Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 15 ottobre 2014 - Ricorsi nn. 23658/07, 24941/07 e 25724/07 - Causa Casacchia e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.
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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE
DECISIONE


CAUSA CASACCHIA E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 23658/07, 24941/07 e 25724/07)

La presente versione è stata rettificata il 21 ottobre 2014 ai sensi dell’articolo 81 del Regolamento della Corte

SENTENZA

STRASBURGO

15 ottobre 2013

DEFINITIVA  15/01/2014

La presente sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Casacchia e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Seconda Sezione), riunita in una Camera composta da:

  • Danutė Jočienė, Presidente,
  • Guido Raimondi,
  • Dragoljub Popović,
  • András Sajó,
  • Işıl Karakaş,
  • Paulo Pinto de Albuquerque,
  • Helen Keller, giudici,

e  Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
dopo aver deliberato in camera di consiglio il 24 settembre 2013,
pronuncia la seguente sentenza,  adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi sono tre ricorsi (nn. 23658/07, 24941/07 e  25724/07) proposti contro la Repubblica italiana con i quali quindici cittadini italiani, elencati in allegato (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali  (“la Convenzione”) rispettivamente in data 4, 8 e 11 giugno 2007.

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dagli avv.ti G. Ferraro, R.  Mastroianni e F. Ferraro, del foro di Napoli. Il Governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo co-agente, Paola Accardo.

3. I ricorrenti hanno sostenuto di aver subito un'ingerenza legislativa nelle more dei loro procedimenti, in violazione del loro diritto a un equo processo ai sensi dell'articolo 6.

4. In data 29 agosto 2012 il ricorso è stato comunicato al Governo. Si è deciso inoltre di giudicare contestualmente la ricevibilità e il merito del ricorso (articolo 29 § 1).

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE 

5. I particolari dei ricorrenti sono allegati.

A. Il contesto della causa

6. I ricorrenti sono tutti pensionati (andati in pensione prima del 31 dicembre 1990) ed ex dipendenti del Banco di Napoli (gruppo bancario che era originariamente un ente pubblico e che è stato successivamente privatizzato).

7. Prima della loro privatizzazione, il Banco di Napoli e il  Banco di Sicilia erano sottoposti a regimi previdenziali esclusivi a norma degli articoli 11 e 39 della legge n. 486 del 1985. I loro dipendenti beneficiavano di un meccanismo perequativo più favorevole di quello disponibile per le persone iscritte all'assicurazione generale obbligatoria. In particolare, l'aumento pensionistico annuale dei loro pensionati era calcolato in base agli aumenti salariali dei dipendenti in servizio con gli stessi livelli (perequazione aziendale).

8. Nel 1990 la riforma Amato previde la privatizzazione delle banche pubbliche quali il Banco di Napoli. Essa soppresse i loro regimi pensionistici esclusivi, sostituendoli con quelli integrati. Previde l’iscrizione dei dipendenti del Banco di Napoli a un nuovo sistema di gestione previdenziale che faceva parte dell’assicurazione obbligatoria generale gestita dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (“INPS”), ente previdenziale italiano.

9. Nel 1992 ebbe luogo un’ulteriore parziale riforma pensionistica.

10. Nel 1993 diversi ex-dipendenti che erano già andati in pensione, entrarono in discussione con il Banco di Napoli sull’applicazione di alcune disposizioni. In particolare, interpretando estensivamente l'articolo 9 della legge n. 503 del 1992 (in prosieguo legge 503/92) e l'articolo 3 della legge n. 421 del 1992 (in prosieguo legge 421/92) (si veda il diritto interno pertinente) il Banco di Napoli tentò di eliminare il regime di perequazione aziendale calcolato in base agli aumenti salariali dei dipendenti in servizio con gli stessi livelli, anche nei confronti delle persone che erano già andate in pensione, limitando la perequazione di queste ultime a quella automatica, vale a dire a un semplice aumento in base al costo della vita (perequazione legale), che comportava una pensione meno consistente.

11. L’ultima decisione fu presa nonostante il fatto che, secondo i ricorrenti, la legge n. 218 del 30 luglio 1990 (riforma Amato), in particolare il suo articolo 3, commi 1 e 2, nonché l’articolo 3 della legge n. 421 del 23 ottobre 1992 (si veda il diritto interno pertinente), limitavano la soppressione unicamente alle persone ancora in servizio e non alle persone che già percepivano la pensione. Infatti, le persone ancora in servizio avevano avuto la facoltà di accettare altre prestazioni concordate mediante la contrattazione collettiva aziendale

B. I procedimenti interni generali in materia

12. In data imprecisata diversi pensionati che si trovavano nella situazione dei ricorrenti instaurarono un procedimento civile contestando le azioni del Banco di Napoli, dato che in conseguenza di esse essi percepivano importi inferiori a quelli cui essi dichiaravano di avere diritto. Sottolinearono che le leggi nn. 503/92 e 421/92  421/92 salvaguardavano il trattamento più favorevole applicabile alle persone andate in pensione prima del 31 dicembre 1990. Chiesero pertanto che il tribunale dichiarasse il loro diritto a conservare il regime di perequazione aziendale applicato prima della promulgazione di tali leggi, e ordinasse al Banco di Napoli di corrispondere le somme che esso non aveva corrisposto loro.

13. Con sentenza del 31 ottobre 1994, relativa alla causa Acocella e altri c. Banco di Napoli, il tribunale nazionale accolse le tesi dei ricorrenti, ritenendo che essi avessero diritto a rimanere nel regime della perequazione aziendale anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 503/92. Lo stesso fu confermato in diverse altre sentenze in varie giurisdizioni, compresa la Corte di cassazione (per esempio, le sentenze nn. 1388/00 e 12912/00) e più precisamente la Corte di cassazione nella sua massima composizione, vale a dire a Sezioni Unite. Quest'ultima con sentenza (n. 9024/01) del 3 luglio 2001 accolse la tesi dei ricorrenti in base all’interpretazione della legge n. 503/92 e delle leggi nn. 497 e 449 rispettivamente del 1996 e 1997, che facevano esplicitamente riferimento alla perequazione aziendale, confermando che essa non era stata abrogata dalle leggi del 1992. Le modifiche contestate si applicavano unicamente alle persone ancora in servizio e non alle persone che erano andate in pensione il 31 dicembre 1990 o precedentemente. Conseguentemente, il diritto contestato era legittimamente dovuto agli ex dipendenti del Banco di Napoli andati in pensione entro il 31 dicembre 1990, per il periodo compreso tra il 1° gennaio 1994 (data in cui era cessata una sospensione generale degli adeguamenti pensionistici) e il 26 luglio 1996 (data in cui era iniziata una nuova sospensione di tali adeguamenti in relazione al Banco di Napoli).

14.  Questa interpretazione ha continuato a essere seguita in modo uniforme da tutti i giudici che si sono occupati di cause di questo tipo.

C. La promulgazione della legge n. 243/04

15. Successivamente, vi furono varie modifiche legislative che tentarono di limitare l’applicazione del regime della perequazione aziendale. Esse culminarono nella promulgazione dell’articolo 1, comma 55, della legge n. 243/04, che interpretò la pertinente legislazione nel senso che i dipendenti del Banco di Napoli in pensione non potevano più beneficiare del regime della perequazione aziendale, e la rese efficace retroattivamente, con effetto dal 1992.

16. Nel frattempo, l’articolo 59, comma 4, della legge n. 449 del 27 dicembre 1997 (legge finanziaria del 1998) aveva soppresso definitivamente tutti i regimi di perequazione aziendale, a far data dal 1° gennaio 1998.

17. Pertanto, in generale, il regime di adeguamento pensionistico basato sulla perequazione aziendale era stato riconosciuto ed era rimasto in vigore dal 1994 al dicembre 1997 (esattamente prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria del 1998) per altri enti bancari pubblici che avevano precedentemente applicato un regime di perequazione aziendale, a eccezione del Banco di Napoli. In realtà, la legge “Salvabanco” aveva già sospeso tale prestazione nei confronti dei dipendenti del Banco di Napoli (e del Banco di Sicilia) a far data dal 26 luglio 1996. Pertanto per i dipendenti di quest’ultimo, il regime della perequazione aziendale sarebbe stato applicato solo dal 1° gennaio 1994 al 26 luglio 1996.

D. I procedimenti interni dei ricorrenti

1. Il ricorso n. 23658/07

18. Nel 1995 i ricorrenti (ricorso n. 23658/07) instaurarono un procedimento sulla scia dei procedimenti sopra citati, vale a dire essi sostennero che le leggi nn. 503/92 e 421/92 salvaguardavano il trattamento più favorevole applicabile alle persone andate in pensione prima del 31 dicembre 1990. Essi chiesero pertanto che il tribunale di Napoli (Sezione Lavoro) dichiarasse il loro diritto a conservare il regime di perequazione aziendale applicato prima della promulgazione di tali leggi, e ordinasse al Banco di Napoli di corrispondere le somme che esso non aveva corrisposto loro.

19. Con sentenza del 2 giugno 2000, il Tribunale di Napoli (Sezione Lavoro) si pronunciò a favore dei ricorrenti. Esso ordinò al Banco di Napoli di versare gli importi non pagati, con gli aumenti dovuti all’inflazione e gli interessi legali a far data dal 1° gennaio 1994. 

20. Il Banco di Napoli propose appello.

21. Con sentenza depositata nella pertinente cancelleria il 13 marzo 2004, la Corte di appello di Napoli confermò la sentenza di primo grado che affermava il diritto dei ricorrenti a essere coperti dal regime della perequazione aziendale,  per il periodo dal 1° gennaio 1994 (data in cui era cessata una sospensione generale degli adeguamenti pensionistici) al 26 luglio 1996 (data in cui era iniziata una nuova sospensione di tali adeguamenti in relazione al Banco di Napoli).

22. Con sentenza (n. 26042/06) del 19 settembre 2006, depositata nella pertinente cancelleria il 6 dicembre 2006, la Corte di cassazione ribaltò le sentenze dei tribunali inferiori e si pronunciò contro i ricorrenti, disponendo che le spese dei tre gradi di giudizio fossero compensate tra le parti. La Corte di cassazione accolse il motivo di ricorso secondo il quale il tribunale di primo grado non aveva potuto tenere conto della legge n. 243/04 – non ancora vigente al momento della sua sentenza –  legge interpretativa applicabile retroattivamente, finalizzata a risolvere un conflitto interpretativo presente nella giurisprudenza interna e che era stato risolto in definitiva dalla Corte di cassazione (Sezioni Unite). In realtà la legge n. 243/04 era stata promulgata per chiarire se gli articoli 9 e 11 della legge n. 503/92 si applicassero solo ai dipendenti ancora in servizio o anche ai pensionati, ed essa previde che a decorrere dal 1994 la perequazione legale (aumento in base al costo della vita) dovesse essere applicata a “tutti” i pensionati, a prescindere dalla loro data di pensionamento.

23. La Corte di cassazione rigettò un ricorso di incostituzionalità relativo agli effetti retroattivi di tale legge interpretativa che incideva sul principio della certezza giuridica e giudiziaria. A tale riguardo essa fece riferimento alle precedenti sentenze della Corte costituzionale che avevano ritenuto che il legislatore potesse imporre norme che specificavano il significato di altre norme nella misura in cui il significato fosse una delle opzioni derivanti dal testo originario e fosse conforme al principio di razionalità.

2. Il ricorso n. 24941/07

24. Nel 1996 i ricorrenti (ricorso n. 24941/07) instaurarono un procedimento sulla scia dei procedimenti sopra citati. 

25. Con sentenza del 12 gennaio 2001, il Tribunale di Napoli (Sezione Lavoro) si pronunciò a favore dei ricorrenti. Esso ordinò al Banco di Napoli di versare gli importi non pagati, con gli aumenti dovuti all’inflazione e gli interessi legali a far data dal 1° gennaio 1994. 

26. Il Banco di Napoli propose appello.

27. Con sentenza del 25 marzo 2004 depositata nella pertinente cancelleria il 24 aprile 2004, la Corte di appello di Napoli confermò la sentenza di primo grado che affermava il diritto dei ricorrenti a essere coperti dal regime di perequazione aziendale, tuttavia solo per il periodo dal 1° gennaio 1994 (data in cui era cessata una sospensione generale degli adeguamenti pensionistici) al 26 luglio 1996 (data in cui era iniziata una nuova sospensione di tali adeguamenti in relazione al Banco di Napoli).

28. Con sentenza (n. 26327/06) del 19 settembre 2006 depositata nella pertinente cancelleria in data 11 dicembre 2006 la Corte di cassazione ribaltò le sentenze dei tribunali inferiori e si pronunciò contro i ricorrenti in base allo stesso ragionamento della stessa Corte relativo ai ricorrenti del ricorso n. 23658/07 supra, disponendo che le spese dei tre gradi di giudizio fossero compensate tra le parti.

2. Il ricorso n. 25724/07

29. Nel 1996 i ricorrenti (ricorso n. 25724/07) instaurarono un procedimento sulla scia dei procedimenti sopra citati.

30. Con sentenza del 6 dicembre 2000, il Tribunale di Napoli (Sezione Lavoro) si pronunciò a favore dei ricorrenti. Esso ordinò al Banco di Napoli di versare gli importi non pagati, con gli aumenti dovuti all’inflazione e gli interessi legali a decorrere dal 1° gennaio 1994.

31. Il Banco di Napoli propose appello.

32. Con sentenza del 29 gennaio 2004, depositata nella pertinente cancelleria il 13 aprile 2004, la Corte di appello di Napoli confermò la sentenza di primo grado che affermava il diritto dei ricorrenti a essere coperti dal regime di perequazione aziendale, tuttavia solo per il periodo dal 1° gennaio 1994 (data in cui era cessata una sospensione generale degli adeguamenti pensionistici) al 26 luglio 1996 (data in cui era iniziata una nuova sospensione di tali adeguamenti in relazione al Banco di Napoli).

33. Con sentenza (n. 26746/06) del 19 settembre 2006, depositata nella pertinente cancelleria il 14 dicembre 2006, la Corte di cassazione ribaltò le sentenze dei tribunali inferiori e si pronunciò contro i ricorrenti in base allo stesso ragionamento della stessa Corte relativo ai ricorrenti del ricorso n. 23658/07 supra, disponendo che le spese dei tre gradi di giudizio fossero compensate tra le parti.
E.  La sentenza della Corte costituzionale n. 362 del 2008, in un procedimento analogo.

34. Nel 2007, in due diverse cause civili, la Corte di cassazione deferì la questione alla Corte costituzionale, ritenendo che il comma 55 della legge n. 243/04 sollevasse questioni di costituzionalità per diversi motivi: i) il ricorso a norme di interpretazione autentica sarebbe stato irragionevole in tali circostanze, essendo esso sproporzionato e controproducente rispetto allo scopo ricercato, vale a dire l’estinzione del contenzioso; ii) la legge contestata avrebbe fatto dipendere la determinazione dell’interesse delle parti da un fattore incostituzionale, vale a dire la durata dei procedimenti, e avrebbe costituito una disparità di trattamento tra persone i cui procedimenti erano conclusi e altre i cui procedimenti erano ancora pendenti; iii) la legge contestata avrebbe irragionevolmente annullato il ruolo della Corte di Cassazione.

35. Con sentenza depositata in cancelleria il 7 novembre 2008, la Corte costituzionale confermò la legittimità della legge n. 243/04. Essa ritenne che la legge contestata fosse una norma interpretativa delle disposizioni della legge n. 503/92, che aboliva la perequazione aziendale per tutti i pensionati, a prescindere dalla loro data di pensionamento. Invero, la natura interpretativa della norma era ovvia dato che essa aveva confermato uno dei possibili significati del testo originale del 1992, che era stato confermato anche da una parte della giurisprudenza. La legge contestata era stata ragionevole dato che essa era finalizzata a ottenere il riconoscimento di un trattamento uguale e omogeneo di tutti i pensionati in base ai correnti regimi integrativi. Inoltre, la legge non aveva incrementato il contenzioso dato che aveva reso prevedibile l’esito dei procedimenti. Quanto agli altri inconvenienti menzionati dalla Corte di cassazione, essa ritenne che essi fossero sorti da una serie di circostanze casuali e ciò non era sufficiente per considerare la norma incostituzionale. Essa considerò inoltre che il legislatore potesse promulgare delle leggi interpretative, purché esse fossero basate su uno dei possibili significati del testo originale, anche se vi era stata una coerente giurisprudenza in materia, e ciò non incideva sul ruolo della Corte di cassazione.

B. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

36. La legge n. 218 del 30 luglio 1990, per quanto pertinente, recita:
Articolo 1
“Ai dipendenti degli istituti creditizi di diritto pubblico continueranno ad applicarsi le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, fino al rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria o fino alla stipula di un nuovo contratto integrativo aziendale.
Articolo 2
Per i medesimi dipendenti sono fatti salvi i diritti quesiti, gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza.”

37. Gli articoli 3 e 4 della legge n. 357 del 20 novembre 1990, per quanto pertinenti, recitano:
Articolo 3
“3. Le quote dei trattamenti pensionistici a carico della gestione speciale sono assoggettate alla disciplina per la perequazione automatica dell’assicurazione generale obbligatoria.
4. Per i titolari di trattamenti pensionistici e di posizioni assicurative per prestazioni differibili di cui al comma 1, ((iscrizione dei dipendenti bancari all’INPS)) è fatto salvo il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti esclusive od esonerative di rispettiva iscrizione, secondo quanto disposto al successivo articolo 4. .
Articolo 4
1. ... è fatto salvo il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti … che continuano ad operare.
2. La differenza  tra il trattamento complessivo di cui al comma 1, tempo per tempo determinato e la pensione o la quota di pensione a carico della gestione speciale ai sensi rispettivamente dell’art. 2 e dell’art. 3, incrementate per effetto della perequazione automatica  è posta a carico dei datori di lavoro.”

38. L’articolo 3, comma 1, della legge n. 421/92 ha delegato al Governo la promulgazione della pertinente legge in conformità con i seguenti principi, che per quanto pertinenti recitano:
“p) i principi e i criteri summenzionati (...) si applichino al personale di cui all’articolo 2 del Decreto legislativo 357/90 (persone in servizio il 31 dicembre 1990)”

39. L’articolo 9, commi 2 e 3, della legge n. 503/92, per quanto pertinente, recita:
“2. Gli articoli 2, 3, 8, 10, 11, 12, e 13 trovano applicazione nei confronti dei regimi aziendali integrativi ai quali è iscritto il personale di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 357/90 (persone in servizio il 31 dicembre 1990).
3. Le variazioni derivanti ai trattamenti pensionistici  per effetto di quanto disposto al comma 2 rispetto alla previgente disciplina incidono sul trattamento complessivo di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 357/90, salvo non sia diversamente disposto in sede di contrattazione collettiva.”

40. L’articolo 1, comma 55, della legge n. 243/04 (relativa a norme in materia pensionistica nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), per quanto pertinente, recita:
“Al fine di estinguere il contenzioso giudiziario relativo ai trattamenti corrisposti a talune categorie di pensionati già iscritti a regimi previdenziali sostitutivi, attraverso il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento a tutti i pensionati iscritti ai vigenti regimi integrativi, l’articolo 3, comma 1, lettera p, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e l’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, si applicano al complessivo trattamento percepito dai pensionati di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357. La relativa spesa è sopportata dall’assicurazione generale obbligatoria.”

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO  6 § 1 DELLA CONVENZIONE

41. I ricorrenti hanno lamentato che la legge n. 243/04, come interpretata dalla Corte di Cassazione il 23 ottobre 2006, costituiva un’ingerenza legislativa in procedimenti pendenti, in violazione del loro diritto a un equo processo ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, che recita:
“Ogni persona ha diritto a che la sua causa … sia esaminata imparzialmente … da un tribunale …che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile  ... .”

42. Il Governo ha contestato tale tesi.

A.  Sulla ricevibilità

43. La Corte osserva che il presente motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevilibità. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Osservazioni delle parti

44. I ricorrenti hanno affermato che la promulgazione dell’articolo 1, comma 55, della legge n. 243/04 (che essi consideravano un pasticcio giuridico nella formulazione e che era stata presentata in Parlamento in modo furtivo da un deputato che era un ex consulente del Banco di Napoli) sembrava interpretare una norma del 1992, ma in realtà ne modificava il contenuto con effetto retroattivo dopo dodici anni di applicazione. Secondo i ricorrenti, il suo unico fine era quello di contrastare l’orientamento interpretativo consolidato che era stato adottato dai tribunali nazionali (compreso il tribunale più elevato, la Corte di cassazione nella sua massima composizione, le Sezioni Unite), vale a dire che le pertinenti disposizioni della legge del 1992 non si applicavano alle persone che erano andate in pensione entro il 13 dicembre 1990. A seguito della promulgazione della legge n. 243/04 i tribunali nazionali furono obbligati a rigettare le richieste dei ricorrenti. Lo Stato aveva pertanto influenzato l’esito dei procedimenti, definendo il loro merito e rendendo inutili ulteriori udienze, violando l’indipendenza della magistratura e interferendo nell’amministrazione della giustizia. Invero, l’introduzione della legge del 1997 aveva soltanto confermato che la legge del 1992 non aveva abolito l’armonizzazione relativa ai pensionati di lunga data. Altrimenti non vi sarebbe stata alcuna necessità di promulgare tale legge. Né vi sarebbe stata l’esigenza di intervenire nuovamente nel 2004. Lo Stato aveva sentito la necessità di introdurre la legge del 2004 solo perché i tribunali avevano adottato un orientamento unanime a favore dei ricorrenti e delle persone che si trovavano nella loro situazione. Alla luce di ciò, secondo i ricorrenti tale legge non poteva essere stata prevedibile.

45. I ricorrenti hanno sottolineato che non vi era stato alcun interesse generale che giustificasse l’adozione della legge n. 243/04, che mirava a eliminare retroattivamente diritti già acquisiti, favorendo pertanto il datore di lavoro (seguendo una forte lobby). Essi hanno osservato che la spesa relativa alle loro cause non doveva essere sostenuta dall’INPS ma dal Fondo supplementare privato che derivava dai contributi versati dai datori di lavoro. Perciò il pubblico generale non ne aveva beneficiato in alcun modo, ne avevano beneficiato solo le due banche private dato che esse avevano potuto recuperare o risparmiare le somme che i giudici nazionali avevano ritenuto dovute a pensionati quali i ricorrenti. Inoltre, la legge incideva solo sui pensionati delle due banche citate ed era pertanto deliberatamente diretta  a incidere su queste specifiche controversie. Pertanto essa non aveva niente a che fare con una riforma pensionistica generale, vale a dire l’armonizzazione successiva alla legge  n. 449/97, e infatti i ricorrenti non contestavano gli effetti di tale legge. Inoltre i ricorrenti avevano subito tale ripercussione solo a causa dell’irragionevole protrarsi dei procedimenti, che erano iniziati negli anni 1995-96, a differenza di altri che avevano ottenuto quanto spettava loro perché avevano avuto la fortuna di riuscire a concludere i loro procedimenti. Tali controversie inoltre erano prossime alla fine e vi erano poche possibilità che ne sorgessero di nuove dato che le persone interessate sarebbero state  a quel punto ottuagenarie, solo poche di esse erano ancora in vita, e anche dati i termini di prescrizione applicabili. Tale fattore riduceva ulteriormente la necessità di tale intervento asseritamente interpretativo a distanza di dodici anni dalla promulgazione della legge originaria.

46. In risposta alle argomentazioni del Governo, i ricorrenti hanno affermato che non era vero che la giurisprudenza precedente alla promulgazione della legge n. 243/04 fosse incongruente. Erano state emesse centinaia di sentenze in vari tribunali, di diversi gradi, a favore di persone che si trovavano nella situazione dei ricorrenti, in perfetta sintonia con la riforma Amato. Infatti, come sottolineato dal Governo, vi era stata solo un’eccezione, vale a dire la sentenza della Corte di cassazione n. 6767 del 1998, che inoltre non riguardava gli ex dipendenti del Banco di Napoli ma altri ricorrenti che chiedevano l’applicazione di una legge abrogata nel 1977. In realtà il riferimento fatto alla materia di tale sentenza non era neanche giustificato dal fine di tale causa. Cosa ancora più importante, a seguito della sentenza della Corte di cassazione del 2001, tutte le sentenze avevano continuato in tale direzione, vale a dire pronunciandosi a favore dei ricorrenti, pertanto la questione era stata definitivamente risolta. Inoltre il contenuto letterale, logico e sistemico della legge citata non consentiva alcuna altra interpretazione. I ricorrenti hanno ritenuto che leggendo la legge n. 243/04 e i pertinenti articoli nel contesto era chiaro che essi erano innovativi e non interpretativi.

47. Il Governo ha fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte secondo cui non si può interpretare l’articolo 6 § 1 come se esso impedisca qualsiasi ingerenza da parte delle autorità in procedimenti giudiziari pendenti (OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri c. Francia, nn. 42219/98 e 54563/00, § 71, 27 maggio 2004). Esso ha osservato che nella causa Arras e altri c. Italia, (n. 17972/07, 14 febbraio 2012), che è stata la prima causa a trattare le stesse circostanze del caso di specie, la Corte ha concluso che non vi era stato alcun imperativo interesse generale che giustificasse tale ingerenza. Il Governo ha tuttavia ritenuto che si dovesse considerare che l’interpretazione delle leggi pertinenti era stata controversa fino alla sentenza della Corte di cassazione (a Sezioni Unite) del 2001. Pertanto l’intervento del corpo legislativo mediante la promulgazione della legge n. 243/04 mirava ad assicurare il rispetto dell’iniziale volontà del legislatore. Invero il significato attribuito dalla legge n. 243/04 alle leggi in questione era stato uno dei significati possibili, scelta che era stata talvolta confermata anche dai tribunali interni. Esso ha fatto riferimento alla sentenza della Corte di cassazione n. 6767 del 10 luglio 1998. Il legislatore aveva pertanto semplicemente scelto, tra i differenti significati disponibili, quello che rispecchiava la sua iniziale volontà e che esso considerava conforme alla ratio legis della riforma Amato.

48. In conclusione, dato che l’interpretazione delle leggi pertinenti era controversa, che la Corte di cassazione con la sentenza n. 9024/01 non aveva potuto assicurare un esito positivo per tutti i pensionati (poiché l’ordinamento italiano non comprendeva il sistema del precedente e i tribunali non erano quindi obbligati dalla sentenza della Corte di cassazione) e che la legge n. 243/04 non aveva effetti sui procedimenti già conclusi, il Governo ha ritenuto che non si potesse considerare che fosse stato violato il principio della certezza giuridica.

2. Valutazione della Corte

49. La Corte ha ripetutamente dichiarato che benché non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio dello stato di diritto e la nozione di equo processo contenuti nell’articolo 6 impediscono, tranne che per motivi imperativi di interesse pubblico, l’ingerenza del legislatore  nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia (si vedano, tra molti altri precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia,  9 dicembre 1994, § 49, Serie A n. 301-B; National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, Reports 1997-VII; e Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri c. Francia [GC], nn. 24846/94 e da 34165/96 a 34173/96, § 57, CEDU 1999-VII). Benché le disposizioni di legge in materia pensionistica possano cambiare e non ci si possa basare su una decisione giudiziaria a garanzia contro tali cambiamenti nel futuro (si veda Sukhobokov c. Russia, n. 75470/01, § 26, 13 aprile 2006), anche se tali cambiamenti sono a svantaggio di alcuni beneficiari di prestazioni previdenziali, lo Stato non può interferire nella procedura giudiziaria in modo arbitrario (si veda, mutatis mutandis, Bulgakova c. Russia, n. 69524/01, § 42, 18 gennaio 2007).

50. In circostanze analoghe, nella causa Arras e altri c. Italia n. 17972/07, §§ 46-50, 14 febbraio 2012, la Corte, riscontrando la violazione delle suddette disposizioni, ha ritenuto:
" la legge n. 243/04 non riguardava decisioni diventate definitive e fissava una volta per tutte retroattivamente i termini delle controversie pendenti davanti ai tribunali ordinari. Perciò, la sua promulgazione in realtà determinava la sostanza delle controversie e la sua applicazione da parte dei vari tribunali ha reso inutile per un intero gruppo di persone che si trovavano nella situazione dei ricorrenti proseguire la lite.
Date le circostanze la Corte ritiene che non si possa sostenere che vi sia stata parità di armi tra le due parti private dato che lo Stato si è pronunciato a favore di una delle parti quando ha promulgato la legge contestata.

La Corte ribadisce inoltre che solo motivi imperativi di interesse generale potrebbero giustificare l’ingerenza da parte dell’assemblea legislativa. Il rispetto per lo stato di diritto e la nozione di equo processo impongono che le ragioni addotte per giustificare tali misure siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile (si veda Stran Greek Refineries, sopra citato § 49).

La Corte osserva che i tribunali nazionali avevano applicato coerentemente la giurisprudenza favorevole ai ricorrenti, ed essa era stata confermata dalla Corte di Cassazione nella sua massima composizione, pertanto non si poteva affermare che vi era stata una giurisprudenza divergente come affermato dal Governo. Quanto al suo argomento che la legge era stata necessaria per pervenire a un sistema pensionistico omogeneo, in particolare abolendo un sistema che favoriva alcuni rispetto ad altri, se la Corte accetta che questa sia una ragione di un qualche interesse generale, essa non è convinta del fatto che questa fosse sufficientemente convincente da superare i pericoli inerenti all’utilizzo della legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia in corso. Il Governo non ha presentato alcuna altra argomentazione in grado di giustificare tale intervento a favore del Banco di Napoli.  

In conclusione, tenendo in mente quanto sopra, non vi era alcun convincente motivo di interesse generale in grado di giustificare l’ingerenza legislativa che è stata applicata retroattivamente e che ha determinato l’esito dei procedimenti pendenti tra soggetti privati.”

51. Nel caso di specie il Governo ha presentato ulteriori argomentazioni, in particolare esso ha sottolineato che la legge n. 234/04 era finalizzata a ripristinare l’originaria intenzione del legislatore. 

52. La Corte ritiene che il caso di specie differisca dalla causa National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and Yorkshire Building Society (sopra citata) in cui l’instaurazione di un procedimento da parte delle società ricorrenti è stato considerato un tentativo di beneficiare della vulnerabilità delle autorità derivante da imperfezioni tecniche della legislazione, e uno sforzo per frustare l’intento del Parlamento (§§ 109 e 112). Il caso di specie differisce anche dalla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint Pie X e Blanche de Castille e altri c. Francia (nn. 42219/98 e 54563/00, 27 maggio 2004) citata dal Governo, in cui i ricorrenti hanno tentato di trarre beneficio da una lacuna giuridica, cui l’ingerenza legislativa mirava a porre rimedio. Nelle suddette due cause i tribunali interni avevano riconosciuto le carenze della legislazione in questione e l’azione dello Stato per porvi rimedio era prevedibile (§§ 112 e 72, rispettivamente). Nel caso di specie, tuttavia, non vi erano state importanti carenze giuridiche e, prima della promulgazione della legge n. 243/04, i tribunali interni era stati praticamente unanimi sull’interpretazione delle pertinenti disposizioni giuridiche, in particolare dopo la sentenza del 2001 da parte del più elevato tribunale italiano. In realtà il Governo aveva presentato solo un esempio di interpretazione diversa, che risaliva, inoltre, al 1998. Alla luce di tali considerazioni è difficile ritenere che il legislatore avesse optato per una delle interpretazioni disponibili, e si può accettare ancor meno che mirasse a ripristinare l’intenzione originaria del legislatore, fatto che non è evidente da una lettura della legge, né dall’interpretazione uniforme che le hanno dato i tribunali interni. Dato inoltre che in dodici anni di applicazione della legge vi era stata una unanime interpretazione a favore dei ricorrenti, l’ingerenza legislativa (che modificava l’equilibrio a favore di una parte) nel caso di specie, diversamente dai casi summenzionati, non era prevedibile. Infine, la Corte non può ignorare l’effetto della legge n. 243/2004, spiegato nella sentenza Arras, unitamente al metodo e al momento della sua promulgazione (si veda Zielinski, sopra citato, § 58 e Papageorgiu c. Grecia, 22 ottobre 1997, § 38, Reports of Judgments and Decisions 1997-VI), vale a dire che fosse stata presentata in parlamento da un ex consulente del Banco di Napoli (fatto non contestato dal Governo), dodici anni dopo l’entrata in vigore della legge e dopo numerose cause con esito sfavorevole per la suddetta banca in tutto il paese.

53. Alla luce di quanto sopra esposto, e ribadendo le considerazioni della Corte nella summenzionata sentenza Arras, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO  14 DELLA CONVENZIONE

54. I ricorrenti hanno lamentato che le modifiche legislative erano discriminatorie per diversi aspetti. Essi hanno fatto invocato l’articolo 14 della Convenzione, che nella misura in cui è pertinente recita:

“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”

A. Rispetto alle persone ancora in servizio

55. I ricorrenti hanno affermato che le modifiche trattavano allo stesso modo persone che si trovavano in situazioni diverse. Invero i ricorrenti avevano ormai raggiunto l’età pensionabile e, a differenza delle persone ancora in servizio, non potevano ricevere alcuna prestazione che secondo la riforma avrebbe potuto essere acquisita nel corso della vita lavorativa.

56. La Corte ha già ritenuto nella sentenza Arras (sopra citata, § 58) che se era vero che i ricorrenti appartenevano a un gruppo di persone che erano già andate in pensione e che pertanto non potevano compensare la riduzione della loro pensione (in conseguenza della legge n. 243/04) mediante altre prestazioni che le persone ancora in servizio potevano ottenere nel corso di tutta la loro vita lavorativa, la legge n. 243/04 era finalizzata a conseguire l’uguaglianza di trattamento di tutti i pensionati, presenti e futuri. La Corte ha inoltre osservato che ai sensi della Convenzione agli Stati è generalmente concesso un ampio margine quando si tratta di misure generali di strategia economica o sociale (si veda, per esempio, James e altri c.  Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 46, Serie A n. 98). Ne conseguiva che, anche se fosse stato applicato alla situazione dei ricorrenti il principio tratto dalla causa Thlimmenos c. Grecia [GC] (n. 34369/97), § 44, CEDU 2000-IV) vi era, secondo la Corte, una giustificazione oggettiva e ragionevole per non distinguere giuridicamente le persone che avevano già iniziato a percepire la pensione e le altre che ancora lavoravano.

59. La  Corte ritiene che non vi sia motivo per concludere diversamente nel caso di specie. Ne consegue che questa parte della doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

B. Rispetto ai pensionati che avevano lavorato presso altri istituti bancari precedentemente pubblici

58. I ricorrenti hanno affermato di essere stati discriminati rispetto ad altri pensionati che avevano lavorato presso altri istituti bancari precedentemente pubblici, dato che erano state adottate delle vantaggiose disposizioni di legge che escludevano gli ex dipendenti del Banco di Napoli (legge Salvabanco).

59. La Corte ha già ritenuto che a causa della loro storia nel sistema italiano i dipendenti del Banco di Napoli (e del Banco di Sicilia) non possono essere considerati essere in una situazione analoga a quella dei dipendenti di altri enti bancari pubblici (si veda, Arras, sopra citato § 63).

60. Ne consegue che questa parte della doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

C. Rispetto ad altri pensionati i cui procedimenti interni erano terminati

61. I ricorrenti hanno sostenuto che era sorta un’ulteriore discriminazione, tra i pensionati del Banco di Napoli i cui procedimenti interni erano terminati prima della modifica giurisprudenziale, e quelli i cui procedimenti erano ancora in corso.

62. La Corte ribadisce che la scelta di una data limite in cui trasformare i regimi di previdenza sociale deve essere considerata ricadere nell’ampio margine di apprezzamento concesso a uno Stato quando esso riforma la sua politica di strategia sociale (si veda Twizell c. Regno Unito, n. 25379/02, § 24, 20 maggio 2008). Tuttavia, quello che deve essere considerato è se nel presente caso la data limite contestata derivante dall’applicazione della legge n. 243/04 possa essere ritenuta ragionevolmente e oggettivamente giustificata.

63. Nella causa Arras la Corte ha accettato che la legge n. 243/04 si prefiggeva di ridurre ogni trattamento vantaggioso derivante dalla precedente applicazione delle disposizioni in vigore, che avevano garantito a persone che si trovavano nella situazione dei ricorrenti un adeguamento maggiore, vale a dire una perequazione aziendale invece di quella legale. La Corte ribadisce che quando si crea un programma di prestazioni è a volte necessario utilizzare delle date limite che si applicano ad ampie fasce di persone e che possono in qualche misura sembrare arbitrarie (si veda Twizell, sopra citato, § 24). Benché fosse vero che la legislazione contestata avesse inciso su un esiguo minore di persone, principalmente ottuagenari che erano stati precedentemente dipendenti del Banco di Napoli e i cui procedimenti erano ancora in corso, la Corte ha ritenuto che, tenendo presente in particolare l’ampio margine di apprezzamento concesso agli Stati in questa sfera, la data limite contestata potesse essere ritenuta ragionevolmente e oggettivamente giustificata § 68).  Il fatto che la data limite contestata derivasse da una legge promulgata nelle more dei procedimenti dei ricorrenti non modificava la conclusione di cui sopra ai fini dell’esame sotto il profilo dell’articolo 14.

64. La Corte conferma tale ragionamento. Ne consegue che questa parte della doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE

65. I ricorrenti hanno inoltre lamentato che tale misura costituiva un’ingerenza arbitraria nei loro beni. Essi hanno invocato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che per quanto pertinente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non ledono il diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende.”

66. La Corte ribadisce che la legge n. 243/04 non ha inciso sulla  pensione di base dei ricorrenti, e secondo le leggi in vigore la loro pensione doveva essere ulteriormente aumentata nel corso degli anni secondo la perequazione legale. Conseguentemente, i ricorrenti hanno perso unicamente l’aumento più vantaggioso secondo la perequazione aziendale. La Corte ritiene, pertanto, che i ricorrenti fossero obbligati a sopportare una riduzione ragionevole e commisurata, invece della privazione totale dei loro diritti (si veda, al contrario, Kjartan Ásmundsson c. Islanda,  n. 60669/00, § 45, CEDU 2004-IX).

67. Conseguentemente, la misura in questione non ha intaccato l’essenza dei diritti pensionistici dei ricorrenti. Inoltre, tale riduzione ha avuto soltanto l’effetto di perequare uno stato di cose ed evitare vantaggi ingiustificati (derivanti dal fatto che i dipendenti del Banco di Napoli avevano avuto precedentemente un trattamento più vantaggioso) per i ricorrenti e per altre persone che si trovavano nella loro situazione. Alla luce di queste considerazioni, tenendo presente l’ampio margine di apprezzamento dello Stato nel regolamentare il sistema pensionistico e il fatto che i ricorrenti hanno subito delle riduzioni commisurate, la Corte ritiene che i ricorrenti non abbiano dovuto sopportare un onere individuale eccessivo (si veda, Arras, sopra citato, § 83).

68. Ne consegue che, anche assumendo che la disposizione sia applicabile, la doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

69. L’articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte Contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte offesa.”

A. Danno

70. I ricorrenti hanno chiesto il pagamento differenziale che avrebbero percepito se non fossero stati soggetti alla legge n. 243/04 (vale a dire con la perequazione aziendale per gli anni 1994-1997 e la perequazione legale successivamente) fino al 2013, oltre a un conteggio ipotetico per gli anni a venire in base alle statistiche ufficiali in materia di aspettativa di vita. Essi hanno pertanto chiesto le seguenti somme:

  • EUR 17.793 Sig.ra Casacchia
  • EUR 66.928 Sig.Di Pierro
  • EUR 4.862 Sig.ra Goffredo
  • EUR 7.546 Sig.ra Vanesio
  • EUR 46.321 Sig. Zaffuto
  • EUR 42.611 Sig. De Francia
  • EUR 77.215 Sig. Iavagnilio
  • EUR 17.236 Sig. Marchetti
  • EUR 16.336 Sig.ra Scognamiglio
  • EUR 92.734 Sig. Servidio
  • EUR 5.708 Sig.ra Chiriaco
  • EUR 16.250 Sig. Foraboschi
  • EUR 28.533 Sig. Quieto
  • EUR 18.116 Sig. Tucci
  • EUR 15.772 Sig.ra Vecchione

71. I ricorrenti hanno chiesto anche il danno morale per un importo che doveva essere specificato dalla Corte.

72. Il Governo ha dedotto che le somme richieste dai ricorrenti rappresentavano gli importi integrali che i ricorrenti avrebbero dovuto ricevere e non la perdita di opportunità dovuta in questi casi secondo la giurisprudenza della Corte.

73. La Corte osserva che nel caso di specie il riconoscimento di un’equa soddisfazione può essere basato soltanto sul fatto che i ricorrenti non hanno beneficiato delle garanzie previste dall’articolo 6 in relazione all’equità dei procedimenti. Sebbene la Corte non possa fare ipotesi su quello che sarebbe stato l’esito del processo se la situazione fosse stata diversa, essa non considera irragionevole ritenere che i ricorrenti abbiano subito una perdita di opportunità reali (si vedano Zielinski, sopra citato, § 79 e  SCM Scanner de l’Ouest Lyonnais e altri c. Francia, n. 12106/03, § 38, 21 giugno 2007 e Arras, sopra citato, § 86). A ciò si deve aggiungere il danno morale, che la constatazione di violazione in questa sentenza non è sufficiente a riparare. Valutando su base equitativa come previsto dall’articolo 41, la Corte accorda:

  • EUR 7.000 alla Sig.ra Casacchia
  • EUR 12.000 al Sig. Di Pierro
  • EUR 5.500 alla Sig.ra Goffredo
  • EUR 6.000 alla Sig.ra Vanesio
  • EUR 10.000 al Sig. Zaffuto
  • EUR 9.500 al Sig. De Francia
  • EUR 13.000 al Sig. Iavagnilio
  • EUR 7.000 al Sig. Marchetti
  • EUR 7.000 alla Sig.ra Scognamiglio
  • EUR 15.000 al Sig. Servidio
  • EUR 11.000 alla Sig.ra Chiriaco
  • EUR 7.000 al Sig. Foraboschi
  • EUR 8.000 al Sig. Quieto
  • EUR 7.000 al Sig. Tucci
  • EUR 6.500 alla Sig.ra Vecchione

B. Spese

74. I ricorrenti del ricorso n. 23658/07 hanno chiesto anche EUR 61.324 oltre l’imposta in base a questa voce, vale a dire EUR 35.404 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni (che avevano disposto la compensazione delle spese tra le parti) ed EUR 25.920 per quelle sostenute dinanzi alla Corte, oltre a tutti gli importi dovuti a titolo di imposta.
I ricorrenti del ricorso n. 24941/07 hanno chiesto anche EUR 55.044 oltre l’imposta in base a questa voce, vale a dire EUR 29.124 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni (che avevano disposto la compensazione delle spese tra le parti) ed EUR 25.920 per quelle sostenute dinanzi alla Corte, oltre a tutti gli importi dovuti a titolo di imposte.
I ricorrenti del ricorso n. 25724/07 hanno chiesto anche EUR oltre l’imposta in base a questa voce, vale a dire EUR 18.522 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni (che avevano disposto la compensazione delle spese tra le parti) ed EUR 15.840 per quelle sostenute dinanzi alla Corte, oltre a tutti gli importi dovuti a titolo di imposte.

75. Il Governo non ha fatto osservazioni al riguardo.

76. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, visti i documenti di cui è in possesso e i criteri di cui sopra, nonché il fatto che la Corte ha riscontrato solo violazione dell’articolo 6 e che si tratta di cause seriali e pertanto la maggior parte delle osservazioni presentate a questa Corte e ai tribunali interni sono una reiterazione delle stesse osservazioni presentate in altre cause, ritiene ragionevole accordare la somma di EUR 28.000, congiuntamente, ai ricorrenti del ricorso n. 23658/07, EUR 23.000, congiuntamente, ai ricorrenti del ricorso n. 24941/07 ed EUR 15.000, congiuntamente, ai ricorrenti del ricorso n. 25724/07, che coprono tutte le voci delle spese.

C. Interessi moratori

77.  La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara ricevibile la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 e irricevibile il resto dei ricorsi;
  2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo  6 § 1 della Convenzione;
  3. Ritiene

(a) che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo  44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:

  1. EUR 7.000 (euro settemila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, alla Sig.ra  Casacchia,
  2. EUR 12.000 (euro dodicimila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. Di Pierro,
  3. EUR 5.500 (euro cinquemilacinquecento) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, alla Sig.ra Goffredo,
  4. EUR 6.000 (euro seimila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale alla Sig.ra Vanesio ,
  5. EUR 10.000 (euro diecimila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. Zaffuto,
  6. EUR 9.500 (euro novemilacinquecento) oltre l’imposta eventualmente dovuta, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. De Francia,
  7. EUR 13.000 (euro tredicimila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. Iavagnilio,
  8. EUR 7.000 (euro settemila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. Marchetti,
  9. EUR 7.000 (euro settemila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, alla Sig.ra Scognamiglio,
  10. EUR 15.000 (euro quindicimila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig.  Servidio,
  11. EUR 11.000 (euro undicimila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, alla Sig.ra Chiriaco,
  12. EUR 7.000 (euro settemila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. Foraboschi,
  13. EUR 8.000 (euro ottomila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. Quieto,
  14. EUR 7.000 (euro settemila) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, al Sig. Tucci,
  15. EUR 6.500 (euro seimilacinquecento) oltre le imposte eventualmente dovute, a titolo di danno patrimoniale e morale, alla Sig.ra Vecchione,
  16. EUR 28.000 (euro ventottomila), congiuntamente, oltre le imposte eventualmente dovute dai ricorrenti del ricorso n. 23658/07, a titolo di spese,
  17. EUR 23.000 (euro ventitremila), congiuntamente, oltre le imposte eventualmente dovute dai ricorrenti del ricorso n. 24941/07, a titolo di spese,
  18. EUR 15.000 (euro quindicimila), oltre le spese eventualmente dovute dai ricorrenti del ricorso n. 25724/07, a titolo di spese;

(b) che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali.

4. Respinge per il resto la domanda di equa soddisfazione dei ricorrenti.

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto il 15 ottobre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Stanley Naismith
Cancelliere

Danutė Jočienė
Presidente

APPENDICE

Ricorso n.23658/07 presentato  in data 04/06/2007 da:

Elena CASACCHIA
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Pasquale DI PIERRO
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Maria Grazia GOFFREDO
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M. Addolorata VANESIO
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Gaetano ZAFFUTO
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Domenico DE FRANCIA
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Nicola IAVAGNILIO
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Ricorso n.24941/07 presentato  in data 08/06/2007 da:

Giovanni MARCHETTI
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Olga SCOGNAMIGLIO
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Alberto SERVIDIO
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Ricorso n.25724/07 presentato  in data 11/06/2007 da:

Olga Luigia CHIRIACO’
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Carlo FORABOSCHI
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Michele QUIETO
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Ciro TUCCI
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Rossana VECCHIONE
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