Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell' 8 febbraio 2018 - Ricorso n. 50821/06 - Causa Guiso e Consiglio c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 50821/06
Paolo e Alessandro GUISO e Vincenza CONSIGLIO

contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in data 16 gennaio 2018 in una Camera composta da:

Linos-Alexandre Sicilianos, Presidente,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Krzysztof Wojtyczek,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo,
Jovan Ilievski, giudici,
e Abel Campos, cancelliere di sezione,

visto il ricorso sopra menzionato presentato in data 11 dicembre 2006,

dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

1. I ricorrenti, il Sig. Paolo Guiso (“il primo ricorrente”) e il Sig. Alessandro Guiso (“il secondo ricorrente”) sono cittadini italiani nati rispettivamente nel 1962 e nel 1960. La Sig.ra Vincenza Consiglio (“la terza ricorrente”) era una cittadina italiana nata nel 1929. È deceduta il 2 febbraio 2008. Il primo e il secondo ricorrente sono suoi eredi e hanno espresso il desiderio di proseguire il procedimento dinanzi alla Corte, dinanzi alla quale sono stati rappresentati dall’avvocato P. Guiso, del foro di Nuoro.

A. Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dai ricorrenti, si possono riassumere come segue.

3. I ricorrenti erano comproprietari di varie porzioni di più lotti di terreno edificabile siti a Nuoro.

4. I lotti in questione – la cui superficie totale ammontava a 13.614 metri quadrati – erano distinti nel catasto terreni al foglio n. 43, particelle 1141, 1147, 1148, 1339, 1136, 1137, 1143, e 1146.

5. Con diversi decreti emessi tra il marzo e l’ottobre del 1991 il Consiglio comunale di Nuoro approvò un progetto finalizzato alla costruzione di un complesso residenziale sul terreno dei ricorrenti.

6. Con quattro decreti emessi dal sindaco di Nuoro in data 18 ottobre 1991, mediante una procedura d’urgenza e sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità, il Comune di Nuoro fu autorizzato a occupare i summenzionato lotti, al fine di espropriarli successivamente. Il formale decreto di espropriazione avrebbe dovuto essere emesso entro il 31 dicembre 1995.

7. Nel novembre 1991 le autorità occuparono materialmente il terreno e iniziarono le opere edilizie.

8. Con decreto emesso dal Consiglio comunale di Nuoro in data 12 dicembre 1995, il termine per emettere il decreto di espropriazione fu prorogato al 31 ottobre 1996.

9. Con decreto del 21 agosto 1996 il Consiglio comunale di Nuoro prorogò ulteriormente il termine per emettere il decreto di espropriazione.

10. In data 11 ottobre 1996 fu emesso un decreto di espropriazione in ordine al terreno.

11. In data 24 gennaio 1997 i ricorrenti presentarono ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna (“il Tribunale amministrativo regionale”), contestando la legittimità dei decreti emessi dal sindaco in data 18 ottobre 1991 e dei decreti di proroga del termine per emettere il decreto di espropriazione.

12. Con sentenza del 12 maggio 1999 il Tribunale concluse che i decreti di proroga del termine per emettere il decreto di espropriazione erano illegittimi e che, conseguentemente, era illegittimo anche il decreto di espropriazione dell’11 ottobre 1996.

13. In data 22 novembre 2000 i ricorrenti adirono il Tribunale amministrativo regionale chiedendo di essere risarciti per essere stati illegittimamente privati della loro proprietà, invocando la sentenza pronunciata dallo stesso Tribunale in data 12 maggio 1999. A tale riguardo chiesero un importo pari al valore di mercato del bene alla data in cui il terreno era stato trasformato irreversibilmente, oltre a una somma che rispecchiasse la rivalutazione per l’inflazione e gli interessi legali. Sostennero inoltre che l’applicazione della norma relativa alla “occupazione acquisitiva”, che sarebbe stata probabilmente applicata nel loro caso, era stata ritenuta dalla Corte incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

14. In data imprecisata il Tribunale dispose una perizia del terreno. La relazione prodotta nel settembre 2004 dichiarò che la superficie di terreno interessata era pari a 13.614 metri quadrati, e che nel maggio 1996 il valore di mercato del terreno ammontava a 122.32 euro (EUR) al metro quadrato.

15. Con sentenza del 24 gennaio 2005 il Tribunale ritenne che, ai sensi della norma relativa all’occupazione appropriativa, i ricorrenti non erano più proprietari del terreno, che era diventato di proprietà del Comune di Nuoro a seguito dell’ultimazione delle opere pubbliche. Rigettò il rilievo dei ricorrenti secondo il quale la norma relativa all’occupazione appropriativa era incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Il tribunale riconobbe tuttavia che, dato che il trasferimento della proprietà era illegittimo, i ricorrenti avevano diritto al risarcimento. A tale riguardo si basò sulla perizia che aveva valutato il valore di mercato del terreno in EUR 122.32 al metro quadrato. Il Tribunale tuttavia non accordò un risarcimento rispecchiante il valore di mercato e procedette invece liquidando un importo sulla base dei criteri di cui all’articolo 5 bis del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, come modificato dalla Legge n. 662 del 1996. Tutte le somme dovevano essere rivalutate per l’inflazione e comprendere gli interessi legali, con decorrenza dalla data in cui l’occupazione del terreno dei ricorrenti aveva cessato di essere legittima, data che il Tribunale individuò nel 1 gennaio 1996.

16. In data 24 maggio 2005 i ricorrenti proposero appello al Consiglio di Stato. Contestarono la qualificazione giuridica effettuata dal giudice inferiore delle modalità con cui erano stati privati del loro bene e lamentarono che la riduzione del loro risarcimento era incompatibile con il loro diritto di proprietà. Affermarono, inter alia, di aver diritto a un risarcimento corrispondente al valore di mercato del terreno, e a una somma per la perdita del godimento del terreno. Lamentarono anche il fatto che la somma liquidata sarebbe stata soggetta a tassazione.

17. In data 16 febbraio 2006 il Comune di Nuoro versò ai ricorrenti le somme dovute per effetto della sentenza del Tribunale amministrativo regionale. La somma che ricevettero congiuntamente ammontava a EUR 429.814,64. Su tali somme fu operata alla fonte una ritenuta d’imposta del 20%.

18. In data 2 febbraio 2008 la terza ricorrente decedette.

19. In data 2 ottobre 2009 il Consiglio di Stato pronunciò una sentenza in cui dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere la domanda dei ricorrenti.

20. I ricorrenti proposero ricorso alla Corte di cassazione al fine di dirimere la questione della giurisdizione.

21. In data 12 gennaio 2011 essa statuì, a Sezioni Unite, che l’azione risarcitoria dei ricorrenti apparteneva alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la questione in gioco era riconducibile all’esercizio illegittimo del pubblico potere.

22. In data imprecisata i ricorrenti riassunsero l’appello dinanzi al Consiglio di Stato. Contestarono la qualificazione giuridica effettuata dal giudice inferiore delle modalità con cui erano stati privati del loro bene e lamentarono che la riduzione del loro risarcimento era incompatibile con il loro diritto di proprietà. Chiesero al giudice un risarcimento corrispondente al valore di mercato del terreno e a una somma per la perdita del godimento del bene. Lamentarono anche il fatto che la somma liquidata sarebbe stata soggetta a tassazione.

23. Con sentenza pronunciata in data 12 luglio 2011, depositata in cancelleria il 2 novembre 2011, il Consiglio di Stato confermò che i ricorrenti erano stati privati del loro bene illegittimamente. Richiamò successivamente la sentenza della Corte costituzionale 24 ottobre 2007, n. 349 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5 bis del decreto legislativo 11 luglio 1992, n. 333, come modificato dalla Legge n. 662 del 1996, e ritenne che i ricorrenti avessero diritto a un risarcimento corrispondente all’integrale valore venale del bene, dal quale doveva essere detratto quanto già pagato per effetto della sentenza del Tribunale amministrativo regionale. Il Collegio dichiarò inoltre che i ricorrenti avevano diritto a una somma da rivalutare per l’inflazione, nonché agli interessi legali con decorrenza dalla data della sottrazione del bene. Accordò loro anche la somma di EUR 50.000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Il tribunale si dichiarò incompetente a esaminare la censura concernente la tassabilità del risarcimento.

24. In data 25 maggio 2012 il Comune di Nuoro versò ai ricorrenti le rimanenti somme dovute loro per effetto della sentenza del Consiglio di Stato, che equivalevano a EUR 480.757,76. Su tali somme fu operata alla fonte una ritenuta d’imposta del 20%.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

1. L’espropriazione indiretta (“occupazione acquisitiva”, “occupazione appropriativa” o “accessione invertita”)

25. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi all’espropriazione indiretta si trovano nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia ((equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 18-48, 22 dicembre 2009).

26. Con sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ritenne che il diritto nazionale dovesse essere compatibile con la Convenzione, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte, e, per l’effetto, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5-bis del decreto legislativo 11 luglio 1992 n. 333, come modificato dalla Legge n. 662 del 1996.

27. Con la sentenza n. 349 osservò che l’insufficiente livello di indennizzo previsto dalla Legge n. 662 del 1996 era in contrasto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e con l’articolo 117 della Costituzione italiana, che imponeva l’osservanza degli obblighi internazionali.

28. A seguito delle sentenze della Corte costituzionale si verificarono diverse modifiche nel diritto interno. L’articolo 2 comma 89 lettera e) della Legge finanziaria (Legge n. 244) del 24 dicembre 2007 stabilì che, in caso di espropriazione indiretta, il risarcimento da versare dovesse corrispondere al valore venale del bene in questione e non potesse essere ridotto.

2. La tassazione ai sensi della Legge n. 413/1991

29. La legge 30 dicembre 1991, n. 413 (in prosieguo “la Legge n. 413/1991”) fu elaborata, inter alia, per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento.

30. Le parti pertinenti dell’articolo 11 comma 5 prevedono che le plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio o di somme dovute per effetto di forme illegittime di acquisizione di un bene (somme dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazione di urgenza divenute illegittime) versate a soggetti che non esercitano imprese commerciali sono tassabili ai sensi del Testo unico delle imposte sui redditi.

31. Quanto ai mezzi pratici di applicazione dell’imposta, l’articolo 11 comma 7 prevede che all’atto della corresponsione delle somme di cui all’articolo 11 comma 5, compreso, inter alia, il risarcimento danni da occupazione acquisitiva, gli enti eroganti devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20% dell’intera somma. È facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto dell’imposta finale dovuta.

DOGLIANZE

32. I ricorrenti hanno sostenuto di essere stati privati illegittimamente del loro terreno e che tale situazione aveva violato il loro diritto al pacifico godimento dei loro beni, garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1. Hanno sottolineato il fatto che la Corte aveva ritenuto in molte occasioni l’applicazione della regola della “occupazione acquisitiva” incompatibile con la Convenzione.

33. I ricorrenti hanno inoltre argomentato che, benché i tribunali interni avessero riconosciuto il carattere illegittimo dell’espropriazione e avessero concesso un risarcimento pari al valore di mercato del terreno, rivalutato la somma per l’inflazione, aggiunto gli interessi legali e una somma a titolo di danno non patrimoniale, essi non avevano percepito un risarcimento che poteva essere considerato “appropriato e sufficiente”, a causa della tassazione imposta. A loro avviso l’applicazione della misura fiscale aveva comportato che in definitiva essi avevano percepito una somma pari soltanto all’80% del valore di mercato del terreno. Il prelievo fiscale, benché formalmente camuffato da un’imposta, costituiva pertanto un espediente legislativo per ridurre del 20% le spese di acquisizione di terreni per fini di pubblica utilità.

34. A sostegno della loro tesi secondo la quale la situazione è incompatibile con la giurisprudenza della Corte, i ricorrenti hanno sottolineato che la Corte, quando accordava un’equa soddisfazione in cause relative a espropriazioni legittime e illegittime, aveva sempre inserito l’espressione “oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta”. A tale riguardo hanno citato, tra altre cause, la causa Guiso-Gallisay c. Italia ((equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009, § 106 e il dispositivo di tale sentenza).

35. I ricorrenti hanno sottolineato che l’imposta in questione non era stata applicata a un risarcimento per espropriazione liquidato a seguito di una legittima sottrazione di un bene ma, piuttosto, al risarcimento di un danno patrimoniale e non patrimoniale per la sottrazione di un bene, della quale i tribunali interni avevano riconosciuto l’illegittimità. Hanno sostenuto che si trattava dell’unico esempio a livello nazionale in cui la somma liquidata a titolo di risarcimento era tassabile.

36. I ricorrenti hanno infine lamentato ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione che l’applicazione della Legge n. 662 del 1996 al loro caso aveva prodotto effetti discriminatori.

IN DIRITTO

37. In relazione alle doglianze di cui sopra, i ricorrenti hanno invocato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che recita:

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

38. La Corte rileva innanzitutto che i ricorrenti sono stati privati del loro bene per mezzo di un’espropriazione indiretta o “appropriativa”, ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni che la Corte ha precedentemente ritenuto, in un elevato numero di casi, incompatibile con il principio di legalità, e che ha condotto alla constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, §§ 63-73, CEDU 2000 VI; Guiso-Gallisay c. Italia, n. 58858/00, §§ 93-97, 8 dicembre 2005; De Caterina e altri c. Italia, n. 65278/01, §§ 30-34, 28 giugno 2011; e, più recentemente, Messana c. Italia, n. 26128/04, §§ 38-43, 9 febbraio 2017). Il fascicolo non contiene elementi che possano condurre la Corte a pervenire a una diversa conclusione nel caso di specie.

39. Detto ciò, la Corte rileva inoltre che – come ammesso anche dai ricorrenti – il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la sottrazione del bene era stata illegittima e, sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 24 ottobre 2007, ha ritenuto che i ricorrenti avessero diritto a un risarcimento in conformità ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte (si veda il paragrafo 23 supra). La Corte è convinta che ciò equivalga, in sostanza, a un riconoscimento da parte dei tribunali interni della violazione lamentata. Successivamente alla determinazione, il tribunale ha accordato un importo pari al valore di mercato del terreno all’epoca in cui essi erano stati privati del loro bene, incrementato da un importo che rispecchiava la rivalutazione per l’inflazione nonché gli interessi legali con decorrenza dalla data in cui erano stati privati del loro bene. In una causa simile la Corte ha ritenuto che la concessione di un importo analogo costituisse un risarcimento appropriato e sufficiente per la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 subita dal ricorrente e ha concluso che il ricorrente non poteva più essere considerato vittima della violazione lamentata (si veda Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, §§ 35-37, 12 febbraio 2013). La Corte non vede motivo per discostarsi dall’approccio che ha adottato in tale causa. La Corte sottolinea inoltre che nel caso di specie il Consiglio di Stato aveva liquidato un’ulteriore somma, pari a EUR 50.000, per il danno non patrimoniale subito in ragione del carattere illegittimo della sottrazione del bene (si veda il paragrafo 23 supra).

40. Ciononostante i ricorrenti hanno sostenuto che il risarcimento liquidato dal Consiglio di Stato, che essi non hanno apparentemente lamentato per se, era insufficiente a causa dell’imposta applicata sulla somma percepita. La Corte rileva che il fascicolo non contiene prove che dimostrino che, dopo aver sollevato la questione in epoca prematura (si vedano i paragrafi 22 e 23 supra), i ricorrenti abbiano lamentato l’aspetto della tassazione dinanzi ai tribunali interni successivamente alla effettiva applicazione della misura fiscale. Essa non ritiene tuttavia necessario pronunciarsi in via definitiva su tale questione in quanto tale parte della doglianza è in ogni caso irricevibile per le ragioni esposte in prosieguo.

41. La Corte rileva innanzitutto che la ritenuta fiscale contestata era stata imposta ai ricorrenti dal Comune di Nuoro ai sensi della legge 413/1991, che disciplina, inter alia, il prelievo fiscale sulle indennità concesse sia per gli espropri legittimi che per quelli illegittimi (si vedano i paragrafi 30 e 31 supra). La Corte ritiene pertanto che esaminare la doglianza dei ricorrenti dal punto di vista della disciplina dell’uso dei beni “per assicurare il pagamento delle imposte” costituisca l’approccio più appropriato (si veda National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 79, Reports of Judgments and Decisions 1997 VII). Ad avviso della Corte, pertanto, la ritenuta fiscale operata nel caso di specie non dovrebbe essere esaminata nel quadro del risarcimento concesso per la sottrazione del bene ma, piuttosto, ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo1 del Protocollo n. 1.

42. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Gasus Dosier- und Fördertechnik GmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 62, Serie A n. 306 B, e N.K.M. c. Ungheria, n. 66529/11, § 42, 14 maggio 2013), un’ingerenza, anche derivante da una misura finalizzata ad assicurare il pagamento delle imposte, deve pervenire a un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale della collettività e il requisito di tutela dei diritti fondamentali della persona. La preoccupazione di conseguire tale equilibrio è rispecchiata dalla struttura complessiva dell’articolo 1, compreso il secondo paragrafo: deve pertanto esservi un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e i fini perseguiti. I ricorrenti non devono infine sopportare un onere individuale eccessivo (si veda Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 73, Serie A n. 52).

43. Inoltre, nel determinare se tale requisito sia stato soddisfatto, è riconosciuto che uno Stato contraente, non da ultimo quando formula e attua politiche in materia fiscale, gode di un ampio margine di apprezzamento, e la Corte ha coerentemente dichiarato l’intenzione di rispettare la valutazione del legislatore in tali materie, a meno che essa non sia priva di ragionevole fondamento (si vedano Gasus Dosier- und Fördertechnik GmbH, sopra citata, § 60; Imbert de Trémiolles c. Francia (dec.), nn. 25834/05 e 27815/05 (riunite), 4 gennaio 2008; e Arnaud e altri c. Francia, nn. 36918/11 e altri 5, § 25, 15 gennaio 2015). In realtà spetta principalmente alle autorità nazionali decidere il tipo di imposte o di contributi che intendono imporre, in quanto le decisioni in tale materia comportano usualmente la valutazione di questioni politiche, economiche e sociali che la Convenzione lascia alla competenza degli Stati parti, poiché le autorità interne sono più idonee della Corte sotto tale profilo (si veda N.K.M. c. Ungheria, sopra citata, § 57).

44. Passando alla questione di sapere se nella causa in esame sia stato conseguito un giusto equilibrio, la Corte ritiene innanzitutto che l’elaborazione di norme fiscali sostanziali che prescrivevano di tassare le plusvalenze derivanti dall’esproprio di beni rientrasse ampiamente nell’ambito del giudizio discrezionale del legislatore italiano. Conseguentemente, la normativa in quanto tale non può essere considerata arbitraria (si vedano Di Belmonte c. Italia, n. 72638/01, § 42, 16 marzo 2010, e mutatis mutandis, Arnaud e altri, sopra citata, § 27). Inoltre, le scelte in ordine alla tipologia e all’ammontare della tassazione da imporre, ma anche la connessa questione della determinazione del reddito imponibile, rientrano nelle questioni che il legislatore interno può certamente valutare e decidere meglio della Corte (si vedano mutatis mutandis, Gáll c. Ungheria, n. 49570/11, § 56, 25 giugno 2013; Baláž c. Slovacchia (dec.), n. 60243/00, 16 settembre 2003; e Spampinato c. Italia (dec.), n. 69872/01, 29 marzo 2007). La Corte ritiene che lo stesso valga per quanto riguarda la scelta dello strumento concreto di attuazione, ovvero la detrazione alla fonte, con facoltà per il contribuente di optare per la tassazione ordinaria. In considerazione di quanto sopra, la Corte ritiene che, nel caso di specie, allo Stato convenuto debba essere accordato un margine di apprezzamento particolarmente ampio.

45. Rimane da accertare se si possa ritenere che la misura fiscale contestata abbia imposto ai ricorrenti un onere irragionevole o sproporzionato.

46. La Corte ritiene innanzitutto che la ritenuta fiscale applicata nel caso di specie, pari al 20% del totale dell’indennità di esproprio accordata, non possa essere considerata, dal punto di vista quantitativo, proibitiva. Inoltre non si può affermare che la detrazione di tale somma abbia avuto l’effetto di annullare o vanificare sostanzialmente l’indennità di esproprio liquidata dal Consiglio di Stato, al punto di conferire all’onere fiscale un carattere “confiscatorio”, e neanche che abbia condotto a una situazione paradossale mediante la quale lo Stato ha tolto con una mano, ovvero con il prelievo fiscale, più di quanto abbia concesso con l’altra, ovvero con l’indennità di esproprio (si veda mutatis mutandis, nel contesto dell’applicazione delle spese processuali, Perdigão c. Portogallo [GC], n. 24768/06, § 72, 16 novembre 2010). In altre parole, la Corte è convinta del fatto che le misure fiscali applicate nel caso di specie non siano giunte al punto di compromettere la sostanza stessa dei diritti di proprietà dei ricorrenti.

47. La Corte rileva inoltre che il fascicolo non contiene prove – e in ogni caso non è sostenuto dai ricorrenti – che dimostrino che il prelievo di tale somma abbia compromesso in maniera determinante la situazione finanziaria dei ricorrenti. Questo è uno dei fattori cui la Corte attribuisce importanza quando valuta se in un determinato caso sia stato conseguito un giusto equilibrio (si veda N.K.M. c. Ungheria, sopra citata, § 42 e gli ulteriori riferimenti ivi citati).

48. Nella sua valutazione la Corte ha tenuto conto anche del carattere della somma soggetta a tassazione e del fine cui essa era funzionale (ibid., § 68). Nel caso di specie la somma liquidata era finalizzata a fornire riparazione per un atto illecito dell’amministrazione. In tale contesto, i ricorrenti hanno argomentato che, data l’illegittimità dell’esproprio (si vedano i paragrafi 14-16 supra), essi avrebbero dovuto essere esentati da qualsiasi imposta, così come avviene per i ricorrenti nel procedimento dinanzi alla Corte.
È vero che la Corte può in alcuni casi esentare dalla tassazione – e lo fa spesso – le somme che accorda ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione. Il motivo sottostante è di impedire che lo Stato convenuto riprenda parzialmente, o perfino integralmente, la somma accordata dalla Corte. La concessione di tale esenzione non è tuttavia automatica. In particolare, in caso di concessione di un risarcimento per i mancati guadagni o profitti commerciali, che sarebbero stati ordinariamente tassabili, può essere inopportuno esentarli dalla tassazione (si veda, per esempio, Heldenburg c. Repubblica ceca (equa soddisfazione), n. 65546/09, 9 febbraio 2017, concernente un reddito da locazione). La Corte decide in ciascun caso se un’esenzione sia o non sia appropriata (si veda, per esempio, Vistiņš e Perepjolkins c. Lettonia (equa soddisfazione) [GC], n. 71243/01, § 43, CEDU 2014).
Il caso di specie concerne un’imposta prevista dalla legislazione interna e applicata a livello interno. La clausola di esenzione contenuta nelle sentenze della Corte che, come spiegato sopra, si applica, se del caso, alle somme accordate per equa soddisfazione ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, non può essere considerata applicabile per mera analogia alle somme accordate a livello nazionale, anche se il fine della concessione di tali somme era simile. La Corte richiama inoltre l’attenzione sul fatto che i tribunali interni hanno riconosciuto che la sottrazione del bene dei ricorrenti non era prevista dalla legge e hanno accordato la somma di EUR 50.000 per risarcirli del danno non patrimoniale subito a causa del carattere illegittimo dell’espropriazione del loro terreno.

49. La Corte ritiene inoltre pertinente sottolineare che i ricorrenti, ai sensi della normativa in esame, avevano facoltà, se lo desideravano, di optare per la tassazione ai sensi dell’ordinario sistema di imposte sul reddito, in quanto i contribuenti possono scegliere di accettare la detrazione del 20% applicata alla somma ottenuta, oppure optare per la tassazione ordinaria, che determina l’importo dovuto come imposta tenendo conto delle plusvalenze unitamente alle altre componenti del loro reddito (si veda il paragrafo 31 supra).

50. Per quanto sopra esposto e tenendo conto dell’ampio margine di apprezzamento di cui godono gli Stati in materia fiscale, la Corte ritiene che il prelievo dell’imposta sull’indennità di esproprio liquidata ai ricorrenti non abbia sconvolto l’equilibrio che deve essere conseguito tra la tutela dei diritti dei ricorrenti e l’interesse pubblico di assicurare il pagamento delle imposte.

51. Conseguentemente la presente doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 lettera a) e 4 della Convenzione.

52. In ordine alla doglianza ai sensi dell’articolo 14, alla luce di tutto il materiale di cui è in possesso, e nella misura in cui le questioni lamentate sono di sua competenza, nel caso di specie la Corte non rileva alcuna apparenza di violazione del summenzionato articolo della Convenzione.

53. Ne consegue che la presente doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 lettera a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 8 febbraio 2018.

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente

Abel Campos
Cancelliere