Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 21 gennaio 2014 - Ricorso n.33773/11 - Zhou c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico. Revisione a cura delle dott.sse Anna Aragona e Martina Scantamburlo.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA ZHOU c. ITALIA

(Ricorso n. 33773/11)

SENTENZA

STRASBURGO

21 gennaio 2014
 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Zhou c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 dicembre 2013,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 33773/11) proposto contro la Repubblica italiana con cui una cittadina cinese, la sig.ra Jiaoqin Zhou («la ricorrente»), ha adito la Corte il 24 maggio 2011 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. La ricorrente è stata rappresentata dall’avv. G. Perin, del foro di Padova. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. La ricorrente lamentava una violazione dell’articolo 8 a causa dell’adozione del figlio.

4. Il 3 febbraio 2012 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. La ricorrente arrivò in Italia con il compagno e la figlia di quattro anni nel 2000. Nel 2002 partorì un’altra figlia. In seguito le due figlie furono mandate dai nonni in Cina. Nel 2004 la ricorrente rimase di nuovo incinta. Il compagno la lasciò.

6. Durante la gravidanza la ricorrente non consultò alcun medico. Il 16 settembre 2004 fu ricoverata d’urgenza per una pielonefrite gravidica. Al momento del parto la ricorrente ebbe un’ischemia. Dopo la nascita di A. i servizi sociali decisero di prendere in carico la ricorrente e il figlio. Nell’ottobre 2004 la ricorrente fu posta in una casa famiglia con A., e alcuni mesi dopo in un’altra struttura pubblica a Padova. La ricorrente trovò un lavoro a Belluno in un’impresa cinese. Tenuto conto del fatto che a Belluno non vi era posto per il bambino in una struttura pubblica, i servizi sociali decisero di collocarlo in un istituto a Padova. La ricorrente rientrò a Padova.

7. Successivamente la ricorrente trovò un lavoro all’ospedale di Padova. Tuttavia, gli orari erano molto variabili e non poteva occuparsi da sola di A; di conseguenza, d’accordo con i servizi sociali, A. fu affidato a una famiglia durante la giornata. Tre mesi dopo la famiglia affidataria informò i servizi sociali che non era più disposta ad accogliere A. durante la giornata.

8. Nel marzo 2007, senza informare i servizi sociali, la ricorrente decise di affidare il figlio a una coppia di vicini quando si recava al lavoro.

9. Non essendo d’accordo sulla scelta della coppia i servizi sociali, senza proporre alcuna alternativa, come ad esempio la ricerca di una coppia idonea, a loro parere, ad assicurare la custodia temporanea del minore in assenza della madre, segnalarono la situazione della ricorrente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Venezia (di seguito «il tribunale»). In particolare, sostenevano che i vicini della ricorrente erano anziani e che sussisteva il sospetto che avessero pagato la ricorrente per poter custodire il minore in sua assenza.

10. Il 18 dicembre 2007 il procuratore chiese al tribunale di avviare una procedura di adottabilità per A. Secondo il procuratore la madre non era in grado di occuparsi del minore.

11. Con decreto emesso il 28 dicembre 2007 il tribunale diede la custodia di A. ai servizi sociali con affidamento del minore a una famiglia. La ricorrente aveva un diritto di visita di due giorni a settimana.

12. Il 23 maggio 2008 il tribunale per i minorenni confermò la sua precedente decisione e stabilì che la madre avrebbe avuto un diritto di visita di un’ora ogni quindici giorni.

13. Con decreto del 25 luglio 2008 il tribunale di Venezia sospese il diritto di visita della madre, osservando che i servizi sociali chiedevano la sospensione degli incontri e che, secondo la psicologa che aveva esaminato il minore, A. era ben inserito nella famiglia affidataria ma, dopo gli incontri con la ricorrente, era molto turbato. Peraltro, A. non aveva costruito un legame con la madre, dunque gli incontri erano per lui «inopportuni e di disturbo».

14. Il 4 ottobre 2008 la ricorrente depositò un reclamo dinanzi alla corte d’appello di Venezia affermando che il legame con il figlio era molto forte e chiedendo dunque di poter esercitare un diritto di visita. Chiedeva inoltre di disporre una perizia per valutare le sue capacità di esercitare il ruolo di madre.

15. Con decreto del 12 dicembre 2008, depositato il 6 febbraio 2009, la corte d’appello di Venezia revocò il decreto del tribunale di Venezia e ordinò che fossero organizzati degli incontri tra madre e figlio, incaricando i servizi sociali di organizzare tali incontri e di preparare un rapporto sulla situazione del minore. In particolare, la corte d’appello sottolineò che le difficoltà di A. durante gli incontri non erano dovute a un rifiuto della figura materna, ma alla situazione di incertezza sulla collocazione nella famiglia affidataria e sulla ripresa degli incontri. Inoltre, secondo la corte d’appello il comportamento della ricorrente durante gli incontri non poteva essere considerato di disturbo per A.

16. Con decreto del 9 maggio 2009 la corte d’appello di Venezia confermò il proprio decreto del 12 dicembre 2008 e rinviò l’esame della causa dinanzi al tribunale di Venezia. La corte d’appello osservò in particolare che il minore era turbato dalle visite della madre e dalla mancanza di un progetto di vita comune.

17. Il 12 giugno 2009 il tribunale per i minorenni ordinò una perizia per valutare la situazione di A. e della ricorrente.

18. Secondo il perito, la madre era incapace di occuparsi del minore; a causa dell’ischemia di cui aveva sofferto al momento del parto, le sue capacità di riflessione e di empatia erano diminuite e non era in grado di programmare un futuro con il figlio. Gli incontri tra A. e la madre non erano pregiudizievoli per il minore, ma venivano percepiti da quest’ultimo come un fastidio. Inoltre, la madre aveva delegato il proprio ruolo genitoriale ad altre persone e non aveva il tempo di occuparsi del minore a causa del suo lavoro. Non era dunque in grado di esercitare il suo ruolo genitoriale e non era capace di seguire lo sviluppo della personalità di A né di permettergli di crescere serenamente. Psicologicamente traumatizzante per lo sviluppo di A., la ricorrente agiva in maniera impulsiva durante gli incontri. In particolare, il perito sottolineò che la ricorrente offriva cibo e vestiti durante gli incontri, e che a volte cercava di vestirlo con gli abiti nuovi.

19. Con decreto del 14 aprile 2010 il tribunale, alla luce della perizia sopra menzionata, dichiarò lo stato di adottabilità del minore e dispose l’interruzione degli incontri tra la ricorrente e A.

20. La ricorrente impugnò il decreto. In particolare, tenuto conto delle conclusioni della perizia sul minore, chiese alla corte d’appello di poter continuare a incontrare il figlio con modalità fissate dalla corte. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, la ricorrente affermava che l’interruzione di ogni tipo di rapporto non era conforme alla Convenzione.

21. Il curatore del minore chiese alla corte d’appello di non procedere a un’adozione legittimante, ma a un’adozione legittimante aperta o adozione mite (di seguito «adozione semplice»), ossia un’adozione che avrebbe permesso alla ricorrente di incontrare il figlio sotto la sorveglianza dei servizi sociali in modo tale da mantenere un legame tra loro.

22. Con decreto del 13 dicembre 2010 la corte d’appello confermò lo stato di adottabilità di A. In particolare, sottolineò che un’adozione semplice non era prevista dal legislatore, ma che in alcuni casi, per mezzo di una interpretazione estensiva dell’articolo 44 d) della legge n. 184 del 1983, il tribunale per i minorenni di Bari aveva pronunciato l’adozione semplice in circostanze particolari, ossia quando era scaduto il termine per l’affidamento a una famiglia e il reinserimento nella famiglia di origine non era più possibile. In questi casi, tenuto conto del legame affettivo instaurato tra i minori e la famiglia affidataria, il tribunale di Bari aveva applicato l’adozione «semplice» e i minori conservavano un legame con la famiglia biologica.

23. La corte d’appello rilevò l’esistenza di un vuoto giuridico in questo ambito osservando che una situazione di abbandono poteva derivare non solo da una mancanza di assistenza materiale e morale, ma anche da comportamenti dei genitori che compromettono uno sviluppo sano ed equilibrato della personalità del minore. Nel caso di specie vi erano tutti gli elementi necessari per dichiarare lo stato di adottabilità di A. e non si poneva alcun problema di compatibilità con l’articolo 8 della Convenzione. La corte d’appello, facendo riferimento in particolare alla perizia depositata, aggiunse che la ricorrente non disponeva delle risorse necessarie per seguire lo sviluppo del figlio e non era in grado di prendersi cura di lui.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

24. Gli articoli del codice civile che prevedono l’adozione semplice sono stati abrogati per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 184 del 4 maggio 1983 (modificata in seguito dalla legge n. 149 del 2001 e dal decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003).

25. La legge n. 184 del 4 maggio 1983 aveva già ampiamente modificato la materia dell’adozione. Da allora è stata nuovamente modificata (legge n. 149 del 2001).

Articolo 1

«Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia».

Articolo 2

«Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è consentito il ricovero del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, da realizzarsi di preferenza nell'ambito della regione di residenza del minore stesso».

Articolo 5

«L'affidatario deve (…) provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni del tutore, ed osservando le prescrizioni eventualmente stabilite dall'autorità affidante. In ogni caso l'affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L'affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato».

Articolo 7

«L'adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità».

Articolo 8

«Sono dichiarati anche d'ufficio in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni  (…) i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio». «La situazione di abbandono sussiste», prosegue l’articolo 8, «(…) anche quando i minori siano ricoverati presso istituti di assistenza o si trovino in affidamento familiare ».

Infine, l’articolo 8 prevede che la causa di forza maggiore cessi se i genitori o gli altri parenti del minore tenuti ad occuparsene rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi locali e se tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato. Le situazioni di abbandono di minori di età possono essere segnalate all'autorità pubblica da chiunque e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice. D’altra parte, i pubblici ufficiali, così come la famiglia del minore, che vengano a conoscenza della situazione di abbandono di quest’ultimo, sono tenuti a denunciarla quanto prima. Inoltre, gli istituti di assistenza devono informare regolarmente l’autorità giudiziaria della situazione dei minori che accolgono (articolo 9).

Articolo 10

«Il tribunale può disporre in ogni momento e fino all'affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, ivi comprese, se del caso, la sospensione della potestà dei genitori sul minore, la sospensione dell'esercizio delle funzioni del tutore o la nomina di un tutore provvisorio.»

Gli articoli 11 – 14 prevedono degli accertamenti volti a chiarire la situazione del minore e a stabilire se quest’ultimo si trovi in situazione di abbandono. In particolare, l’articolo 11 dispone che, quando nel corso dell’inchiesta, emerge che il minore non ha rapporti significativi con parenti entro il quarto grado, il tribunale può dichiarare lo stato di adottabilità salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell’articolo 44.
All’esito della procedura prevista da questi ultimi articoli, se persiste lo stato di abbandono ai sensi dell’articolo 8, il tribunale per i minorenni dichiara lo stato di adottabilità del minore quando: a) i genitori o i parenti convocati non si sono presentati nel corso della procedura; b) la loro audizione ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi; c) le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori.

Articolo 15

«La dichiarazione dello stato di adottabilità del minore è disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con decreto motivato, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell'istituto presso cui il minore è collocato o la persona cui egli è affidato. Deve essere, parimenti, sentito il tutore, ove esista, ed il minore che abbia compiuto gli anni dodici e, se opportuno, anche il minore di età inferiore».

Articolo 17

«Avverso la sentenza il pubblico ministero e le altre parti possono proporre impugnazione avanti la Corte d'appello, sezione per i minorenni, entro trenta giorni dalla notificazione.

«Avverso la sentenza della Corte d'appello è ammesso ricorso per Cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per i motivi di cui ai numeri 3, 4 e 5 del primo comma dell'articolo 360 del codice di procedura civile».

Articolo 19

«Durante lo stato di adottabilità è sospeso l'esercizio della potestà dei genitori».

L’articolo 20 prevede infine che lo stato di adottabilità cessa per adozione o per il raggiungimento della maggiore età da parte dell'adottando. Inoltre, la dichiarazione di adottabilità può essere revocata, d’ufficio o su istanza dei genitori o del pubblico ministero se nel frattempo sono venute meno le condizioni di cui all’articolo 8. Tuttavia, nel caso sia in atto l’affidamento preadottivo di cui agli articoli 22 – 24 la dichiarazione di adottabilità non può essere revocata.

L’articolo 22 n. 8 prevede che il tribunale per i minorenni vigili sul buon andamento dell'affidamento preadottivo avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi sociali e consultoriali. In caso di accertate difficoltà il tribunale convoca, anche separatamente, gli affidatari e il minore, alla presenza, se del caso, di uno psicologo, al fine di valutare le cause all’origine delle difficoltà. Ove necessario, può disporre interventi di sostegno psicologico.
L’articolo 25 prevede che, decorso un anno dall’affidamento, il tribunale per i minorenni può decidere, con decreto motivato in camera di consiglio, in merito all’adozione.

Ai sensi dell’articolo 26 c. 2, avverso il decreto della corte d’appello che dispone l’adozione è ammesso, entro trenta giorni a decorrere dalla data della notifica, ricorso in cassazione per i motivi previsti al n. 3 del primo comma dell’articolo 360 d) del codice di procedura civile.

Articolo 44

Dell’adozione in casi particolari.

  1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7:
    1. da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
    2. dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
    3. quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge del 5 febbraio 1992 n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
    4. quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
  2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi.
  3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.
  4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.

26. Secondo le informazioni sottoposte dal Governo, vari tribunali per i minorenni hanno applicato l’articolo 44 d) della legge n. 184 del 1993 al di fuori dei casi previsti dalla legge. In particolare, su tredici tribunali interpellati, sei hanno dato una interpretazione estensiva all’articolo 44 d). Il tribunale di Lecce ha dato una tale applicazione in casi in cui riteneva che non vi fosse una vera situazione di abbandono. Il tribunale di Palermo ha dato una interpretazione estensiva alla legge in una causa in cui ha ritenuto che fosse nell’interesse del minore mantenere i rapporti con la famiglia di origine. Il tribunale di Bari ha dato un’interpretazione estensiva a tale disposizione per vari anni, in particolare dal 2003 al 2008. Successivamente, a partire dal 2009, lo stesso tribunale ha considerato che questo tipo di interpretazione estensiva della legge avesse compromesso, in alcuni casi, lo sviluppo dei minori che si intendeva tutelare. Peraltro, secondo il tribunale, i genitori biologici erano troppo spesso contrari ad avere rapporti aperti con la famiglia di adozione.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

27. Dal punto di vista degli articoli 8, 6 e 13 della Convenzione, la ricorrente sostiene che l’adozione di A. costituisce una violazione del suo diritto a una vita famigliare e che le autorità nazionali non hanno agito adeguatamente al fine di ridurre le conseguenze di tale inadempimento. I giudici hanno violato il principio di continuità famigliare: non prevedendo un’altra forma di adozione hanno permesso alla ricorrente di mantenere un legame con il figlio. La ricorrente lamenta inoltre la sospensione dei contatti con A. per dieci mesi.

28. Essendo libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa, la Corte ritiene opportuno esaminare i motivi di ricorso della ricorrente unicamente sotto il profilo dell’articolo 8, che esige che il processo decisionale all’esito del quale vengono applicate misure di ingerenza sia equo e rispetti adeguatamente gli interessi tutelati da tale disposizione (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 27, 27 aprile 2010; Havelka e altri c. Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 56, CEDU 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).

L’articolo 8 della Convenzione recita:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (...) familiare (...).

2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

29. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

30. Il Governo sostiene che il ricorso è irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto la ricorrente avrebbe potuto presentare ricorso per cassazione contro il decreto che disponeva l’adozione ai sensi dell’articolo 26 c. 2 della legge n. 184 del 1983.

31. Secondo la ricorrente un ricorso per cassazione non avrebbe avuto alcun effetto. Il ricorso dinanzi alla corte d’appello era l’unica via di ricorso che permettesse di porre rimedio alla violazione, tenuto conto che la legge non prevede l’applicazione dell’adozione semplice nel caso della ricorrente.

32.  La Corte non è convinta dall’argomento del Governo. Essa rammenta che spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne dimostrare che un ricorso effettivo era disponibile sia in teoria che nella pratica all’epoca dei fatti, ossia che tale ricorso era accessibile, poteva offrire ai ricorrenti una riparazione per le violazioni lamentate e presentava ragionevoli prospettive di esito positivo (V. c. Regno Unito [GC], n. 24888/94, § 57, CEDU 1999 IX). Essa osserva che, come la corte d’appello aveva sottolineato, l’adozione semplice non era prevista dal legislatore ma, in alcuni casi, per mezzo di una interpretazione estensiva dell’articolo 44 d) della legge n. 184 del 1993, il tribunale per i minorenni di Bari aveva pronunciato l’adozione semplice in circostanze particolari, ossia quando era scaduto il termine fissato per l’affidamento famigliare e il reinserimento nella famiglia di origine non era più possibile.

33. Alla luce di quanto sopra esposto la Corte considera che, nel caso di specie, un eventuale ricorso per cassazione non avrebbe prodotto l’effetto di porre rimedio alla situazione lamentata dalla ricorrente.

34. Di conseguenza, l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne del Governo non può essere accolta.

35. La Corte constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1) Argomenti delle parti

36. La ricorrente rammenta che l’adozione deve essere pronunciata nei casi più gravi e che, nel caso di specie, non vi sono stati né abbandono né maltrattamenti. Osserva che era priva di risorse economiche e lavorava molto per poter avere i mezzi per occuparsi del figlio.

37. La stessa sottolinea che normalmente la presa in carico di un minore deve essere considerata una misura temporanea da sospendere non appena la situazione lo consente e che il fine ultimo è riunire il genitore e il figlio. Nel caso di specie, i giudici italiani hanno preferito rompere il legame di filiazione materna piuttosto che adottare misure positive finalizzate ad aiutarla e a sostenerla. A suo parere, ciò sarebbe costato molto di più allo Stato in termini economici. In effetti, secondo lei si tratta di una «politica» volta a favorire le adozioni piuttosto che ad aiutare le famiglie a superare momenti difficili, in parte a causa delle difficoltà finanziarie dello Stato.

38. La ricorrente rammenta di avere perso il figlio a causa delle sue condizioni economiche e del suo stato di salute, facendo notare che una misura come quella adottata nel caso di specie non sarebbe stata presa in altri paesi europei nei quali avrebbe potuto mantenere i legami con il figlio.

39. Per quanto riguarda l’adozione semplice, essa rammenta che il tribunale di Bari aveva fatto applicazione di questo tipo di adozione in casi diversi da quelli previsti dalla legge, ma il tribunale di Venezia non ha ritenuto di fare lo stesso nel suo caso.

40. Quanto all’interruzione degli incontri tra lei e il figlio, la ricorrente sottolinea che, pur avendo la corte d’appello osservato che si trattava di una misura illegittima, le autorità non sono state sanzionate e lei non ha ottenuto riparazione.

41. Il Governo rammenta che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le autorità italiane hanno preso tutte le misure necessarie per permettere di ricostruire un rapporto tra la ricorrente e il figlio. In particolare, gli interventi dei servizi sociali, del tutore e di un perito hanno permesso di esaminare la situazione della ricorrente. L’ingerenza nel diritto di quest’ultima era prevista dalla legge e perseguiva lo scopo di tutelare il figlio. Secondo il Governo, l’interesse del minore deve essere tutelato quando la coesistenza tra la famiglia di origine e la famiglia affidataria è difficile e causa dei problemi al minore o quando sussistono difficoltà materiali per la famiglia biologica, o ancora se vi sia abbandono di minore. Il Governo ritiene che i motivi indicati dai giudici nazionali a giustificazione delle loro decisioni siano pertinenti e sufficienti e che le autorità nazionali non abbiano oltrepassato il margine di apprezzamento previsto dal paragrafo 2 dell’articolo 8.

42. Per quanto riguarda l’interruzione dei contatti tra la ricorrente e il figlio, il Governo rammenta che i servizi sociali hanno sostenuto la ricorrente dalla nascita del figlio in strutture adatte e specializzate. Afferma che l’interruzione dei contatti non è stata totale e che sono stati organizzati numerosi incontri anche nel periodo in cui il minore era stato affidato a  una famiglia. La sospensione degli incontri è stata motivata dal fatto che la ricorrente «non si era affidata ai servizi sociali e, inoltre, dalle difficoltà incontrate dal minore durante gli incontri». Tale sospensione era necessaria «per dare al minore un po’ di equilibrio e di serenità».

43. Il Governo è del parere che la sospensione disposta dalle autorità italiane non può essere considerata in violazione dell’articolo 8, poiché queste ultime hanno dato al minore «un periodo di tranquillità durante il quale le autorità hanno verificato le condizioni della madre per dichiarare lo stato di adottabilità».

2) Valutazione della Corte

a) Principi generali

44. La Corte constata anzitutto che non viene messo in discussione che la dichiarazione dello stato di adottabilità di A. costituisca una ingerenza nell’esercizio del diritto della ricorrente al rispetto della sua vita famigliare. Essa ricorda che una tale ingerenza è compatibile con l’articolo 8 solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica. La nozione di necessità implica che l’ingerenza si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito (si veda Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 50, CEDU 2000 IX, Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 237, 1° luglio 2004, e Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, §74, 10 aprile 2012).

45. La Corte rammenta che, al di là della protezione contro le ingerenze arbitrarie, l’articolo 8 pone a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita famigliare. In tal modo, laddove è accertata l’esistenza di un legame famigliare, lo Stato deve in linea di principio agire in modo tale da permettere a tale legame di svilupparsi (si veda Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250). Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti dall’articolo 8 non si presta a una definizione precisa, ma i principi applicabili sono comunque comparabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi concorrenti, tenendo conto tuttavia che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della sua natura e gravità, può prevalere su quello del genitore (Kearns c. Francia, n. 35991/04, § 79, 10 gennaio 2008). In particolare, l’articolo 8 non può autorizzare un genitore a veder adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del figlio (si vedano Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, § 78, Recueil des arrêts et décisions 1996 III, e Gnahoré, sopra citata, § 59). In tal modo, in materia di adozione, la Corte ha già ammesso che possa essere nell’interesse del minore favorire l’instaurarsi di legami affettivi stabili con i suoi genitori affidatari (Johansen, sopra citata, § 80, e Kearns, sopra citata, § 80).

46. La Corte rammenta anche che, nel caso degli obblighi negativi come nel caso degli obblighi positivi, lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (si veda W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, § 60, serie A n. 121), che varia a seconda della natura delle questioni oggetto di controversia e della gravità degli interessi in gioco. In particolare, la Corte esige che le misure che conducono alla rottura dei legami tra un minore e la sua famiglia siano applicate solo in circostanze eccezionali, ossia solo nei casi in cui i genitori si siano dimostrati particolarmente indegni (Clemeno e altri c. Italia, n. 19537/03, § 60, 21 ottobre 2008), o quando siano giustificate da un’esigenza primaria che riguarda l’interesse superiore del minore (si veda Johansen, sopra citata, § 84; P., C. e S. c. Regno Unito, n. 56547/00, § 118, CEDU 2002 VI). Tuttavia, un tale approccio può essere scartato a causa della natura della relazione genitore-figlio quando il legame è molto limitato (Söderbäck c. Svezia, 28 ottobre 1998, §§ 30-34, Recueil 1998 VII).

47. Spetta a ciascuno Stato contraente dotarsi di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per assicurare il rispetto di tali obblighi positivi ad esso imposti ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, e alla Corte cercare di stabilire se, nell’applicazione e nell’interpretazione delle disposizioni di legge applicabili, le autorità nazionali abbiano rispettato le garanzie dell’articolo 8, tenendo conto in particolare dell’interesse superiore del minore (si vedano, mutatis mutandis, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 141, CEDU 2010, K.A.B. c. Spagna, n. 59819/08, § 115, 10 aprile 2012,).

48. A tale riguardo, e per quanto attiene all’obbligo per lo Stato di decretare misure positive, la Corte afferma costantemente che l’articolo 8 implica il diritto per un genitore a misure idonee a riunirlo al figlio e l’obbligo per le autorità nazionali di adottarle (si vedano, ad esempio, Eriksson, sopra citata, § 71, serie A n. 156, e Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25 febbraio 1992, § 91, serie A n. 226-A). In questo tipo di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta a seconda rapidità della sua attuazione (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 83, 6 dicembre 2007).

b) Applicazione di tali principi

49. La Corte considera che la questione decisiva nella fattispecie consista pertanto nel determinare se, prima di sopprimere il legame di filiazione materna, le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure necessarie e appropriate che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse affinché il minore possa condurre una vita famigliare normale all’interno della propria famiglia.

50. La Corte osserva che le autorità italiane hanno preso in carico la ricorrente e il figlio dalla nascita di quest’ultimo. Nell’ottobre 2004 la ricorrente fu posta in una casa famiglia con A. e alcuni mesi dopo in un’altra struttura pubblica a Padova. Una volta che la ricorrente iniziò a lavorare all’ospedale di Padova d’accordo con i servizi sociali, A. fu affidato ad una famiglia durante la giornata. Tre mesi dopo, la famiglia affidataria informò i servizi sociali che non era più disposta ad accogliere A. durante la giornata.

51. La Corte osserva che a quel punto, la ricorrente aveva deciso di affidare A. ad una coppia di vicini mentre andava al lavoro. Non essendo d’accordo con la scelta della coppia (si veda paragrafo 9 supra), i servizi sociali avevano segnalato la situazione della ricorrente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni. A seguito della segnalazione dei servizi sociali, il 18 dicembre 2007 il procuratore aveva chiesto al tribunale di avviare una procedura di adottabilità per A., sostenendo che la madre non era in grado di occuparsi del minore. Quest’ultimo era stato affidato ad una famiglia ed era stato accordato un diritto di visita alla ricorrente.

52. La Corte rileva che tale diritto di visita fu sospeso nel 2008, in quanto la psicologa che aveva esaminato il minore aveva stabilito che, dopo gli incontri con la ricorrente, A. era turbato. Peraltro, secondo la psicologa, A. non aveva costruito un legame con la madre e, pertanto, gli incontri erano per lui «inopportuni e di disturbo».
Nel 2009 la corte d’appello, adita dalla ricorrente, aveva stabilito che la misura della sospensione dovesse essere revocata.

53. Il 14 aprile 2010, tenuto conto del risultato della perizia d’ufficio, il tribunale per i minorenni ritenne necessario dichiarare lo stato di adottabilità di A., in quanto la madre non era in grado di esercitare il suo ruolo genitoriale e di seguire lo sviluppo della personalità di A. ed era «psicologicamente traumatizzante per il suo sviluppo».

54. La Corte osserva che le autorità nazionali non si sono adoperate a sufficienza per agevolare i contatti tra A. e la ricorrente. Inoltre, essa nota che la ricorrente aveva chiesto, insieme al curatore del minore, di procedere a un’adozione semplice in modo da poter mantenere il legame con il figlio. Si basava su varie decisioni del tribunale per i minorenni di Bari che, per mezzo di una interpretazione estensiva dell’articolo 44 d), aveva permesso, in alcuni casi in cui non vi era abbandono, di procedere a un’adozione che consentiva all’adottato di mantenere un legame con la famiglia biologica.

55. La Corte rammenta che, in alcuni casi altrettanto delicati e complessi, il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni oggetto della controversia e della gravità degli interessi in gioco. Se le autorità godono di un’ampia libertà nel valutare la necessità di prendere in carico un minore, in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque aver acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare il minore dalla madre. Spetta allo Stato convenuto accertare che le autorità, prima dare esecuzione a tale misura, abbiano valutato accuratamente l’incidenza che avrebbe sui genitori e sul minore la misura di adozione, e abbiano preso in esame soluzioni diverse dalla presa in carico del minore (K. e T. c. Finlandia [GC], sopra citata, § 166; Kutzner c. Germania, sopra citata, § 67, CEDU 2002-I).

56. A differenza di altre cause che la Corte ha avuto occasione di esaminare, il figlio della ricorrente, nel caso di specie, non era stato esposto a una situazione di violenza o di maltrattamento fisico o psichico (si veda, a contrario, Dewinne c. Belgio (dec.), n. 56024/00, 10 marzo 2005; Zakharova c. Francia (dec.), n. 57306/00, 13 dicembre 2005), né ad abusi sessuali (si veda, a contrario, Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 104, 9 maggio 2003). La Corte rammenta che ha concluso per l’esistenza di una violazione nella causa Kutzner c. Germania, (§ 68, sopra citata) nella quale i tribunali avevano revocato la potestà genitoriale ai ricorrenti dopo avere constatato in questi ultimi un deficit affettivo, e ha dichiarato la non violazione dell’articolo 8 nella causa Aune c. Norvegia, (n. 52502/07, 28 ottobre 2010), in cui la Corte aveva rilevato che l’adozione del minore non aveva di fatto impedito alla ricorrente di continuare ad intrattenere una relazione personale con il minore e non aveva avuto la conseguenza di allontanarlo dalle sue radici. Essa ha anche constatato la violazione dell’articolo 8 in una causa (Saviny c. Ucraina, n. 39948/06, 18 dicembre 2008) in cui l’affidamento dei figli dei ricorrenti era stato motivato dalla loro incapacità di garantire condizioni di vita adeguate (la mancanza di risorse economiche e di qualità personali degli interessati mettevano in pericolo la vita, la salute e l’educazione morale dei figli). Del resto, in una causa in cui l’affidamento dei minori era stato disposto in ragione di uno squilibrio psichico dei genitori, la Corte ha concluso per la non violazione dell’articolo 8 tenendo conto anche del fatto che il legame tra i genitori e i figli non era stato interrotto (Couillard Maugery c. Francia, sopra citata).

57. Nella presente causa la presa in carico del figlio della ricorrente è stata disposta per il fatto che la stessa non era in grado di assicurare lo sviluppo della personalità di A. ed era psicologicamente traumatizzante per quest’ultimo a causa, tra l’altro, dell’ischemia di cui aveva sofferto al momento del parto. Tuttavia, la Corte osserva che dalle perizie disposte dal tribunale risulta che, pur essendo la ricorrente incapace di esercitare il suo ruolo, il suo comportamento non era negativo per il minore.

58. La Corte dubita dell’adeguatezza degli elementi su cui si sono basate le autorità per concludere che le condizioni in cui viveva A. compromettevano il suo sviluppo sano ed equilibrato. La Corte è del parere che le autorità avrebbero dovuto adottare misure concrete per permettere al minore di vivere con la madre prima di disporre il suo affidamento e avviare una procedura di adottabilità. La Corte non è convinta che l’interesse superiore del minore imponesse di procedere ad una adozione legittimante. Essa rammenta peraltro che il ruolo di protezione sociale svolto dalle autorità è precisamente quello di aiutare le persone in difficoltà, di guidarle nelle loro azioni e di consigliarle, tra l’altro sui diversi tipi di sussidi sociali disponibili, sulle possibilità di ottenere un alloggio sociale o altri mezzi per superare le loro difficoltà (Saviny, sopra citata, § 57 R.M.S. c. Spagna n. 28775/12, § 86, 18 giugno 2013). Nel caso di persone vulnerabili, le autorità devono dare prova di una attenzione particolare e devono assicurare loro una maggiore tutela (B. c. Romania (n. 2), n. 1285/03, §§ 86 e 114, 19 febbraio 2013; Todorova c. Italia, n. 33932/06, § 75, 13 gennaio 2009).

59. Nel caso di specie, la Corte è del parere che la necessità fondamentale di preservare per quanto possibile il legame tra la ricorrente – che si trovava peraltro in situazione di vulnerabilità – e il figlio non sia stata debitamente presa in considerazione. Le autorità non hanno messo in atto misure volte a preservare il legame famigliare tra la ricorrente e il figlio e di favorirne lo sviluppo. Le autorità giudiziarie si sono limitate a prendere in considerazione alcune difficoltà, che avrebbero potuto essere superate per mezzo di un’assistenza sociale mirata. La ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di riallacciare dei legami con il figlio: di fatto, i periti non hanno valutato le possibilità effettive di un miglioramento delle capacità della ricorrente di occuparsi del figlio, tenuto conto anche del suo stato di salute. Del resto, il Governo non ha fornito alcuna spiegazione convincente che potesse giustificare la soppressione del legame di filiazione materna tra la ricorrente e il figlio.

60. La Corte è ben consapevole del fatto che il rifiuto da parte dei tribunali di pronunciare un’adozione semplice risulta dall’assenza nella legislazione italiana di disposizioni che permettano di procedere a questo tipo di adozione, ma osserva anche che alcuni tribunali italiani, (paragrafo 27 supra), avevano pronunciato, per mezzo di una interpretazione estensiva dell’articolo 44 d), l’adozione semplice in alcuni casi in cui non vi era abbandono.

61. Alla luce di queste considerazioni e nonostante lo Stato convenuto goda di un margine di apprezzamento in materia, la Corte conclude che le autorità italiane sono venute meno ai loro obblighi prima di prevedere la soluzione di una rottura del legame famigliare e non si sono adoperate in maniera adeguata e sufficiente per fare rispettare il diritto della ricorrente di vivere con il figlio, violando in tal modo il suo diritto al rispetto della vita famigliare, sancito dall’articolo 8. Pertanto, vi è stata violazione di tale disposizione.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

62. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

63. La ricorrente chiede la somma di 120.000 euro (EUR) per il danno che avrebbe subito per la violazione dell’articolo 8.

64. Il Governo ritiene che tale somma sia eccessiva.

65. Tenuto conto delle circostanze della presente causa e della constatazione secondo la quale le autorità italiane non si sono adoperate in maniera adeguata e sufficiente per far rispettare il diritto della ricorrente a vivere con il figlio, in violazione dell’articolo 8, la Corte ritiene che l’interessata abbia subito un danno morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione. Essa ritiene tuttavia che la somma richiesta sia eccessiva. Considerati tutti gli elementi di cui dispone e deliberando in via equitativa, come prevede l’articolo 41 della Convenzione, essa accorda all’interessata la somma di 40.000 EUR in riparazione del danno morale.

B.  Spese

66. Producendo i relativi documenti giustificativi, la ricorrente chiede anche la somma di 5.655,83 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte.

67. Il Governo si oppone a tale richiesta.

68. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma richiesta per la procedura dinanzi alla Corte e la accorda interamente alla ricorrente.

C. Interessi moratori

69. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 40.000 EUR (quarantamila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla ricorrente, per il danno morale;
      2. 5.655,83 EUR (cinquemilaseicentocinquantacinque euro e ottantatré centesimi), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la richiesta di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 21 gennaio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere