Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 febbraio 2018 - Ricorso n. 65173/09 - Causa Drassich c. Italia

© Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA DRASSICH c. ITALIA (n. 2)

(Ricorso n. 65173/09)

SENTENZA

STRASBURGO

22 febbraio 2018

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Drassich c. Italia (n. 2),
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Aleš Pejchal,
Ksenija Turković,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 30 gennaio 2018,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 65173/09) proposto contro la Repubblica italiana con cui un cittadino di questo Stato, il sig. Mauro Drassich («il ricorrente»), ha adito la Corte il 16 novembre 2009 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Dinanzi alla Corte il ricorrente è stato rappresentato dagli avv. L. Stortoni e C. Parziale, rispettivamente del foro di Bologna e di Mestre. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. Il ricorrente lamentava una mancanza di equità nel procedimento penale condotto a suo carico.

4. Il 26 novembre 2014 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1958 ed è residente a Paularo.

A. Il ricorso n. 25575/04 e la sentenza pronunciata dalla Corte l’11 dicembre 2007

1. Il procedimento penale

6. I fatti sono descritti in maniera dettagliata nella sentenza Drassich c. Italia (n. 25575/04, §§ 5-17, 11 dicembre 2007). Il ricorrente, che era un giudice italiano incaricato della direzione della sezione fallimentare del tribunale di Pordenone, fu rinviato a giudizio dinanzi al tribunale di Venezia per i reati di corruzione ai sensi dell’articolo 319 del codice penale (CP), falso e abuso d’ufficio. Fu condannato in primo grado a una pena complessiva di tre anni di reclusione. Con una sentenza pronunciata il 12 giugno 2002 la corte d’appello di Venezia confermò la condanna del ricorrente per i reati di falso e corruzione, ma aumentò la pena a tre anni e otto mesi di reclusione.

7. Il ricorrente propose ricorso per cassazione. In uno dei suoi motivi di ricorso, egli affermò che il reato di corruzione, tenuto conto delle circostanze attenuanti di cui avrebbe beneficiato, era caduto in prescrizione nell’agosto 2001.

8. Con una sentenza pronunciata il 4 gennaio 2004, depositata il 17 maggio 2004, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente, riqualificando i fatti di corruzione come «corruzione in atti giudiziari» ai sensi dell’articolo 319ter del codice penale. Detta Corte affermò che tale disposizione, che puniva più severamente quest’ultimo reato di quello, autonomo, previsto dall’articolo 319, trovava applicazione quando la corruzione era stata commessa specificamente allo scopo di favorire o danneggiare una delle parti al processo. Tenuto conto che la qualificazione giuridica dei fatti applicata comportava una pena superiore a cinque anni di reclusione, la Corte di cassazione concluse che il termine legale previsto dall’articolo 157 del codice di procedura penale (CPP) per la prescrizione del reato non era ancora trascorso e rigettò l’eccezione sollevata dal ricorrente.

2. Il procedimento dinanzi alla Corte

9. Il 14 luglio 2004 il ricorrente adì la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione.

10. Con una sentenza pronunciata l’11 dicembre 2007 la Corte dichiarò il ricorso ricevibile e concluse che vi era stata violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 a) e b) della Convenzione in quanto il ricorrente non aveva avuto la possibilità di essere informato dettagliatamente della natura e del motivo dell’accusa formulata nei suoi confronti, e non aveva potuto disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa.

11. La Corte considerò che, anche se i giudici potevano riqualificare i fatti che venivano loro sottoposti, nel caso di specie non era stato accertato che il ricorrente fosse stato informato della possibilità di una riqualificazione dell’accusa formulata nei suoi confronti, né che avesse avuto la possibilità di discutere in contraddittorio la nuova accusa. Essa indicò che, se era vero che l’elemento materiale dei due reati in causa era lo stesso, ossia la commissione di atti contrari ai doveri da parte di un pubblico funzionario per ottenere dei benefici, tuttavia per il reato di corruzione in atti giudiziari era necessaria anche la presenza di un elemento intenzionale specifico. Era pertanto plausibile sostenere che i mezzi di difesa sarebbero stati diversi da quelli scelti per contestare l’azione principale.

12. Infine, per quanto riguarda le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente, la Corte non sottoscrisse la tesi secondo la quale la modifica dell’accusa non aveva avuto ripercussioni sulla determinazione della pena pronunciata nei confronti del ricorrente.

13. Deliberando sull’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione, la Corte non accordò alcuna somma al ricorrente, in quanto quest’ultimo non aveva formulato richieste in tal senso entro il termine fissato. Tuttavia, essa indicò che, quando concludeva che un individuo è stato condannato all’esito di un procedimento viziato da inosservanza delle esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, un nuovo processo o una riapertura del procedimento, su richiesta dell’interessato, rappresentava in linea di principio un mezzo adeguato per porre rimedio alla violazione constatata.

B. La risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 30 settembre 2009

14. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa concluse l’esame del ricorso n. 25575/04 adottando, il 30 settembre 2009, la Risoluzione ResDH(2009)87 che, nelle parti pertinenti, è così formulata:

«(…) in virtù dell’articolo 46 paragrafo 2 della Convenzione (...)

Vista la sentenza trasmessa dalla Corte una volta definitiva;

Rammentando che le violazioni della Convenzione accertate dalla Corte nella presente causa riguardano una violazione del diritto di essere informati in maniera dettagliata della natura e dei motivi dell’accusa, nonché del diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per la preparazione della sua difesa a causa della riqualificazione dei fatti operata dalla Corte di Cassazione senza che il ricorrente ne sia stato informato (violazione dell’articolo 6, paragrafo 3 a) e b), in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 1) (si vedano i dettagli nell’Allegato).

(...)
DICHIARA, dopo aver esaminato le misure adottate dallo Stato convenuto (si veda l’Allegato) che quest’ultimo ha assolto le proprie funzioni in applicazione dell’articolo 46, paragrafo 2 della Convenzione nella presente causa

eDECIDE di chiuderne l’esame.»

15. L’Allegato alla Risoluzione ResDH(2009)87, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:

«Informazioni sulle misure adottate al fine di conformarsi alla sentenza nella causa Drassich c. Italia

(...)

I. Pagamento dell’equa soddisfazione e misure individuali
(...)

b) Misure individuali

Il ricorrente è stato condannato a una pena di tre anni e otto mesi di reclusione. Ha scontato sette mesi e un giorno e, a partire dal 6/09/2004, ha beneficiato della sospensione condizionale della pena, con affidamento ai servizi sociali (…), in quanto la pena residua era inferiore a due anni. La Corte europea, tuttavia, aveva considerato che un nuovo processo o una riapertura del procedimento, su richiesta dell’interessato, rappresentasse in linea di principio un mezzo adeguato per porre rimedio alla violazione (paragrafo 46 della sentenza). A seguito della sentenza della Corte europea, il ricorrente ha chiesto alla Corte d’appello di Venezia di dichiarare l’ineseguibilità della sua sentenza del 12/06/2002 ai sensi dell’articolo 670 del Codice di procedura penale. Applicando la giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenze n. 3600, Dorigo e n. 2432, Somogy) la Corte d’appello ha riconosciuto l’ineseguibilità della sua sentenza nella parte relativa alla corruzione e ha rinviato alla Corte di cassazione il ricorso iniziale del ricorrente contro tale sentenza affinché essa possa dare effetto alla sentenza della Corte europea. Nella sua sentenza dell’11/12/2008 la Corte di cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, la restitutio in integrum dovesse limitarsi ad annullare la parte della sua sentenza che non aveva rispettato il principio del dibattimento in contraddittorio, ossia quella in cui aveva essa stessa proceduto alla riqualificazione dei fatti ascritti al ricorrente da «corruzione semplice» a «corruzione in atti giudiziari». La Corte di cassazione ha considerato che l’articolo 625bis del Codice di procedura penale fosse lo strumento più idoneo per conseguire questo risultato. Tale articolo, che prevede un ricorso straordinario per porre rimedio ad errori materiali, può essere applicato analogia legis a violazioni del diritto di difendersi dinanzi alla Corte di cassazione e permette in tal modo di eliminare la parte della decisione contestata. La Corte di cassazione ha dunque annullato la sua sentenza del 4 febbraio 2004 unicamente per quanto riguarda il reato di corruzione definito corruzione in atti giudiziari e ha ordinato di procedere a un nuovo esame del ricorso per cassazione proposto dal ricorrente contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 12 giugno 2002. Nell’ambito del nuovo procedimento, la Corte di cassazione non mancherà di tenere conto delle esigenze della Convenzione in materia di processo equo.

II. Misure generali

1) 1) Riqualificazione dei reati senza che il principio del dibattimento in contraddittorio venga applicato: secondo il Governo italiano non sarebbe necessaria alcuna modifica legislativa in quanto la violazione risultava dall’interpretazione giurisprudenziale dei principi generali in materia fatta dalla Corte di cassazione.

La recente giurisprudenza della Corte di cassazione ha fornito una nuova interpretazione conformemente alla giurisprudenza della Corte europea. Nella sua sentenza dell’11/12/2008 la Corte di cassazione ha riconosciuto che la sentenza della Corte europea aveva prodotto l’effetto di estendere il campo di applicazione del principio del dibattimento in contraddittorio nell’ordinamento giuridico interno. La Corte di cassazione ha considerato che la sentenza della Corte europea implicava che da quel momento in poi tale principio dovesse essere applicato a tutte le fasi del procedimento, compreso quando la Corte di cassazione controlla la legalità di una sentenza, quando una modifica ex officio del capo d’accusa ha avuto un’incidenza sulla pena pronunciata nei confronti del ricorrente.

2) Riapertura dei procedimenti a seguito di constatazioni di violazioni: nella sua sentenza dell’11/12/2008 la Corte di cassazione ha ritenuto che, in casi come quello di specie, la decisione della Corte europea non rimettesse in discussione la decisione nel merito, ma solo la sentenza della Corte di cassazione che era risultata iniqua a causa di una carenza del sistema giuridico (la mancata applicazione del principio del dibattimento in contraddittorio). Ecco perché la revisione della decisione sul merito non è necessaria e l’applicazione per analogia dell’articolo 625bis del codice di procedura penale è sufficiente per colmare la lacuna esistente nel sistema giuridico in cause simili.

3) Pubblicazione e diffusione: la sentenza della Corte europea è stata diffusa alle autorità competenti ed è stata pubblicata sui siti del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it) e della Corte di cassazione (www.cortedicassazione.it), e nella banca dati della Corte di cassazione sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (www.Italgiure.giustizia.it). Quest’ultimo sito internet è largamente utilizzato da tutti gli esperti di diritto in Italia, funzionari, avvocati, procuratori e giudici.»

C. Il procedimento oggetto del presente ricorso

16. A seguito della sentenza della Corte che concludeva che vi è stata violazione della Convenzione, il ricorrente presentò una richiesta dinanzi alla corte d’appello di Venezia in data 19 febbraio 2008 al fine di ottenere una decisione che dichiarasse l’ineseguibilità della sua condanna ai sensi dell’articolo 670 del CPP. Il ricorrente affermava che il suo interesse ad agire persisteva nonostante egli avesse interamente scontato la sua pena. In effetti, a suo parere, la condanna aveva altre conseguenze (in particolare le interdizioni e l’iscrizione nel casellario giudiziale). Egli chiedeva l’annullamento della sua condanna, e in subordine l’annullamento della parte riguardante i fatti corruttivi.

17. In un parere emesso il 22 maggio 2008, il pubblico ministero considerò che la dichiarazione secondo la quale la condanna non era eseguibile fosse sufficiente per conformarsi alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

18. La corte d’appello di Venezia non condivise il parere del pubblico ministero. Il 4 giugno 2008, dopo aver riconosciuto l’interesse ad agire del ricorrente e dichiarato la condanna non eseguibile (per la parte relativa ai fatti di corruzione), essa considerò che ciò non fosse sufficiente, poiché una tale dichiarazione non avrebbe inficiato la sentenza di condanna in quanto tale, e che fosse necessario un rimedio pienamente restitutorio, ossia una decisione che dichiarava prescritto il reato di corruzione.
Secondo la Corte d’appello, il fascicolo doveva essere nuovamente trasmesso alla Corte di cassazione per individuare il modo di conformarsi alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di conseguenza, la corte d’appello trasmise il fascicolo alla Corte di cassazione.

19. Il ricorrente depositò un ricorso per cassazione nel quale fece osservare che si poneva la questione di stabilire quali fossero i limiti e le peculiarità della procedura che ne sarebbe derivata. Secondo lui, se la Corte di cassazione riqualificasse nuovamente i fatti come corruzione in atti giudiziari, si esporrebbe a una seconda constatazione di violazione da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ricorrente affermava che solo i seguenti due scenari erano plausibili: che i giudici rimettano completamente in discussione la res judicata e annullino interamente la condanna, dato che quest’ultima era stata pronunciata all’esito di un procedimento giudicato iniquo; oppure che essi dichiarino prescritto il reato di corruzione semplice e ricalcolino la pena di conseguenza. Il ricorrente chiedeva pertanto alla Corte di cassazione di annullare senza rinvio la sua condanna per corruzione o, in subordine, di dichiarare i fatti prescritti.

20. Il 12 novembre 2008 si tenne un’udienza dinanzi alla Corte di cassazione. Dal fascicolo risulta che il procuratore generale ha chiesto la revoca della sentenza della Corte del 4 gennaio 2004 e l’annullamento senza rinvio della sentenza della corte d’appello di Venezia del 12 febbraio 2002 in quanto il reato di corruzione era prescritto.

21. Con sentenza del 12 novembre 2008 la Corte di cassazione considerò che il caso di specie fosse diverso da quello in cui l’imputato era stato giudicato in contumacia e che pertanto non fosse necessario riaprire il procedimento sul merito. Era sufficiente correggere l’errore procedurale, dando all’imputato la possibilità di interloquire in merito alla riqualificazione dei fatti corruttivi. Osservando che il problema constatato dalla Corte europea era la violazione del diritto a essere informato della natura e dei motivi dell’accusa e la violazione del diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per la sua difesa, essa indicò che si poteva porvi rimedio applicando per analogia l’articolo 625bis del codice di procedura penale, che prevedeva la correzione degli errori materiali. In conclusione, la Corte di cassazione decise di revocare la parte della res judicata che derivava dalla violazione dei diritti della difesa, ossia la parte riguardante i fatti qualificati come corruzione in atti giudiziari ai sensi dell’articolo 319ter del codice penale, e che avrebbe proceduto a una nuova trattazione del ricorso per cassazione presentato dal ricorrente contro la sentenza della corte d’appello pronunciata nel 2002, in particolare per quanto riguarda la questione della qualificazione giuridica dei fatti.

22. In una memoria del 10 marzo 2009, il ricorrente esprimeva delle perplessità sulla portata di tale decisione, dubitando che la res judicata fosse stata rimessa in discussione. Osservava che non vi era stata contestazione formale del reato di corruzione in atti giudiziari e che non si sapeva quale sarebbe stato l’oggetto dell’udienza fissata dalla Corte di cassazione. Secondo il ricorrente, in effetti, il pubblico ministero o la corte stessa potevano decidere di non porsi più la questione della riqualificazione dei fatti. Il ricorrente precisava che la Corte di cassazione avrebbe potuto annullare tutta la condanna controversa in quanto era stata pronunciata all’esito di un procedimento iniquo, e riteneva invece che, nel caso in cui la Corte di cassazione avesse considerato che la res judicata non dovesse essere rimessa in discussione, allora i giudici avrebbero avuto come unica possibilità quella di dichiarare prescritto il reato di corruzione semplice, che era l’unico reato contestato all’imputato nel momento in cui era stata adita la Corte di cassazione nel 2002. Infine egli considerava che, nell’ipotesi in cui la Corte di cassazione avesse deciso comunque di riqualificare i fatti come corruzione in atti giudiziari, essa avrebbe dovuto constatare che anche questo reato era prescritto. In conclusione, il ricorrente chiedeva la cassazione senza rinvio della sentenza di condanna resa dalla corte d’appello nel 2002 per intervenuta prescrizione.

23. Il 6 maggio 2009 il ricorrente depositò una seconda memoria nella quale aggiungeva delle precisazioni riguardanti il criterio di calcolo del termine di prescrizione relativo al reato di corruzione in atti giudiziari.

24. All’udienza dinanzi alla Corte di cassazione del 31 marzo 2009 i difensori del ricorrente chiesero il rinvio dell’udienza a causa di uno sciopero degli avvocati. L’udienza fu rinviata al 25 maggio 2009.

25. All’udienza del 25 maggio 2009 la Corte di cassazione rammentò ai difensori del ricorrente che era possibile riqualificare i fatti di corruzione per i quali l’interessato era stato giudicato colpevole come fatti di corruzione in atti giudiziari. Gli avvocati del ricorrente replicarono che era necessario notificare personalmente all’imputato questo nuovo capo d’accusa dandogli un termine per preparare la sua difesa, e chiesero un rinvio dell’udienza. In subordine, affermarono che l’articolo 319ter del CP non era applicabile ai fatti della presente causa.

26. La Corte di cassazione rigettò la richiesta di rinvio dell’udienza, in quanto, ai sensi dell’articolo 614 del CPP, l’imputato non poteva partecipare a nessun titolo al procedimento per cassazione, la possibilità di riqualificare i fatti di corruzione come corruzione in atti giudiziari era stata chiaramente indicata nella sua sentenza del 12 novembre 2008 e la convocazione dei difensori all’udienza aveva permesso all’imputato di disporre del tempo necessario per preparare la sua difesa.

27. Con sentenza pronunciata il 25 maggio 2009, depositata il 18 settembre 2009, la Corte di cassazione rammentò che il ricorrente, per il tramite dei suoi avvocati, era stato informato della riqualificazione dei fatti operata dalla sua decisione del 12 novembre 2008 che aveva annunciato un nuovo esame del ricorso per cassazione. L’interessato aveva inoltre disposto del tempo necessario per preparare la sua difesa. Di conseguenza, la situazione era stata resa conforme alla sentenza di violazione della Corte europea dei diritti dell’uomo.

28. La Corte di cassazione considerò che i fatti fossero stati correttamente e logicamente accertati dalla corte d’appello e li qualificò come corruzione in atti giudiziari, considerando che il reato non fosse ancora prescritto, nella misura in cui il normale termine di prescrizione era stato sospeso tra luglio 2000 e luglio 2001 in quanto la corte d’appello aveva adito la Corte costituzionale. Peraltro, essa dichiarò che gli elementi del reato erano riuniti. In conclusione, la Corte rigettò il ricorso del ricorrente condannandolo alle spese processuali.

D. Il ricorso in revisione presentato dal ricorrente

29. Il 29 luglio 2011 il ricorrente presentò un ricorso chiedendo la revisione della sentenza della corte d’appello del 12 giugno 2002 sulla base dell’articolo 630 del CPP, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2011 (paragrafi 6 e 35 infra).

30. Con una sentenza pronunciata il 18 gennaio 2012 la corte d’appello di Trento dichiarò inammissibile la domanda del ricorrente, affermando che il procedimento di riapertura condotto dinanzi alla Corte d’appello di Trento aveva soddisfatto le esigenze del dibattimento in contraddittorio e aveva garantito i diritti alla difesa del ricorrente e che, di conseguenza, aveva rispettato le indicazioni date dalla Corte europea nella sua sentenza Drassich c. Italia (sopra citata).

31. Il 15 maggio 2013 la Corte di cassazione respinse il ricorso proposto dal ricorrente e confermò la sentenza della corte d’appello. Per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo il quale l’applicazione per analogia dell’articolo 625bis non gli aveva permesso di adeguare la sua strategia difensiva e di richiedere, se del caso, nuove prove, la Corte di cassazione osservò che il ricorrente non aveva sollevato tale questione in cassazione in seguito alla revoca parziale della sua condanna. Peraltro, la suddetta Corte osservò che il procedimento avviato dinanzi ad essa avrebbe potuto concludersi con un rinvio dinanzi alla corte d’appello se fosse risultato necessario riaprire l’istruzione al fine di ottenere le nuove prove richieste dal ricorrente.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. Il codice penale

32. L’articolo 319 del CP recita:

«Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare (…) un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni.»

L’articolo 319bis prevede le circostanze aggravanti del reato di cui sopra:

«Circostanze aggravanti. La pena è aumentata se il fatto di cui all'articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.»

L’articolo 319ter del CP dispone:

«Corruzione in atti giudiziari. Se i fatti indicati nell’articolo (…) 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

(...) se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni.»

B. Il codice di procedura penale

33. L’articolo 521 cc. 1 e 2 del CPP dispone:

«1. Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza.

2. Il giudice dispone (…) la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio (...)».

L’articolo 522 c. 1 del CPP recita:

«L'inosservanza delle disposizioni previste in questo capo è causa di nullità.»

C. La giurisprudenza della Corte di cassazione

34. Nella sentenza n. 45275 del 16 novembre 2001 la Corte di cassazione ha affermato che:

«L'articolo 319ter del codice penale (corruzione in atti giudiziari) configura un reato autonomo e non una circostanza aggravante ad effetto speciale rispetto ai delitti di corruzione previsti dagli articoli 318 e 319 dello stesso codice. In effetti, oltre al diverso nomen juris del delitto e al fatto che il secondo paragrafo dell'articolo prevede delle circostanze aggravanti, tale reato comporta l'elemento intenzionale specifico di favorire o danneggiare una parte al processo.»

D. La revisione del processo

35. L’articolo 630 del codice di procedura penale prevede i casi in cui una persona condannata può chiedere la revisione del processo. All’epoca dei fatti oggetto del presente ricorso non era possibile chiedere la revisione del processo sulla base di una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che avesse concluso che vi era stata violazione della Convenzione.
Con la sentenza n. 113 del 7 aprile 2011 la Corte costituzionale ha dichiarato l’articolo 630 del CPP incostituzionale in quanto non prevede la possibilità di chiedere la revisione della condanna allo scopo di ottenere la riapertura del processo quando ciò sia necessario, ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per effetto di tale sentenza (effetto additivo), l’articolo 630 del CPP è stato modificato: è ormai possibile presentare una domanda di revisione del processo sulla base di una sentenza della Corte che ha concluso che il processo non è stato equo.

III. LA RACCOMANDAZIONE N. R (2000) 2 DEL COMITATO DEI MINISTRI

36. Il 19 gennaio 2000, durante la 694a riunione dei Delegati dei Ministri, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato la Raccomandazione n. R(2000)2 sul riesame o la riapertura di alcune cause a livello interno a seguito di alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. La descrizione delle parti pertinenti di tale raccomandazione è contenuta nella sentenza Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2) ([GC], n. 19867/12, §§ 32-33, CEDU 2017.

IN DIRITTO

SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DELL’ARTICOLO 6 §§ 1 E 3 a) E b) DELLA CONVENZIONE

37. Il ricorrente lamenta anzitutto che i giudici nazionali non si sono conformati alle indicazioni derivanti dalla sentenza Drassich c. Italia (n. 25575/04, 11 dicembre 2007) e hanno nuovamente violato l’articolo 6 §§ 1 e 3 a) e b) della Convenzione, che recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.»

(...)

3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:

  1. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
  2. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (...)»

38. Il ricorrente lamenta inoltre di non aver potuto comparire personalmente dinanzi alla Corte di cassazione.

A. Sulla ricevibilità

39. Il Governo è convinto che la questione di stabilire se l’applicazione per analogia dell’articolo 625 bis del CPP abbia costituito una misura sufficiente di esecuzione della sentenza dell’11 dicembre 2007 sul piano individuale sia di competenza del Comitato dei Ministri in virtù dell’articolo 46 § 2 della Convenzione.

40. A questo proposito, egli ritiene che la presente causa sia simile alla causa Öcalan c. Turchia ((dec.), n. 5980/07, 6 luglio 2010), argomentando che il Comitato dei Ministri, con l’adozione della Risoluzione ResDH(2009)87 del 29 settembre 2009, ha messo fine al suo controllo sull’esecuzione della sentenza della Corte dell’11 dicembre 2007 e, dopo aver considerato gli elementi del fascicolo, ha concluso che lo Stato italiano aveva adempiuto agli obblighi che incombevano su di esso ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione e ha deciso di chiudere l’esame della causa.

41. Il Governo è del parere che la Corte non possa esaminare la presente causa senza sconfinare sulle competenze del Comitato dei Ministri previste dall’articolo 46 della Convenzione.

42. Il ricorrente precisa che il presente ricorso non verte sulle modalità di esecuzione della sentenza della Corte dell’11 dicembre 2007, ma è volto a mettere in discussione l’equità del nuovo procedimento penale avviato a seguito di detta sentenza.

43. La Corte ha recentemente esaminato la questione della propria competenza rispetto alle prerogative dello Stato convenuto e del Comitato dei Ministri nella sentenza Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2), sopra citata, §§ 47-51. Facendo riferimento alla propria giurisprudenza in materia, essa ha così riassunto i principi generali:

«47. La Corte rammenta che, nelle sentenze Bochan c. Ucraina (n. 2) [GC], n. 22251/08, CEDU 2015, e Verein gegen Tierfabriken Schweiz (VgT) c. Svizzera (n. 2) ([GC], n. 32772/02, CEDU 2009, nonché nella decisione Egmez c. Cipro ((dec.), n. 12214/07, §§ 48-56, 18 settembre 2012), ha esaminato la questione della competenza della Corte tenuto conto delle prerogative dello Stato convenuto e del Comitato dei Ministri derivanti dall’articolo 46 della Convenzione. I principi stabiliti dalla Corte in queste sentenze e in questa decisione possono essere riassunti come segue:

  1. Una constatazione di violazione nelle sue sentenze è essenzialmente declaratoria e, con l’articolo 46 della Convenzione, le Alte Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle sentenze della Corte nelle controversie alle quali sono parti, il Comitato dei Ministri è incaricato di sorvegliarne l’esecuzione (Verein gegen Tierfabriken Schweiz (VgT) (n. 2), sopra citata, § 61).
  2. Il ruolo del Comitato dei Ministri in questo ambito non significa comunque che le misure adottate da uno Stato convenuto al fine di porre rimedio alla violazione constatata dalla Corte non possano sollevare un problema nuovo, non esaminato dalla sentenza e, di conseguenza, essere oggetto di un ricorso nuovo di cui la Corte potrebbe essere investita. In altri termini, la Corte può accogliere un motivo di ricorso secondo cui la riapertura di un procedimento a livello nazionale, al fine di dare esecuzione ad una delle sue sentenze, ha dato luogo a una nuova violazione della Convenzione (ibid., § 62, Bochan (n. 2), sopra citata, § 33, e Egmez, decisione sopra citata, § 51).
  3. In base a ciò, la Corte si è dichiarata competente a esaminare dei motivi di ricorso formulati in un certo numero di cause che facevano seguito a delle sentenze rese da lei, ad esempio quando le autorità interne avevano proceduto ad un riesame del caso nell’ambito dell’esecuzione di una delle sue sentenze, che fosse mediante la riapertura del procedimento o la tenuta di un processo del tutto nuovo (Egmez, sopra citata, § 52, e i riferimenti citati).
  4. Risulta dalla giurisprudenza della Corte che la constatazione dell’esistenza di un «problema nuovo» dipende in larga misura dalle circostanze particolari della causa e che la distinzione non è sempre netta (Bochan (n. 2), sopra citata, § 34 e, per l’esame di questa giurisprudenza, decisione Egmez sopra citata, § 54). Non vi è travalicamento delle competenze che il Comitato dei Ministri trae dall’articolo 46 – sorvegliare l’esecuzione delle sentenze della Corte e valutare l’applicazione delle misure adottate dagli Stati ai sensi di tale articolo – quando la Corte conosce fatti nuovi nell’ambito di un nuovo ricorso (Verein gegen Tierfabriken Schweiz (VgT) (n. 2), sopra citata, § 67).

48. La Corte rammenta che non è competente a ordinare, in particolare, la riapertura di una procedura (ibid., § 89). Tuttavia, come risulta dalla raccomandazione n. R (2000) 2 del Comitato dei Ministri, si evince dalla prassi relativa al controllo dell’esecuzione delle sentenze della Corte che sussistono circostanze eccezionali in cui il riesame di una causa o la riapertura dei procedimenti risulta essere il mezzo più efficace, se non addirittura l’unico, per realizzare la restitutio in integrum, vale a dire ripristinare alla parte lesa, per quanto possibile, la situazione in cui si trovava prima della violazione della Convenzione. Tra le cause interessate da constatazioni di violazione formulate dalla Corte, quelle che in particolare necessitato del riesame o della riapertura riguardano, secondo la relazione della raccomandazione, il settore del diritto penale (paragrafi 32 e 33 supra).

49. Così, per quanto riguarda la riapertura di un procedimento, è chiaro che la Corte non è competente a ordinare una misura di questo tipo. Tuttavia, quando un individuo è stato condannato in seguito a un procedimento viziato da una violazione delle esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, la Corte può indicare che un nuovo processo o la riapertura della procedura, su richiesta dell’interessato, costituiscono in linea di principio un mezzo adeguato per porre rimedio alla violazione constatata (Verein gegen Tierfabriken Schweiz (VgT) (n. 2), sopra citata, § 89). Pertanto, nel contesto specifico delle cause relative all’indipendenza e all’imparzialità in Turchia delle corti di sicurezza dello Stato, la Corte ha dichiarato che, in linea di principio, la riparazione più appropriata sarebbe quella di far giudicare di nuovo il ricorrente da un tribunale indipendente e imparziale (Gençel c. Turchia, n. 53431/99, § 27, 23 ottobre 2003).

50. Questo approccio è stato confermato nelle sentenze Öcalan c. Turchia [GC], n. 46221/99, § 210, CEDU 2005-IV e Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, CEDU 2006 II. In questa ultima sentenza, la Corte ha posto i principi generali (§§ 126 e 127), che possono riassumersi come segue:

  1. Quando un individuo è stato condannato in seguito a un procedimento viziato da una violazione delle esigenze dell’articolo 6 della Convenzione un nuovo processo o una riapertura della procedura, su richiesta dell’interessato, costituiscono in linea di principio un mezzo adeguato per porre rimedio alla violazione constatata. Tuttavia, le misure di riparazione specifiche da adottare, se del caso, da uno Stato convenuto per adempiere agli obblighi che gli incombono in virtù della Convenzione dipendono necessariamente dalle particolari circostanze della causa e devono essere definite alla luce della sentenza pronunciata dalla Corte nella causa in questione, tenendo debitamente conto della giurisprudenza della Corte.
  2. In particolare, non spetta alla Corte indicare le modalità e la forma di un nuovo eventuale processo. Lo Stato convenuto rimane libero di scegliere i mezzi per adempiere al proprio obbligo di porre il ricorrente in una situazione il più possibile equivalente a quella in cui si troverebbe se non vi fosse stata inosservanza delle esigenze della Convenzione, a condizione che questi mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte e con i diritti della difesa.

51. In alcuni casi eccezionali, la natura stessa della violazione costatata non offre la scelta tra i diversi tipi di misure atte a porvi rimedio e la Corte è indotta ad indicare una sola di queste misure (si vedano, ad esempio, Assanidzé c. Georgia [GC], n. 71503/01, §§ 202 e 203, CEDU 2004 II, e Del Río Prada c. Spagna [GC], n. 42750/09, §§ 138 e 139, CEDU 2013). Al contrario, in alcune sentenze, la Corte stessa ha esplicitamente escluso la riapertura, dopo una constatazione di violazione dell’articolo 6 della Convenzione, delle procedure concluse con decisioni giudiziarie definitive (si veda, ad esempio, Henryk Urban e Ryszard Urban c. Polonia, n. 23614/08, § 66, 30 novembre 2010).»

44. Nella fattispecie, la Corte osserva che, in seguito alla sentenza che ha pronunciato l’11 dicembre 2007, il ricorrente ha adito la corte d’appello di Venezia per ottenere l’annullamento della sua condanna. Quest’ultima ha rinviato la causa dinanzi alla Corte di cassazione, che ha revocato la sentenza di condanna nella parte riguardante il reato di corruzione e ha deciso che era necessario un nuovo esame del ricorso per cassazione del ricorrente. È stato dunque avviato un procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, che si è concluso il 25 maggio 2009 con una nuova sentenza di condanna. Il ricorrente considera che la Corte di cassazione abbia nuovamente violato l’articolo 6 della Convenzione in quanto non avrebbe soddisfatto le esigenze del contraddittorio e non avrebbe garantito il suo diritto alla difesa.

45. Secondo la Corte, non vi sono dubbi sul fatto che il procedimento in questione sia nuovo e posteriore al procedimento penale oggetto della sua sentenza dell’11 dicembre 2007, sebbene rientri nell’ambito dell’esecuzione di quest’ultimo.

46. Inoltre, la Corte osserva che, con la Risoluzione ResDH(2009)87 che pone fine all’esame del ricorso n. 25575/04, il Comitato dei Ministri ha preso atto dell’apertura di una procedura di revisione della causa del ricorrente, indicando che, «nell’ambito del nuovo procedimento, la Corte di cassazione non mancherà di tenere conto delle esigenze della Convenzione in materia di processo equo». Perciò, il Comitato dei Ministri ha ritenuto che il governo italiano avesse adempiuto ai propri obblighi e ha chiuso la procedura di controllo senza tenere conto della sentenza della Corte di cassazione del 18 settembre 2009, di cui il Governo aveva omesso di informarla.

47. L’esame del Comitato dei Ministri non ha dunque riguardato la decisione giudiziaria che il ricorrente contesta attualmente dinanzi alla Corte e che costituisce pertanto, anche sotto questo profilo, un elemento nuovo, che non può essere sottratto a un controllo ai sensi della Convenzione.

48. Pertanto, la Corte ritiene che l’articolo 46 della Convenzione non le impedisca di esaminare le nuove doglianze presentate dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione.

49. La Corte osserva inoltre che quest’ultima disposizione si applica alla procedura controversa in quanto la Corte di cassazione doveva pronunciarsi nuovamente sulla fondatezza di un’accusa in materia penale in seguito alla riapertura del procedimento (Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2), sopra citata, § 60 e Nikitine c. Russia, n. 50178/99, § 60 in fine, CEDU 2004 VIII).

50. La Corte constata peraltro che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, e lo dichiara dunque ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

51. Il ricorrente afferma che, nel procedimento nazionale successivo alla sentenza con cui la Corte ha dichiarato che vi era stata violazione, i suoi diritti della difesa sono stati nuovamente violati, in particolare il diritto di essere informato in tempo utile della natura e dei motivi delle accuse formulate a suo carico, nonché il diritto a una difesa effettiva. A questo proposito, lamenta di essere stato ancora una volta vittima di una riqualificazione dei fatti in pejus da parte della Corte di cassazione, senza disporre della possibilità di difendersi dinanzi a un giudice di merito. Inoltre, lamenta di non avere potuto partecipare personalmente al suo processo.

52. Per quanto riguarda il suo motivo di ricorso relativo al diritto di essere informato adeguatamente della natura e del motivo dell’accusa, il ricorrente precisa che la sua doglianza non verte sull’assenza di informazione circa la possibilità che i fatti fossero riqualificati come corruzione in atti giudiziari, ma sulle condizioni nelle quali è avvenuta la riqualificazione, e sull’assenza del tempo e delle facilitazioni necessarie alla preparazione della sua difesa.

53. Fa osservare che, contrariamente a quanto affermerebbe il Governo, egli ha chiesto alla Corte di cassazione di concedergli un termine per preparare la sua difesa ed ha inoltre rivendicato il proprio diritto di partecipare al dibattimento dinanzi alla Corte di cassazione.

54. In ogni caso, il ricorrente considera che un’eventuale lacuna nella sua strategia difensiva non sia a lui ascrivibile in quanto egli ritiene di avere affrontato una procedura atipica e unica, ossia l’utilizzo per analogia della procedura correttiva degli errori materiali, nell’ambito della quale avrebbe cercato di avvalersi di tutte le prerogative che sembravano disponibili ai sensi delle disposizioni di legge pertinenti nel caso di specie.

55. A questo proposito, egli espone che, considerate le circostanze, era impossibile prevedere se la Corte di cassazione avrebbe dato alle parti la possibilità di discutere soltanto delle questioni di diritto o se avrebbe ordinato il rinvio dinanzi a un giudice di merito.

56. Il ricorrente afferma anche di essere stato l’unica persona processata vittima di questa situazione in quanto, dal 2011, sarebbe ormai possibile chiedere la revisione di una condanna sulla base di una sentenza di violazione della Corte, e beneficiare così di un procedimento dinanzi a un giudice di merito e rispettosa delle garanzie dell’articolo 6 della Convenzione.

57. Il ricorrente indica inoltre che la riqualificazione dell’accusa ha comportato una nuova valutazione dei fatti. Ora, egli ritiene che la riapertura del dibattimento sarebbe stata l’unica opzione rispettosa del suo diritto a una difesa effettiva in quanto, a suo parere, gli avrebbe permesso di presentare nuovi mezzi di prova a sostegno della sua difesa. Egli è del parere che la Corte di cassazione avrebbe dovuto decidere d’ufficio il rinvio del procedimento dinanzi alla corte d’appello, anche in assenza di una domanda esplicita in tal senso.

58. Infine, il ricorrente considera che il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione abbia pregiudicato il suo diritto a un processo equo anche per il fatto che, malgrado le sue richieste in tal senso, non ha potuto essere presente all’udienza.

59. Il Governo considera anzitutto che le doglianze del ricorrente costituiscano un quarto grado di giudizio in quanto sono già state oggetto di un esame sia al livello del Comitato dei Ministri che dei giudici nazionali, in particolare dei giudici che hanno esaminato e respinto la domanda di revisione presentata dal ricorrente nel 2011 e che hanno considerato soddisfacente il procedimento in contestazione. Il Governo ritiene che il ricorrente non possa reiterare le proprie doglianze dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione dinanzi alla Corte e rimettere in discussione la valutazione fatta da tali giudici.

60. Il Governo afferma peraltro che il ricorrente non ha mai chiesto alle autorità nazionali la riapertura del dibattimento dinanzi a un giudice di merito, ma si è limitato a rivendicare l’annullamento della sua condanna e ad affermare che i fatti a lui imputati erano prescritti. Esso ritiene che, pertanto, la Corte di cassazione, decidendo di qualificare i fatti come corruzione in atti giudiziari e osservando che il reato non era ancora prescritto, abbia deciso correttamente tenuto conto degli argomenti delle parti e di quelle che sarebbero le sue prerogative.

61. In ogni caso, il Governo ritiene che sia il ricorrente che il suo rappresentante legale fossero stati adeguatamente informati dalla sentenza della Corte di cassazione del 12 novembre 2008 della possibilità di una riqualificazione dei fatti di corruzione, e che sapessero o avrebbero dovuto sapere che l’udienza del 25 maggio 2009 sarebbe stata dedicata alla questione della riqualificazione del reato. Secondo il Governo il ricorrente ha beneficiato di tutto il tempo necessario, ossia cinque mesi, per preparare la sua difesa e presentare i suoi argomenti per il tramite del suo avvocato.

62. Peraltro, il Governo ritiene che l’impossibilità per il ricorrente di comparire personalmente dinanzi alla Corte di cassazione non costituisca di per sé un ostacolo per il diritto a un processo equo nella misura in cui il procedimento conteneva soltanto punti di diritto e non di fatto. Fa riferimento a tale proposito alla giurisprudenza della Corte in materia.

63. Il Governo aggiunge che il ricorrente ha rinunciato a chiedere la riapertura del suo processo e ad indicare nuovi mezzi di prova determinanti per la sua difesa che devono, di conseguenza, essere esaminati da un giudice di merito.

64. Considera che il ricorrente sia stato messo in condizione di esercitare tutti i diritti sanciti dall’articolo 6 della Convenzione e che le autorità non possano essere considerate responsabili del modo in cui l’interessato se ne è avvalso.

2. Valutazione della Corte

a) Sulla riqualificazione giuridica dell’accusa

65. La Corte rammenta che per valutare l’equità del procedimento quest’ultimo deve essere considerato nel suo complesso (si vedano, per esempio, le sentenze Miailhe c. Francia (n. 2), 26 settembre 1996, § 43, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV, e Imbrioscia c. Svizzera, 24 novembre 1993, § 38, serie A n. 275). Il paragrafo 3 a) dell’articolo 6 della Convenzione mostra la necessità di prestare estrema cura alla notifica dell’«accusa» all’interessato. L’atto d’accusa svolge un ruolo determinante nel procedimento penale: a decorrere dalla sua notifica, l’imputato è ufficialmente avvisato per iscritto della base giuridica e fattuale delle accuse formulate a suo carico. L’articolo 6 § 3 a) della Convenzione riconosce all’imputato il diritto di essere informato non soltanto della causa dell’«accusa», ossia dei fatti materiali che vengono posti a suo carico e sui quali si basa l’accusa, ma anche della qualificazione giuridica attribuita a tali fatti, e questo in maniera dettagliata (Pélissier e Sassi c. Francia [GC], n. 25444/94, § 51, CEDU 1999‑II).

66. La portata dei questa disposizione deve essere valutata in particolare alla luce del diritto più generale a un processo equo sancito dal paragrafo 1 dell’articolo 6 della Convenzione. In materia penale, un’informazione precisa e completa delle accuse formulate a carico dell’imputato, e dunque la qualificazione giuridica che il giudice potrebbe adottare nei suoi confronti, è una condizione fondamentale dell’equità del procedimento. A questo proposito, è opportuno osservare che le disposizioni dell’articolo 6 § 3 a) non impongono alcuna forma particolare per quanto riguarda il modo in cui l’imputato deve essere informato della natura e del motivo dell’accusa formulata a suo carico. La Corte rammenta inoltre che esiste un nesso tra i commi a) e b) dell’articolo 6 § 3 e che il diritto di essere informato della natura e del motivo dell’accusa deve essere considerato alla luce del diritto per l’imputato di preparare la sua difesa (ibidem, §§ 52-54).

67. Passando a esaminare i fatti della presente causa, la Corte osserva che la questione che si pone è se il procedimento penale avviato in seguito alla sentenza che ha pronunciato nella causa Drassich c. Italia fosse conforme agli standard della Convenzione e se il ricorrente sia stato nuovamente giudicato nel rispetto delle garanzie di un processo equo. Nella fattispecie, si tratta di esaminare anzitutto se il ricorrente sia stato adeguatamente informato della natura e del motivo dell’accusa formulata a suo carico.

68. A questo proposito, la Corte osserva che il procedimento penale è stato riaperto contro il ricorrente per permettere alla Corte di cassazione, ossia il giudice che aveva deciso la riqualificazione giudiziaria controversa, di adeguarsi alla sentenza di violazione della Corte di Strasburgo. In questo contesto, con la sentenza pronunciata il 12 novembre 2008, l’alta giurisdizione italiana ha deciso di revocare la condanna del ricorrente nella sua parte relativa all’accusa di corruzione in atti giudiziari e di procedere a un riesame del ricorso per cassazione del ricorrente al fine di permettere a quest’ultimo di dibattere la questione della qualificazione giuridica dell’accusa (paragrafo 21 supra).

69. La Corte ritiene che, tenuto conto dei motivi della riapertura del processo del ricorrente e alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione del 2008, non si possa considerare che il ricorrente non fosse in grado di prevedere la riqualificazione dei fatti a lui ascritti di corruzione in atti giudiziari.

70. A questo proposito, per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo il quale solo un notifica formale dell’accusa formulata nei suoi confronti sarebbe stata conforme alla Convenzione, la Corte rammenta ancora una volta che le disposizioni dell’articolo 6 § 3 a) non impongono alcuna forma particolare per quanto riguarda il modo in cui l’imputato deve essere informato della natura e del motivo dell’accusa formulata a suo carico. Perciò, la cosa importante è stabilire se, malgrado l’assenza di una notifica formale delle accuse di corruzione in atti giudiziari, il ricorrente sia stato informato adeguatamente e in tempo utile per permettergli di preparare la sua difesa.

71. La Corte deve pertanto esaminare se il ricorrente abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull’accusa alla fine formulata nei suoi confronti. Essa osserva a questo proposito che, nei cinque mesi successivi alla revoca parziale della condanna e alla riapertura del processo, l’interessato ha potuto depositare dinanzi alla Corte di cassazione due memorie scritte. Inoltre, l’avvocato del ricorrente ha discusso oralmente la causa all’udienza del 25 maggio 2009.

72. Inoltre, il ricorrente non ha dimostrato di aver presentato argomenti che non avrebbero potuto essere presi in considerazione dalla Corte di cassazione, o che quest’ultima si fosse basata su elementi di diritto o di fatto che non sarebbero stati dibattuti durante il processo.

73. Inoltre, per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo il quale il principio del contraddittorio non è stato rispettato vista l’impossibilità di discutere questioni di fatto dinanzi alla Corte di cassazione, la Corte osserva con il Governo che il ricorrente in nessun momento ha contestato, nemmeno in maniera accessoria, il modo in cui il tribunale e la corte d’appello avevano accertato i fatti di causa. Dal fascicolo non risulta neppure che la difesa del ricorrente avesse chiesto in un determinato momento la riapertura dell’istruzione al fine di ottenere nuove prove a discarico. Invece, nelle sue osservazioni, il ricorrente si è limitato a chiedere la cassazione senza rinvio della sua condanna a causa, in particolare, della prescrizione dei fatti a lui ascritti. In queste condizioni, tenuto conto delle questioni all’esame della cassazione, la Corte non vede per quali motivi la causa avrebbe dovuto essere rinviata d’ufficio dinanzi a un giudice di merito.

74. Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che i diritti del ricorrente di essere informato dettagliatamente della natura e del motivo dell’accusa formulata nei suoi confronti e di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa non siano stati violati (si vedano Dallos c. Ungheria, n. 29082/95, § 52, CEDU 2001 II, e, a contrario, D.M.T. e D.K.I. c. Bulgaria, n. 29476/06, § 84, 24 luglio 2012).

b) Sull’impossibilità di comparire dinanzi alla Corte di cassazione

75. La Corte rammenta che la comparizione di un imputato riveste una importanza fondamentale nell’interesse di un processo penale equo e giusto. Tuttavia, il modo in cui l’articolo 6 § 1 della Convenzione si applica alle corti d’appello o di cassazione dipende dalle particolarità del procedimento in questione. Si deve tenere conto del processo complessivamente condotto nell’ordinamento giuridico interno e del ruolo che ha svolto in tale processo la Corte di cassazione. Perciò, una procedura che prevede soltanto punti di diritto e non di fatto può soddisfare le esigenze dell’articolo 6 anche se all’appellante non è stata offerta la possibilità di comparire dinanzi alla corte d’appello o alla Corte di cassazione (Meftah e altri c. Francia [GC], nn. 32911/96, 35237/97 e 34595/97, § 41, CEDU 2002-VII, De Jorio c. Italia (dec.), n. 73936/01, 6 marzo 2003, e Hermi c. Italia [GC], n. 18114/02, §§ 58-67, CEDU 2006 XII).

76. Nella fattispecie, la Corte ha osservato che la Corte di cassazione si è concentrata esclusivamente su punti di diritto e non ha esaminato questioni di fatto, per le quali sarebbe stata necessaria la presenza del ricorrente all’udienza. Di conseguenza il diritto del ricorrente a un processo equo non è stato ostacolato nemmeno da questo punto di vista.

c) Conclusione

77. Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte conclude che non vi è stata nel caso di specie violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 22 febbraio 2018, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente

Abel Campos
Cancelliere