmente da una data forma di trattamento o di pena legittimi (Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, 11 luglio 2006).

77. Con particolare riferimento alle persone private della libertà, l’articolo 3 impone allo Stato l’obbligo positivo di assicurarsi che esse siano detenute in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non facciano piombare l’interessato in uno stato di sconforto né lo espongano ad una prova di intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente, in modo particolare attraverso la somministrazione delle necessarie cure mediche (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI, e Riviere c. Francia, n. 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). Così, la mancanza di cure mediche adeguate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni non adeguate, può in linea di principio costituire un trattamento contrario all’articolo 3 (si vedano, ad esempio, İlhan c. Turchia [GC], n. 22277/93, § 87, CEDU 2000-VII, e Gennadi Naumenko sopra citata, § 112).

78. La Corte deve tenere conto, in particolare, di tre elementi al fine di esaminare la compatibilità di uno stato di salute preoccupante con il mantenimento in stato detentivo del ricorrente, vale a dire: a) la condizione del detentuo, b) la qualità delle cure dispensate e c) l’opportunità di mantenere lo stato detentivo alla luce delle condizioni di salute del ricorrente (si vedano Farbtuhs c. Lettonia, n. 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, n. 61828/00, § 39, 15 gennaio 2004).

b. Applicazione di questi principi al caso di specie

79. Nella presente causa si pongono la questione della compatibilità dello stato di salute del ricorrente con il suo mantenimento in stato detentivo e quella relativa all’eventuale raggiungimento del livello di gravità sufficiente per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.

80. La Corte osserva innanzitutto che non vi è dubbio che il ricorrente fosse affetto da diverse patologie gravi e complesse (si vedano i paragrafi 33, 36, 38 e 51 supra).

81. Essa osserva poi che il ricorrente ha presentato una prima istanza al fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione della pena o la detenzione domiciliare il 24 ottobre 2007. Seguirono altre sette istanze, le quali, così come la prima, furono ogni volta rigettate. Solo il 24 luglio 2008 il tribunale di sorveglianza concesse al ricorrente la detenzione domiciliare.

82. La Corte rileva che, nel corso del procedimento, sono stati depositati davanti agli organi competenti dieci referti o certificati redatti da medici designati dal ricorrente nonché da medici del centro sanitario dell’istituto penitenziario in cui era detenuto il ricorrente. Essi concludevano, in maniera costante e univoca, per l’incompatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime detentivo al quale egli era sottoposto.

83. Pur prendendo atto che il ricorrente ha infine ottenuto il regime della detenzione domiciliare nel 2008, la Corte osserva che questa è stata concessa solo nove mesi dopo la prima istanza del ricorrente.

84. La Corte osserva inoltre che le conclusioni delle autorità interne secondo le quali le patologie del ricorrente non erano, da un lato, gravi (si veda la decisione del magistrato di sorveglianza del 12 dicembre 2007) e, dall’altro, «impossibil[i] o estremamente difficil[i]» da curare in carcere (si vedano le decisioni del magistrato di sorveglianza del 28 dicembre 2007 e del 7 gennaio 2008) sono da prendere con beneficio d’inventario, tenuto conto in particolare dei risultati degli esami medici ai quali il ricorrente è stato sottoposto in più occasioni.

85. La Corte ne conclude che, alla luce del contenuto dei certificati medici in possesso delle autorità, del tempo trascorso prima dell’ammissione alla detenzione domiciliare e dei motivi delle decisioni di rigetto delle istanze presentate dal ricorrente, il mantenimento in stato detentivo di quest’ultimo era incompatibile con il divieto di trattamenti inumani e degradanti stabilito dall’articolo 3 della Convenzione (si vedano Farbtuhs, sopra citata, §§ 55-61; Paladi c. Moldavia [GC], n. 39806/05, §§ 71-72, 10 marzo 2009; Scoppola c. Italia, n. 50550/06, §§ 45-52, 10 giugno 2008 e Cara-Damiani c. Italia, n. 2447/05, §§ 69-78, 7 febbraio 2012).  Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

86. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta la violazione del suo diritto ad un processo equo, a vario titolo.

87. Innanzitutto, egli ritiene che la sua causa non sia stata esaminata da un tribunale indipendente ed imparziale. Sostiene che il giudice che ha presieduto la corte d’appello di Palermo nel procedimento conclusosi con la sentenza del 25 febbraio 2006 era lo stesso che presiedeva, il 1° ottobre 1993, il tribunale del riesame quando questo aveva rigettato un’istanza del ricorrente volta ad ottenere la revoca di una misura di custodia cautelare in carcere adottata nei suoi confronti.

88. In secondo luogo, il ricorrente lamenta una violazione del suo diritto alla difesa a motivo del fatto che, nella sentenza depositata l’8 gennaio 2008, la Corte di cassazione ha rigettato l’istanza del ricorrente volta, da un lato, alla raccolta e all’acquisizione agli atti di alcuni documenti riguardanti il programma di protezione dei collaboratori di giustizia sentiti nel corso del procedimento e, dall’altro, all’audizione di un testimone (il sig. F.C.).

89. In terzo luogo, il ricorrente denuncia il fatto di essere stato condannato sulla base, tra l’altro, di dichiarazioni di un collaboratore di giustizia (il sig. A.G.) che non potevano essere legittimamente acquisite agli atti. Al riguardo, il ricorrente contesta l’interpretazione fatta dalla Corte di cassazione dell’articolo 16 quater, comma 9, della legge n. 82/91.

90. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è così redatto nelle parti pertinenti:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.»

91. Per quanto riguarda il primo punto di questa doglianza, relativo alla dedotta mancata indipendenza e imparzialità del presidente del collegio giudicante della corte d’appello di Palermo che ha emesso la sentenza del 25 febbraio 2006, la Corte osserva che, anche prescindendo dalla circostanza che il fatto in questione risale ad oltre sei mesi prima della presentazione del presente ricorso, comunque il ricorrente ha omesso di proporre una dichiarazione di ricusazione nei confronti del giudice in questione. Quindi, questa parte del ricorso deve essere dichiarata irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

92. Quanto al resto della doglianza, la Corte rammenta che non le spetta di valutare la legittimità delle prove sotto il profilo del diritto interno degli Stati parte alla Convenzione e di pronunciarsi sulla colpevolezza dei ricorrenti, alla maniera di un giudice di «quarto grado». Infatti, se è vero che la Convenzione sancisce all’articolo 6 il diritto ad un equo processo, tuttavia essa non disciplina l’ammissibilità delle prove in quanto tale, materia di competenza in primo luogo del diritto interno (si veda, tra molte altre, Gäfgen c. Germania sopra citata, § 162).

93. Per quanto riguarda il secondo punto della doglianza, la Corte osserva infatti che, con sentenza del 25 febbraio 2006, la corte d’appello di Palermo ha rigettato l’istanza del ricorrente volta ad ottenere l’audizione del sig. F.C. in merito all’utilizzo delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia quando questi avevano avuto contatti tra loro. Così come in seguito ha fatto la Corte di cassazione nella sentenza dell’8 gennaio 2008, la corte d’appello ha osservato che l’esclusione della presa in considerazione delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia in tale caso era stata introdotta solo nel 2001 (con la legge n. 45/01) ed ha ritenuto, quindi, che essa non riguardasse i fatti della causa. Essa ha inoltre rilevato che l’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni aveva formato oggetto di esame attento e scrupoloso da parte del giudice di primo grado. Infine, la Corte di cassazione ha osservato che i contatti verificatisi tra collaboratori di giustizia nel corso del procedimento non riguardavano alcuna delle persone che avevano reso le dichiarazioni effettivamente assunte come prova della colpevolezza del ricorrente.

94. Quanto al terzo punto della doglianza, la Corte constata che niente consente di mettere in dubbio l’interpretazione fornita dalla Corte di cassazione nella sentenza dell’8 gennaio 2008, secondo la quale la regola stabilita dall’articolo 16 quater, comma 9, della legge n. 82/91 si applicava solo alla fase delle indagini preliminari e non a quella del dibattimento, e da cui derivava che le dichiarazioni del sig. A.G. erano state acquisite agli atti a buon diritto.

95. La Corte osserva quindi che le decisioni interne pertinenti sono state debitamente e ampiamente motivate e che non sono arbitrarie. Pertanto, questa parte del ricorso deve essere rigettata per manifesta infondatezza ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

96. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danni

97. Il ricorrente chiede 25.000 euro (EUR) a titolo di risarcimento del danno morale che avrebbe subito.

98. Il Governo fa sapere di rimettersi al giudizio della Corte.

99. La Corte ritiene che si debbano accordare al ricorrente 10.000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale.

B.  Spese

100. Il ricorrente chiede altresì, producendo i relativi documenti giustificativi, 8.350,25 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici interni e 15.623,74 EUR per quelle sostenute davanti alla Corte.

101. Il Governo contesta queste richieste.

102. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, la Corte osserva che i documenti presentati a sostegno della richiesta di rimborso delle spese sostenute davanti ai giudici interni non sono sufficientemente dettagliati, quindi rigetta la richiesta avanzata del ricorrente a tale titolo.

103. La Corte ritiene ragionevole la somma di 5.000 EUR per le spese sostenute nell’ambito del procedimento dinanzi ad essa e la accorda al ricorrente.

C.  Interessi moratori

104. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile quanto alla doglianza relativa all’articolo 3 della Convenzione e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
  3. Dichiara, con sei voti contro uno,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, da convertire al tasso applicabile alla data del versamento:
      1. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese sostenute nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto l’11 febbraio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Karakaş.

A.I.K.
S.H.N.

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ

Non posso aderire alla maggioranza quando essa constata la violazione dell’articolo 3 della Convenzione per incompatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il mantenimento in stato detentivo. Dal mio punto di vista, la situazione del ricorrente non raggiungeva il livello di gravità sufficiente per importare violazione dell’articolo 3.
I magistrati e il tribunale di sorveglianza hanno esaminato approfonditamente tutte le istanze del ricorrente e i referti dei medici e le loro decisioni erano ben motivate.
Deliberando sulla prima istanza del ricorrente formulata il 24 ottobre 2007, il magistrato di sorveglianza, basandosi sui tre referti medici acquisiti nel frattempo, ritenne che le patologie da cui era affetto all’epoca il ricorrente non fossero poi così gravi e potessero essere curate in carcere. Tuttavia, doveva essere garantito un controllo continuo attraverso il ricovero e la costante vigilanza da parte del servizio sanitario dell’istituto penitenziario. Con decisione del 28 dicembre 2007, il magistrato di sorveglianza rigettò la seconda istanza, ritenendo che lo stato detentivo non comportasse l’impossibilità o l’estrema difficoltà di ricorrere alle cure sanitarie necessarie. Egli autorizzò anche il ricovero. Le due istanze successive furono rigettate (il 7 gennaio e il 21 febbraio 2008) e il tribunale di sorveglianza confermò quelle tre decisioni, precisando che la depressione di cui soffriva il ricorrente non era sufficiente per raggiungere la soglia di gravità necessaria e giustificare un differimento dell’esecuzione della pena.
Ritengo che il ricorrente sia stato seguito molto da vicino dai servizi sanitari penitenziari e dai giudici di sorveglianza nel periodo controverso che va dall’ottobre 2007 all’agosto 2008.
Il 24 luglio 2008, non appena apprese dall’ultimo referto medico l’insorgenza di nuove patologie, il tribunale di sorveglianza dispose l’esecuzione di approfondimenti. Sulla base di nuovi esami, e soprattutto in seguito ad un dimagrimento involontario, il tribunale di sorveglianza decise che le condizioni di salute del ricorrente erano incompatibili con la sua detenzione in carcere.
Stando a questi fatti, non appena lo stato di salute del ricorrente divenne incompatibile con il regime carcerario, il tribunale di sorveglianza, che ne seguiva il caso con attenzione, dispose l’applicazione del regime della detenzione domiciliare.
Pertanto, non penso che il ricorrente abbia subito un trattamento inumano o degradante.