Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 maggio 2014 - Ricorso n. 18166/09 - Peduzzi e Arrighi c. Italia

©Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani,traduzione effettuata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA PEDUZZI E ARRIGHI c. ITALIA

(Ricorso n. 18166/09)

SENTENZA

STRASBURGO

13 maggio 2014

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Peduzzi e Arrighi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
András Sajó, presidente,
Helen Keller,
Egidijus KÅ«ris, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 15 aprile 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 18166/09) presentato contro la Repubblica italiana con cui due cittadini di tale Stato, sig.ra Liliana Peduzzi e sig. Giampaolo Arrighi («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 10 gennaio 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. S. Grasso del foro di Como. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. Il 18 gennaio 2010 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1947 e nel 1954 e sono residenti a Como.

5. I ricorrenti erano impiegati della Provincia di Como ed esercitavano le funzioni del personale scolastico (assistenti amministrativi, collaboratori, assistenti tecnici e responsabili amministrativi nelle scuole: il «personale ATA»). Avevano diritto ad uno stipendio base, integrato da indennità accessorie.

6. In seguito al trasferimento del personale ATA degli enti locali nei ruoli del personale statale, previsto dalla legge n. 124 del 3 maggio 1999, a decorrere dal 31 dicembre 1999 i ricorrenti divennero dipendenti del Ministero della Pubblica Istruzione («il ministero»). Gli impiegati già in servizio presso tale ministero, che svolgevano le stesse mansioni dei ricorrenti, avevano diritto a una progressione retributiva secondo l’anzianità di servizio.

7. Ai fini dell’articolo 8 della legge n. 124 sopra menzionata, l’anzianità di servizio maturata dai ricorrenti presso gli enti locali doveva essere riconosciuta ai fini giuridici ed economici. Tuttavia, il ministero attribuì ai ricorrenti un’anzianità fittizia convertendo la retribuzione di base percepita presso gli enti locali alla data del 31 dicembre 1999 in anni di anzianità e, senza tenere conto del contratto collettivo nazionale del comparto Scuola, calcolò il loro trattamento economico non considerando l’anzianità di servizio reale, maturata fino a tale data. Inoltre, trasformando la retribuzione di base in anni di anzianità fittizia, il ministero eliminò dalle ultime buste paga dei ricorrenti tutte le voci accessorie dello stipendio da essi regolarmente percepite fino al 31 dicembre 1999.

8. Il 5 maggio 2003 i ricorrenti adirono i tribunali del lavoro di Como al fine di ottenere il riconoscimento giuridico ed economico dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza e, di conseguenza, il versamento della differenza retributiva venutasi a creare a partire del 1° gennaio 2000. Essi affermarono di percepire uno stipendio non corrispondente all’anzianità maturata, che risultava così inferiore a quello degli impiegati da sempre alle dipendenze del ministero.

9. Con sentenza resa in data 22 luglio 2003 il tribunale del lavoro di Como respinse il ricorso dei ricorrenti.
10. I ricorrenti interposero appello avverso tale sentenza. Essi sostenevano che la sentenza non era conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale non si poteva derogare all’articolo 8 della legge n. 124 del 1999.
Con sentenza resa il 28 dicembre 2004 la corte d’appello accolse il ricorso dei ricorrenti in quanto il ministero non aveva rispettato l’articolo 8 della legge n. 124. Tale soluzione era conforme alla giurisprudenza costituita da numerose sentenze della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato.

11. Il ministero propose ricorso per cassazione. Mentre tali procedimenti erano pendenti, il Parlamento adottò la legge finanziaria per l’anno 2006 («la legge n. 266»). L’articolo 1, comma 218, di detta legge, intitolato «interpretazione autentica dell’articolo 8 della legge n. 124 del 1999», prevedeva che il personale ATA dovesse essere inquadrato nei ruoli della nuova amministrazione sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento.

12. Con sentenza resa il 18 luglio 2008 la Corte di Cassazione, tenuto conto della nuova legge, respinse i ricorsi del ministero.
13. I ricorrenti hanno perso il riconoscimento dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Per di più, i loro stipendi sono diventati inferiori a quelli di altri dipendenti ATA che avevano vinto la causa con decisioni passate in giudicato prima dell’entrata in vigore della legge n. 266.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

14. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono descritti nelle sentenze Agrati e altri c. Italia, (nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, 7 giugno 2011) e De Rosa c. Italia, (nn. 52888/08, 58528/08, 59194/08, 60462/08, 60473/08, 60628/08, 61116/08, 61131/08, 61139/08, 61143/08, 610/09, 4995/09, 5068/09 e 5141/09, 11 dicembre 2012).

IN DIRITTO

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

15. I ricorrenti lamentano l’intervento legislativo in pendenza dei loro procedimenti, il quale, ritengono, ha recato pregiudizio al loro diritto ad un processo equo. Essi sostengono che la giurisprudenza aveva già riconosciuto che gli ex dipendenti degli enti locali avevano diritto al riconoscimento dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Senza l’intervento legislativo, i ricorrenti potevano quindi avere una legittima aspettativa, praticamente una certezza, di ottenere soddisfazione. Essi ritengono che l’intervento legislativo in questione sia stato motivato unicamente dall’interesse finanziario dell’amministrazione, il quale non era sufficiente ad integrare un motivo imperativo d’interesse generale.
Essi denunciano una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, ai sensi del quale:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

A. Sulla ricevibilità

16. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiarare il ricorso ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

a. I ricorrenti

17. I ricorrenti sostengono di avere percepito, in seguito al trasferimento, un trattamento economico complessivamente inferiore a quello precedente, avendo perduto tutte le voci accessorie della retribuzione. Facendo riferimento alla causa Agrati e altri c. Italia (sopra citata), chiedono alla Corte di concludere che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione.

b. Il Governo

18. Il Governo contesta le affermazioni dei ricorrenti, sostenendo che, dopo il trasferimento, i ricorrenti avrebbero continuato a svolgere le stesse funzioni con la stessa retribuzione e che tutta l’anzianità maturata era stata riconosciuta ai fini pensionistici. L’unica differenza, secondo il Governo, era che l’anzianità maturata durante il servizio prestato presso l’ente locale non poteva comportare un aumento retributivo rispetto al trattamento economico percepito dagli interessati al momento del trasferimento.

19. Inoltre, il Governo rammenta che questa interpretazione della legge n. 124 del 1999 è stata ratificata da uno degli accordi conclusi tra l’amministrazione (ARAN) e i rappresentanti sindacali degli impiegati, e poi ripresa nel decreto ministeriale del 5 aprile 2001.

20. Il Governo sostiene che, poiché i contenziosi si erano moltiplicati su tutto il territorio nazionale, il legislatore è intervenuto con una legge interpretativa al fine di colmare il vuoto giuridico creatosi, tenendo conto della difficoltà di regolare questa materia attraverso contratti collettivi o tramite il potere regolamentare: il fine era quello di evitare aumenti ingiustificati degli stipendi e disparità di trattamento tra diverse categorie di impiegati. Secondo il Governo, che a tale proposito fa riferimento a varie sentenze della Corte in materia di interventi legislativi, non si può parlare di reformatio in peius della posizione dei ricorrenti.

21. Nelle presenti cause i ricorrenti, che non avevano ottenuto una sentenza definitiva ed esecutiva, hanno cercato di approfittare di un colpo di fortuna e di un vuoto giuridico, così come dell’inadeguatezza degli accordi collettivi e dell’incapacità delle autorità pubbliche di disciplinare questa materia. L’intervento del legislatore era quindi perfettamente prevedibile e rispondeva ad un’evidente imperativa giustificazione di interesse generale (OGIS-Institut Stanislas e altri, sopra citata). Secondo il Governo, questa situazione è molto simile a quella del legislatore nella causa «Building Societies» c. Regno Unito, sopra citata. Esso ritiene inoltre che, nella presente causa, l’intervento del legislatore abbia permesso di prevenire l’instaurarsi di situazioni discriminatorie all’interno del personale ATA e ne conclude che sussisteva un motivo imperativo di interesse pubblico nel senso della giurisprudenza della Corte.

22. Infine, il Governo rammenta che, a giudizio della Corte Costituzionale, l’intervento del legislatore non era contrario né alla Costituzione italiana né alla Convenzione.

2. Valutazione della Corte

23. La Corte rammenta di avere concluso, in cause che sollevavano questioni simili a quelle del caso di specie, per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Agrati e altri c. Italia, nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, 7 giugno 2011, De Rosa c. Italia, nn. 52888/08, 58528/08, 59194/08, 60462/08, 60473/08, 60628/08, 61116/08, 61131/08, 61139/08, 61143/08, 610/09, 4995/09, 5068/09 e 5141/09, 11 dicembre 2012). Dopo aver esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti nel caso di specie, essa considera che il Governo non abbia esposto fatti o argomenti che possano condurre a una conclusione diversa nella presente causa. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia essa ritiene che, nella fattispecie, l’intervento legislativo in questione, che era volto a regolare definitivamente e in maniera retroattiva il merito della controversia che oppone la ricorrente allo Stato dinanzi ai giudici nazionali, non fosse giustificato da motivi imperativi di interesse generale.

24. Pertanto, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE

25. I ricorrenti lamentano di essere stati oggetto di una discriminazione rispetto agli altri ex colleghi del personale ATA che hanno vinto la causa ottenendo delle decisioni passate in giudicato prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Invocano l’articolo 14 della Convenzione, che recita:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»

26. La Corte osserva che questo motivo di ricorso, così come presentato dai ricorrenti, è strettamente legato a quello relativo all’articolo 6 della Convenzione e deve anch’esso essere dichiarato ricevibile. Tuttavia, considerate le conclusioni alle quali è giunta sotto il profilo dell’articolo 6 § 1 (paragrafi 23 e 24 supra), essa non ritiene necessario esaminarlo separatamente.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

27. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

28. I ricorrenti chiedono il pagamento delle differenze salariali e il riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio, nonché di una somma per il danno morale.

29. Il Governo sostiene che i ricorrenti non hanno quantificato le loro richieste. Pertanto, non è opportuno accordare loro alcuna somma a questo titolo.

30. La Corte osserva che i ricorrenti chiedono una riparazione del danno materiale che avrebbero subito ma senza presentare alcun elemento che permetta di quantificarlo. Di conseguenza, essa ritiene che non sia opportuno accordare alcuna somma a questo titolo.

31. Per quanto riguarda il danno morale, la Corte ritiene che la constatazione di violazione alla quale è giunta costituisca di per sé un’equa soddisfazione per il danno morale subito dai ricorrenti.

B. Spese

32. Producendo i relativi documenti giustificativi, i ricorrenti chiedono la somma di 1.000 euro (EUR) per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

33. Il Governo contesta tale richiesta.
34. Tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte considera ragionevole la somma di 1.000 EUR e la accorda congiuntamente ai ricorrenti.

C. Interessi moratori

35. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi di ricorso relativi agli articoli 6 e 14 della Convenzione;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara non doversi esaminare la doglianza relativa all’articolo 14 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare congiuntamente ai ricorrenti, entro tre mesi, la somma di 1.000 EUR (mille euro), più l’importo eventualmente a titolo di imposta dai ricorrenti, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 13 maggio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Abel Campos
Cancelliere aggiunto

András Sajó
Presidente