Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 15 luglio 2014 - Ricorso n. 38624/07 - Panetta c. Italia

©Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani,traduzione effettuata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

 
CAUSA PANETTA c. ITALIA

(Ricorso n. 38624/07)

SENTENZA

STRASBURGO

15 luglio 2014

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Panetta c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 24 giugno 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 38624/07) presentato contro la Repubblica italiana con il quale una persona con doppia cittadinanza francese e italiana, sig.ra Laura Panetta («la ricorrente»), ha adito la Corte il 24 agosto 2007 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. La ricorrente è stata rappresentata dall’avv. G. Thuan dit Dieudonne, del foro di Strasburgo. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

3. La ricorrente lamenta un’inerzia delle autorità italiane per quanto riguarda le sue richieste volte ad ottenere il versamento di un assegno alimentare.

4. Il 18 aprile 2013 il ricorso è stato comunicato al Governo.

5. Il Governo francese, che ha ricevuto comunicazione del ricorso (articolo 36 § 1 della Convenzione e articolo 44 § 1 a) del regolamento della Corte – «il regolamento»), non ha voluto avvalersi del proprio diritto di intervenire nella procedura.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. La ricorrente è nata nel 1968 ed è residente a Wickerschwihr (Alto-Reno).

7. La ricorrente era sposata con un cittadino italiano, il sig. N. L’8 dicembre 1994 la coppia ebbe un figlio.

8. Con sentenza resa il 24 febbraio 1998 il tribunale di grande istanza di Colmar pronunciò il divorzio dei coniugi e fissò, a carico del sig. N., un contributo di mantenimento mensile di 1.200 franchi francesi (circa 182,94 euro – EUR), somma da rivalutare in base all’indice dei prezzi al consumo denominato «indice generale per le famiglie (al netto dei tabacchi)». La sentenza di divorzio fu iscritta nei registri dello stato civile del comune di Cinquefondi (Reggio Calabria), in Italia.

9. Con atto notorio del 24 marzo 1998 i beni comuni dei coniugi furono divisi. Il sig. N. ottenne 230.000 franchi francesi (circa 35.061 EUR).
10. Nell’aprile 1998 il sig. N. lasciò la Francia e tornò a vivere in Italia. A partire da dicembre 1998 non versò più l’assegno alimentare.

11. La ricorrente tentò allora di far eseguire la sentenza del 24 febbraio 1998 rivolgendosi alla cassa assegni famigliari dell’Alto-Reno. La causa fu trasmessa alla sotto-direzione della cooperazione internazionale nel diritto di famiglia e all’ufficio recupero crediti per assegni alimentari all’estero.

12. Il 18 febbraio 1999 la ricorrente presentò denuncia contro il sig. N., presso la procura di Colmar, per violazione degli obblighi di assistenza famigliare. L’esito della denuncia non è stato comunicato.

13. Il 10 marzo 2000 il ministero francese degli Affari esteri trasmise il fascicolo al ministero italiano dell’Interno ai fini dell’avvio della procedura nazionale destinata a fornire l’assistenza prevista dalla Convenzione di New York del 1956 sul recupero dei crediti alimentari all’estero (di seguito «la Convenzione di New York»).

14. Il 21 giugno 2000 le autorità italiane informarono il ministero francese degli Affari esteri che avevano adito la prefettura territorialmente competente per far ricercare e sentire il sig. N.
Quest’ultimo fu convocato in prefettura l’8 agosto 2000, e affermò che non intendeva rimettere in discussione la sentenza resa dal tribunale di Colmar ma dichiarò di non essere in grado di versare gli alimenti dovuti in quanto, secondo le sue affermazioni, era disoccupato. Aggiunse che avrebbe ottemperato all’obbligo di mantenimento del figlio minore solo quando la sua situazione economica glielo avesse permesso.

15. Il 23 marzo 2001 la cassa per gli assegni famigliari dell’Alto Reno trasmise al ministero italiano dell’Interno un’attestazione della creditrice e uno stato aggiornato del debito alimentare.

16. Con nota datata 26 luglio 2004 i carabinieri segnalarono che il sig. N. esercitava un’attività di meccanico di automobili in un garage di sua proprietà. I redditi dell’interessato sarebbero stati molto bassi. Sulla base di queste nuove informazioni, il 13 agosto 2004 la prefettura di Reggio Calabria convocò il sig. N. per comunicazioni urgenti; alla convocazione non fu dato seguito.

17. Il 17 febbraio 2005 l’avvocatura dello Stato fu incaricata di avviare un’azione giudiziaria volta a ottenere l’exequatur della sentenza del tribunale di grande istanza di Colmar del 24 febbraio 1998 ai fini del recupero del credito della ricorrente. Il sig. N. fu convocato a un’udienza, fissata per il 28 febbraio 2006. Egli affermò di non opporsi alla domanda di riconoscimento della sentenza del tribunale di Colmar ma insistette sulla sua impossibilità di uniformarsi alla stessa a causa – secondo lui – della precarietà della sua situazione economica.

18. Il 6 giugno 2008 la guardia di finanza effettuò dei controlli sul patrimonio del sig. N. che, in apparenza, si trovava in una condizione economica modesta.

19. Con sentenza del 27 gennaio 2010 la corte d’appello di Reggio Calabria dichiarò che sussistevano le condizioni necessarie per il riconoscimento in Italia della sentenza del tribunale di Colmar del 24 febbraio 1998. La corte d’appello precisò che l’azione giudiziaria contro il sig. N. era stata avviata il 9 dicembre 2005 dal ministro dell’Interno, che agiva in qualità di intermediario ai sensi della Convenzione di New York.

20. Il Governo afferma che dopo aver ottenuto tale decreto il ministero italiano dell’Interno ha chiesto all’avvocatura dello Stato di avviare la procedura di esecuzione forzata.

21. Secondo le indagini condotte dalla polizia tributaria italiana, il sig. N. gestiva una attività di riparazione di automobili situata a Polistena (Reggio Calabria) e, per gli anni 2007, 2008 e 2009, aveva dichiarato redditi netti per un importo di 6.896 EUR, 1.558 EUR e 964 EUR rispettivamente. Risultava da tali indagini che egli era proprietario di immobili (edifici e terreni) nei comuni di Polistena e San Giorgio Morgeto e di un terreno che dava una rendita di circa 530 EUR mensili.

22. Secondo le informazioni fornite dalla ricorrente il 28 novembre 2012, a tale data quest’ultima non aveva ricevuto alcun versamento da parte del suo ex marito. Nel frattempo, il 16 novembre 2012 il ministero francese degli Affari esteri ed europei (nuova denominazione del «ministero francese degli Affari esteri») aveva chiesto alla ricorrente un riepilogativo delle somme dovute dal debitore e le aveva consigliato di presentare denuncia in Italia per violazione degli obblighi di assistenza famigliare. La ricorrente aveva dichiarato che non intendeva avviare una azione giudiziaria di questo tipo, in mancanza, secondo lei, di risorse economiche.

23. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 19 febbraio 2014 la procedura di esecuzione era, a tale data, ancora pendente.

24. Nel corso della procedura, su richiesta della ricorrente, il ministero francese degli Affari esteri ed europei ha chiesto informazioni al ministero italiano dell’Interno, invitandolo ad adottare ogni misura utile per poter dare esecuzione alla sentenza di divorzio e applicare la Convenzione di New York. La ricorrente stessa ha contattato varie volte l’amministrazione italiana.

25. Secondo le affermazioni della ricorrente, il sig. N. si è risposato in Italia e vive con la nuova moglie e i loro tre figli e, dato che la nuova moglie sarebbe disoccupata, egli provvede da solo alle necessità della nuova famiglia.

II. IL DIRITTO INTERNO E INTERNAZIONALE PERTINENTE

26. Le disposizioni, applicabili nel caso di specie, della Convenzione di New York, della legge n. 218 del 31 maggio 1995 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) e della legge n. 89 del 24 marzo 2001 (attribuzione di un’equa soddisfazione in caso di inosservanza del principio della «durata ragionevole» – di seguito, «la legge Pinto») sono esposte nella sentenza K. c. Italia (n. 38805/97, §§ 18-20, 20 luglio 2004).

IN DIRITTO

I. OSSERVAZIONE PRELIMINARE

27. A titolo preliminare la Corte osserva che, anche se è un tribunale francese che ha accolto la domanda di assegno alimentare presentata dalla ricorrente, le autorità italiane – per il fatto di aver ratificato la Convenzione di New York – erano tenute a far eseguire la decisione francese e, nell’ambito di tale obbligo, hanno agito in maniera autonoma. Peraltro la Corte osserva in proposito che la procedura in questione non era soggetta ad alcun controllo delle autorità francesi e che la ricorrente non poteva ottenere riparazione da parte dello Stato francese in caso di negligenza o ritardo eccessivo nell’esecuzione della decisione.
In sintesi, la Corte constata che i motivi di ricorso sollevati dalla ricorrente rientrano nella competenza dell’Italia sul piano della Convenzione (K. c. Italia, sopra citata, § 21).

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

28. La ricorrente lamenta un’inerzia da parte delle autorità italiane per quanto riguarda le sue domande volte a ottenere il versamento dell’assegno alimentare dovuto dal suo ex marito. Sostiene di essere una madre nubile, funzionario dello Stato, e afferma di dover pagare un mutuo e di aver dovuto ricorrere all’aiuto famigliare per assicurare al figlio delle condizioni di vita decenti.
Nel modulo di ricorso, la ricorrente richiama la Convenzione di New York e la Convenzione de L’Aja del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile agli obblighi alimentari, nonché l’articolo 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione, che recita:
«I coniugi godono dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i loro figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in caso di suo scioglimento. Il presente articolo non impedisce agli Stati di adottare le misure necessarie nell’interesse dei figli.»

29. Nelle sue osservazioni in risposta del 9 dicembre 2013 la ricorrente considera inoltre che la sua causa dovrebbe essere esaminata dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, in quanto il mancato versamento dell’assegno alimentare secondo lei ha pregiudicato la sua vita famigliare e il suo diritto al rispetto dei suoi beni. In particolare, lo Stato convenuto non avrebbe ottemperato ai propri obblighi positivi in questi ambiti.
La ricorrente ritiene che il ricorso dovrebbe essere nuovamente comunicato al Governo con l’aggiunta dei motivi di ricorso sollevati ai sensi di queste due disposizioni, che recitano:
Articolo 8 della Convenzione
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
Articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

30. Il Governo contesta la tesi della ricorrente.

31. La Corte considera che le doglianze della ricorrente si prestino ad essere esaminate anzitutto dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti per il caso di specie, recita:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...) il qual sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

A. Sulla ricevibilità

1. Sulla questione dell’esaurimento delle vie di ricorso interne

32. Il Governo osserva che, a sensi dell’articolo 6 della Convenzione di New York, l’istituzione intermedia è chiamata ad adottare, a nome del creditore, tutte le misure idonee ad assicurare la riscossione degli alimenti. Secondo il Governo, da ciò deriva che il creditore è il beneficiario della procedura di esecuzione forzata; in caso di eccessiva durata, detto creditore sarebbe il soggetto titolare del diritto di intentare un’azione risarcitoria in virtù della legge Pinto.

33. La ricorrente sottolinea che all’inizio vi era, dinanzi al tribunale di grande istanza di Colmar, una controversia tra lei e il suo ex marito riguardo all’assegno alimentare, che si è conclusa con la sentenza del 24 febbraio 1998 (paragrafo 8 supra). La stessa sottolinea che la controversia oggetto del presente ricorso riguarda l’esecuzione della sentenza del 24 febbraio 1998 da parte delle autorità italiane. Su questo punto, la ricorrente sostiene che, ai sensi della Convenzione di New York, le autorità italiane erano responsabili della riscossione e che, di conseguenza, lei stessa non era parte alla procedura di esecuzione. Aggiunge che, nella causa K. c. Italia (sopra citata, §§ 26-29), un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo rispetto alla legge Pinto è stata secondo lei rigettata proprio per un motivo identico.

34. Nella misura in cui le osservazioni del Governo potrebbero essere interpretate nel senso di sollevare una eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte rammenta che, nella causa K. c. Italia sopra citata, essa ha osservato che, secondo la Convenzione di New York, le autorità italiane erano responsabili della riscossione dei crediti alimentari e che il creditore non era parte al procedimento giudiziario in Italia. Essa rammenta anche che, nell’ambito di questa stessa causa, il Governo non aveva dimostrato che un ricorrente che non era parte nel procedimento interno, anche se interessato nello stesso, poteva validamente presentare un ricorso sulla base della legge Pinto.

35. La Corte constata che, nell’ambito del presente ricorso, il Governo non ha fornito alcun elemento che possa rimettere in discussione le conclusioni alle quali è giunta nella causa K. c. Italia sopra citata. In particolare, il Governo non ha fornito alcun esempio di cause nelle quali un ricorso fondato sulla legge Pinto sia stato esperito con successo rispetto alla durata eccessiva di un procedimento per la riscossione di un credito alimentare intentato ai sensi della Convenzione di New York.

36. Alla luce di quanto sopra esposto, l’eccezione di mancato esaurimento del Governo non può essere accolta.

2. Sull’applicabilità dell’articolo 6 § 1 della Convenzione

37. Per quanto riguarda la questione di stabilire se l’articolo 6 della Convenzione trovi applicazione nella presente causa la Corte osserva che, anche se la ricorrente non era parte nel procedimento giudiziario in Italia, quest’ultimo era in ogni caso determinante per i suoi «diritti e doveri di carattere civile» in quanto le possibilità per l’interessata di riscuotere il proprio credito alimentare dipendevano dall’esito dello stesso (W.K. c. Italia (dec.), n. 38805/97, 25 giugno 2002). La Corte osserva anche che il Governo non ha contestato l’applicabilità di tale disposizione nel caso di specie (si vedano, mutatis mutandis, K. c. Italia, sopra citata, §§ 30-31, e Matrakas e altri c. Polonia e Grecia, n. 47268/06, § 149, 7 novembre 2013).

3. Sull’eccezione del Governo relativa all’assenza di qualità di vittima della ricorrente

38. Nelle sue osservazioni complementari del 19 febbraio 2014 il Governo eccepisce per la prima volta l’assenza di qualità di vittima della ricorrente. Esso fa notare che, secondo una attestazione del 21 gennaio 2001 firmata dalla ricorrente stessa, l’interessata riceve da molto tempo dalla cassa assegni famigliari dell’Alto Reno un assegno di sostegno famigliare come anticipo dell’assegno non versato dal suo ex marito, e afferma che, pertanto, si sarebbe impegnata a far pervenire alla cassa assegni famigliari qualsiasi versamento proveniente dal debitore. Di conseguenza, secondo il Governo la cassa assegni famigliari, e non la ricorrente, dispone del diritto di riscuotere il credito.

39. La Corte osserva che il motivo di ricorso della ricorrente è relativo alla durata della procedura per il riconoscimento in Italia della sentenza del tribunale di grande istanza di Colmar del 24 febbraio 1998, ai fini della riscossione del credito della ricorrente. La Corte ha peraltro appena concluso che tale procedura era fondamentale per i «diritti e doveri di carattere civile» dell’interessata (paragrafo 37 supra). Alla luce di queste circostanze, la Corte è del parere che la ricorrente è la persona direttamente e personalmente interessata dalla durata in causa, indipendentemente dal fatto che delle istituzioni pubbliche francesi abbiano potuto versarle somme di denaro a titolo di prestazioni sociali.

40. Di conseguenza la ricorrente può sostenere di essere «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, dei fatti da lei denunciati, e l’eccezione del Governo non può essere accolta.

4. Altri motivi di irricevibilità

41. Constatando inoltre che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

a) La ricorrente

42. La ricorrente considera che l’articolo 6 della Convenzione sia stato violato per due motivi. In primo luogo, dichiara che vi è stato un inadempimento prolungato di una sentenza definitiva resa dai giudici francesi. Fa notare che il sig. N. era proprietario del garage dove lavorava come meccanico, che possedeva degli immobili situati nei comuni di Polistena e San Giorgio Morgeto e un terreno da cui ricavava una rendita mensile di 530 EUR e che aveva ricevuto circa 35.000 EUR a seguito dell’atto notarile di divisione dei beni comuni. La stessa afferma inoltre che egli provvede da solo alle necessità della sua famiglia attuale, che sarebbe composta da quattro membri e considera, di conseguenza, che il suo ex marito sia in grado di pagare l’assegno alimentare per suo figlio, dell’importo di 182,94 EUR mensili, e che l’argomento del Governo secondo il quale l’inadempimento della sentenza era dovuto a una insufficienza dei redditi del sig. N. non può essere accolto.

43. Secondo la ricorrente le autorità italiane hanno agito in cattiva fede: esse avrebbero trascurato la sua causa per anni e non avrebbero preso alcuna iniziativa fino alla comunicazione del presente ricorso. Per la ricorrente, lo Stato italiano aveva l’obbligo positivo di predisporre un sistema effettivo che assicurasse l’esecuzione delle decisioni giudiziarie definitive rese nell’ambito delle controversie tra privati. Inoltre, la ricorrente sostiene che le autorità italiane dovevano assisterla agendo in suo nome e per suo conto, in applicazione della Convenzione di New York, e che non hanno dato prova di alcuna diligenza al riguardo e non hanno tenuto conto della posta in gioco della controversia per lei e per il figlio che era minorenne per tutto il periodo in questione.

44. In secondo luogo, la ricorrente ritiene che la procedura di esecuzione sia stata eccessivamente lunga. Secondo le sue affermazioni quest’ultima sarebbe iniziata il 10 marzo 2000, quando il ministero francese degli Affari esteri ha trasmesso la causa al ministero italiano dell’Interno (paragrafo 13 supra) e, alla data delle ultime informazioni fornite dal Governo – ossia il 19 febbraio 2014 – era ancora pendente (paragrafo 23 supra). La ricorrente ritiene che la durata complessiva di tale procedura non possa essere considerata ragionevole. Inoltre, affermando che si sono verificati numerosi ritardi e facendo notare che non era parte nella procedura in questione, essa ritiene di non poter essere considerata responsabile degli stessi, e aggiunge che la causa non avrebbe presentato alcuna complessità e, per il suo oggetto, avrebbe dovuto essere esaminata con particolare celerità.

b) Il Governo

45. Il Governo fa notare che il problema, nel caso di specie, sembra consistere in una insufficienza dei redditi del sig. N., che non avrebbe potuto ottemperare al proprio obbligo di contribuire al mantenimento del figlio.

2. Valutazione della Corte

46. La Corte rammenta la propria giurisprudenza secondo la quale il carattere ragionevole della durata di un procedimento si valuta in funzione delle circostanze particolari della causa. Nella fattispecie, tali circostanze impongono una valutazione globale, cosicché la Corte non considera utile esaminare la questione nel dettaglio (si veda, in particolare, Obermeier c. Austria, 28 giugno 1990, § 72, serie A n. 179, Ferraro c. Italia, 19 febbraio 1991, § 17, serie A n. 197-A, e K. c. Italia, sopra citata, § 34).

47. La Corte osserva in questo caso che la procedura in questione è iniziata il 10 marzo 2000, data in cui il ministero francese degli Affari esteri ha trasmesso al ministero italiano dell’Interno il fascicolo relativo alla causa della ricorrente, ai fini dell’avvio della procedura nazionale destinata a fornire l’assistenza prevista dalla Convenzione di New York (paragrafo 13 supra). In effetti, tale trasmissione costituiva la prima azione da intraprendere affinché la causa fosse portata dinanzi a un giudice italiano (K. c. Italia, sopra citata, § 35).

48. La Corte osserva anche che solo il 17 febbraio 2005, ossia più di quattro anni e undici mesi dopo, l’avvocatura dello Stato è stata incaricata di intentare un’azione giudiziaria volta a ottenere il riconoscimento della sentenza del tribunale di grande istanza di Colmar del 24 febbraio 1998 (paragrafo 17 supra). Essa osserva che un periodo così lungo di inattività rimane inspiegabile. Inoltre, essa osserva che il procedimento dinanzi alla corte d’appello di Reggio Calabria si è concluso solo il 27 gennaio 2010, giorno in cui è stata pronunciata la sentenza che dichiarava la sussistenza delle condizioni necessarie per il riconoscimento in Italia della sentenza del tribunale di Colmar del 24 febbraio 1998 (paragrafo 19 supra): tale procedura ha avuto dunque una durata di poco meno di cinque anni, che è evidentemente eccessiva a fronte del fatto che la causa non era complessa e che il sig. N. non si era opposto alla richiesta di riconoscimento della sentenza (paragrafo 17 supra). Infine, per quanto riguarda la procedura di esecuzione forzata, la Corte osserva che, alla data delle ultime informazioni fornite dal Governo (ossia il 19 febbraio 2014 – paragrafo 23 supra), questa era ancora pendente.

49. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che una durata complessiva di tredici anni e undici mesi non possa, nella presente causa, essere considerata ragionevole. Peraltro, tale durata non può essere in alcun modo imputata alla ricorrente, la quale, invece, ha più volte sollecitato l’esame della sua causa presso le autorità francesi e italiane.

50. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

51. Questa conclusione dispensa la Corte dall’esaminare se la disposizione in questione sia stata violata anche per quanto riguarda la mancata esecuzione di una sentenza passata in giudicato.

III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

52. Come sopra indicato (paragrafi 28 e 29 supra), la ricorrente ritiene che l’impossibilità di riscuotere il suo credito alimentare abbia anche violato l’articolo 8 della Convenzione, nonché l’articolo 1 del Protocollo n. 1 e l’articolo 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione.

53. Considerata la sua conclusione dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafo 50 supra), la Corte ritiene non doversi esaminare la ricevibilità e/o il merito dei motivi di ricorso relativi all’articolo 8 della Convenzione, all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e all’articolo 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

54. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danni

55. La ricorrente chiede 46.714,47 EUR per il danno materiale che sostiene di avere subito e afferma che, considerata la sua situazione economica, la posta in gioco è per lei estremamente importante, così come per suo figlio. La stessa considera che il ritardo nell’esecuzione della sentenza del tribunale di grande istanza di Colmar ha privato la decisione del giudice francese di un oggetto utile in quanto non le ha permesso di ottenere il versamento dell’assegno alimentare per quindi anni. La ricorrente precisa che, poiché tale assegno ammonta a 182,94 EUR al mese, le sarebbe dovuta la somma totale di 33.289,20 EUR, alla quale verrebbe ad aggiungersi la somma di 13.425,27 EUR per gli interessi legali.

56. La ricorrente chiede anche la somma di 20.000 EUR per il danno morale che sostiene di avere subito, affermando che la situazione denunciata ha causato a lei e al figlio un senso di smarrimento e angoscia.

57. Il Governo fa osservare che qualsiasi somma eventualmente accordata alla ricorrente per il danno materiale dovrebbe in ogni caso essere restituita alla cassa assegni famigliari dell’Alto Reno. Esso afferma anche che il fatto che la ricorrente percepisca l’assegno di sostegno famigliare sarebbe contrario «anche alle richieste fondate sul ritardo» formulate dall’interessata.

58. La Corte non scorge alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto e rigetta di conseguenza la relativa richiesta. La Corte osserva in particolare che la procedura di esecuzione forzata nei confronti del sig. N. era, alla data delle ultime informazioni fornite dal Governo, ancora pendente, e che la ricorrente avrà la possibilità di ottenere il versamento dell’assegno alimentare all’esito di tale procedura. In compenso, la Corte ritiene opportuno accordare alla ricorrente la somma di 18.750 EUR per danno morale.

B. Spese

59. La ricorrente chiede anche la somma di 200 EUR per le spese sostenute per le procedure dinanzi ai giudici nazionali e la somma di 2.392 EUR per le spese sostenute per la procedura dinanzi alla Corte.

60. Il Governo non ha presentato osservazioni su questo punto.

61. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti a sua disposizione e della sua giurisprudenza, la Corte considera ragionevole la somma di 2.500 EUR per tutte le spese sostenute e la accorda alla ricorrente.

C. Interessi moratori

62. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 della Convenzione;

2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

3. Dichiara non doversi esaminare la ricevibilità e/o il merito delle doglianze relative all’articolo 8 della Convenzione, all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e all’articolo 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione;

4. Dichiara

  1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemnte all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
    1. 18.750 EUR (diciottomilasettecentocinquanta euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
    2. 2.500 EUR (duemilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla ricorrente, per le spese,
  2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile in tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;

5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 15 luglio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Işıl Karakaş
Presidente