Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 giugno 2014 - Ricorsi nn.54425/08, 58361/08, 58464/08, 60505/08, 60524/08 e 61827/08 - Cataldo ed altri c. Italia

Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa  Silvia Canullo, funzionario linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA CATALDO E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi  nn. 54425/08, 58361/08, 58464/08, 60505/08, 60524/08 e  61827/08)

SENTENZA

STRASBURGO

24 giugno 2014

Nella causa Cataldo e altri c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), riunita in una Camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Egidijus Kūris,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro, giudici,
e Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 maggio 2014,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi sono sei ricorsi (si veda l’allegato) proposti contro la Repubblica italiana con cui sei cittadini italiani (“i ricorrenti”) hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione») nel 2008 (si veda  l’allegato per i dettagli).

2.  I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. Elisabetta Fatuzzo, del foro di Bergamo, Italia. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, Paola Accardo.

3. I ricorrenti hanno sostenuto che l’intervento legislativo, vale a dire la promulgazione della legge 296/2006, avvenuto nelle more dei loro procedimenti, aveva negato loro il diritto a un equo processo a norma dell’articolo 6 §1 della Convenzione.

4.  Il 29 agosto 2012 i ricorsi sono stati comunicati al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

A.  Il contesto delle cause

5.  Le circostanze del caso di specie sono analoghe a quelle descritte nella causa Maggio e altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 31 maggio 2011).

6.  Nel 1995, con la riforma Dini, l’Italia modificò il suo sistema pensionistico passando dal sistema retributivo, che applicava un metodo di calcolo basato sulla retribuzione, a quello contributivo, in cui l’importo della  pensione percepita dipendeva dai contributi versati.

1.  Sig.  Cataldo

7.  Il sig. Cataldo, che aveva trasferito in Italia i contributi versati in Svizzera, chiese all’INPS di calcolare la sua pensione in conformità alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962 (si vedano il diritto e la prassi interni pertinenti infra), sulla base dei contributi versati in Svizzera per il lavoro ivi svolto tra il 1956 e il 1994. Come base di calcolo della sua pensione (in relazione alla retribuzione media degli ultimi dieci anni), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio comportò una riparametrazione fondata sul rapporto esistente tra l’aliquota contributiva applicata in Svizzera (8%) e quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario che ammontava a circa un quarto del salario effettivamente percepito dal ricorrente, e portò pertanto a una riduzione della pensione stessa.

8.  Conseguentemente, nel 2006 il sig. Cataldo ricorse in giudizio, sostenendo che ciò era contrario allo spirito della Convenzione italo-svizzera. Diverse persone che si trovavano nella stessa posizione avevano fatto lo stesso con successo, poiché i tribunali interni avevano stabilito che le persone che avevano lavorato in Svizzera e che avevano successivamente trasferito i loro contributi in Italia avrebbero dovuto beneficiare di una pensione calcolata con il metodo retributivo sulla base del salario percepito in Svizzera, a prescindere dal fatto che i contributi trasferiti fossero stati versati in base a un’aliquota svizzera molto inferiore.

9.  Nelle more del procedimento, il 1° gennaio 2007 entrò in vigore la legge n. 296/2006 (si vedano il diritto e la prassi  interni pertinenti infra).

10.  Con sentenza del Tribunale di Lecco (sezione lavoro e previdenza) del 27 febbraio 2008, depositata nella pertinente cancelleria il 6 maggio 2008, il Tribunale respinse la pretesa del sig. Cataldo in considerazione dell’entrata in vigore della legge 296/2006.

11.  Il sig. Cataldo non propose appello, ritenendolo inutile dato che la legge contestata era stata giudicata legittima dalla Corte Costituzionale con  sentenza n. 172 del 23 maggio 2008) (si vedano il diritto e la prassi  interni pertinenti infra), che gli altri tribunali erano poi tenuti a rispettare.

2.  Sig.  Maggioni

12.  Il sig. Maggioni, che aveva trasferito in Italia i contributi versati in Svizzera, chiese all’INPS di calcolare la sua pensione in conformità alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962, sulla base dei contributi versati in Svizzera per il lavoro ivi svolto tra il 1965 e il 2000. Come base di calcolo della sua pensione (in relazione alla retribuzione media negli ultimi dieci anni), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio comportò una riparametrazione fondata sul rapporto esistente tra l’aliquota contributiva applicata in Svizzera (8%) e quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario che ammontava a circa un quarto del salario effettivamente percepito dal ricorrente, e portò pertanto a una riduzione della pensione stessa.

13.  Conseguentemente, nel 2006 il sig. Maggioni ricorse in giudizio.

14.  Con sentenza del Tribunale di Brescia (sezione lavoro) del 26 giugno 2006, la pretesa del sig. Maggioni fu accolta sulla base della pertinente giurisprudenza della Corte di Cassazione dell’epoca.
15.  L’INPS propose appello.

16.  Con sentenza del 1° marzo 2007, depositata nella pertinente cancelleria il 19 maggio 2007, la Corte di Appello di Milano ribaltò la sentenza di primo grado, in considerazione dell’entrata in vigore della legge 296/2006. Tale sentenza divenne definitiva il 19 maggio 2008, poiché il sig. Maggioni non propose ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendolo inutile date le circostanze della causa.

3.  Sig.  Ribulotta

17.  Il sig. Ribulotta, che aveva trasferito in Italia i contributi versati in Svizzera, chiese all’INPS di calcolare la sua pensione in conformità alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962 sulla base dei contributi versati in Svizzera per il lavoro ivi svolto tra il 1955 e il 1991. Come base di calcolo della sua pensione (in relazione alla retribuzione media negli ultimi dieci anni), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio comportò una riparametrazione fondata sul rapporto esistente tra l’aliquota contributiva applicata in Svizzera (8%) e quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario che ammontava a circa un quarto del salario effettivamente percepito dal ricorrente, e portò pertanto a una riduzione della pensione stessa.

18.  Conseguentemente, nel 2003 il sig. Ribulotta ricorse in giudizio.

19.  Con sentenza del Tribunale di Varese (sezione lavoro e previdenza) del 21 febbraio 2006, la pretesa del sig. Ribulotta fu accolta sulla base della pertinente giurisprudenza della Corte di Cassazione dell’epoca.
20.  L’INPS propose appello.

21.  Con sentenza del 16 maggio 2008, depositata nella pertinente cancelleria il 5 giugno 2008, la Corte di Appello di Milano ribaltò la sentenza di primo grado, in considerazione dell’entrata in vigore della legge 296/2006.

22.  Il sig. Ribulotta non propose ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendolo inutile date le circostanze della causa.

4.  Sig.  Marinaro

23.  Il sig. Marinaro, che aveva trasferito in Italia i contributi versati in Svizzera, chiese all’INPS di calcolare la sua pensione in conformità alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962, sulla base dei contributi versati in Svizzera per il lavoro ivi svolto tra il 1965 e il 1994. Come base di calcolo della sua pensione (in relazione alla retribuzione media negli ultimi dieci anni), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio comportò una riparametrazione fondata sul rapporto esistente tra l’aliquota contributiva applicata in Svizzera (8%) e quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario che ammontava a circa un quarto del salario effettivamente percepito dal ricorrente, e portò pertanto a una riduzione della pensione stessa.

24.  Conseguentemente, nel 2006 il sig. Marinaro ricorse in giudizio.

25. Con sentenza del Tribunale di Como (sezione lavoro e previdenza) del 21 febbraio 2006, la pretesa del sig. Marinaro fu respinta in quanto tardiva.

26.  Il sig. Marinaro propose appello.

27.  Con sentenza del 7 luglio 2008, depositata nella pertinente  cancelleria il 17 luglio 2008, la Corte di Appello di Milano riformò la sentenza di primo grado, ritenendo che le pretese del ricorrente concernenti le somme relative ai tre anni precedenti alla presentazione della domanda non dovessero essere ritenute prescritte; essa respinse comunque la pretesa nel merito in considerazione dell’entrata in vigore della legge 296/2006.

28.  Il sig. Marinaro non propose ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendolo inutile date le circostanze della causa.

5.  Sig.  Centamore

29.  Il sig. Centamore, che aveva trasferito in Italia i contributi versati in Svizzera, chiese all’INPS di calcolare la sua pensione in conformità alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962, sulla base dei contributi versati in Svizzera per il lavoro ivi svolto tra il 1969 e il 2000. Come base di calcolo della sua pensione (in relazione alla retribuzione media negli ultimi dieci anni), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio comportò una riparametrazione fondata sul rapporto esistente tra l’aliquota contributiva applicata in Svizzera (8%) e quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario che ammontava a circa un quarto del salario effettivamente percepito dal ricorrente, e portò pertanto a una riduzione della pensione stessa.

30.  Conseguentemente, nel 2006 il sig. Centamore ricorse in giudizio.

31.  Con sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 9 giugno (sezione lavoro e previdenza), la pretesa del sig. Centamore fu respinta in considerazione dell’entrata in vigore della legge 296/2006.

32.  Il sig. Centamore non propose appello, ritenendolo inutile date le circostanze della causa.

6.  Sig.  Maccarinelli

33.  Il sig. Maccarinelli, che aveva trasferito in Italia i contributi versati in Svizzera, chiese all’INPS di calcolare la sua pensione in conformità  alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962, sulla base dei contributi versati in Svizzera per il lavoro ivi svolto tra il 1960 e il 2000. Come base di calcolo della sua pensione (in relazione alla retribuzione media negli ultimi dieci anni), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio comportò una riparametrazione fondata sul rapporto esistente tra l’aliquota contributiva applicata in Svizzera (8%) e quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario che ammontava a circa un quarto del salario effettivamente percepito dal ricorrente, e portò pertanto a una riduzione della pensione stessa.

34.  Conseguentemente, nel 2006 il sig. Maccarinelli ricorse in giudizio.

35.  Con sentenza del Tribunale di Brescia (sezione lavoro e previdenza) del 20 giugno 2008, depositata nella pertinente cancelleria il 23 giugno 2008, la pretesa del sig. Maccarinelli fu respinta in considerazione dell’entrata in vigore della legge 296/2006.

36.  Il sig. Maccarinelli non propose appello, ritenendolo inutile date le circostanze della causa.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

37.  Il diritto e la prassi interni pertinenti riguardanti la presente causa sono reperibili nella sentenza Maggio e altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, §§ 27-35, 31 maggio 2011).

La sentenza della Corte Costituzionale n. 264 del 28 novembre 2012

La questione fu sollevata nuovamente dinanzi alla Corte Costituzionale a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa  Maggio e altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08,  31 maggio 2011), che aveva concluso, in circostanze quali quelle del caso di specie, che lo Stato italiano, promulgando la legge n. 296/2006, aveva violato i diritti dei ricorrenti previsti dall’articolo 6 § 1, intervenendo in maniera decisiva per assicurare che l’esito di un procedimento nel quale era parte fosse a esso favorevole. La Corte Costituzionale dovette pertanto esaminare la compatibilità della legge n. 296/2006 con il pertinente quadro giuridico, e ritenne che essa fosse effettivamente compatibile.
La Corte Costituzionale rammentò che il D.P.R. n. 488 del 27 aprile 1968 aveva introdotto un nuovo metodo di calcolo delle pensioni, vale a dire il metodo retributivo, basato sulla retribuzione. Si era stabilita una costante giurisprudenza che riteneva che anche gli italiani che avevano lavorato in Svizzera e avevano successivamente trasferito i loro contributi nel sistema italiano avrebbero dovuto beneficiare del calcolo di tipo retributivo, a prescindere dal fatto che avessero versato dei contributi inferiori a quelli esigibili in Italia. Successivamente il legislatore aveva promulgato la legge n. 296/2006, la cui costituzionalità era stata confermata nel 2008 dalla Corte Costituzionale, poiché la legge costituiva l’interpretazione autentica della legislazione originaria ed era pertanto ragionevole, e da quel momento in poi la giurisprudenza si adeguò.
La Corte Costituzionale fece riferimento alle conclusioni della causa Maggio, ma ritenne di dover valutare essa stessa la questione; la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva riconosciuto che era possibile intervenire in un procedimento pendente qualora sussistessero motivi imperativi di interesse generale, e la Corte Costituzionale riteneva che spettasse allo Stato contraente individuare tali motivi imperativi di interesse generale e intervenire dal punto di vista legislativo per garantire che essi fossero determinati.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale prevedeva che, comparando i meccanismi di tutela nazionali e quelli della Convenzione, la tutela delle garanzie dovesse prevalere, tenendo comunque conto degli altri interessi costituzionalmente protetti. Il principio del margine di apprezzamento stabilito dalla Corte stessa era di particolare rilevanza e la Corte Costituzionale doveva tenerne conto per assicurare un sistema uniforme di norme coerenti.
Pur essendo vincolata, in linea di massima, dalla sentenza Maggio (essendo anche i principi posti a suo fondamento principi costituzionalmente riconosciuti), la Corte Costituzionale dovette prestarsi a un esercizio di bilanciamento. Essa riteneva che altri interessi opposti, anche essi costituzionalmente  protetti e attinenti alla questione in discussione, prevalessero nelle circostanze del caso di specie. Ne conseguiva che esistevano motivi imperativi di interesse generale che giustificavano l’applicazione retroattiva della legge. Invero, gli effetti della nuova legge  andavano nel senso di evitare un sistema previdenziale che privilegiasse alcuni e fosse vantaggioso per altri, garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà che, per via del loro carattere fondativo, occupavano una posizione privilegiata rispetto ad altri diritti costituzionali. La legge contestata era ispirata ai principi di uguaglianza e proporzionalità e teneva conto del fatto che i contributi versati in Svizzera erano quattro volte inferiori a quelli versati in Italia. Essa applicava pertanto un ricalcolo diretto che consentiva di erogare pensioni proporzionali ai contributi versati, eliminando in tal modo eventuali disparità e rendendo il sistema previdenziale più sostenibile a beneficio di tutti i suoi  utenti. Invero, anche la  Corte europea dei diritti dell’uomo aveva accolto tale ragionamento nella causa Maggio in relazione alla doglianza di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1, sebbene non avesse ritenuto tale motivo sufficiente a evitare la violazione dell’articolo 6. A ogni modo, a differenza della Corte che è tenuta a esaminare le doglianze separatamente, la Corte Costituzionale doveva adottare un approccio globale e valutare una causa sulla base di tutte le pertinenti garanzie costituzionali. La questione dell’incostituzionalità era pertanto infondata, e invero una diversa conclusione non solo avrebbe conseguenze sul sistema pensionistico ma andrebbe anche contro lo spirito della sentenza della Corte nella causa Maggio, che aveva respinto le richieste del ricorrente di una pensione basata sul precedente calcolo.

IN DIRITTO

I.  SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

38. In conformità all’articolo 42 § 1 del Regolamento della Corte, la Corte decide di riunire i ricorsi, data la similitudine del loro contesto fattuale e giuridico.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

39.   I ricorrenti hanno lamentato, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, che l’intervento legislativo, vale a dire la promulgazione della legge n. 296/2006 mentre i procedimenti erano pendenti, che aveva modificato la giurisprudenza consolidata, aveva negato loro il  diritto a un equo processo. La disposizione, per quanto pertinente, recita:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”

40.  Il  Governo ha contestato tale argomento.

A.  Sulla ricevibilità

41.  La Corte constata che la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e osserva inoltre che essa non incorre in altri motivi di irricevibilità, deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Gli argomenti delle parti

42.  I ricorrenti hanno sostenuto che la legge n. 296/2006 aveva l’esplicito scopo di evitare l’esborso di milioni di euro necessari per eseguire un elevato numero di sentenze derivanti da cause pendenti dinanzi ai tribunali interni. L’esito di tali cause, vale a dire che esso sarebbe stato favorevole, era prevedibile data la costante giurisprudenza. Invero, il corpo legislativo aveva approvato una legge definita di interpretazione autentica, ma che era in realtà innovativa, al fine di influenzare le pertinenti determinazioni giudiziarie, ribaltando in tal modo la consolidata interpretazione data dai tribunali interni alle norme in questione. Così facendo lo Stato aveva violato lo stato di diritto e il diritto a un equo processo, che stabiliva che le controversie sui diritti e gli obblighi di carattere civile dovessero essere determinate dai tribunali e non dal corpo legislativo.

43.  Il Governo ha ricapitolato i fatti, sottolineando che la Convenzione italo-svizzera era stata ratificata nel 1963 e la legge n. 1987 era stata approvata nel 1982. Tale legge aveva modificato il metodo di calcolo delle pensioni passando dal metodo contributivo a quello retributivo e aveva pertanto posto un serio problema di coerenza riguardo alla valutazione dei periodi di lavoro svolto in Svizzera, nella misura in cui i salari svizzeri erano assoggettati a un contributo dell’8% mentre quelli italiani a un contributo del 32%. Ne conseguiva che le pensioni degli italiani che avevano lavorato in Svizzera erano supervalutate sia rispetto agli altri lavoratori italiani che avevano versato i contributi solo in Italia sia rispetto ai lavoratori svizzeri che avevano versato contributi inferiori, ma che percepivano anche pensioni inferiori. Questo è il motivo per cui il Governo aveva promulgato la legge n. 296/2006, che prevedeva che se i contributi versati all’estero venivano trasferiti nel sistema italiano in conformità agli accordi internazionali in materia di sicurezza sociale, la retribuzione delle persone che avevano lavorato all’estero, per il periodo in cui avevano lavorato all’estero, dovesse essere determinata moltiplicando i contributi versati per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva applicabile in Italia nel periodo pertinente. I diritti pensionistici più favorevoli già liquidati prima dell’entrata in vigore della legge erano fatti salvi.

44.  Il Governo ha ritenuto che non vi fosse stata un’ingerenza ingiustificata nelle decisioni giudiziarie, né alcuna violazione della certezza giuridica, poiché l’interpretazione delle legge era stata, in ogni caso, controversa - diverse decisioni di primo grado avevano confermato il metodo di calcolo applicato dall’INPS – e poiché la legge non aveva alcun effetto sulle cause già concluse. Il motivo alla base della promulgazione della legge, e cioè assicurare che il metodo di calcolo utilizzato dall’INPS (e confermato dalla giurisprudenza minoritaria) diventasse l’interpretazione prevalente delle leggi pertinenti, era serio e ragionevole poiché prevedeva che fosse attribuito lo stesso valore ai periodi di lavoro sia che fossero stati svolti in Italia che all’estero. Ne conseguiva che i motivi non erano stati unicamente di carattere economico come nelle cause Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri c. Francia ([GC], nn. 24846/94 e dal 34165/96 al 34173/96, CEDU 1999-VII) e Scordino c. Italia (n. 1) ([GC], n. 36813/97, CEDU 2006-V).

45.  Il Governo ha ritenuto che la causa fosse paragonabile a quella di OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e  Blanche de Castille e altri c. Francia (nn. 42219/98 e 54563/00, 27 maggio 2004), in cui la Corte non aveva riscontrato violazioni perché l’ingerenza era finalizzata ad assicurare il rispetto della volontà originaria del legislatore, e in cui la Corte aveva attribuito importanza anche all’obiettivo di ristabilire la parità di  trattamento tra gli insegnanti degli istituti privati e di quelli pubblici. Anche nel caso di specie il fine dell’intervento del corpo legislativo nel promulgare la legge n. 296/2006 era stato quello di assicurare il rispetto della volontà originaria del legislatore e di coordinare l’applicazione della Convenzione italo-svizzera e del nuovo metodo di calcolo, entrato in vigore nel 1982, e che aveva creato uno squilibrio nelle pertinenti valutazioni. Ne consegue che l’ingerenza era giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

2.  La valutazione della Corte

46.  La Corte ha ripetutamente riconosciuto che, benché non sia precluso al corpo legislativo di disciplinare mediante nuove disposizioni retroattive diritti derivanti da leggi in vigore, il principio dello stato di diritto e la nozione di equo processo sanciti dall’articolo 6 precludono, tranne che per motivi imperativi di interesse pubblico, l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la definizione giudiziaria di una controversia (si vedano, tra molti altri precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 49, Serie A n. 301-B; National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, Reports 1997-VII; e Zielinski e  Pradal e Gonzalez e altri, sopra citata). Benché le disposizioni di legge in materia di pensioni siano soggette a cambiare e non si possa fare affidamento su una sentenza come garanzia contro tali cambiamenti nel futuro (si veda Sukhobokov c. Russia, n. 75470/01, § 26, 13 aprile 2006), anche se tali cambiamenti sono svantaggiosi per alcuni beneficiari delle prestazioni previdenziali, lo Stato non può interferire in modo arbitrario nelle procedure di decisione giudiziaria (si veda, mutatis mutandis, Bulgakova c. Russia, n. 69524/01, § 42, 18 gennaio 2007).

47.  In circostanze analoghe, nella causa Maggio e altri (sopra citata, §§ 44-50) la Corte, nel constatare la violazione dell’articolo 6, ha ritenuto:

“la legge [296/2006] ha escluso espressamente dal suo ambito di applicazione le sentenze divenute irrevocabili (trattamenti pensionistici già liquidati) e ha determinato una volta per tutte retroattivamente i termini delle controversie pendenti dinanzi ai tribunali ordinari. Invero, l’adozione della legge 296/2006 mentre i procedimenti erano pendenti in realtà determinava il merito delle controversie, e l’applicazione di questa da parte dei vari tribunali ordinari ha reso inutile per un intero gruppo di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti la prosecuzione del giudizio. Perciò, la legge aveva avuto l’effetto di modificare definitivamente l’esito dei giudizi pendenti, nel quale lo Stato era parte, avallando la posizione dello Stato a svantaggio dei ricorrenti.

(...) Il rispetto per lo stato di diritto e la nozione di equo processo impongono che qualsiasi motivazione addotta per giustificare tale misura sia trattata con il massimo grado di circospezione possibile (si veda, Stran Greek Refineries, sopra citata, § 49). (…) La Corte ha precedentemente ritenuto che le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie (si vedano Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 132, CEDU 2006-V, e Cabourdin c. Francia, n. 60796/00, § 37, 11 aprile 2006).
La Corte osserva che, dopo il 1982, l’INPS ha applicato un’interpretazione della legge allora in vigore che gli era particolarmente favorevole in quanto organo erogatore. Questo sistema non era sostenuto dalla giurisprudenza prevalente. La Corte non riesce a immaginare in quale modo il fine di rafforzare un’interpretazione soggettiva e parziale, favorevole a un ente dello Stato, parte nel procedimento, possa costituire una giustificazione dell’ingerenza legislativa mentre il procedimento era pendente, in particolare quando tale interpretazione era stata ritenuta erronea nella maggioranza dei casi dai tribunali nazionali, compresa la Corte di Cassazione.
Quanto alla tesi del Governo secondo cui la legge era stata necessaria per ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico eliminando qualsiasi vantaggio goduto dalle persone che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori, la Corte, pur accettando che ciò costituisca un motivo di interesse generale, non è convinta che esso sia sufficientemente imperativo da prevalere sui pericoli inerenti all’utilizzo di una normativa retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la definizione giudiziaria di una controversia pendente in cui lo Stato sia parte.

In conclusione, lo Stato ha violato i diritti dei ricorrenti di cui all’articolo 6 § 1 intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole.”

48.  Nel caso di specie il Governo ha dedotto ulteriori argomenti, sottolineando in particolare il fatto che la promulgazione della legge n. 296/2006 mirava ad assicurare il rispetto della volontà originaria del legislatore e a coordinare l’applicazione della Convenzione italo-svizzera e il nuovo metodo di calcolo, entrato in vigore nel 1982, e che aveva creato uno squilibrio nelle relative valutazioni. Ha fatto riferimento alla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e  Blanche de Castille e altri (sopra citata).

49.  La Corte ritiene che il caso di specie sia diverso dalla causa National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society (sopra citata) in cui l’avvio di un procedimento da parte delle società ricorrenti è stato considerato un tentativo di approfittare della vulnerabilità delle autorità derivante da difetti tecnici della legislazione e di frustrare l’intenzione del Parlamento (§§ 109 e 112). Il caso di specie è diverso anche dalla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e  Blanche de Castille e altri, citata dal Governo, in cui i ricorrenti avevano tentato, di nuovo, di ottenere dei vantaggi da una lacuna della legislazione, cui l’ingerenza legislativa mirava a porre rimedio. In queste due cause i tribunali interni avevano riconosciuto le carenze della legislazione in questione e l’azione da parte dello Stato, per porre rimedio alla situazione, era stata prevedibile (rispettivamente §§ 112 e 72).

50.  Nel caso di specie non vi erano difetti cospicui nel quadro giuridico del 1962 e, come riconosciuto dal Governo, la necessità di un intervento legislativo è sorta solo in conseguenza della decisione dello Stato, nel 1982, di riformare il sistema pensionistico. In quella fase fu lo Stato stesso a creare una disparità che esso provò a correggere solo ventiquattro anni dopo (e trentotto anni dopo la promulgazione delle disposizioni di legge originarie). In effetti, non risulta che vi siano stati tentativi tempestivi di correggere il sistema prima, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali interni. A tale proposito la Corte osserva che prima della promulgazione della legge n. 296/2006 i tribunali nazionali si erano ripetutamente pronunciati a favore di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, e che tale interpretazione delle pertinenti disposizioni di legge (come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 6 marzo 2004) era diventata la giurisprudenza maggioritaria. Ne consegue che, dato anche il fatto che nei decenni in cui l’applicazione del calcolo in questione era stata contestata nei tribunali nazionali vi era stata un’interpretazione maggioritaria a favore dei ricorrenti (con l’eccezione di alcune sentenze di primo grado), nel caso di specie, diversamente dalle cause summenzionate, l’ingerenza legislativa (che faceva pendere la bilancia a favore di una delle parti) non era stata prevedibile.

51.  La Corte ritiene inoltre, data la sequenza degli eventi, che non si possa affermare che l’intervento legislativo mirasse a ripristinare l’intenzione originaria del legislatore del 1962. Inoltre, anche assumendo che la legge fosse effettivamente finalizzata a reintrodurre la volontà originaria del legislatore dopo le modifiche del 1982, la Corte ha già accettato che il fine di ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico, benché di interesse generale, non era sufficientemente imperativo da prevalere sui pericoli inerenti all’utilizzo di una normativa retroattiva che incideva su una controversia pendente. Invero, anche ammettendo che lo Stato stesse tentando di perequare una situazione che originariamente non aveva inteso creare, avrebbe potuto farlo tranquillamente senza ricorrere all’applicazione retroattiva della legge. Inoltre, anche il fatto che lo Stato abbia aspettato ventiquattro anni prima di effettuare una simile perequazione, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali, crea dei dubbi riguardo al fatto che quella fosse realmente l’intenzione del legislatore nel 1982.

52.  Alla luce di quanto sopra, e ribadendo le considerazioni della Corte nella summenzionata sentenza Maggio, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

53.  I ricorrenti hanno inoltre lamentato di non aver avuto un ricorso interno effettivo poiché l’intervento legislativo aveva vanificato le legittime aspettative che essi avrebbero potuto avere e aveva reso inutile il ricorso in giudizio, incidendo sull’imparzialità dei relativi tribunali. Hanno invocato l’articolo 13 della Convenzione, che recita:

“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

54.  Il Governo ha reiterato le proprie osservazioni ai sensi dell’articolo 6, osservando che nella causa Maggio la Corte aveva ritenuto la doglianza assorbita da quest’ultima disposizione.

55.  La Corte osserva che nella causa Maggio e altri (sopra citata § 67), la Corte ha ritenuto che, data la conclusione relativa all’articolo 6, non fosse necessario esaminare se vi fosse stata anche violazione dell’articolo 13.

56.  La Corte osserva inoltre che, come dimostrato in tale causa e nella presente, non vi è dubbio che i ricorrenti non dovessero proseguire i loro procedimenti ordinari dato che non hanno avuto alcuna prospettiva di successo a partire dal momento in cui i tribunali nazionali hanno dovuto applicare la nuova legge, la cui costituzionalità era stata infine confermata  dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2008.

57. Tuttavia, tale conclusione non solleva necessariamente una questione ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione. Invero, anche assumendo che la disposizione sia applicabile secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 13 non si spinge fino a garantire un ricorso che consenta di contestare dinanzi a un’autorità nazionale le leggi di uno Stato contraente in quanto tali (si veda, per esempio, Gustafsson c. Svezia, § 70, 25 aprile 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996 II, § 70). Conseguentemente, la doglianza dei ricorrenti contravviene a tale principio nella misura in cui essi hanno lamentato la mancanza di un ricorso successivamente alla promulgazione della legge n. 296/2006 (si veda, mutatis mutandis, Draon c. Francia [GC], § 98, n. 1513/03, 6 ottobre 2005 e Maurice c. Francia  [GC], § 108, n. 11810/03, CEDU 2005 IX).

58.  La doglianza deve pertanto essere rigettata in quanto manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV.  SULLE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE

59.  Infine, senza invocare alcun articolo della Convenzione i ricorrenti hanno lamentato che la legge n. 296/2006 creava una disparità di trattamento tra le persone che avevano scelto di lavorare all’estero e quelle che erano rimaste in Italia; hanno inoltre osservato che la sentenza della Corte Costituzionale che confermava la validità della legge n. 296/2006 aveva creato una disparità tra le persone i cui procedimenti si erano conclusi (con successo) e coloro i cui procedimenti erano ancora pendenti.

60.   Nella causa  Maggio e altri c. Italia (dec.) (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 8 giugno 2010) la Corte ha esaminato la doglianza che lamentava la discriminazione nei confronti di persone, come i  ricorrenti, che, a differenza della maggioranza degli italiani, avevano scelto di lasciare l’Italia per finalità lavorative. In tale causa, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti non potessero affermare di essere in una situazione relativamente simile a quella dei residenti italiani che avevano lavorato in Italia. Essa ha osservato che, a paragone dei lavoratori italiani, i ricorrenti, avendo scelto di lavorare in Svizzera, avevano versato contributi molto inferiori nei loro sistemi previdenziali. Inoltre, a differenza di coloro che erano emigrati temporaneamente in Svizzera, i cittadini italiani non erano soggetti alle pertinenti convenzioni internazionali e alle successive norme legislative italiane. Ne consegue che non si poteva ritenere che  i ricorrenti e i residenti italiani che erano rimasti a lavorare in Italia per l’intera la vita si trovassero in situazioni paragonabili ai fini dell’articolo 14.

61.  Successivamente nella sentenza Maggio la Corte ha esaminato anche la doglianza ai sensi dell’articolo 14 che affermava la discriminazione rispetto alle persone i cui procedimenti erano terminati. In tale causa la Corte ha rammentato che la legge n. 296/2006 mirava a riequilibrare qualsiasi trattamento di favore derivante dalla precedente interpretazione delle disposizioni in vigore, che avevano garantito a persone che si trovavano nella situazione dei ricorrenti un vantaggio ingiustificato, tenendo presente le necessità del sistema previdenziale in Italia. La Corte ha ribadito che quando si crea un regime di benefici è a volte necessario utilizzare delle linee di demarcazione che si applicano ad ampi gruppi di persone e che, in qualche misura, possono apparire arbitrarie (si veda Twizell c. Regno Unito , n. 25379/02, § 24, 20 maggio 2008), conseguenza inevitabile dell’introduzione di nuove norme in sostituzione di regimi precedenti. Tenendo presente l’ampio margine di apprezzamento accordato agli Stati nel campo della politica sociale, essa ha ritenuto che la contestata data limite derivante dalla legge n. 296/2006 potesse essere considerata ragionevolmente e oggettivamente giustificata. Il fatto che la data limite contestata derivasse da una legislazione promulgata in pendenza di procedimenti non ha modificato tale conclusione ai fini dell’esame ai sensi dell’articolo 14, e non vi è pertanto stata violazione della suddetta disposizione (si veda Maggio e altri, sopra citata, §§ 71-75).

62.  Per le stesse ragioni, segue che la presente doglianza deve essere interamente rigettata in quanto manifestamente infondata, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

V.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

63.  L'articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A.  Danno

64.  I ricorrenti hanno chiesto le somme elencate infra a titolo di danno patrimoniale. La prima somma rappresentava la differenza tra l’importo della pensione erogabile ai ricorrenti e quello che è stato effettivamente liquidato loro dall’INPS fino al 2012, tenuto conto dell’inflazione, e la seconda somma (laddove applicabile) rappresentava la differenza delle prestazioni pensionistiche dovute per le future pensioni per la durata dell’aspettativa media di vita di 79,4 anni:

  • 805. 539 + 182.032 euro (EUR) sig. Cataldo
  • EUR 697.328 + 471.978 sig.  Maggioni
  • EUR 590.603 sig. Ribulotta
  • EUR 563.904 + 304.183 sig.  Marinaro
  • EUR 311.339 + 274.131 sig.  Centamore
  • EUR 268.483 + 206.858 sig. Macarinelli

I ricorrenti, hanno inoltre chiesto EUR 25.000 ciascuno per il danno patrimoniale. Essi hanno sottolineato in particolare che quando hanno scelto di tornare in Italia avevano fatto affidamento su una giurisprudenza consolidata, ma erano finiti a dover tirare avanti con una pensione molto inferiore a quella su cui avevano contato e a dover ricorrere in giudizio a tale riguardo.

65.  Il Governo ha ritenuto che le pretese fossero infondate dato che nella causa Maggio la Corte aveva riscontrato solo violazione dell’articolo 6 § 1 e accordato una somma per la perdita di opportunità, che a giudizio del Governo doveva essere limitata al periodo precedente all’entrata in vigore della legge.

66.  La Corte rileva che, nel caso di specie, la concessione di un’equa soddisfazione può basarsi unicamente sul fatto che i ricorrenti non hanno beneficiato delle garanzie dell’articolo 6 relativamente all’equità dei procedimenti. Benché la Corte non possa formulare ipotesi su quale sarebbe stato l’esito dei procedimenti in una situazione diversa, essa non reputa irragionevole ritenere che i ricorrenti abbiano subito una perdita di opportunità reali (si veda Maggio e altri, sopra citata, § 80). Tuttavia, dati i molti elementi imponderabili delle condizioni politiche ed economiche in evoluzione che potrebbero incidere su futuri diritti e calcoli pensionistici, un risarcimento basato su future pensioni sarebbe ampiamente ipotetico. La Corte osserva inoltre che sebbene il Governo abbia sostenuto che il pagamento dovrebbe essere limitato a un periodo di tempo specificato, esso non ha spiegato il motivo né ha presentato calcoli al riguardo. Pertanto, tenendo presente le suddette considerazioni, gli importi delle pensioni dei ricorrenti, nonché gli anni che ciascun ricorrente ha lavorato in Svizzera, la Corte accorda le seguenti somme:

  • EUR 40.000 al sig. Cataldo
  • EUR 35.000 al sig. Maggioni
  • EUR 30.000 al sig. Ribulotta
  • EUR 28.000 al sig. Marinaro
  • EUR 16.000 al sig. Centamore
  • EUR 13.500 al sig. Macarinelli

A ciò deve essere aggiunto il danno morale, che la constatazione di violazione nella presente sentenza non è sufficiente a risarcire. Deliberando in via equitativa, come previsto dall’articolo 41, la Corte accorda a ciascun ricorrente la somma di EUR 10.000 a tale titolo.

B.  Spese

67.  I ricorrenti hanno inoltre chiesto la somma forfettaria di EUR 10.000 ciascuno per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni e dinanzi alla Corte.

68.  Il Governo non ha commentato.

69.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie i ricorrenti non hanno dettagliato le spese né ne hanno dimostrato l’esborso. Date le circostanze, la Corte rigetta la richiesta relativa alle spese a qualsiasi titolo.

C.  Interessi moratori

70.  La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Decide, all’unanimità, di riunire i ricorsi;
  2. Dichiara, all’unanimità, ricevibile la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 e irricevibile il resto dei ricorso;
  3. Ritiene, all’unanimità, che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Ritiene, con cinque voti contro due:
    1. che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. EUR 40.000 (quarantamila euro) per il danno patrimoniale, al sig. Cataldo,
        EUR 35.000 (trentacinquemila euro) per il danno patrimoniale, al sig. Maggioni,
        EUR 30.000 (trentamila euro) per il danno patrimoniale, al sig.  Ribulotta,
        EUR 28.000 (ventottomila euro) per il danno patrimoniale, al sig. Marinaro,
        EUR 16.000 (sedicimila euro) per il danno patrimoniale, al sig.  Centamore,
        EUR 13.500 (tredicimilacinquecento euro) per il danno patrimoniale, al sig. Macarinelli;
      2. EUR 10.000 (diecimila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale a ciascun ricorrente;
    2. che a decorrere da detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta, con cinque voti contro due, la richiesta di equa soddisfazione dei ricorrenti per il resto.

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto il 24 giugno 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Stanley Naismith
Cancelliere

Işıl Karakaş
Presidente

È allegata alla presente sentenza, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del Regolamento della Corte, l’opinione separata dei  Giudici Sajó e Kūris.

A.I.K.
H.N.

 

APPENDICE
N. Ricorso n. Presentato in data Nominativo
data di nascita e luogo di residenza del ricorrente
Anni di lavoro in Svizzera Pensione annuale effettivamente
percepita nel 2012 in euro
1 54425/08 04/11/2008 Giorgio Cataldo
11/09/1936
Mandello del Lario
1956 - 1994 25.585
2 20/11/2008 20/11/2008 Fulvio Maggioni
11/02/1941
Toscolano Maderno
1965-2000 26.613
3 26/11/2008 26/11/2008
Sergio Ribulotta
23/12/1928
Malnate
1955-1991 18.759
4 05/12/2008 05/12/2008 Vito Marinaro
19/12/1940
Alzate Brianza
1965-1994 17.910
5 05/12/2008 05/12/2008 Alfio Centamore
27/02/1944
Gallarate
1969-2000 11.747
6 09/12/2008 09/12/2008
Emiliano Maccarinelli
28/05/1942
Brescia
1960-2000 10.073

 

OPINIONE COMUNE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEI GIUDICI SAJÓ E KŪRIS

Condividiamo tutti i punti della sentenza, fatta eccezione per l’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione. La Corte riconosce implicitamente che vi è un nesso causale tra la perdita subita (una perdita di opportunità reali – si veda il paragrafo 66 della sentenza) e il fatto che i ricorrenti non hanno beneficiato delle garanzie dell’articolo 6. La pretesa dei ricorrenti sigg. Maggioni e Ribulotta è stata accolta da un Tribunale sulla base della pertinente giurisprudenza della Corte di Cassazione dell’epoca. In circostanze analoghe la Grande Camera ha reputato opportuno concedere per il danno patrimoniale, in via equitativa, le somme che i ricorrenti avrebbero percepito se la normativa fosse rimasta come era prima dell’approvazione della legge in questione (si veda Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri c. Francia [GC], nn. 24846/94 e da 34165/96 a 34173/96, §§ 76 e 79, CEDU 1999 VII; si vedano altresì, tra altri precedenti Arnolin e altri c. Francia, nn. 20127/03, 31795/03, 35937/03, 2185/04, 4208/04, 12654/04, 15466/04, 15612/04, 27549/04, 27552/04, 27554/04, 27560/04, 27566/04, 27572/04, 27586/04, 27588/04, 27593/04, 27599/04, 27602/04, 27605/04, 27611/04, 27615/04, 27632/04, 34409/04 e 12176/05, § 87, 9 gennaio 2007, e Agrati e altri c. Italia (equa soddisfazione), nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, §§ 14-16, 8 novembre 2012).

Benché nel caso di specie vi fosse solo una sentenza del Tribunale di primo grado a favore dei ricorrenti, è irragionevole assumere che le Corti di appello si sarebbero pronunciate diversamente, poiché non vi era stata alcuna divergenza dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Concludiamo che avrebbe dovuto essere accordato l’importo stabilito dalle sentenze nazionali.

In considerazione della logica di cui sopra, riteniamo che sarebbe iniquo nei confronti degli altri ricorrenti accordare meno della piena perdita, chiaramente accertata, anche in assenza di una sentenza, semplicemente perché hanno avuto la sfortuna che le loro cause abbiano richiesto maggior tempo di quelle degli altri ricorrenti. Difatti il sig. Cataldo, così come il sig. Maggioni, ricorse in giudizio nel 2006, ma la sentenza relativa alla sua causa fu emessa solo nel 2008, dopo l’entrata in vigore della legge contestata.

Infine, vorremmo esprimere la nostra preoccupazione per la  giurisprudenza concernente l’esame di futuri diritti pensionistici. La giurisprudenza, così come sintetizzata nella causa Maggio e altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 80, 31 maggio 2011) e confermata  nel caso di specie, ritiene che dato che le condizioni politiche ed economiche che possono incidere sui futuri diritti e calcoli pensionistici sono in evoluzione e sono largamente imponderabili, un risarcimento basato sulle future pensioni sarebbe ampiamente ipotetico. Anche se le pensioni non sono state definite, come nel caso di specie, tali imponderabilità non possono condurre alla conclusione che non vi sia una chiara perdita, anche all’interno della logica della perdita di opportunità reali. Non si può pertanto concludere che non sia stata subita alcuna perdita. Inoltre, nel caso di specie, diversamente dai casi che riguardano attuali contribuenti a un sistema pensionistico, non ci stiamo occupando di diritti pensionistici futuri ed è ingiusto attribuire imponderabilità esclusivamente a uno specifico gruppo di percettori di pensione in nome di possibilità ipotetiche. Secondo noi, la presente questione merita l’esame della Grande Camera.