Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 novembre 2017 - Ricorso n. 37199/05 - Causa Messana c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MESSANA c. ITALIA

(Ricorso n. 37199/05)

SENTENZA

STRASBURGO

16 novembre 2017

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Messana c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:
Kristina Pardalos, presidente,
Ksenija Turković,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 ottobre 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 37199/05) presentato contro la Repubblica italiana con cui tre cittadini di questo Stato, il sig. Calogero Messana e le sigg.re Rosa e Giuseppa Marianna Messana («i ricorrenti»), hanno adito la Corte l’8 agosto 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avvocato G. Ingrascí, del foro di Catania. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente N. Lettieri, e dal suo co-agente P. Accardo.

3. Il 29 maggio 2007 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1946, 1944 e 1948 e risiedono a Caltanissetta.

5. I ricorrenti erano comproprietari di un terreno di 932 metri quadrati situato a Canicattì, registrato al catasto foglio 67, particella 14.

6. Con decreto del 3 luglio 1975, il comune di Canicattí autorizzò l’Istituto autonomo di gestione delle case popolari (IACP) a occupare d’urgenza il terreno per un periodo di cinque anni, in vista della sua espropriazione, al fine di costruirvi delle case popolari.

7. Il terreno fu occupato materialmente il 14 luglio 1975. I lavori di costruzione terminarono il 18 luglio 1977.8. Il 13 febbraio 1981 l’amministrazione offrì una somma a titolo di acconto sull’indennità di espropriazione, che fissò in 1.514.500 lire (ITL). Il 27 marzo 1985, la somma fu versata alla Cassa Depositi e Prestiti
9. Con decreto del 14 gennaio 1986, il comune dichiarò l’espropriazione formale del terreno.

10. Con atto notificato l’11 gennaio 1991, i ricorrenti avviarono dinanzi al tribunale di Agrigento un ricorso per risarcimento danni contro il comune di Canicattì e lo IACP. Sostenevano che l’occupazione dei terreni era illegittima e che i lavori di costruzione erano terminati senza procedura formale di espropriazione dei terreni e senza il pagamento di una indennità. Chiedevano una somma corrispondente al valore venale del terreno e una indennità di occupazione.

11. Nel corso del procedimento il tribunale ordinò una perizia tecnica. Il 21 gennaio 1994 la perizia fu depositata in cancelleria. Secondo il perito, il periodo di occupazione autorizzata era terminato il 3 luglio 1980 e il valore venale del terreno a questa data era di 36,15 EUR al metro quadrato per un totale di 65.240.000 ITL (33.691 EUR).

12. Con sentenza del 23 gennaio 1997, il tribunale di Agrigento constatò che la trasformazione del terreno era avvenuta durante il periodo di occupazione legittima. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di espropriazione indiretta, la proprietà del terreno era stata trasferita all’amministrazione il 3 luglio 1980, vale a dire alla data di scadenza del periodo di occupazione autorizzata. Tuttavia, il tribunale dichiarò che ai ricorrenti non era dovuta alcuna indennità perché l’azione di risarcimento danni era soggetta a un termine di prescrizione di cinque anni a decorrere dal 3 luglio 1980.

13. Il 17 marzo 1998 i ricorrenti interposero appello.

14. Con sentenza del 7 aprile 2000, la corte d’appello di Palermo rigettò l’appello affermando che la data a partire dalla quale il termine di prescrizione quinquennale aveva cominciato a decorrere era il 27 marzo 1985, vale a dire il giorno in cui l’amministrazione aveva versato l’acconto sulla indennità di espropriazione. Pertanto, il diritto dei ricorrenti a un risarcimento era prescritto

15. I ricorrenti proposero ricorso per cassazione.

16. Con sentenza dell’11 marzo 2005, la Corte di cassazione annullò la sentenza di secondo grado e rinviò la causa ad un’altra sezione della corte d’appello di Palermo affermando che la corte d’appello non aveva sufficientemente motivato la sua decisione per quanto riguardava il momento a partire dal quale il termine di prescrizione aveva iniziato a decorrere nel caso di specie.

17. Con sentenza del 26 marzo 2009, la corte d’appello di Palermo confermò la sentenza del tribunale di Agrigento del 31 gennaio 1997. In assenza di ricorso per cassazione, la suddetta sentenza divenne definitiva.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

18. Per quanto riguarda il diritto e la prassi interni pertinenti nella presente causa, la Corte rinvia alla sentenza Messana c. Italia, n. 26128/04, §§ 17-20, 9 febbraio 2017.

IN DIRITTO

I. SULLA DOMANDA DI CANCELLAZIONE DEL RICORSO DAL RUOLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE

19. Dopo il fallimento dei tentativi di composizione amichevole, il 4 ottobre 2016 il Governo ha informato la Corte di aver formulato una dichiarazione unilaterale al fine di risolvere la questione sollevata con il ricorso. Il Governo ha invitato la Corte a cancellare il ricorso dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 della Convenzione dietro versamento di una somma complessiva (259.072 EUR), a copertura di tutti i danni materiali e morali, nonché delle spese e del riconoscimento della violazione degli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 6 § 1 della Convenzione.

20. Il 15 gennaio 2016 i ricorrenti hanno dichiarato di non essere soddisfatti dei termini della dichiarazione unilaterale tenuto conto della somma offerta.

21. La Corte ha dichiarato che, in determinate circostanze, può essere opportuno cancellare un ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 §. 1 c) della Convenzione sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto anche se il ricorrente desidera che l’esame della causa prosegua. Saranno tuttavia le circostanze particolari della causa che permetteranno di stabilire se la dichiarazione unilaterale offra una base sufficiente per permettere alla Corte di concludere che il rispetto dei diritti umani sanciti dalla Convenzione non esige che essa prosegua l’esame della causa ai sensi dell’articolo 37 § 1 in fine (si vedano, tra altre, Tahsin Acar c. Turchia (eccezioni preliminari) [GC], n. 26307/95, § 75, CEDU 2003-VI; Melnic c. Moldavia, n. 6923/03, § 14, del 14 novembre 2006).

22. Tra i fattori da prendere in considerazione a tale proposito vi è, tra l’altro, l’eventuale formulazione da parte del Governo convenuto, nella sua dichiarazione unilaterale, di una qualche concessione per quanto riguarda le dedotte violazioni della Convenzione e, in questa ipotesi, quali siano la portata di tali concessioni e le modalità del risarcimento che intende fornire al ricorrente. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, nei casi in cui è possibile cancellare le conseguenze di una violazione dedotta (ad esempio in alcune cause sulla proprietà) e in cui il Governo convenuto si dichiara disposto a farlo, il risarcimento previsto ha più probabilità di essere considerato adeguato ai fini di una cancellazione del ricorso dal ruolo (si veda Tahsin Acar, sopra citata, § 76).

23. Quanto alla questione di stabilire se sia opportuno cancellare il presente ricorso dal ruolo sulla base della dichiarazione unilaterale del Governo, la Corte rileva che l’importo dell’indennizzo offerto è insufficiente rispetto alle somme da lei riconosciute in alcune cause simili in materia di espropriazione indiretta (si vedano Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009; Rivera e di Bonaventura c. Italia, n. 63869/00, 14 giugno 2011, De Caterina e altri c. Italia, n. 65278/01, 28 giugno 2011, e Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, 12 luglio 2011).

24. In queste condizioni, la Corte osserva che la dichiarazione unilaterale in causa non costituisce una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione non esige la prosecuzione dell’esame del ricorso.

25. In conclusione, la Corte rigetta la domanda del Governo volta alla cancellazione del ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione e, di conseguenza, prosegue l’esame della causa sulla ricevibilità e sul merito.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

26. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 in ragione dell’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. Invocano anche l’articolo 13 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 senza, tuttavia, esporre argomenti a sostegno. La Corte esaminerà tale motivo di ricorso unicamente dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il quale è così formulato:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

27. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

28. Nelle sue osservazioni depositate presso la cancelleria della Corte il 23 ottobre 2007, il Governo sollevava un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto la procedura nazionale era pendente e non vi era ancora una sentenza interna definitiva. Con lettera del 6 dicembre 2010, il ricorrente informò la Corte che la procedura interna si era conclusa con la sentenza della corte d’appello di Palermo del 12 maggio 2009. Pertanto, l’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne non può essere accolta.

29. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e rileva, peraltro, che non incorre in altri motivi di irricevibilità. È quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

a) I ricorrenti

30. I ricorrenti rammentano di essere stati privati del loro bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, un meccanismo che consente all’autorità pubblica di acquisire un bene illegittimamente, fatto che è inammissibile in uno Stato di diritto.

31. Essi sostengono di avere avuto la certezza della perdita della proprietà dei loro beni in applicazione del principio dell’espropriazione indiretta con la sentenza della Corte di cassazione.

b) Il Governo

32. Il Governo prende atto del fatto che la giurisprudenza della Corte, ormai consolidata, si pronuncia per l’incompatibilità del meccanismo dell’espropriazione indiretta con il principio di legalità. Tuttavia, alla luce delle sentenze delle autorità giudiziarie interne in cui si dichiara che vi era stato un trasferimento di proprietà, assimilabile ad un atto formale di espropriazione, l’espropriazione in questione non potrebbe più considerarsi incompatibile con il rispetto dei beni e il principio della preminenza del diritto.

33. Per quanto riguarda il risarcimento, il Governo riconosce che i parametri applicati nel caso di specie sollevano problemi di compatibilità con la Convenzione, in quanto i ricorrenti non sono stati risarciti.

2. Valutazione della Corte

a) Sull’esistenza di una ingerenza

34. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza costante relativa alla struttura dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e alle tre norme distinte che questa disposizione contiene (si vedano, fra molte altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A n. 52, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999 II, Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 44, CEDU 1999 V, Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 134, CEDU 2004 V, e Vistiņš e Perepjolkins c. Lettonia [GC], n. 71243/01, § 93, 25 ottobre 2012).

35. La Corte constata che le parti concordano sul fatto che vi è stata una «privazione» della proprietà ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

36. Essa deve quindi accertare se la privazione denunciata sia giustificata dal punto di vista di questa disposizione.

b) Sul rispetto del principio di legalità

37. La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione di proprietà soltanto «alle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni mettendo in vigore delle «leggi». Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insita in tutti gli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1996 -III, [GC] Iatridis c. Grecia, sopra citata, § 58).

38. La Corte rinvia poi alla propria giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, fra altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI, e Immobiliare Cerro S.A.S. c. Italia, n. 35638/03, 23 febbraio 2006) per un riepilogo dei principi pertinenti e per una sintesi della sua giurisprudenza in materia, in particolare per quanto riguarda la questione del rispetto del principio di legalità in questa tipologia di cause.

39. Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici nazionali hanno ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro bene a decorrere dalla data della cessazione del periodo di occupazione legittima. In assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che tale situazione non possa essere ritenuta «prevedibile», poiché soltanto con il provvedimento giudiziario definitivo si può considerare effettivamente applicato il principio dell’espropriazione indiretta e legittimata l’acquisizione dei terreni da parte delle autorità pubbliche. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la certezza giuridica per quanto riguarda la privazione della proprietà dei terreni non prima dell’11 marzo 2005, data di pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione.

40. La Corte osserva poi che la situazione in causa ha consentito all’amministrazione di trarre vantaggio da una occupazione di terreno illegittima. In altre parole, l’amministrazione ha potuto appropriarsi del terreno in violazione delle norme che disciplinano l’espropriazione in debita forma e, tra l’altro, senza parallelamente mettere a disposizione dell’interessata alcuna indennità.

41. Per quanto riguarda l’indennità, la Corte constata che l’applicazione al caso di specie del termine di prescrizione del risarcimento ha avuto come effetto quello di privare i ricorrenti di qualsiasi riparazione del danno subito (si veda, fra altre, Immobiliare Cerro S.A.S., sopra citata, § 87).

42. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che l’ingerenza contestata non sia compatibile con il principio di legalità e che pertanto abbia violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.

43. Di conseguenza, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

44. I ricorrenti lamentavano una mancanza di equità della procedura e temevano l’applicazione della legge n. 662 del 1996, fatto che avrebbe potuto privarli di un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno. Essi invocavano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che nelle sue parti pertinenti recita:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia trattata equamente (...) da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

45. La Corte osserva che, nel caso di specie, la legge n.. 662 del 1996 non è stata applicata.

46. Di conseguenza, questa doglianza è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 § 4, dal momento che i ricorrenti non possono vantare la qualità di vittima.

IV. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

47. I ricorrenti invocano anche l’articolo 17 della Convenzione, senza tuttavia produrre elementi a sostegno di questa doglianza.

48. La Corte rileva che questa doglianza, non essendo stata supportata da elementi di prova, debba essere dichiarata irricevibile in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35, §§ 3 e 4 della Convenzione.

V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

49. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno materiale

50. I ricorrenti chiedono una somma corrispondente al valore venale del terreno, rivalutata e maggiorata degli interessi e una somma per il mancato godimento del terreno. Inoltre, chiedono il versamento di 1.440.000 EUR a titolo di plusvalenza derivante dalla costruzione dell’opera pubblica e una somma per il mancato godimento degli alloggi costruiti sul terreno.

51. Il Governo si oppone a queste richieste.

52. La Corte rammenta che nella causa Guiso-Gallisay c. Italia, sopra citata, la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte sui criteri di indennizzo nei casi di espropriazione indiretta, stabilendo che l’indennizzo da accordare deve corrispondere al valore integrale del terreno al momento della perdita della proprietà, accertato dalla perizia disposta dal giudice competente nel corso della procedura interna. Inoltre, una volta dedotta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, tale importo deve essere attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione e maggiorato di interessi tali da rimediare, almeno in parte, al lungo lasso di tempo che è trascorso dallo spossessamento dei terreni. Infine, occorre valutare la perdita di chance eventualmente subìta dagli interessati.

53. Nel caso di specie, secondo i giudici nazionali, i ricorrenti hanno perso la proprietà del terreno il 3 luglio 1980 (si veda il paragrafo 12 supra). Risulta dalla perizia ordinata dal tribunale di Agrigento che il valore del terreno a questa data era di 33.691 EUR (si veda il paragrafo 11 supra).

54. Tenuto conto di questi elementi, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, 322.690 EUR più gli importi eventualmente dovuti a titolo di imposta su tale somma.

55. Per quanto riguarda la perdita di chance subita a seguito della privazione della proprietà, la Corte ritiene che occorra prendere in considerazione il danno derivante dall’indisponibilità del terreno nel periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (14 luglio 1975) fino al momento della perdita della proprietà (3 luglio 1980). La Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, 4.230 EUR.

B. Danno morale

56. I ricorrenti chiedono 100.000 EUR ciascuno a titolo di danno morale.

57. Il Governo si oppone a queste richieste.

58. La Corte ritiene che il senso di impotenza e di frustrazione per l’espropriazione illegittima del loro bene abbia causato ai ricorrenti un danno morale cui si deve porre rimedio adeguatamente.

59. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, e decidendo in via equitativa la Corte assegna ai ricorrenti, congiuntamente, la somma di 5.000 EUR per il danno morale.

C. Spese

60. Producendo le relative parcelle, i ricorrenti chiedono anche, congiuntamente, 50.000 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e 40.000 EUR per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

61. Il Governo si oppone a queste richieste.

62. La Corte non dubita che sia stato necessario sostenere delle spese, ma ritiene eccessivi gli onorari complessivi richiesti a questo titolo, considera pertanto opportuno rimborsarli solo in parte.

63. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte ritiene ragionevole concedere un importo di 5.000 EUR per tutte le spese sostenute dai ricorrenti.

D. Interessi moratori

64. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta la domanda di cancellazione dal ruolo del ricorso;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e irricevibile per il resto;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, congiuntamente, entro tre mesi, le somme seguenti:
      1. 326.920 EUR (trecentoventiseimilanovecentoventi euro) più l’importo eventualmente dovuto per il danno materiale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      3. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 novembre 2017, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte

Kristina Pardalos
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto