Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 9 settembre 2014 - Ricorso n 33955/07 - Carrella c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA CARRELLA c. ITALIA

(Ricorso n. 33955/07)

SENTENZA

STRASBURGO

9 settembre 2014
 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Carrella c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio l’8 luglio 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 33955/07) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, il sig. Aniello Carrella («il ricorrente»), ha adito la Corte il 27 luglio 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato E. Tagle, del foro di Napoli. Con lettera del 17 settembre 2009, la moglie del sig. Carella e i suoi due figli hanno informato la Cancelleria del decesso del loro marito e padre e della volontà di costituirsi nella procedura pendente dinanzi alla Corte. Per ragioni di ordine pratico, la presente sentenza continuerà a chiamare il sig. Carrella il «ricorrente» benché questa qualità sia oggi da attribuire ai suoi eredi.
Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente aggiunto, N. Lettieri.

3. Il 10 febbraio 2010 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4.Il ricorrente è nato nel 1960 e all’epoca dei fatti risiedeva a Napoli.

A.    L’arresto del ricorrente e il procedimento penale a suo carico

5.Accusato di traffico di sostanze stupefacenti e di associazione per delinquere, il ricorrente fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Napoli –Poggioreale il 9 luglio 2003.

6. Il 2 luglio 2004 il giudice dell’udienza preliminare («GUP») del tribunale di Napoli condannò il ricorrente a sette anni e due mesi di reclusione.

7. Il ricorrente interpose appello. Il 9 giugno 2005 la corte d’appello di Napoli confermò la condanna del ricorrente. All’esito del procedimento su rinvio della Corte di cassazione, la corte di appello di Napoli, con sentenza del 10 gennaio 2008, depositata il 25 gennaio 2008, prosciolse il ricorrente e ordinò la sua scarcerazione perché le intercettazioni telefoniche che costituivano delle prove a carico erano state acquisite illegittimamente.

B. Lo stato di salute del ricorrente e le cure mediche ricevute nel corso della detenzione

8. Il 18 maggio 2004 G.C., medico scelto dal ricorrente, visitò quest’ultimo in carcere. Nel suo rapporto del 20 maggio 2004, egli diagnosticò una seria forma di diabete mellito e considerò inadeguata la terapia a base di insulina e il regime alimentare ai quali il ricorrente era stato sottoposto dopo il suo arresto. Suggerì dunque una terapia a suo parere più efficace senza la quale il ricorrente avrebbe presentato un elevato rischio di complicanze cardiovascolari (infarto, ictus, morte improvvisa, ecc.).

9. Il 31 maggio 2004, G.P., perito medico nominato dal giudice per le indagini preliminari («GIP»), visitò il ricorrente in carcere. Nel suo rapporto del 3 giugno 2004 confermò la diagnosi di diabete mellito e suggerì di eseguire una serie di esami medici in un centro specializzato per poter definire la terapia farmacologica adeguata. Giudicò poco elevato il rischio di complicanze cardiovascolari e concluse che lo stato di salute del ricorrente non poteva essere definito particolarmente grave e incompatibile con la detenzione.

10. Il 7 giugno 2004 G.C. confermò le conclusioni cui era giunto nel suo rapporto ed evidenziò il suo disaccordo con quelle del perito G.P.

11. In un giorno non precisato del mese di luglio 2004 il ricorrente ottenne il beneficio della detenzione domiciliare e del permesso di riprendere il suo lavoro di artigiano.

12. Il 25 novembre 2004 il ricorrente fu vittima di un infarto e venne curato per una decina di giorni nell’ospedale di Nola.

13. Il 24 agosto 2005 il dottore G.P.N. del servizio sanitario regionale di Napoli emise la diagnosi di diabete associato a molte complicanze: neuropatia periferica, cardiopatia ipertensiva, patologia vascolare. Egli consigliò al ricorrente di seguire un regime ipocalorico, ipoglucidico e iposodico, di praticare un’attività fisica regolare e di evitare qualsiasi fonte di stress fisico e psichico.

14. L’11 ottobre 2005 il ricorrente, che si era allontanato senza autorizzazione dal suo luogo di lavoro, fu rinchiuso nuovamente nel carcere di Napoli-Poggioreale con decisione della corte di appello di Napoli.

15. Il 5 novembre 2005 il ricorrente fu trasferito nel carcere di Sulmona. Nel corso della sua detenzione, egli fu sottoposto a controlli ed esami medici regolari, in carcere e presso strutture mediche esterne.

16. Nei rapporti del 23 novembre 2005 e del 28 gennaio e 15 aprile 2006, il dottore G.C. diagnosticò, in base ai risultati di alcuni esami medici (elettrocardiogramma e scintigrafia miocardica) e di una visita del ricorrente eseguita il 27 gennaio 2006 in carcere, numerose complicanze e patologie legate al diabete e all’infarto subito nel novembre 2004. Accertò l’esistenza di elevato rischio di complicanze cardiovascolari mortali (infarto, ictus, ecc.) e consigliò al ricorrente di seguire un regime ipocalorico, ipoglucidico e iposodico, di praticare un’attività fisica regolare e di evitare qualsiasi fonte di stress fisico e psichico. Ritenne che i controlli e la terapia ai quali il ricorrente era sottoposto in carcere non fossero adeguati e sufficienti rispetto al suo stato di salute che, secondo lui, era dunque divenuto incompatibile con la detenzione.

17. Il 28 aprile 2006 il ricorrente fu trasferito nel carcere di Napoli-Secondigliano. Egli continuò ad essere sottoposto a controlli ed esami medici regolari in carcere e presso le strutture mediche esterne.

18. Il 22 maggio 2006, M.E., perito medico nominato dal presidente della corte d’appello di Napoli, visitò il ricorrente in carcere. Nel suo rapporto dell’8 giugno 2006 egli confermò la diagnosi di cardiopatia ipertensiva e diabete mellito, nonché di altre patologie connesse, ma ritenne sufficienti e adeguati i controlli e gli esami medici prescritti dai sanitari dei penitenziari di Sulmona e di Napoli-Secondigliano. Egli indicò che le patologie del ricorrente non erano incompatibili con la detenzione e potevano essere trattate bene nelle strutture mediche del carcere o con brevi ricoveri nelle strutture mediche esterne.

19. Nel rapporto del 9 giugno 2006, il dottore G.C. contestò le conclusioni del perito M.E. e suggerì di eseguire un esame coronarografico per stabilire se la cardiopatia si fosse aggravata.

20. Il 7 luglio 2006 M.E. fu incaricato dal presidente della corte d’appello di Napoli di redigere un nuovo rapporto, tenendo conto delle osservazioni del medico indicato dal ricorrente. M.E., nel rapporto del 17 luglio 2006, indicò che era molto auspicabile eseguire un esame coronarografico in una struttura ospedaliera esterna, se anche i medici in servizio nel penitenziario lo avessero ritenuto necessario e possibile.

21. Il servizio medico del carcere programmò una visita cardiologica e un elettrocardiogramma per il 21 luglio 2006 presso la clinica universitaria di Napoli.

22. In seguito ad un errore, apparentemente nella lettura del fax che indicava la data della visita, il ricorrente non fu condotto in clinica il 21 luglio come previsto, ma il 21 agosto successivo.

3. Nel rapporto sullo stato di salute del ricorrente del 7 settembre 2006, basato sugli esami effettuati, anche i medici del carcere ritennero necessario eseguire un esame coronarografico.

24. Il 15 settembre 2006 furono nuovamente programmati una visita cardiologica e un elettrocardiogramma per il 15 novembre 2006.

25. Con le ordinanze del 13 e 19 settembre 2006, la corte d’appello e il giudice per l’esecuzione delle pene di Napoli, su richiesta del servizio medico del carcere, ordinarono che il ricorrente venisse sottoposto alla coronarografia in una struttura ospedaliera esterna. La coronarografia fu prevista per il 13 ottobre 2006.

26. Il 12 ottobre 2006, giorno precedente la data programmata per l’esame coronarografico, il capo della polizia penitenziaria provinciale informò la direzione del penitenziario che la struttura ospedaliera scelta non era adeguata per accogliere il ricorrente e la sua scorta in condizioni di sicurezza.

27. Il 24 ottobre 2006, su richiesta della direzione del penitenziario, il presidente della corte d’appello autorizzò l’esecuzione dell’esame in un’altra struttura ospedaliera, ossia nella clinica universitaria di Napoli.

28. Lo stesso giorno la corte d’appello di Napoli decise di sospendere l’esame della richiesta del ricorrente volta ad ottenere la sostituzione della detenzione in carcere con una misura alternativa meno severa per ragioni di salute, nell’attesa del risultato della coronarografia. La nuova data per l’esame coronarografico fu successivamente fissata al 6 febbraio 2007.

29. Il 6 novembre 2006 il ricorrente beneficiò nuovamente della detenzione domiciliare.

30. Il ricorrente fece delle ricerche per trovare una struttura disposta a effettuare una coronarografia prima del febbraio 2007. Il 27 novembre 2006 eseguì tale esame in una struttura ospedaliera privata. All’esito dell’esame, fu sottoposto ad un intervento chirurgico di angioplastica delle coronarie.

C.  La denuncia presentata dal ricorrente

31. Il 27 ottobre 2006 il ricorrente sporse denuncia alla procura della Repubblica di Napoli. Egli descrisse il suo cattivo stato di salute lamentando di non essere stato ancora sottoposto all’esame coronarografico ritenuto necessario dal perito M.E. nel suo rapporto del 17 luglio 2006. Chiedeva al procuratore di condurre un’inchiesta per verificare se le cure alle quali era stato sottoposto fossero state sufficienti e adeguate, e per individuare le persone secondo lui responsabili di tutti i ritardi, gli errori e le omissioni, che avevano reso la sua detenzione degradante e umiliante.

32. La procura di Napoli avviò un procedimento penale contro ignoti per omissione, ai sensi dell'articolo 328 del codice penale (n. 49201/06 RGNR).

33.  Il 13 novembre 2006, la procura di Napoli interrogò Ge.C., uno dei medici del penitenziario di Napoli-Secondigliano che avevano redatto il rapporto del 7 settembre 2006. Quest'ultimo dichiarò che il ricorrente, che si trovava in attesa di essere sottoposto ad un esame coronarografico, era sottoposto a cure adeguate.

34. Il 14 novembre 2006 la procura interrogò la sig.ra V.S., medico della clinica universitaria di Napoli. Quest’ultima confermò che, a seguito di un errore di comunicazione tra l'amministrazione del penitenziario e la struttura ospedaliera, il ricorrente era stato condotto in clinica in una data sbagliata. Indicò anche che l'esame coronarografico era stato fissato per il 6 febbraio 2007 perché non era stata segnalata alcuna urgenza. Dichiarò che durante la visita cardiologica che doveva essere eseguita il giorno successivo, i medici della clinica avrebbero verificato se vi fossero state delle urgenze, nel qual caso sarebbe stato necessario anticipare l'esame.

35. Il 23 novembre 2006 la procura di Napoli, ritenendo che le autorità competenti avessero avviato da tempo tutte le pratiche per sottoporre il ricorrente all'esame coronarografico, nonostante le difficoltà connesse alla sua detenzione, richiese al GIP l'archiviazione del caso in applicazione dell'articolo 408 del codice di procedura penale (CPP).

36. In una data non precisata, il ricorrente si oppose alla richiesta di archiviazione lamentando l’insufficienza della inchiesta penale condotta dalla procura.

37. Con la decisione del 3 marzo 2007, il GIP respinse l’opposizione e dispose l'archiviazione dell'azione penale, ritenendo adeguati e sufficienti i controlli medici eseguiti sulla persona del ricorrente o programmati per quest'ultimo dalle autorità amministrative e mediche dei penitenziari.

38. Il 13 dicembre 2008 il ricorrente decedette in seguito a un incidente stradale.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

39.  L’articolo 11 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 (legge sull'ordinamento penitenziario) prevede che ogni istituto penitenziario sia dotato di un servizio medico e di un servizio farmaceutico per le cure dei detenuti. Prevede anche che, ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dal servizio medico del penitenziario, i detenuti sono trasferiti negli ospedali civili o nelle strutture sanitarie esterne con decisione dell’autorità giudiziaria. Infine dispone che i medici del penitenziario devono visitare ogni giorno tutti i detenuti che sono malati o che lo richiedono e devono immediatamente segnalare la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche.

40.  L’articolo 275 del CPP enuncia che ogni misura cautelare deve essere individualizzata, adeguata alla natura ed alla gravità dei motivi che la giustificano nonché proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Inoltre essa non può essere disposta né mantenuta quando l’interessato è affetto da una patologia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.

41.  L’articolo 276 c. 1 ter del CPP prevede che, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione o dal proprio luogo di lavoro, il giudice dispone la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere.

42.  Gli articoli del CPP riguardanti l’archiviazione delle denunce dispongono:

Articolo 408

«1. Entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il pubblico ministero, se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari.

2. L'avviso della richiesta e notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l'eventuale archiviazione.

3. Nell'avviso è precisato che, nel termine di dieci giorni, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari».

Articolo 409

«1.  Fuori dei casi in cui sia stata presentata l'opposizione prevista dall'articolo 410, il giudice, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero.

2.  Se non accoglie la richiesta, il giudice fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa dal reato. Il procedimento si svolge nelle forme previste dall'articolo 127. Fino al giorno dell'udienza agli atti restano depositati in cancelleria con facoltà del difensore di estrarne copia


3. Della fissazione dell'udienza il giudice dà inoltre comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello.

4.  A seguito dell'udienza, il giudice, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il compimento di esse.

5. Fuori del caso previsto dal comma 4, il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l'imputazione. Entro due giorni dalla formulazione dell'imputazione, il giudice fissa con decreto l'udienza preliminare. (...)

6. L'ordinanza di archiviazione è ricorribile per cassazione solo nei casi di nullità previsti dall'articolo 127 comma 5.»

Articolo 410

«1.  Con l'opposizione alla richiesta di archiviazione la persona offesa dal reato chiede la prosecuzione delle indagini preliminari indicando, a pena di inammissibilità, l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova.

2. Se l'opposizione è inammissibile e la notizia di reato è infondata, il giudice dispone l'archiviazione con decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero.
(...)»

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

43. Invocando gli articoli 2 e 3 della Convenzione, il ricorrente lamenta le sue condizioni di detenzione, e soprattutto la mancanza di cure mediche adeguate in carcere e i numerosi errori e omissioni che, secondo lui, hanno ritardato l'intervento chirurgico che ha dovuto subire, fatto che avrebbe messo in pericolo la sua vita e lo avrebbe sottoposto a un trattamento inumano o degradante. Rimprovera anche alle autorità di non aver preso in considerazione la possibilità, visto il suo stato di salute, di farlo beneficiare di una misura alternativa alla detenzione in carcere e di aver proceduto all'archiviazione della sua denuncia, fatto che costituirebbe una violazione dell'obbligo positivo di perseguire effettivamente in ambito penale le violazioni degli articoli 2 e 3 della Convenzione.

44. La Corte ritiene che, nelle circostanze del caso di specie, questo motivo di ricorso richieda di essere esaminato unicamente sul terreno dell'articolo 3 della Convenzione, così formulato:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

A. Sulla ricevibilità

1. L'eccezione del Governo relativa alla perdita della qualità di vittima

45. Il Governo sostiene che la vedova e i figli del ricorrente non hanno fornito la prova della loro qualità di eredi e non hanno dunque qualità per proseguire il ricorso.

46. La vedova e i figli del ricorrente contestano l'eccezione del Governo e allegano il certificato di morte del loro marito e padre, la procura conferita al loro avvocato per rappresentarli dinanzi alla Corte nonché i loro documenti di identità.

47. La Corte osserva che il ricorrente è deceduto il 13 dicembre 2008, ossia nel corso del procedimento, e che la vedova e i figli hanno espresso il desiderio di mantenere il ricorso introdotto originariamente dal ricorrente.

48. A tale proposito, la Corte rammenta che, in molte cause nelle quali il ricorrente era deceduto nel corso della procedura, essa ha preso in considerazione la volontà di proseguire quest'ultima espressa dagli eredi o dai parenti stretti (si vedano, ad esempio, Deweer c. Belgio, 27 febbraio 1980, §§ 37-38, serie A n. 35, X c. Francia, 31 marzo 1992, § 26, serie A n. 234 C, Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, § 2, serie A n. 281 A, Ahmet Sadık c. Grecia, 15 novembre 1996, § 26, Recueil des arrêts et décisions 1996-V, Malhous c. Repubblica ceca (dec.) [GC], n. 33071/96, CEDU 2000-XII, e Maiorano e altri c. Italia, n. 28634/06, §§ 78-79, 15 dicembre 2009).

49.  La Corte rammenta anche che occorre distinguere le cause nelle quali il ricorrente è deceduto nel corso della procedura dalle cause nelle quali il ricorso è stato proposto dagli eredi dopo il decesso del ricorrente originario (si vedano, tra altre, Fairfield c. Regno Unito (dec.), n. 24790/04, CEDU 2005 VI, Biç e altri c. Turchia, n. 55955/00, § 20, 2 febbraio 2006, e Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, § 47, CEDU 2009).

50. In tal modo la Corte considera che una persona che si ritiene vittima di una violazione dei diritti derivanti dalla Convenzione e, come nel caso di specie, si rivolge personalmente alla Corte, opera una scelta propria e chiara di esercitare il suo diritto personale di ricorso individuale in virtù dell'articolo 34 della Convenzione, e quindi di sottoporre la sua causa alla giurisdizione della Corte. Non è così quando gli eredi di una persona, che può essere considerata vittima rispetto alla Convenzione, propongono ricorso alla Corte dopo il decesso di questa persona.
Si può dedurre dalla giurisprudenza della Corte citata al paragrafo 48 supra che, nel caso in cui il decesso del ricorrente sopraggiunga successivamente alla presentazione del ricorso, la Corte può essere chiamata a determinare se lo Stato contraente abbia violato i diritti del ricorrente, qualora gli eredi del defunto abbiano espresso il desiderio di proseguire la procedura o qualora essa giudichi che si debba proseguire l'esame del ricorso in virtù dell'articolo 37 § 1 in fine della Convenzione. In tal caso, il punto decisivo è quello di stabilire se gli eredi possano in linea di principio vantare un interesse legittimo a chiedere alla Corte di decidere sulla causa in base al desiderio del ricorrente di far uso del suo diritto individuale e personale di presentare un ricorso dinanzi ad essa (Ergezen c. Turchia, n. 73359/10, § 29, 8 aprile 2014, non-definitiva).

51. Conformandosi in tal modo alla sua giurisprudenza, la Corte ritiene, tenuto conto dell'oggetto della presente causa e di tutti gli elementi di cui dispone, che la vedova e i figli del ricorrente siano titolari di un interesse legittimo a mantenere il ricorso in nome del defunto. Pertanto essa riconosce loro la qualità per sostituirsi ormai a questo ricorrente.

2.  L'eccezione del Governo relativa alla tardività del ricorso

52. Il Governo eccepisce la tardività del ricorso in quanto il ricorrente aveva eseguito il suo esame medico – ossia la coronarografia – il 27 novembre 2006, e il termine di sei mesi sarebbe dunque scaduto prima del 27 luglio 2007.

53. Il ricorrente contesta la tesi del Governo. Egli indica che nell'ottobre 2006 aveva sporto denuncia alla procura di Napoli, descrivendo il suo cattivo stato di salute e lamentando di non essere stato ancora sottoposto all'esame coronarografico ritenuto necessario dal perito. Egli aggiunge che, il 3 marzo 2007, il GIP di Napoli ha disposto l'archiviazione della sua denuncia, ritenendo adeguati e sufficienti i controlli medici effettuati sulla sua persona o programmati per lui dalle autorità amministrative e mediche degli istituti penitenziari. Secondo il ricorrente è questa la data che occorre considerare come data della decisione interna definitiva.

54. La Corte rammenta che la norma dei sei mesi non può essere interpretata nel senso che un ricorrente deve necessariamente proporre ricorso dinanzi ad essa prima che la situazione all'origine di quest'ultimo sia stata oggetto di una decisione definitiva a livello interno. La Corte nota che il ricorrente ha adito le autorità giudiziarie interne per denunciare numerosi errori e omissioni che avrebbero ritardato l'intervento chirurgico e messo in pericolo la sua vita. Essa osserva che il GIP ha archiviato la denuncia del ricorrente il 3 marzo 2007 e che il ricorso è stato presentato il 27 luglio 2007.

55. In queste condizioni, l'eccezione di tardività del Governo non può essere presa in considerazione.

3. Gli altri motivi di irricevibilità

56. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Le cure somministrate al ricorrente

a) Tesi delle parti

57. Il ricorrente ritiene di non aver beneficiato di cure adeguate al suo stato di salute per quanto riguarda il periodo che va da giugno a novembre 2006. Egli indica innanzitutto che, secondo il perito nominato dalla corte d'appello, le sue patologie non erano incompatibili con la detenzione e potevano essere trattate nelle strutture mediche del carcere o con ricoveri ospedalieri brevi in strutture mediche esterne.

58. Il ricorrente fa tuttavia notare che, nel 2006, lo stesso perito aveva indicato che sarebbe stato molto auspicabile eseguire un esame coronarografico in una struttura ospedaliera esterna se anche i medici in servizio nell’istituto penitenziario lo avessero ritenuto necessario e possibile.

59. Il ricorrente aggiunge che il servizio medico del carcere aveva programmato una visita cardiologica e un elettrocardiogramma in luogo di una coronarografia, per il 21 luglio 2006, presso la clinica universitaria di Napoli, che quest'esame non è stato eseguito e che egli è stato portato lì un mese dopo. Il ricorrente dichiara che, in seguito, i medici del carcere avevano previsto un secondo elettrocardiogramma in luogo di una coronarografia per il 15 novembre 2006. Egli dichiara inoltre che, nel frattempo, la corte d'appello di Napoli aveva deciso sull'opportunità di sottoporlo ad un esame delle coronarie, che l'esame era stato fissato al 13 ottobre 2006 e che, il giorno prima, quest'esame era stato rinviato al 6 febbraio 2007 perché il luogo era stato giudicato non adeguato per ragioni di sicurezza.

Il ricorrente aggiunge che, dal novembre 2006, beneficia della detenzione domiciliare, che si è sottoposto ad una coronarografia in una struttura ospedaliera privata e che, all’esito di questo esame, è stato sottoposto ad un intervento chirurgico di angioplastica coronarica.

60. Il ricorrente sostiene che il ritardo delle autorità penitenziarie a sottoporlo a coronarografia ha causato un aggravamento del suo stato di salute. Egli ritiene che se non gli fosse stata concessa la detenzione domiciliare sarebbe stato esposto a rischi perché avrebbe dovuto attendere il mese di febbraio 2007 per apprendere infine che occorreva eseguire una angioplastica.

61. Il Governo indica innanzitutto che non era stato espresso nessun parere di incompatibilità con la detenzione dai vari periti nominati d'ufficio. Per quanto riguarda l'esame coronarografico da effettuare in una struttura ospedaliera esterna, esso ritiene che non si trattasse di un esame indispensabile e urgente, precisando che il perito nominato d'ufficio lo aveva considerato semplicemente auspicabile nel caso in cui anche i medici in servizio nel penitenziario lo avessero ritenuto necessario e possibile. Per il Governo, il ritardo lamentato nell’eseguire l’esame sopra menzionato era attribuibile a incomprensioni e malintesi e non vi era alcuna intenzione di umiliare o denigrare il ricorrente.

62. Secondo il Governo, lo stato di salute del ricorrente non doveva essere troppo preoccupante perché quest'ultimo aveva ottenuto l’autorizzazione nel luglio 2004, mentre era sottoposto a detenzione domiciliare, a riprendere il suo lavoro di artigiano e dunque ad uscire ogni giorno per lavorare tutta la giornata, mentre a quell'epoca era già affetto dalle stesse malattie e in particolare dal diabete mellito e da complicanze cardiovascolari.

63. Inoltre, il Governo considera che al ricorrente sono state somministrate cure adeguate. Precisa che quest'ultimo è stato sottoposto a esami medici all'interno e all'esterno del carcere.

64. Infine, il Governo dichiara che non è stato provato che le condizioni di salute del ricorrente si siano aggravate a causa del lamentato ritardo nel sottoporlo all'esame coronarografico.

b)  Valutazione della Corte

i.  Principi generali

65. La Corte richiama la sua giurisprudenza costante secondo la quale, per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve raggiungere un  minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; essa dipende dall’insieme delle circostanze della causa, soprattutto dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o psichici nonché, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute della vittima (si vedano, tra le altre, Price c. Regno Unito, n. 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII, Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 37, CEDU 2002-IX, e Gennadi Naoumenko c. Ucraina, n. 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Le denunce di maltrattamenti devono essere supportate da adeguati elementi di prova (si veda, mutatis mutandis, Klaas c. Germania, 22 settembre 1993, § 30, serie A n. 269). Per la valutazione di questi elementi, la Corte applica il principio della prova «al di là di ogni ragionevole dubbio», aggiungendo che tale prova può risultare da un insieme di indizi, o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 161 in fine, serie A n. 25, e Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 121, CEDU 2000-IV).

66. La Corte rammenta che affinché una pena e il trattamento che ne deriva possano essere qualificati «inumani» o «degradanti», la sofferenza o l’umiliazione devono comunque essere superiori a quelle che inevitabilmente comporta una determinata forma di trattamento o di pena legittimi (Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, 11 luglio 2006).

67. Quando si tratta in particolare di persone private della libertà, l'articolo 3 della Convenzione impone allo Stato l'obbligo positivo di assicurarsi che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stress o a una prova la cui intensità superi l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in maniera adeguata, in particolare mediante la somministrazione delle cure mediche richieste (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI, e Rivière c. Francia, n. 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). In tal modo, la mancanza di cure mediche appropriate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, possono in linea di principio costituire un trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione (si vedano, ad esempio, İlhan c. Turchia [GC], n. 22277/93, § 87, CEDU 2000 VII, e Gennadi Naoumenko, sopra citata, § 112). Oltre alla salute del detenuto, occorre anche assicurare in maniera adeguata il suo benessere (Mouisel, sopra citata, § 40).

68. La Corte rammenta che le condizioni di detenzione di una persona malata devono garantire la tutela della sua salute, tenuto conto delle contingenze ordinarie e ragionevoli della carcerazione. Se dall’articolo 3 della Convenzione non è possibile dedurre un obbligo generale di rimettere in libertà il detenuto o di trasferirlo in un ospedale civile, anche se affetto da una malattia particolarmente difficile da curare (Mouisel, sopra citata, § 40, e Tellissi c. Italia (dec.), n. 15434/11, § 27, 5 marzo 2013), tale articolo impone comunque allo Stato di proteggere l'integrità fisica delle persone private della libertà. La Corte non può escludere che, in condizioni particolarmente gravi, si debbano affrontare situazioni in cui una buona amministrazione della giustizia penale esiga l'adozione di misure di natura umanitaria per porvi rimedio (Matencio c. Francia, n. 58749/00, § 76, 15 gennaio 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, n. 61828/00, § 38, 15 gennaio 2004).

69. Per quanto riguarda l’ampiezza della protezione dell’integrità di un detenuto affetto da una malattia, l’articolo 3 della Convenzione esige l’esistenza di un quadro medico pertinente del malato e l’adattamento delle cure mediche prescritte alla sua situazione specifica. L’efficacia del trattamento dispensato presuppone quindi che le autorità penitenziarie offrano al detenuto le cure mediche prescritte da medici competenti (Gorodnitchev c. Russia, n. 52058/99, § 91, 24 maggio 2007; Soysal c. Turchia, n. 50091/99, § 50, 3 maggio 2007). Inoltre, la diligenza e la frequenza con cui le cure mediche vengono dispensate all’interessato sono due elementi da prendere in considerazione per valutare la compatibilità del suo trattamento con le esigenze dell’articolo 3 della Convenzione. In particolare, questi due fattori non sono valutati dalla Corte in termini assoluti, ma tenendo conto ogni volta del particolare stato di salute del detenuto interessato (Iorgov c. Bulgaria, n. 40653/98, § 85, 11 marzo 2004, Rohde c. Danimarca, n. 69332/01, § 106, 21 luglio 2005, Serifis c. Grecia, n. 27695/03, § 35, 2 novembre 2006, e Sediri c. Francia (dec.), n. 4310/05, 10 aprile 2007). In generale, un peggioramento della salute del detenuto non ha, di per sé, un ruolo determinante per quanto riguarda il rispetto dell’articolo 3 della Convenzione, in quanto la Corte deve esaminare di volta in volta se tale aggravamento sia imputabile a lacune nelle cure mediche dispensate (Kotsaftis c. Grecia, n. 39780/06, § 53, 12 giugno 2008).
La Corte ritiene che i criteri sopra richiamati siano pertinenti anche alla presente causa.

ii  Applicazione di questi principi al caso di specie

70. La Corte rileva innanzitutto che il ricorrente non ha sostenuto dinanzi ad essa che il suo stato di salute fosse incompatibile con la detenzione. L'unica questione posta nel caso di specie è quella di stabilire se le cure somministrate in carcere siano state adeguate, tenuto conto dell'esigenza di proteggere l'integrità fisica dell'interessato (Tellissi, decisione sopra citata, § 29).

71. A tale proposito, la Corte constata che, nel rapporto del 17 luglio 2006, il perito nominato dalla corte d'appello ha indicato come molto auspicabile sottoporre il ricorrente ad un esame coronarografico in una struttura ospedaliera esterna se anche i medici in servizio nel penitenziario lo avessero ritenuto necessario e possibile. Essa nota che il servizio medico del carcere ha programmato una visita cardiologica e un elettrocardiogramma per il 21 luglio 2006 presso la clinica universitaria di Napoli, che il ricorrente non è stato condotto in clinica il 21 luglio come previsto ma il 21 agosto successivo e che in seguito una nuova visita cardiologica con elettrocardiogramma è stata programmata per il 15 novembre 2006. Nel frattempo è stata programmata una coronarografia per il 13 ottobre 2006.

72. La Corte osserva anche che, il giorno prima dell'esame coronarografico, la struttura ospedaliera è stata ritenuta inadeguata ad accogliere il ricorrente per ragioni di sicurezza, che un'altra struttura ospedaliera è stata scelta e che la data dell'esame è stata fissata al 6 febbraio 2007. Essa nota questi ritardi nello svolgimento dell'esame del ricorrente. Tuttavia, ritiene che questi inconvenienti non possano, da soli, costituire un trattamento vietato dall'articolo 3 della Convenzione, tanto più che il 17 giugno 2006, le condizioni mediche del ricorrente non erano preoccupanti, l'esame indicato non era urgente e il ritardo non ha avuto conseguenze negative per la sua salute.

73. Al riguardo, essa nota anche che la corte d'appello ha deciso di pronunciarsi sulla richiesta di sospensione della detenzione per ragioni di salute dopo l'esecuzione della coronarografia e che, il 6 novembre 2006, il ricorrente ha beneficiato della detenzione domiciliare.

74. Essa osserva inoltre che il 27 novembre 2006, in ragione del suo stato di salute, il ricorrente ha eseguito l'esame coronarografico in una struttura ospedaliera privata e che all'esito di quest'esame è stato sottoposto a un intervento chirurgico di angioplastica coronarica.

75. La Corte nota che il fascicolo medico del ricorrente mostra che dal 2005 costui è stato visitato dai medici all'interno e all'esterno del carcere e che è stato costantemente sottoposto a controlli medici. Inoltre, ha beneficiato della detenzione domiciliare in ragione del suo stato di salute e ha potuto scegliere una struttura ospedaliera dove sottoporsi al suddetto esame.

76. Alla luce di quanto è stato esposto sopra, la Corte è del parere che nonostante alcuni ritardi, le autorità abbiano ottemperato al loro obbligo di proteggere l'integrità fisica del ricorrente attraverso la somministrazione dei controlli medici appropriati.

77. Pertanto, la Corte giunge alla conclusione che il trattamento di cui il ricorrente è stato oggetto non abbia oltrepassato il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione. La soglia minima di gravità per rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione non è stata raggiunta, pertanto non vi è stata violazione di questa disposizione sotto il profilo materiale.

2.  Sulla effettività dell'inchiesta

78. Il ricorrente sostiene che l'inchiesta condotta non è stata adeguata. A tale proposito indica che il procuratore ha richiesto l'archiviazione della sua denuncia al GIP mesi dopo il deposito di quest'ultima, senza sentire secondo lui tutti i periti, ossia i medici che avevano curato il ricorrente prima del 2007.

79. Il Governo è del parere che il motivo di ricorso del ricorrente non riguardi affatto l'inchiesta in sé, ma le conclusioni alle quali la procura e il giudice sono giunti a seguito dello svolgimento della citata inchiesta e dell'udienza.

80. La Corte rammenta che quando una persona sostiene in maniera difendibile di aver subito, da parte della polizia o di un altro simile servizio dello Stato, un trattamento contrario all'articolo 3, questa disposizione, congiuntamente al dovere generale imposto allo Stato dall'articolo 1 della Convenzione di «riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà enunciati (…) [nella] Convenzione», richiede, implicitamente, che vi sia stata un'inchiesta ufficiale effettiva. Questa inchiesta deve poter permettere di identificare e di punire i responsabili. (Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 117, CEDU 2010; El Masri c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia [GC], n. 39630/09, § 182, CEDU 2012; O’Keeffe c. Irlanda [GC], n. 35810/09, § 172, CEDU 2014 (estratti)).
L'obbligo di condurre un'inchiesta effettiva è un obbligo di mezzo e non di risultato: le autorità devono adottare le misure ragionevoli che hanno a disposizione per ottenere le prove relative ai fatti denunciati. In tale contesto è anche implicita un'esigenza di celerità e di diligenza ragionevole (Šečić c. Croazia, n. 40116/02, § 54, 31 maggio 2007, Nikolay Dimitrov c. Bulgaria, n. 72663/01, § 79, 27 settembre 2007, e Biser Kostov c. Bulgaria, n. 32662/06, § 79, 10 gennaio 2012).

81. La Corte nota che il ricorrente lamenta il fatto che le autorità avrebbero archiviato la sua denuncia entro un termine molto breve e senza ascoltare tutti i periti.

82. Nel caso di specie, la Corte nota che le azioni avviate dalle autorità incaricate dell'indagine preliminare sono incontrovertibili. La Corte rileva che a seguito della denuncia del ricorrente è stata aperta un'inchiesta e che i medici del carcere e uno dei medici della clinica universitaria di Napoli sono stati interrogati. Essa constata che l'azione penale è stata archiviata in quanto i giudici hanno ritenuto adeguati e sufficienti i controlli medici effettuati sulla persona del ricorrente o programmati per quest'ultimo dalle autorità amministrative e mediche degli istituti penitenziari. Secondo la Corte, nulla lascia pensare che gli atti investigativi qui sopra riassunti siano stati inappropriati o manifestamente inefficaci.

83. La Corte considera che le autorità hanno condotto con diligenza l’inchiesta, e la circostanza che quest'ultima non abbia portato alla condanna delle autorità penitenziarie non toglie nulla alla sua effettività

84. Pertanto, la Corte ritiene che la denuncia del ricorrente sia stata oggetto di un'inchiesta rapida ed effettiva. Di conseguenza, le autorità italiane hanno rispettato l'obbligo procedurale che deriva dall'articolo 3 della Convenzione; non vi è stata dunque, al riguardo, violazione di tale disposizione sotto il profilo procedurale.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione sotto il profilo materiale;
  3. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione sotto il profilo procedurale;

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 9 settembre 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere