Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 21 gennaio 2014 - Ricorso n.48754/11 - Di Placì c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalle dott.sse Emanuela Cataldi, Silvia Canullo e Maria Caterina Tecca, funzionari linguistici. Revisione a cura della dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA DI  PLACÌ c. ITALIA

(Ricorso n. 48754/11)

SENTENZA

STRASBURGO

21 gennaio 2014


La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Placì c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Seconda Sezione), riunita in una camera  composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Nebojša Vučiniċ,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, giudici,
e  Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
dopo avere deliberato in camera di consiglio il 17 dicembre 2013,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. La causa trae origine da un ricorso (n. 48754/11) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino italiano, Sig. Luigi Placì, ("il ricorrente") ha adito la Corte il 3 agosto 2011 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2 Il ricorrente è stato rappresentato dagli avv.ti B. De Francesco e I. De Francesco, del foro di Corsano (Lecce). Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

3. Il ricorrente deduceva la violazione dell'articolo 3 della Convenzione, in quanto non era stata effettuata una corretta valutazione della sua idoneità al servizio di leva prima dell'incorporamento e poiché a causa del servizio militare obbligatorio cui era stato sottoposto, con il conseguente addestramento che aveva dovuto subire e le punizioni che gli erano state inflitte, egli aveva subito un trattamento contrario all'articolo 3. Egli lamentava inoltre, ai sensi dell'articolo 6, l'iniquità dei procedimenti. 

4. In data 28 agosto 2012 il ricorso era comunicato al Governo. Si decideva inoltre di giudicare contestualmente la ricevibilità e il merito del ricorso (articolo 29 § 1).

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE 

5. Il ricorrente è nato nel 1975 e vive a Specchia (Lecce).

A. Contesto della causa

6. Nel 1993 il ricorrente, all'epoca diciottenne, era chiamato a svolgere il servizio militare obbligatorio. Ai fini dell'incorporamento il 3 dicembre 1993 era sottoposto a valutazione psicologica e a visita medica, all'esito delle quali era dichiarato idoneo al servizio militare. La relazione dettagliata, che non era rivelata al ricorrente (fino al 21 settembre 2010 nell'ambito di una procedura pensionistica), indicava che il ricorrente era lento a comprendere ed eseguire un compito, ma logico nell’esecuzione, sebbene incline alla rinuncia. In una valutazione delle abilità linguistiche e culturali, della motivazione, delle prestazioni mentali e del comportamento, egli otteneva un punteggio di 4 su 10 in ogni settore.

7. All'epoca dell'incorporamento, il ricorrente era sottoposto a un'ulteriore visita medica, all'esito della quale veniva nuovamente dichiarato idoneo al servizio militare, in quanto non era affetto da alcuna infermità. Egli era assegnato al battaglione n. 123 di Chieti, dove era sottoposto a un intensivo addestramento fisico e mentale, anche nell'uso delle armi da fuoco.

8. Il 9 luglio 1994 il ricorrente era trasferito al comando provinciale dell'Aquila, rimanendovi fino al 30 dicembre 1994. In questo lasso di tempo, dal 1° settembre al 2 novembre 1994 faceva temporaneamente parte del battaglione logistico. Durante la permanenza all'Aquila il ricorrente incorreva in molteplici punizioni. Secondo la documentazione presentata, egli incorreva in otto punizioni tra luglio e dicembre, per un totale di ventiquattro giorni di consegna, anche in regime di isolamento, per motivi che andavano dalla cura negligente della zona del letto da campo, all'omesso rapporto al sovrintendente, al comportamento informale nei confronti del superiore. Nel periodo trascorso presso il battaglione logistico era ricoverato in ospedale almeno quattro volte per cure mediche non connesse ai suoi problemi mentali (si veda infra).

9. Il 30 dicembre 1994 il ricorrente era trasferito a Lecce, dove un comandante notava che soffriva di tic e spasmi nervosi, aveva difficoltà di socializzazione e di apprendimento, e un comportamento assente. Il comandante ordinava che il ricorrente fosse sottoposto a visita medica specialistica al fine di accertarne l'idoneità a svolgere il servizio militare.

10. Il 24 gennaio 1995 egli era ricoverato in ospedale, dove gli era diagnosticato un disturbo d'ansia e uno stato di fragilità mentale.
Una relazione medica del Servizio sanitario nazionale di Tricase del 6 febbraio 1995 evidenziava che nella prima infanzia il ricorrente aveva avuto problemi affettivo-relazionali e difficoltà di apprendimento. Egli era fisicamente debole e insicuro, presentava lentezza di apprendimento ed era incline all'isolamento, era disfunzionale e incapace di assumere delle responsabilità. Gli esami rivelavano che il ricorrente non era in grado di eseguire i compiti che gli erano assegnati, aveva difficoltà di orientamento e una menomazione delle funzioni cognitive (un deficit di logica e di memoria). Si riteneva che presentasse un lieve deficit intellettivo (un QI di 67) e che fosse incapace di costruire rapporti interpersonali positivi. Tale inadeguatezza gli aveva fatto vivere la vita militare con ansia e timore dei suoi commilitoni, che riteneva aggressivi nei suoi confronti, anche se avevano soltanto scherzato. La relazione affermava che la permanenza in servizio militare avrebbe acuito la sua ansia e intensificato l'atteggiamento difensivo derivante dalle sue paure.

11. Il ricorrente rimaneva in licenza di convalescenza fino all'aprile del 1995, quando, a seguito di visita specialistica volta ad accertare la sua idoneità al servizio militare, in data 8 aprile 1995 il ricorrente era dichiarato affetto da "turbe disforiche in personalità marginale " ed era congedato per inidoneità.

12. Dopo essere stato congedato, il ricorrente si sottoponeva a ulteriori visite mediche. Una relazione del servizio Sanitario nazionale di Tricase del 20 ottobre 1995 indicava che il ricorrente non presentava più un atteggiamento difensivo, e non era più affetto da disforia e tic nervosi. Egli era tuttavia ancora insicuro, incline all'isolamento, instabile e restio all'assunzione di responsabilità. A seguito degli esami effettuati, la relazione concludeva che essendo cessato l'evento stressante, segnatamente il servizio militare, il ricorrente era leggermente migliorato. Tuttavia, egli presentava ancora segni di deficit intellettivo.

13. All'epoca, una relazione del medico del ricorrente (dott. Russo) riteneva che egli si fosse ammalato a causa del servizio militare o che vi fosse quanto meno un nesso causale tra il servizio militare e l'infermità. Conseguentemente, il 13 gennaio 1996 il ricorrente chiedeva un indennizzo al Ministero della Difesa ai sensi della legge n. 416 del 1926 e del decreto del Presidente della Repubblica  n. 686 del 1957.

14. In sede di esame della domanda di indennizzo, il 30 settembre 1999 la Commissione medica dell'ospedale militare di Bari diagnosticava al ricorrente un “disturbo ossessivo compulsivo” (“DOC”), che essa non riteneva dipendente dal servizio militare. Essa riteneva che l'infermità mentale in argomento fosse una condizione preesistente. Non si evinceva che durante il servizio militare il ricorrente fosse stato coinvolto in avvenimenti o avesse dovuto espletare funzioni che, data la loro importanza, durata e natura, avessero potuto influire gravemente sull'insorgenza o sull'evoluzione di tale problema mentale. Essa riteneva inoltre che la domanda fosse stata presentata oltre i termini di legge.

15. Nel frattempo, il ricorrente aveva ripetutamente chiesto alle autorità competenti di fornirgli copia dei pertinenti documenti concernenti il periodo in cui aveva prestato servizio nell'esercito al fine di poter comprovare le sue richieste. Il 24 novembre 1999 egli chiedeva inoltre al Distretto militare di Lecce di fornirgli i documenti amministrativi e sanitari relativi alla propria causa unitamente al verbale della riunione della Commissione medica che lo riguardava. Tale richiesta era reiterata quattro volte nell'anno 2000 e rimaneva inevasa.

16. Il 19 giugno 2000 la Commissione medica di seconda istanza di Bari confermava le conclusioni della Commissione medica del 30 settembre 1999.

17. In data 11 luglio 2000 il Ministero della Difesa respingeva la domanda di indennizzo del ricorrente, osservando che la Commissione medica (di seconda istanza) del Comando del Servizio sanitario di Napoli aveva stabilito, il 19 giugno 2000, che il disturbo ossessivo compulsivo di cui soffriva il ricorrente non era stato causato dal servizio militare. 

18. Secondo un certificato medico presentato dal ricorrente a questa Corte, rilasciato dall'azienda sanitaria locale di Maglie (dipartimento di salute mentale) il 29 luglio 1999, il ricorrente, che era stato curato dal dipartimento dal 1997 per fragilità mentale, basso QI e per un disturbo ossessivo-compulsivo che si era cronicizzato, aveva sviluppato a seguito del servizio militare dei problemi comportamentali tali da manifestarsi in violenti accessi nei confronti dei familiari.

B. I procedimenti interni

1. Il procedimento dinanzi al Tribunale amministrativo regionale

19. Il 21 luglio 2000 il ricorrente avviava un procedimento dinanzi al Tribunale amministrativo regionale di Lecce (“TAR”) per il riconoscimento del nesso causale tra i suoi problemi di salute mentale e il servizio militare  obbligatorio, e nel caso in cui il Tribunale avesse ritenuto la sua condizione preesistente, egli chiedeva a quest'ultimo di accertare la responsabilità delle forze armate per averlo arruolato e di disporre quindi un indennizzo a suo favore. 

20. Il 4 agosto 2000 il ricorrente presentava alle autorità competenti  richiesta urgente di accesso ai documenti medici relativi alla visita di idoneità al servizio precedente all'incorporamento, ai particolari del periodo trascorso nell'esercito – l’addestramento, il lavoro, e così via, il fascicolo disciplinare, vale a dire le punizioni subite, e la cartella dei ricoveri ospedalieri, la valutazione della personalità e della professionalità effettuata dal suo comandante e tutto il materiale pertinente in possesso dell'amministrazione militare. Il 22 settembre 2000 egli era informato che il comando dell'Aquila era stato soppresso. Gli era inoltre comunicato che  aveva trascorso ventitré giorni in “consegna semplice” (punizione che vieta a una persona di lasciare  la base) e un giorno  in “consegna di rigore” (punizione che relega una persona in una determinata zona della base) e che ogni ulteriore informazione doveva essere richiesta all'Ufficio Reclute di Lecce. Il ricorrente presentava una richiesta all'Ufficio Reclute di Lecce il 28 settembre 2000 e il 16 ottobre 2000 l'Ufficio rispondeva inviando al ricorrente un estratto del suo fascicolo disciplinare  ed evidenziando che egli aveva trascorso ventotto giorni, e non ventitré, in “consegna semplice”. Non era inviata al ricorrente alcuna altra documentazione. A seguito di ulteriori richieste il 19 ottobre 2000 l'Ufficio Reclute di Lecce inviava al ricorrente  il fascicolo relativo all'addestramento psico-fisico.

21. Il 28 dicembre 2002 il TAR nominava consulente tecnico il dott. S. affinché accertasse la natura dell'infermità del ricorrente e presentasse una relazione entro sessanta giorni.

22. Dopo aver visitato il ricorrente, il dott. S. non consegnava la relazione richiesta. Il 30 gennaio 2007 il ricorrente chiedeva pertanto al TAR di sostituire il consulente.

23. Con sentenza depositata nella pertinente cancelleria il 20 luglio 2007 il TAR, considerando la richiesta interlocutoria del ricorrente una richiesta di rinnovo, la rigettava, osservando che per sette anni il ricorrente non aveva sollecitato alcuna azione. Ritenendo che non fossero necessarie ulteriori prove, procedeva a pronunciare la sentenza. Esso riteneva che le due commissioni mediche avessero convenuto sull’origine dell’infermità del ricorrente e sul fatto che essa derivasse da una condizione preesistente. La Commissione medica di primo grado aveva effettivamente richiamato la diagnosi riportata dal ricorrente nel 1997 (quando egli era stato ricoverato in ospedale) che evidenziava uno stato mentale fragile e vulnerabile. Il Tribunale proseguiva rilevando che emergeva che la visita medica del giugno 1994, finalizzata a determinare l’idoneità del ricorrente al servizio, non era stata accurata, poiché già all’epoca sarebbe dovuto emergere che il ricorrente non era pienamente idoneo a svolgere il servizio militare.

2.  Il procedimento dinanzi al Consiglio di Stato

24. Il 9 luglio 2008 il ricorrente presentava ricorso dinanzi al Consiglio di Stato (“CS”). Egli lamentava, inter alia, che: l’esito della sua causa era stato illogico – il TAR pur avendo ritenuto la sua visita medica di leva inaccurata non si era pronunciato su alcuna responsabilità e non aveva disposto un indennizzo; il TAR aveva considerato la richiesta interlocutoria del ricorrente di sostituzione del consulente una richiesta di rinnovo, anche se la sostituzione del consulente era chiaramente un atto dovuto, dato il ritardo nell’espletamento delle sue funzioni, che aveva condotto il tribunale a decidere di respingere l’azione senza le informazioni pertinenti.

25. Con sentenza parziale del 19 gennaio 2010, il CS riteneva indispensabile una visita medica specialistica al fine di determinare l’eventuale nesso tra l’infermità del ricorrente e il servizio militare. Esso ordinava che tale visita fosse effettuata dal Collegio medico-legale della Difesa (il “Collegio medico”), mediante valutazione medica alla presenza del medico di base del ricorrente, e che la relazione fosse presentata entro trenta giorni. Si evince dai documenti che il Collegio medico nominato per la causa del ricorrente era composto da quattro membri effettivi, tre provenienti dall’esercito e uno dalla polizia di Stato, e da uno specialista in neurologia esterno.

26. La relazione del Collegio medico era depositata nel giugno 2010. Le sue conclusioni tenevano conto di una relazione prodotta in quell’anno da un consulente incaricato dal ricorrente, che egli era stato autorizzato a presentare al Collegio (prima che fosse presentata al CS). La relazione del Collegio medico evidenziava che quando il ricorrente era stato congedato egli era affetto da disforia, disturbo d’ansia e disturbo borderline di personalità e si riteneva che egli avesse un lieve ritardo intellettivo. Esso confermava le relazioni presentate dalle Commissioni mediche di Bari e sottolineava la rilevanza della natura preesistente della condizione del ricorrente, osservando inoltre che in sede di visita da parte della Commissione medica dell’ospedale militare di Bari il 30 settembre 1999 e alla data della relazione del 2010, il ricorrente era affetto da “disturbo ossessivo compulsivo cronico, un lieve ritardo intellettivo, presentava una  personalità alterata e tendeva ad avere tratti marginali”. Esso concludeva che alla data del riesame, secondo le informazioni disponibili, non si poteva ritenere che l’infermità dipendesse direttamente dal servizio militare di leva o fosse stata aggravata da esso.

27. In data imprecisata, la relazione del 6 maggio 2010, predisposta dal consulente del ricorrente (dott. Russo), era depositata presso il Consiglio di Stato. Essa osservava che il ricorrente, soggetto risultato mentalmente sano dalle valutazioni mediche effettuate prima dell’arruolamento, non aveva mai mostrato sintomi di malattia mentale prima dell’incorporamento e tali tratti erano emersi solo a seguito di ripetute punizioni. Pertanto, anche assumendo che egli fosse predisposto a problemi di salute mentale, era evidente che era stato il trattamento al quale era stato sottoposto durante il servizio militare a causare l’insorgenza della malattia. Le conseguenze connesse al servizio militare avevano in genere un forte impatto emotivo ed erano fonte di stress, e potevano, in una persona mentalmente fragile o predisposta a problemi di salute mentale, diversamente dal caso di una persona sana, scatenare una malattia mentale. La lontananza del ricorrente dalla famiglia e la sua incapacità a correlarsi con colleghi e superiori, l’assenza del necessario sostegno psicologico e le ripetute punizioni a lui inflitte, gli avevano fatto sviluppare una disforia che si era successivamente evoluta in un disturbo ossessivo-compulsivo cronico. Pertanto, nel caso del ricorrente vi era stato un nesso causale tra i problemi di salute mentale e il servizio militare che aveva prestato, o quest’ultimo aveva almeno contribuito allo sviluppo della sua condizione.

28. Il 12 novembre 2010 il ricorrente presentava memoria di replica contestando le conclusioni del Collegio medico e sostenendo che la relazione di quest’ultimo non poteva essere considerata obiettiva e imparziale, data la natura e la composizione del Collegio, che era un organo della controparte nel procedimento. Egli argomentava la mancanza di trasparenza nella produzione della relazione, evidenziata dal fatto che egli era stato recentemente portato a conoscenza di altri documenti connessi alla causa che non gli erano mai stati rivelati dalle autorità, il cui contenuto era stato riflesso nella relazione. Il 14 dicembre il ricorrente sollevava verbalmente ulteriori eccezioni.

29. Con sentenza depositata nella pertinente cancelleria il 4 febbraio 2011, il CS respingeva il ricorso del ricorrente, ritenendo che l’infermità del ricorrente fosse antecedente al servizio militare e che non fosse rilevabile durante la visita medica effettuata nel 1994, come stabilito dal Collegio medico. In merito alla mancata divulgazione della documentazione, il CS riteneva che tale documentazione non si riferisse al periodo durante il quale il ricorrente aveva svolto il servizio militare. In ogni caso il nocciolo della doglianza del ricorrente riguardava le conclusioni della relazione del Collegio medico  che non concordavano con la sua richiesta. Il CS riteneva tuttavia che la relazione non fosse di per sé contraddittoria o illogica, e che essa non avesse ignorato fatti rilevanti. Seguiva che dato che il CS (nei suoi limitati poteri di riesame giudiziario di atti amministrativi) (in sede di legittimità) non era autorizzato a valutare il merito della relazione,  il ricorso del ricorrente non poteva essere accolto. Relativamente alla prima visita medica volta a determinare l’idoneità del ricorrente al servizio militare, il CS adottava nuovamente le conclusioni del Collegio medico, che aveva ritenuto possibile che i problemi di salute del ricorrente non si fossero manifestati in assenza di particolari stimoli.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

30. Ai sensi del diritto italiano applicabile al momento dei fatti, segnatamente l’articolo 138 del decreto del Presidente della Repubblica n. 237 del 1964, la mancata presentazione alla visita medica di leva costituiva un reato punito con la reclusione pari nel massimo a due anni. Il mancato adempimento degli obblighi di leva costituiva il reato di diserzione ai sensi dell’articolo 148 del codice penale militare di pace, punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

31. Le punizioni nell’esercito sono di vari gradi e comprendono il richiamo, il rimprovero, la consegna semplice (si veda il paragrafo 20 supra) e la consegna di rigore (idem).

32. L’articolo 68 del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, in relazione alla giurisdizione dei tribunali italiani, recita:

“ Sono devolute al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, , con esclusione delle materie di cui (…)
(4) Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative ai rapporti di impiego del personale di cui all’articolo 2, comma 4.”

L’articolo 2, comma 4, della stessa legge enumera le categorie, inter alia, come segue:

“I magistrati ordinari, contabili e amministrativi, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle forze di polizia, il personale della carriera diplomatica (…)”

33. Ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 416 dell’undici marzo 1926, il Collegio medico del Ministero della Difesa, articolato in sei sezioni, è alle dirette dipendenze del Ministero della Difesa. Esso è composto dal seguente personale medico:

a) un generale medico in servizio permanente effettivo, presidente;

b) un generale medico in servizio permanente effettivo appartenente possibilmente a forza armata diversa da quella del presidente, con funzioni di vice presidente;

c) due ufficiali superiori medici dell'Esercito, di cui uno segretario del collegio medico-legale e l'altro della sezione staccata presso la Corte dei conti;

d) quattro generali o colonnelli medici dell'Esercito, un contrammiraglio o capitano di vascello medico, un generale o un colonnello medico del Corpo sanitario aeronautico con funzioni di presidenti delle sei sezioni di cui una distaccata presso la Corte dei conti;

e) quattordici ufficiali superiori medici dell'Esercito, sette ufficiali superiori medici della Marina, sette ufficiali superiori del Corpo sanitario aeronautico, due ufficiali superiori medici o funzionari medici di qualifica equipollente di polizia, con funzioni di membri effettivi delle sei sezioni;

f) quattordici ufficiali inferiori medici dell'Esercito, sette ufficiali inferiori medici della Marina, sette ufficiali inferiori medici del Corpo sanitario aeronautico, due ufficiali inferiori medici o funzionari medici di qualifica equipollente di polizia, con funzione di membri aggiunti delle sezioni;

(…)

Il presidente del collegio medico-legale può richiedere l'intervento, con parere consultivo e senza diritto al voto, di medici estranei al collegio, scelti tra specialisti civili che siano titolari o liberi docenti universitari.
(…)”

Ai sensi dell’articolo 11 bis, ogni sezione deve essere composta da un presidente e da almeno quattro membri effettivi.

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

34. Il ricorrente lamentava, citando gli articoli 2 e 3 della Convenzione, che non era stata effettuata una valutazione corretta del suo stato di salute prima dell’incorporamento, considerandola una violazione degli obblighi positivi dello Stato, e il suo incorporamento nel servizio militare con il conseguente addestramento che aveva dovuto subire e le punizioni che gli erano state inflitte, che egli riteneva una violazione degli obblighi negativi dello Stato.

35. La Corte ritiene che le suddette doglianze non riguardino l’articolo 2 e debbano essere esaminate unicamente ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, che recita:

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

36 . Inoltre, nella misura in cui nelle sue osservazioni il ricorrente faceva riferimento agli obblighi procedurali dello Stato ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte osserva che il ricorrente non aveva sollevato con chiarezza la questione nel suo ricorso iniziale e non aveva fornito dettagli al riguardo. Date tali circostanze la Corte non può ritenere che la doglianza a questo riguardo sia stata correttamente presentata, e pertanto essa prenderà in considerazione la doglianza riguardante l’articolo 3 solo nel suo aspetto sostanziale.

A. Sulla ricevibilità

1. L’eccezione del Governo sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.

37. Il Governo sosteneva che sebbene la giurisprudenza della Corte avesse stabilito che il singolo doveva esaurire solo uno dei ricorsi effettivi alternativi, tale giurisprudenza si basava sulla premessa che tutti i ricorsi fossero ugualmente effettivi. Nel caso di specie il Governo osservava che il ricorrente aveva scelto di avviare un procedimento amministrativo e non poteva pertanto lamentare adesso tale procedimento, avendo egli avuto a disposizione una via di ricorso alternativa della quale avrebbe potuto scegliere di avvalersi. Esso riteneva inoltre che data la natura della dedotta violazione, il ricorrente avrebbe fatto meglio ad avviare un’azione civile, che sarebbe stata  accessibile ed effettiva, come dimostrato dalle sentenze della Corte di cassazione nn. 10739 e 18184 rispettivamente del  2002 e del  2007.

38. Il ricorrente deduceva che, in base al diritto italiano, era la legge stessa che stabiliva la competenza di un tribunale in un singolo caso. Faceva riferimento all’articolo 68 del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993 (si veda il diritto interno pertinente) che prevedeva che le controversie riguardanti il personale militare fossero devolute al giudice amministrativo e non a quello ordinario. I due esempi forniti dal Governo erano pertanto irrilevanti di fronte alle chiare disposizioni di legge. Inoltre, nei due casi citati il Governo aveva di fatto sostenuto che i tribunali ordinari fossero incompetenti.

39. La Corte ribadisce che l’articolo 35 § 1 della Convenzione prevede che si esauriscano solo le vie di ricorso che sono disponibili e sufficienti a fornire una riparazione delle violazioni dedotte. Il fine dell’articolo 35 § 1 è quello di offrire agli Stati contraenti l’opportunità di prevenire o porre rimedio alle violazioni dedotte contro di loro prima che esse siano presentate alla Corte (si veda, inter alia, Selmouni c. Francia [GC], n. 25803/94 § 74, CEDU 1999-V). In caso di esistenza di più vie di ricorso interne di cui il singolo può avvalersi, egli ha diritto a scegliere quella che tratta la sua doglianza essenziale (Jasinskis c. Lettonia, n. 45744/08, § 50, 21 dicembre 2010). Inoltre, non si può chiedere a un ricorrente che ha esaurito una via di ricorso apparentemente effettiva e sufficiente di provare le altre vie che erano disponibili ma che presumibilmente non avevano maggiori probabilità di successo (si veda Aquilina c. Malta [GC], n. 25642/94, § 39, CEDU 1999 III).

40. La Corte osserva in primo luogo che il Governo non spiegava perché un’azione civile sarebbe stata più adatta nel caso di specie, nonostante la legge disponesse altrimenti. Inoltre, in contrasto con quanto affermato dinanzi a questa Corte, dagli esempi di giurisprudenza interna presentati risulta chiaro che il Governo aveva specificamente contestato la competenza dei tribunali civili ordinari a pronunciarsi su questioni militari.

41. La Corte osserva inoltre che, in conformità alle disposizioni del diritto interno, il ricorrente si era avvalso della via di ricorso prescritta conformandosi interamente alle procedure interne e alle formalità prescritte dal diritto nazionale. In realtà i tribunali amministrativi avrebbero potuto offrire riparazione al ricorrente ed erano pertanto accessibili ed effettivi. Tali tribunali non avevano ritenuto di non possedere la competenza richiesta, al contrario, avevano esaminato e deciso il merito della causa senza alcuna esitazione. Alla luce di ciò la Corte non ha alcun dubbio sul fatto che il ricorrente abbia esaurito le vie di ricorso interne.

42. L’eccezione del Governo è pertanto respinta.

43. La Corte osserva che questa doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione, e che essa non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B. Sul merito

1. Osservazioni delle parti

(a) Il ricorrente

44. Il ricorrente riteneva che lo Stato avesse omesso di adempiere all’obbligo positivo di proteggerlo da un trattamento contrario alla Convenzione mediante esami di leva adeguati e costringendolo successivamente a svolgere il servizio militare per il quale era inidoneo. Egli contestava l’efficacia degli esami, osservando in particolare che se sussistevano dubbi sulla sua idoneità si sarebbero dovuti svolgere ulteriori esami. In effetti vi erano disposizioni che prevedevano ulteriori esami se necessari; nel suo caso tuttavia non erano stati svolti nonostante ci fossero indicazioni sufficienti della loro necessità (si veda il paragrafo 6 supra). Paradossalmentemente, esami specifici e più rigorosi erano previsti per le reclute del servizio militare volontario (dato che a costoro erano richieste prestazioni più impegnative), nonostante il fatto che le reclute del srrvizio obbligatorio di leva avessero maggior bisogno di tali esami psicologici poiché l’obbligo del servizio militare era per loro un’imposizione. Inoltre, questi esami più specifici dimostravano che gli esami per le reclute di leva erano più blandi e non sufficientemente accurati. Egli osservava che anche il TAR con sentenza del 20 luglio 2007 aveva ritenuto che la visita di leva non fosse stata accurata né adeguata (si veda il paragrafo 23 supra). In verità, se, come ritenuto dai consulenti nominati dal tribunale, egli aveva un preesistente ritardo intellettivo che in definitiva aveva causato i suoi problemi di salute mentale, allora lo Stato aveva l’obbligo di riconoscere  la sua condizione e di agire di conseguenza per tutelare il suo benessere fisico e mentale.

45. Il ricorrente lamentava inoltre che invece di essere tutelato dalle autorità, una volta in servizio era stato sottoposto a sanzioni e punizioni in un momento in cui aveva bisogno di sostegno psicologico. Non esisteva un sistema in grado di individuare rapidamente i problemi comportamentali o di fornire sostegno psicologico, pertanto i suoi superiori militari ancora una volta non avevano riscontrato alcun problema di salute, e avevano invece optato per l’imposizione di punizioni consecutive e ripetute, che avevano irrimediabilmente pregiudicato la sua salute e lo avevano isolato ancora di più. Inizialmente aveva cominciato a soffrire di tic nervosi che poi erano sfociati in un disturbo ossessivo-compulsivo cronico (che avrebbe potuto trasformarsi in forme più gravi di psicosi secondo il consulente del ricorrente) in conseguenza del servizio militare obbligatorio e del trattamento cui era stato sottoposto durante esso. Secondo lui non vi era dubbio che lo stress della vita militare lontano dalla famiglia, unito alle punizioni sopportate potessero provocare tali conseguenze in un soggetto il cui stato mentale era già fragile, o quanto meno predisposto a problemi di salute mentale. Anche assumendo che la vita militare e il trattamento sopportato non fossero stati l’unica causa della sua condizione attuale, non si poteva negare che ciò fosse stato almeno una causa parziale. Il ricorrente dissentiva dal Governo, che sosteneva che le punizioni non potevano aver inciso su di lui, e faceva riferimento alla relazione del Servizio sanitario nazionale di Tricase del febbraio 1995 (si veda il paragrafo 10 supra). Inoltre, il consulente del ricorrente (relazione del 6 maggio 2010 del dott. Russo) aveva dichiarato precisamente che le punizioni erano state la causa determinante dei problemi di salute mentale del ricorrente. Il ricorrente contestava inoltre l’affermazione del Governo secondo la quale il suo trasferimento a Lecce era stato una sorta di provvedimento migliorativo preso in seguito alla scoperta dei suoi sintomi. In realtà tale trasferimento era avvenuto per caso ed era stato solo a Lecce che il comandante militare aveva rilevato il disagio del ricorrente (si veda il paragrafo 9), in uno stadio in cui la sua salute si era già deteriorata al punto che aveva sviluppato dei tic nervosi.

(b) Il Governo

46. Il Governo affermava in primo luogo che il ricorrente aveva presentato il ricorso in una maniera altamente soggettiva e che lasciare la propria casa per fare parte di un’altra comunità non poteva essere considerata una forma di sofferenza più intensa di quella applicabile a qualsiasi individuo chiamato a svolgere il servizio militare. Inoltre, il ricorrente non aveva provato di essere stato oggetto di molti scherni da parte dei colleghi o di comportamento intollerante o negligente da parte dei superiori. Il Governo osservava che i compiti affidati al ricorrente erano dei compiti normali, di routine nell’esercito (quali le guardie), e non ci si poteva aspettare che si tenesse una documentazione degli stessi a distanza di anni. In ogni caso, non gli era stato ordinato di eseguire dei compiti per motivi discriminatori o punitivi. Per quanto riguardava le punizioni, vale a dire i ventotto giorni di “consegna semplice” (punizione che vieta ad una persona di lasciare la base) e un giorno di “consegna di rigore” (punizione che relega una persona in un determinato settore della base), il Governo sottolineava che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente nel ricorso, tali punizioni non erano state continuative e ininterrotte. Inoltre, il Governo non comprendeva come il fatto di vietare al ricorrente di lasciare la base (la punizione più comune impostagli) avrebbe potuto essergli particolarmente nocivo, visto che egli aveva affermato dinanzi a questa Corte di essere incline a isolarsi dagli altri. Il ricorrente non aveva neanche fornito specifici dettagli riguardo alla sua consegna per un giorno in un determinato settore della base, il che, secondo il Governo, indicava che ciò non era importante. Conseguentemente non si poteva ritenere che tale trattamento avesse raggiunto la soglia prevista dall’articolo 3.

47. Quanto allo stato di salute del ricorrente al momento dell’incorporamento, il Governo osservava che il medico del ricorrente aveva ammesso che prima di cominciare il servizio militare il ricorrente non era affetto da malattie mentali (si veda il paragrafo 27 supra). Nella relazione del 4 giugno 2010 il Collegio medico aveva ritenuto che il fatto che durante la visita di leva non si fosse manifestato alcun problema psicologico significativo si potesse spiegare come segue: il QI del ricorrente di 67-71, allorché un lieve ritardo intellettivo corrispondeva a un QI di 50-69 e un grado inferiore di tale ritardo corrispondeva a un QI di 70-89; l’assenza di stimoli particolari che avrebbero condotto alla diagnosi di disturbo borderline di personalità e di latente conflitto psiconevrotico; l’assenza di esami speciali che all’epoca non erano obbligatori tranne quando risultava che erano particolarmente necessari. Di conseguenza, secondo il Governo, i problemi di salute del ricorrente erano stati nascosti al momento dell’incorporamento, come dimostrato anche dal fatto che durante l’addestramento a Chieti nel primo mese del servizio militare – periodo in cui si riteneva che il suo stress avesse raggiunto l’acme - il ricorrente aveva mostrato un comportamento normale. Di conseguenza le risultanze mediche della visita di leva erano state corrette e le autorità non potevano essere rimproverate.

48.  Inoltre, quando i sintomi del ricorrente si erano manifestati egli era stato immediatamente e ripetutamente ricoverato in ospedale e trasferito a Lecce, più vicino alla sua famiglia. Aveva beneficiato di periodi di convalescenza ed era stato infine esonerato dal servizio prima della sua fine regolare. Anche ciò dimostrava che lo Stato aveva adempiuto ai suoi obblighi positivi di rispettare la dignità del ricorrente, in particolare tutelando la sua salute e il suo benessere durante il servizio militare.

3. Valutazione della Corte

(a) Principi generali

49. La Corte ribadisce che gli Stati hanno l’obbligo di adottare misure atte a garantire che le persone soggette alla loro giurisdizione non siano sottoposte a tortura o a trattamenti o punizioni inumani o degradanti. Tali misure dovrebbero fornire una tutela effettiva, in particolare, delle persone vulnerabili, quali le reclute di leva, e comprendere misure ragionevoli per prevenire i maltrattamenti di cui le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza (si veda Abdullah Yılmaz c. Turchia, n. 21899/02, §§ 67-72, 17 giugno  2008, e, mutatis mutandis, Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, § 116, Reports of Judgments and Decisions 1998-VIII).

50. In generale spetta allo Stato stabilire gli standard di salute e idoneità delle potenziali reclute, tenuto conto del fatto che il ruolo delle forze armate differisce a seconda degli Stati. In ogni modo le reclute dovrebbero essere fisicamente e mentalmente preparate alle sfide legate alle particolari caratteristiche della vita militare e agli speciali obblighi e responsabilità spettanti ai membri dell’esercito. Benché svolgere il servizio militare non possa in alcun modo essere sconvolgente per un giovane sano, potrebbe costituire un onere gravoso per una persona cui difetti la necessaria energia e forza fisica a causa del cattivo stato di salute. Di conseguenza, date le esigenze pratiche del servizio militare, gli Stati debbono introdurre un idoneo sistema di controllo medico delle potenziali reclute in modo da garantire che la loro salute e il loro benessere non siano messi a rischio e la loro dignità umana non venga compromessa durante il servizio militare. Le autorità statali, in particolare le commissioni di leva e le commissioni mediche militari, debbono adempiere alle loro responsabilità in modo da assicurare che le persone che non sono idonee al servizio militare obbligatorio per motivi di salute non vengano iscritte e conseguentemente ammesse a servire nell’esercito (si veda Kayankin c. Russia, n. 24427/02, § 87, 11 febbraio 2010).

51. La Corte ribadisce inoltre che lo Stato ha il dovere di garantire che le persone svolgano il servizio militare in condizioni compatibili col rispetto della loro dignità umana, che le procedure e i metodi dell’addestramento militare non le sottopongano a pericoli o sofferenze di intensità eccedente l’inevitabile livello di durezza inerente alla disciplina militare e che, considerate le esigenze pratiche del servizio, la loro salute e il loro benessere siano adeguatamente assicurati fornendo loro, tra l’altro, l’assistenza medica necessaria. Lo Stato ha il dovere primario di predisporre norme collegate al livello di rischio per la vita e l’incolumità che scaturisce non solo dalla natura delle attività e delle operazioni militari, ma anche dall’elemento umano che entra in gioco quando lo Stato decide di chiamare cittadini comuni a svolgere il servizio militare. Tali norme debbono prevedere l’adozione di misure pratiche volte a proteggere efficacemente le reclute dai pericoli inerenti alla vita militare, e di opportune procedure per individuare le carenze e gli  errori che possono essere commessi al riguardo dai responsabili ai vari livelli (si veda Chember c. Russia, n. 7188/03, § 50, CEDU 2008).

(b)  Applicazione al caso di specie

52. Quanto alle circostanze del caso di specie, la Corte non è persuasa del fatto che le autorità italiane eseguendo le visite mediche del ricorrente, trovandolo idoneo al servizio militare e arruolandolo infine nell’esercito, abbiamo adempiuto ai propri obblighi con negligenza. Prima dell’incorporamento, il ricorrente era sottoposto a una visita medica che lo dichiarava idoneo al servizio militare nonostante si fossero riscontrate alcune deficienze (si veda il paragrafo 6 supra). Al momento dell’arruolamento egli era sottoposto a un’ulteriore visita. Il ricorrente non contestava i titoli e l’esperienza dei medici che effettuavano tali valutazioni. Durante le visite il ricorrente non lamentava il suo stato di salute né all’epoca cercava altrove un secondo parere.

53. La Corte osserva inoltre che il consulente del ricorrente insisteva sul nesso causale tra il servizio militare e la malattia, ribadendo che era stato il servizio militare a causarne la comparsa, ma non faceva cenno al fatto che alcuni indicatori specifici erano presenti al momento dell’arruolamento (si vedano i paragrafi 13 e 27) e in verità, nella sua relazione del 2010 egli dichiarava specificatamente che il ricorrente era “un individuo mentalmente sano al momento degli accertamenti medici”. Similmente, il certificato emesso dal dipartimento di salute mentale dell’azienda sanitaria locale di Maglie faceva riferimento ai problemi comportamentali del ricorrente sorti dopo il servizio militare (si veda il paragrafo 18 supra).

54. Benché sia vero che il tribunale di primo grado del procedimento del ricorrente abbia ritenuto la visita medica del giugno 1994 non accurata, la Corte ritiene che – sebbene dei criteri più severi e ulteriori possibili precauzioni sarebbero stati del tutto opportuni soprattutto in circostanze come quelle del caso di specie in cui determinati problemi erano stati comunque individuati – il materiale in suo possesso non le consenta di giungere alla stessa conclusione. La Corte non è pertanto in grado di affermare che alla data dell’incorporamento del ricorrente le autorità italiane avessero motivi validi per ritenere che, se arruolato nell’esercito, il ricorrente, a causa del suo stato di salute, avrebbe affrontato un rischio reale di subire un trattamento vietato dall’articolo 3 (si veda anche Kayankin, sopra citata § 91).

55. Nondimeno, la Corte deve esaminare anche il periodo successivo al suo arruolamento militare. Essa osserva che nei circa sei mesi che il ricorrente trascorreva al comando provinciale dell’Aquila egli era sottoposto ad almeno otto punizioni a seguito di violazioni della disciplina militare. Benché, naturalmente, tali episodi avrebbero potuto essere stati causati da una volontaria insubordinazione, a nessuno dei suoi superiori era venuto in mente che una simile ripetuta indisciplinatezza potesse essere dovuta a problemi psicologici. Tale possibilità, tuttavia, appariva lampante al nuovo superiore del ricorrente appena pochi giorni dopo il suo arrivo a Lecce. Solo allora la sua salute e il suo benessere erano adeguatamente garantiti e gli erano forniti, tra l’altro, le visite mediche e l’assistenza di cui aveva bisogno.

56. La Corte osserva che il Governo ometteva di spiegare le competenze dei superiori del ricorrente (particolarmente all’Aquila), e se vi fosse personale addestrato con le capacità e la responsabilità di individuare tali situazioni, né indicava alcuna pratica, norma o procedura in vigore per assicurare la precoce individuazione di tali situazioni e indicare quali misure adottare in tali circostanze. Il Governo non sosteneva neanche che il ricorrente aveva accesso a un sostegno psicologico o perlomeno a qualche tipo di visita o controllo. Di conseguenza il ricorrente era abbandonato a sé stesso per i sei mesi iniziali (dopo meno di un mese di addestramento) successivi all’incorporamento, nei quali era sottoposto a un trattamento che non sarebbe stato sconvolgente per un giovane sano, ma che avrebbe potuto costituire, e nel caso di specie risulta aver costituito, un onere gravoso per un individuo non dotato della necessaria forza mentale.

57. La Corte osserva che mentre non si può escludere che anche i compiti di routine possano, in certe circostanze, sollevare una questione, nel caso di specie il ricorrente era ripetutamente punito, per un totale di ventinove giorni, nell’arco di sei mesi. Ancora una volta, mentre le punizioni in questione potrebbero avere poche conseguenze per individui sani, i loro effetti su una persona come il ricorrente potrebbero non solo essere nocivi nel lungo periodo, come risulta essere stato nel caso del ricorrente, ma anche molto allarmanti e con effetti immediati sulla salute fisica e mentale per tutta la loro durata.

58. La Corte osserva che la relazione del Servizio sanitario nazionale del febbraio 1995 rilevava che il ricorrente soffriva di ansia e la visita specialistica dell’aprile 1995 rilevava che egli soffriva di “disforia e disturbo borderline di personalità” e confermava il suo esonero in quanto inidoneo al servizio militare. La relazione del consulente del ricorrente ottenuta nel 1995 (si veda il paragrafo 13 supra) e tutte le successive relazioni di organismi diversi ribadivano che il ricorrente soffriva di un problema di salute mentale e nessuno di essi negava che esso fosse presente nel periodo in cui egli era all’Aquila; di conseguenza è pacifico che il ricorrente soffriva di tale problema in quel periodo. La Corte osserva inoltre che le relazioni del Servizio sanitario nazionale di Tricase del febbraio e dell’ottobre 1995 sottolineavano rispettivamente che l’inadeguatezza del ricorrente gli faceva vivere la vita militare con ansia e che il servizio militare costituiva una situazione di stress. Ne consegue che, giacché egli era un individuo vulnerabile, la sofferenza cui egli era sottoposto andava al di là di quella di una regolare recluta durante il normale servizio militare.

59. Sulla base di tali considerazioni e della mancanza di una tempestiva individuazione e risposta dell’esercito alla vulnerabilità del ricorrente, o di un sistema capace di prevenire tali situazioni, la Corte ritiene che lo Stato sia venuto meno al suo dovere di garantire che il ricorrente svolgesse il servizio militare in condizioni compatibili col rispetto dei suoi diritti ai sensi dell’articolo 3 e che nel caso di specie, data la sua specifica situazione,  egli sia stato sottoposto a pericoli o sofferenze di intensità eccedente l’inevitabile livello di durezza inerente alla disciplina militare.

7. Vi è stata pertanto violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

61. Il ricorrente lamentava inoltre che l’infermità di cui soffriva attualmente in conseguenza del servizio militare, che comportava che egli dipendeva tuttora totalmente dalla sua famiglia, da psicofarmaci e da cure in centri di salute mentale,  non essendo pertanto in grado di avere una vita e una famiglia proprie, violava il suo diritto previsto dall’articolo 8 della Convenzione, che recita:

“1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondeza.

2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costuìituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

62. Il Governo contestava tale argomentazione e ribadiva le deduzioni presentate ai fini delle altre doglianze.

63. La Corte ritiene che questa doglianza possa essere dichiarata ricevibile. Tuttavia, poiché essa era sollevata nel contesto delle precedenti doglianze e data la conclusione della Corte ai sensi dell’articolo 3 (si veda il paragrafo 58 supra), la Corte ritiene che non sia necessario esaminare la questione separatamente.

IIII. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

64. Il ricorrente lamentava inoltre ai sensi degli articoli 6 e 13 della Convenzione la mancanza di imparzialità e di indipendenza del Collegio medico, che aveva fornito una consulenza determinante nel procedimento, dato che le sue conclusioni erano state adottate integralmente dal tribunale interno, e la mancata divulgazione di alcuni documenti (per esempio la relazione completa della visita di idoneità al servizio del ricorrente; il rapporto del comandante di Lecce che richiedeva una visita specialistica) che aveva comportato che egli non aveva potuto partecipare correttamente al procedimento e che gli era stata negata la parità delle armi. Il procedimento era stato inoltre viziato dal fatto che egli non aveva potuto contestare le conclusioni della relazione. Nonostante il fatto che la relazione fosse stata presentata solo in fase di appello, il Consiglio di Stato (“CS”) aveva ritenuto che, con i limitati poteri che aveva di riesame giudiziario degli atti amministrativi, esso non poteva esaminare il merito di tale relazione. Le parti rilevanti degli articoli 6 e 13 recitano:

Articolo 6
“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente … da un tribunale indipendente e imparziale … il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile …”

Articolo 13
“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella [presente] Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

A. Sulla ricevibilità

65. Il Governo considerava che la doglianza fosse strettamente legata alle altre  doglianze e ribadiva l’eccezione del mancato esaurimento che aveva sollevato precedentemente.

66. Il ricorrente osservava che il ricorso di cui si era avvalso non era stato utilizzato per scelta ma era stato piuttosto  il ricorso giuridico previsto dalla legge, e avrebbe dovuto pertanto beneficiare anche delle garanzie previste dall’articolo 6.

67. La Corte non può concordare con l’affermazione del Governo secondo cui il ricorrente aveva intrapreso dei procedimenti amministrativi per propria scelta e non poteva pertanto lamentare tali procedimenti. In primo luogo, la Corte osserva che essa ha già ritenuto che il ricorso utilizzato dal ricorrente fosse perfettamente valido in diritto e appropriato nelle circostanze (si veda il paragrafo 41 supra). La Corte osserva inoltre che, benché i procedimenti abbiano avuto luogo dinanzi a tribunali amministrativi (il Tribunale amministrativo regionale in primo grado e il Consiglio di Stato in appello), i procedimenti promossi dal ricorrente riguardavano una richiesta di indennizzo ed erano conseguentemente di carattere civile (si veda mutatis mutandis, Assenov e altri c. Bulgaria, 28 ottobre 1998, Reports 1998-VIII). Essi dovevano pertanto essere conformi ai requisiti dell’articolo 6 § 1. Infine, benché il Governo non lo avesse espressamente invocato, la Corte osserva che date le attuali circostanze, non sorge alcuna questione sull’applicabilità dell’articolo 6 in base allo status di recluta militare del ricorrente, dato che egli aveva accesso al tribunale in base al diritto nazionale (si veda Vilho Eskelinen e altri c. Finlandia [GC], n. 63235/00, §§ 62-63, CEDU 2007-II).

68. Ne consegue che l’eccezione del Governo deve essere respinta.

69. La Corte osserva che la doglianza ai sensi degli articoli 6 e 13 non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e osserva inoltre che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B. Sul merito

1. Osservazioni delle parti

70. Il ricorrente lamentava la mancanza di imparzialità da parte del CS nella misura in cui esso aveva basato le sue conclusioni unicamente sulla relazione redatta da un organo che non poteva essere considerato imparziale e indipendente dalle parti. L’organo consulente nominato dal tribunale, che doveva essere per legge (n. 205 del 21 luglio 2000) esterno alla “amministrazione” (nei procedimenti  amministrativi), era in realtà stato un organo del Ministero della Difesa composto in maggioranza da medici militari, nonostante il fatto che il convenuto nel procedimento fosse di fatto l’esercito, anch’esso facente parte del Ministero della Difesa. L’organo consulente dipendeva direttamente dal Ministero, e il fatto che uno dei suoi componenti fosse esterno al Ministero non aveva fatto alcuna differenza. Il contenuto della relazione, che minimizzava i fatti negativi e sottolineava il valore dell’esercito, aveva dimostrato solamente la sua mancanza di obiettività. Inoltre, il ricorrente non aveva potuto contestare le sue conclusioni, nella misura in cui il CS aveva rigettato la sua censura della relazione e la relazione del suo consulente in quanto il tribunale non poteva valutare il merito delle conclusioni del consulente. Esso ignorava il fatto che la relazione non era stata presentata in primo grado – la relazione commissionata dal tribunale di primo grado non era mai stata presentata dal consulente, e la richiesta del ricorrente (dopo sette anni su dodici del procedimento di primo grado) di nominare un altro consulente era stata respinta da tale tribunale. Il CS aveva pertanto deciso sulla base di una relazione presentata recentemente e prevenuta, che il ricorrente non aveva potuto contestare.

71. Il ricorrente lamentava inoltre la mancanza di informazione nella misura in cui le autorità aveva ripetutamente omesso di fornirgli la pertinente documentazione.

72. Il Governo deduceva che il Collegio medico era un organo tecnico e non giudiziario. Esso non aveva giocato un ruolo determinante e attivo nel procedimento; i suoi membri non avevano assistito alle udienze né avevano posto domande alle parti. Esso era stato nominato a seguito delle richieste del ricorrente (dopo un periodo di passività da parte di quest’ultimo durante il procedimento di primo grado) e aveva limitato la sua relazione alle domande poste dal tribunale. Quanto alla sua composizione, il Governo osservava che un membro era stato esterno (un professore di neurologia) e che nessun membro aveva alcun rapporto con la causa del ricorrente. I medici in questione non facevano parte, strettamente parlando, del dipartimento coinvolto nella causa del ricorrente e non erano stati sottoposti a superiori gerarchici che avevano preso posizione sul caso. Inoltre, nella loro relazione avevano tenuto conto di tutte le questioni sollevate dal consulente del ricorrente e avevano redatto la relazione dopo aver visitato il ricorrente, alla presenza del consulente che egli aveva nominato. Inoltre, il consulente del ricorrente e il suo avvocato avrebbero potuto contestare tali conclusioni in contraddittorio e il CS avrebbe potuto basare le sue conclusioni su tutte le pertinenti argomentazioni di fatto e di diritto, comprese quelle del ricorrente, che aveva presentato memorie di replica. Esso osservava inoltre che la richiesta del ricorrente al tribunale di primo grado sul consulente nominato inizialmente era stata rigettata da tale tribunale (si veda il paragrafo 23 supra). Inoltre, quanto alla sostanza della relazione il Governo osservava che le sue conclusioni, vale a dire che era stata solo una coincidenza che l’infermità del ricorrente si fosse manifestata nel corso dello svolgimento del servizio militare, si basava anch’essa su una consulenza medica (del Servizio sanitario nazionale di Tricase dell’ottobre 1995) che aveva concluso che il ricorrente non era stato affetto da problemi neuropsichiatrici prima di entrare nell’esercito (si veda il paragrafo 12 supra).

73. Il Governo faceva inoltre riferimento al fatto che il CS aveva rigettato tutte le doglianze del ricorrente come presentate alla Corte e il merito della sua richiesta era stato rigettato dal CS nel corso di un equo processo. La Corte non doveva pertanto riesaminare il merito di tali richieste. In particolare, il Governo osservava che in relazione all’asserita mancanza di informazione il CS di Stato aveva ritenuto che i documenti non rivelati fossero stati irrilevanti.

2. Valutazione della Corte

(a) Articolo 6

74. L’articolo 6 § 1 della Convenzione garantisce il diritto a un equo processo da parte di un “tribunale” indipendente e imparziale e non esige espressamente che il consulente udito da tale tribunale soddisfi gli stessi requisiti. Tuttavia, è probabile che il parere di un consulente nominato dal tribunale competente per risolvere le questioni che sorgono in una causa  abbia un peso significativo nella valutazione di tali questioni da parte di tale tribunale. Nella sua giurisprudenza la Corte ha riconosciuto che la mancanza di neutralità da parte di un consulente nominato dal tribunale può, in alcune circostanze, dare luogo a una violazione del principio della parità delle armi inerente al concetto di equo processo. In particolare, occorre considerare fattori quali la posizione e il ruolo processuale del consulente nel relativo procedimento (si veda, inter alia, Sara Lind Eggertsdóttir c. Islanda, n. 31930/04, § 47, 5 luglio 2007).

75. La Corte osserva che come dichiarato specificatamente nella legge (si veda il diritto interno pertinente, supra), il Collegio medico dipende dal Ministero della Difesa, che, tra l’altro, nomina i suoi membri nelle loro rispettive posizioni e paga i loro stipendi. In particolare, il Collegio (che indica di seguito i cinque consulenti che hanno redatto la relazione relativa alla causa del ricorrente) era composto da almeno tre ufficiali, compreso il Presidente della Sezione. Alla luce di ciò, la Corte ritiene che la sua struttura e composizione potessero dare luogo ad alcune preoccupazioni da parte del ricorrente, che non potevano essere dissipate solo semplicemente dal fatto che un membro era civile. Benché tali preoccupazioni possano avere una certa importanza, esse non sono decisive: quello che è decisivo è se i dubbi sollevati dalle apparenze possono essere ritenuti obiettivamente giustificati (si veda Brandstetter c. Austria, 28 agosto 1991, Serie A n. 211, p. 21, § 44).

76. A tale riguardo, la Corte osserva che l’importanza della relazione nella causa del ricorrente è sottolineata dal fatto che in appello il CS riteneva che fosse effettivamente necessaria per la determinazione della causa (si veda il paragrafo 25 supra). Non vi è alcun dubbio anche sull’affidamento che il CS faceva sul rapporto del Collegio medico, le cui conclusioni esso approvava senza esitazione o ulteriore valutazione. Invero, quando adottava le conclusioni della perizia, il CS  osservava che con i suoi limitati poteri di riesame giudiziario degli atti amministrativi (sede di legittimità) esso non poteva esaminare il merito di tale relazione (nonostante il fatto che il consulente del ricorrente avesse prodotto una relazione contrastante), a prescindere dal fatto che la relazione fosse stata presentata solo in fase di appello. Il CS rigettava pertanto la censura sollevata dal ricorrente contro la relazione basata sulle conclusioni del proprio consulente (si veda il paragrafo 29 supra). Ne consegue che gli aspetti pertinenti della sentenza adottata erano basati interamente sulle conclusioni del Collegio medico.

77. La Corte osserva che il Collegio doveva esaminare se l’infermità del ricorrente fosse stata una conseguenza del servizio militare e, in caso contrario, se l’infermità fosse rilevabile mediante gli esami eseguiti prima dell’arruolamento. La Corte osserva pertanto che non gli era richiesto di dare un parere generale in una particolare materia, ma esso era stato chiamato a valutare fatti specifici nonché la prestazione di colleghi dell’esercito al fine di assistere il CS a determinare la questione della responsabilità dell’esercito, che avrebbe potuto condurre alla concessione di un indennizzo al ricorrente (si veda, similmente, Sara Lind Eggertsdóttir, sopra citata, § 51, e Shulepova c. Russia, n. 34449/03, § 65, 11 dicembre 2008). Pertanto la questione non è meramente il fatto che i consulenti dipendessero dalla stessa autorità amministrativa di quella coinvolta nella causa (si veda, per esempio, Brandstetter, sopra citata, §§ 44-45).

78. La gravità di tale omissione è aggravata dal fatto che, come si evince chiaramente dalla sentenza del CS, le censure del ricorrente alle conclusioni del Collegio erano respinte perché tale tribunale non aveva il potere di esaminare il merito delle conclusioni della consulenza tecnica redatta dal Collegio. Ciò faceva sì che che le conclusioni del Collegio fossero l’unica prova incontestata e decisiva utilizzata per determinare le questioni della causa, e senza dubbio ciò sottolinea il carattere dominante o perfino totalmente prevalente del Collegio. Alla luce di ciò, si può trovare poco conforto nel fatto che il consulente del ricorrente fosse presente quando il Collegio visitava il ricorrente, o che il Collegio fosse consapevole del contenuto della relazione del consulente del ricorrente.

79. In conclusione, la Corte ritiene che il ricorrente avesse motivi legittimi per temere che il Collegio medico non avesse agito con l’opportuna neutralità nel procedimento dinanzi al CS. Trapela inoltre che, in conseguenza della composizione, della posizione e del ruolo processuale del Collegio nel procedimento dinanzi al CS il ricorrente non era in posizione di parità con il suo avversario, lo Stato, come avrebbe dovuto essere in conformità con il principio della parità delle armi. Tale conclusione è sufficiente per concludere che il ricorrente non ha avuto un equo processo dinanzi a un tribunale imparziale e in posizione di parità con il suo avversario nel procedimento dinanzi al CS, senza necessità di esaminare ulteriormente le argomentazioni del ricorrente in relazione alla evidente tardiva trasmissione della documentazione.

80. Vi è stata pertanto violazione dell’articolo 6 della Convenzione.

(b) Articolo 13
81. La Corte ribadisce che il ruolo dell’articolo 6 § 1 in combinato disposto all’articolo 13 è quello di una lex specialis, dato che i requisiti dell’articolo 13 sono stati inglobati nei più stringenti requisiti dell’articolo 6 § 1 (si veda, per esempio, Société Anonyme Thaleia Karydi Axte c. Grecia, n. 44769/07, § 29, 5 novembre 2009; Dauti c. Albania; n. 19206/’05 § 58, 3 febbraio 2009; Jafarli e altri c. Azerbaijan, n. 36079/06, § 55, 29b luglio 2010; e Curmi c. Malta, n. 2243/10, § 58., 22 novembre 2011).

82. Ne consegue che non è necessario esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 13.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

83. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Danno

84. Il ricorrente chiedeva un totale di euro 2.140.000 (EUR) a titolo di danno patrimoniale e morale. Egli quantificava la richiesta come segue.
In relazione alla violazione degli articoli 2, 3 e 8 chiedeva EUR 980.000 a titolo di danno patrimoniale e lo stesso importo a titolo di danno morale. Il danno patrimoniale consisteva nella somma arrotondata di EUR 500.000, che era ottenuta in base a calcoli effettuati ai sensi del diritto interno con cui si riteneva che egli avesse un’invalidità permanente parziale (41-50%), che comportava che gli era dovuta una pensione privilegiata. A ciò egli aggiungeva EUR 480.000 di mancato guadagno, essendo stato ritenuto invalido al 100% e a carico dei genitori pur ricevendo solo una magra pensione di EUR 300 al mese. I calcoli erano basati su una aspettativa di vita pari a settanta anni e una vita lavorativa pari a quaranta anni.
Quanto alla violazione degli articoli 6 e 13 egli chiedeva EUR 90.000 a titolo di danno patrimoniale, pari alla somma che gli sarebbe stata concessa se i procedimenti non fossero stati viziati dalla pertinente violazione, e lo stesso importo a titolo di danno morale.

85. Il Governo affermava che non era dovuta alcuna equa soddisfazione in quanto le doglianze erano irricevibili. Ciononostante esso sottolineava che il calcolo del ricorrente non aveva tenuto conto del fatto che non sarebbe stata corrisposta una pensione privilegiata a una persona quale il ricorrente che riceveva già un sussidio di invalidità.

86. La Corte osserva che le richieste di danno patrimoniale del ricorrente si basano sulla premessa che l’esercito fosse responsabile della sua infermità in un modo o nell’altro. La Corte non ha tuttavia ritenuto accertato che l’esercito avrebbe dovuto conoscere al momento dell’arruolamento che il ricorrente non era idoneo al servizio, ed essa ha riscontrato solo una violazione dell’articolo 3 perché il ricorrente – che, come non è contestato, era affetto da disturbo d’ansia, disforia, disturbo borderline di personalità, ed era in una fase di fragilità mentale (si vedano i paragrafi 10 e 11 supra) nel corso del servizio militare, ed era pertanto vulnerabile – era stato sottoposto a trattamento contrario all’articolo 3 nel periodo pertinente. Benché sia vero che tale premessa fosse la contestazione del ricorrente dinanzi ai tribunali interni e che la Corte abbia riscontrato violazione dell’articolo 6 in ragione del fatto che non era stato offerto al ricorrente un processo equo dinanzi a  un tribunale imparziale dinanzi al Consiglio di Stato, la Corte non può fare congetture sull’esito del procedimento se la suddetta violazione non fosse avvenuta. Essa rigetta pertanto le richieste del ricorrente a tale titolo (si veda Savino e altri c. Italia, nn. 17214/05, 20329/05 e 42113/04, § 111, 28 aprile 2009, e Higgins e altri c. Francia, 19 febbraio 1998, § 48, Reports, 1998-I).

87. Essa accorda tuttavia al ricorrente EUR 40.000 a titolo di danno morale.

B. Spese

88. Il ricorrente chiedeva inoltre EUR 34.060 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni e dinanzi alla Corte. Comprendendo le spese processuali e legali, egli specificava EUR 7.800 in relazione al procedimento di primo grado, EUR 7.205 in relazione al procedimento di appello ed EUR 18.000 per il procedimento dinanzi alla Corte, oltre a EUR 1.055 di spese amministrative quali le spese postali e di viaggio connesse al procedimento.

89. Il Governo non faceva alcuna osservazione al riguardo.

90. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano dimostrate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, visti i documenti di cui è in possesso e i summenzionati criteri, la Corte ritiene appropriato accordare la somma di EUR 17.000, che coprono tutte le voci di spesa.

C. Interessi moratori

91.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali. 

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ

  1. Dichiara il ricorso ricevibile
  2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione nella misura in cui lo Stato non ha adempiuto al suo dovere di garantire che il ricorrente svolgesse il servizio militare in condizioni compatibili con suoi diritti ai sensi dell’articolo 3, e il ricorrente è stato conseguentemente sottoposto a stress o sofferenza di un’intensità eccedente l’inevitabile livello di durezza inerente alla disciplina militare;
  3. Ritiene che non sia necessario esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione;
  4. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  5. Ritiene che non sia necessario esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione;
  6. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:
      1. EUR 40.000 (euro qurantamila), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. EUR 17.000 (euro diciassettemila), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  7. Rigetta la domanda di equa soddisfazione del ricorrente per il resto.

Fatta in inglese, poi comunicata per iscritto il 21 gennaio 2014, in applicazione degli articoli 77 § 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere