Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 17 giugno 2014 - Ricorso n.29797/09 - Anna Maria Cacucci e Vincenza Sabatelli c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 29797/09

Anna Maria CACUCCI e Vincenza SABATELLI

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 17 giugno 2014 in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra citato presentato il 3 giugno 2009,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

1. Le ricorrenti, sigg.re Anna Maria Cacucci e Vincenza Sabatelli, sono cittadine italiane, nate rispettivamente nel 1954 e nel 1976 e residenti a Fasano (Brindisi). Dinanzi alla Corte sono rappresentate dall’avv. C. Carrieri, del foro di Bari.

A.  Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, esposti dalle ricorrenti, si possono riassumere come segue.

1.  Il primo procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione

3. Le ricorrenti sono rispettivamente la moglie e la figlia di X. In ragione dei sospetti che gravavano su X e che facevano pensare che quest’ultimo fosse membro di una organizzazione criminale dedita al contrabbando di sigarette, il 9 ottobre 2002 la procura della Repubblica di Brindisi avviò un procedimento volto all’applicazione delle misure di prevenzione di cui alla legge n. 575 del 1965, come modificata dalla legge n. 646 del 13 settembre 1982. La procura propose anche il sequestro anticipato di alcuni beni a disposizione di X e dei quali erano formalmente proprietari terze persone diverse dalle ricorrenti. Alla proposta della procura era allegata una nota dell’8 maggio 2002 della Direzione Investigativa Antimafia (di seguito la «DIA»), che indicava che il sequestro avrebbe potuto essere applicato a due appartamenti, a un garage e ad un negozio appartenenti alla prima ricorrente.

4. Con decreto del 29 ottobre 2002, depositato il 31 ottobre 2002, il presidente del tribunale di Brindisi rigettò la richiesta della procura, sottolineando che esisteva una sproporzione tra i redditi dichiarati da X e dalla sua famiglia e il valore dei beni di cui era richiesto il sequestro. La procura precisò tuttavia che, «rispetto ai beni acquisiti dalla moglie Cacucci Anna Maria nel periodo che va dal 1985 al 1992», non si poteva escludere che X avesse ottenuto guadagni significativi dalla gestione di un bar o che la famiglia di origine della prima ricorrente avesse fornito a quest’ultima un aiuto economico.

5. La DIA produsse le informazioni che erano state richieste dal presidente del tribunale di Brindisi, in particolare per quanto riguardava il volume d’affari del bar gestito da X e la situazione patrimoniale della famiglia di origine della prima ricorrente.

6. Un’udienza in camera di consiglio fu fissata al 30 gennaio 2003. In questa circostanza, l’avvocato di X depositò una memoria nella quale espose gli argomenti per dimostrare la legalità dei fondi utilizzati per l’acquisizione dei beni della prima ricorrente.

7. Una seconda udienza in camera di consiglio si tenne il 14 luglio 2003.

8. Con decreto del 10 novembre 2003, depositato il 18 novembre 2003, il tribunale di Brindisi applicò a X la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di quattro anni. Inoltre, il tribunale ordinò il sequestro di due beni (ossia un’auto e un appartamento) appartenenti a terze persone diverse dalle ricorrenti, fissò al 26 gennaio 2004 la data dell’udienza per la decisione sulla confisca dei beni sequestrati e rigettò per il resto la proposta.

9. Con provvedimento del 26 gennaio 2004, depositato il 24 marzo 2004, il tribunale di Brindisi rigettò la richiesta di confisca dei beni che erano stati sequestrati in virtù del decreto del 10 novembre 2003 e ne ordinò la restituzione.

10. Nel frattempo, il 2 dicembre 2003 X aveva proposto ricorso avverso il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Quest’ultima fu tuttavia confermata dalla corte d’appello il 22 marzo 2007 e dalla Corte di cassazione con la sentenza del 18 novembre 2008, depositata il 17 dicembre 2008.

2. Il secondo procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione

a) Il procedimento di primo grado

11. Il 19 settembre 2005 la procura della Repubblica di Brindisi propose nuovamente il sequestro anticipato di alcuni beni che erano nella disponibilità di X. Si trattava, tra l’altro, di due appartamenti, del garage e del negozio di cui era proprietaria la prima ricorrente, indicati nella nota della DIA dell'8 maggio 2002, nonché di un appartamento appartenente alla seconda ricorrente.

12. Con decreto del 26 ottobre 2005, depositato il 27 ottobre 2005, il tribunale ordinò il sequestro anticipato dei beni in questione precisando che copia della sua decisione doveva essere notificata, tra altri, alle ricorrenti, e che queste ultime avevano la facoltà di partecipare all’udienza successiva in camera di consiglio, fissata al 18 gennaio 2006.

13. Il tribunale sottolineò che due condanne per contrabbando (datate 1972 e 1986) e alcune recenti accuse formulate dal procuratore di Lecce lasciavano pensare che X, da trenta anni, facesse contrabbando di sigarette ad alto livello e che mantenesse solidi legami con una organizzazione criminale radicata in Puglia. Il tribunale aggiungeva che, nonostante una situazione economica ufficialmente molto modesta, X e i membri della sua famiglia avevano acquistato parecchi beni immobili, barche e un club sportivo per un valore manifestamente sproporzionato rispetto ai loro redditi legali. Precisava inoltre che questa sproporzione era tale da non poter essere giustificata dalla gestione del bar sopra citato, neanche ammettendo che la famiglia in questione avesse realizzato profitti non dichiarati al fisco, bar che, peraltro, era indebitato per più di 140 milioni di lire italiane (ITL – circa 72.304 euro (EUR)).

14. Nella memoria del 15 marzo 2006 X eccepì, tra l’altro, l’inammissibilità della richiesta di sequestro dal momento che questa riguardava beni appartenenti alla prima ricorrente. Egli faceva notare che la procura di Brindisi aveva già chiesto il sequestro di questi stessi beni nel 2002 e che la richiesta era stata formulata, per relationem, facendo riferimento alla nota della DIA dell'8 maggio 2002 che menzionava questi beni (paragrafo 3 supra). Aggiungeva che, nel decreto del 10 novembre 2003, il tribunale di Brindisi aveva ordinato il sequestro di beni diversi da quelli in questione e aveva rigettato la richiesta della procura per il resto (paragrafo 8 supra). Precisava che la procura non aveva presentato ricorso avverso questa decisione e che quest'ultima era dunque passata in giudicato. Di conseguenza, secondo X, chiedere nuovamente il sequestro e la confisca dei beni immobili della prima ricorrente significava violare il principio ne bis in idem.

15. Il 15 e il 22 marzo 2006 si tennero due udienze in camera di consiglio.

16. Con decreto del 6 aprile 2006, depositata l’11 aprile 2006, il tribunale di Brindisi ordinò la confisca, tra l’altro, dei beni appartenenti alle ricorrenti.

17. Il tribunale osservava che, il 10 novembre 2003, X era stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale (paragrafo 8 supra) e che questa decisione si basava essenzialmente sul fatto che il 5 dicembre 2001 il giudice per le indagini preliminari (il «GIP») di Lecce aveva disposto la custodia cautelare di X, accusato di corruzione e di essere il capo di un’associazione per delinquere dedita al traffico di centinaia di migliaia di chilogrammi di prodotti derivati dal tabacco. Il tribunale rilevava che queste accuse si basavano su intercettazioni telefoniche e ambientali e sulla testimonianza di alcuni «pentiti»; da queste intercettazioni risultava che X intratteneva relazioni con i più importanti trafficanti internazionali di tabacco. Il tribunale notava infine che X, interrogato nell’ambito del procedimento penale, aveva sostanzialmente ammesso i fatti anche se aveva tentato di minimizzarne l’importanza e che, in queste circostanze, era indubbia la pericolosità sociale di X.

18. Il tribunale reiterò le sue considerazioni anche per quanto riguardava la sproporzione evidente esistente tra i modesti redditi legali di X e dei suoi familiari e le importanti acquisizioni mobiliari e immobiliari fatte da questi ultimi. Esso riteneva dunque che vi fossero valide ragioni per concludere che i beni sequestrati erano stati acquisiti grazie ai proventi del contrabbando di sigarette e che la confisca dei suddetti beni era pertanto giustificata.

19. Peraltro il tribunale respinse l’eccezione relativa alla violazione del principio ne bis in idem osservando che, nell'ambito del primo procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, pur facendo riferimento alla nota della DIA dell'8 maggio 2002, la procura di Brindisi aveva proposto esplicitamente il sequestro dei beni appartenenti unicamente a persone diverse dalle ricorrenti. Il tribunale notava che, probabilmente a seguito di una svista, la procura non aveva richiesto, nel primo procedimento, il sequestro dei beni delle ricorrenti e che il tribunale non si era quindi pronunciato su questo punto. A tale proposito, faceva presente che l'oggetto di un procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione veniva precisato dalle proposte della procura e non dalle note degli organi di polizia che erano documenti non vincolanti.

b) Il procedimento d'appello

20. X e le ricorrenti interposero appello: essi, tra l'altro, reiteravano la loro eccezione relativa alla violazione del principio ne bis in idem, sostenevano che X non era più socialmente pericoloso e che i fondi che avevano permesso l'acquisto dei beni avevano origine legale.

21. Il 22 marzo 2007 si tenne un'udienza in camera di consiglio.

22. Con decreto del 22 marzo 2007, depositato il 20 luglio 2007, la corte d'appello di Lecce rigettò l'appello.

23. La corte d'appello confermò essenzialmente il ragionamento seguito dal tribunale di Brindisi e precisò che, nell'ambito del primo procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, la procura aveva fatto esplicito riferimento a due note della DIA del 18 febbraio e del 12 marzo 2002, ma non a quella dell'8 maggio 2002 che menzionava i beni appartenenti alla prima ricorrente. La corte d'appello rilevò che il presidente del tribunale di Brindisi aveva peraltro informato la DIA che i beni citati nella nota dell'8 maggio 2002 non erano stati oggetto di decisione perché non figuravano nella proposta di sequestro e confisca della procura. Inoltre, la corte d'appello sottolineava che il tribunale aveva il potere di ordinare d'ufficio la confisca di un determinato bene, anche in assenza di una richiesta ad hoc della procura. Tuttavia, essa indicava che una decisione implicita di rigetto poteva passare in giudicato soltanto rispetto ai beni che erano stati oggetto delle richieste della procura.

c)  Il procedimento per cassazione

24. X e le ricorrenti proposero ricorso per cassazione reiterando la loro eccezione relativa alla violazione del principio ne bis in idem.

25. Una udienza in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione fu fissata al 18 novembre 2008. Conformemente all'articolo 611 del codice di procedura penale (il «CPP»), i rappresentanti delle parti non potevano partecipare a questa udienza.

26. In una memoria del 29 ottobre 2008, X e le ricorrenti eccepirono la nullità del procedimento in quanto tutte le udienze si erano svolte in camera di consiglio. Facendo riferimento alle sentenze Bocellari e Rizza c. Italia (n. 399/02, 13 novembre 2007) e Perre e altri c. Italia (n. 1905/05, 8 luglio 2008), essi indicavano che in queste cause la Corte aveva concluso per la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione proprio per l'assenza di un'udienza pubblica nei procedimenti aventi ad oggetto l’applicazione di misure di prevenzione.
Essi sollecitarono inoltre la fissazione di un'udienza pubblica dinanzi alla Corte di cassazione con la partecipazione dei rappresentanti delle parti.
In via sussidiaria, X e le ricorrenti domandarono che venisse sollevata l'eccezione di incostituzionalità dell'articolo 4 della legge n. 1423 del 1956 e dell'articolo 611 del CPP nella parte in cui queste disposizioni prevedevano lo svolgimento delle udienze in camera di consiglio e - per quanto riguardava l'articolo 611 del CPP - la non partecipazione dei rappresentanti delle parti.

27. Con sentenza del 18 novembre 2008, depositata il 17 dicembre 2008, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d'appello avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il ricorso proposto da X e dalle ricorrenti.

28. La Corte di cassazione osservava che la pubblicità dell'udienza che si svolgeva dinanzi ad essa non era richiesta dalla Convenzione, stante il carattere eminentemente tecnico delle questioni da trattare e notava che, secondo la giurisprudenza della Corte, nell'ambito dei giudizi di merito era prevista la pubblicità delle udienze, ma che, il mancato svolgimento di una udienza pubblica non configurava alcuna nullità secondo la legge italiana. Peraltro, la Corte di cassazione riteneva che X e le ricorrenti avrebbero potuto chiedere lo svolgimento di un'udienza pubblica in primo e in secondo grado e, in caso di rigetto della loro richiesta, avrebbero potuto eccepire l'incostituzionalità dell'articolo 4 della legge n. 1423 del 1956. Poiché gli attori non avevano seguito questo percorso, la Corte di cassazione considerava l'eccezione di incostituzionalità non più rilevante. Ad abundantiam, essa osservava che i giudici di merito avrebbero potuto applicare analogicamente l'articolo 441 del CPP, in quanto quest'articolo prevedeva lo svolgimento del giudizio abbreviato in camera di consiglio a meno che non fosse richiesta la pubblica udienza da parte di tutti gli imputati.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

29. La legge n. 1423 del 27 dicembre 1956 (di seguito la «legge n. 1423») prevede l’applicazione delle misure di prevenzione nei confronti delle «persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità». Conformemente all'articolo 4 di tale legge, così com'era in vigore all'epoca del secondo procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione, il tribunale decideva in camera di consiglio dopo aver sentito il pubblico ministero e l'interessato, e quest’ultimo aveva la possibilità di presentare memorie e di farsi rappresentare da un avvocato.

30. Con la sentenza n. 93 dell'8 marzo 2010, la Corte Costituzionale, riferendosi alle sentenze della Corte nelle cause Bocellari e Rizza (sopra citata), Perre e altri (sopra citata) e Bongiorno c. Italia (n. 4514/07, 5 gennaio 2010), ha dichiarato incostituzionali l'articolo 4 della legge n. 1423 e l'articolo 2 ter della legge n. 575 del 1965 nella parte in cui non consentivano che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione si svolgesse, innanzi al tribunale e alla corte d'appello, nelle forme dell'udienza pubblica.

31. La legge n. 575 del 31 maggio 1965 (di seguito la «legge n. 575») ha completato la legge n. 1423 con alcune disposizioni riguardanti le persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. Ai sensi dell'articolo 2 ter della legge n. 575, nel corso del procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione previste dalla legge n. 1423,

«il tribunale, anche d'ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego (...). Il sequestro è revocato dal tribunale quando è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione o quando risulta che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza.

Se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l'assistenza di un difensore, nel termine stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisioni sulla confisca.»

MOTIVI DI RICORSO

32. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n.1 alla Convenzione, i ricorrenti lamentano la violazione del diritto al rispetto dei loro beni.

33. Invocando l'articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione, la prima ricorrente lamenta di essere stata perseguita due volte per lo stesso reato.

34. Invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione, le ricorrenti denunciano la mancanza di pubblicità delle udienze relative ai procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione.

IN DIRITTO

A.  Motivo di ricorso relativo all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

35. Le ricorrenti considerano che la confisca dei loro beni costituisca una ingerenza ingiustificata nel loro diritto al rispetto degli stessi.

Esse invocano l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulato:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

36. Secondo le ricorrenti, i giudici nazionali hanno ordinato la confisca dei loro beni presumendo che questi fossero stati acquistati grazie ai profitti delle attività di X definite illecite. Secondo le interessate, questa presunzione, che sarebbe tutt'al più accettabile nei confronti di X ma non nei confronti dei familiari di quest'ultimo, ha determinato una inversione dell'onere della prova in quanto, a loro dire, hanno dovuto fornire la prova dell’origine lecita dei loro beni. Inoltre, le ricorrenti ritengono che i beni in questione siano stati considerati nella disponibilità di X soltanto per via dei loro legami familiari con costui.

37. La Corte constata che la confisca in causa configura una ingerenza nel godimento del diritto delle ricorrenti al rispetto dei loro beni. Nota inoltre che, anche se la misura in questione ha comportato una privazione della proprietà, rientra comunque in una regolamentazione dell'uso dei beni nel senso del secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, in quanto questa disposizione lascia agli Stati il diritto di adottare «le leggi che ritengono necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale» (Arcuri e altri tre c. Italia (dec.), n. 52024/99, CEDU 2001-VII, Riela e altri c. Italia (dec.), n. 52439/99, 4 settembre 2001, e Bongiorno, sopra citata, § 42).

38. Per quanto riguarda il rispetto delle condizioni di questo comma, la Corte constata innanzitutto che la confisca dei beni delle ricorrenti è stata disposta conformemente all'articolo 2 ter della legge n. 575 (paragrafo 31 supra) e che si tratta dunque di una ingerenza prevista dalla legge (Bongiorno, sopra citata, § 43).

39. La Corte osserva poi che la confisca in causa è volta ad impedire un uso illecito e pericoloso, per la società, di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata. Ritiene dunque che l'ingerenza che ne deriva tenda ad uno scopo che corrisponde all'interesse generale (Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, § 30, se rie A n. 281-A, Arcuri e Riela, decisioni sopra citate, e Bongiorno, sopra citata, § 44).

40. Resta tuttavia da verificare se tale ingerenza sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Al riguardo, la Corte sottolinea che la misura in causa si inserisce nel quadro di una politica di prevenzione criminale e considera che, nell'attuazione di tale politica, il legislatore debba godere di un'ampia libertà per pronunciarsi sia sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che richiede una regolamentazione sia sulla scelta delle modalità di applicazione di quest’ultima (Bongiorno, sopra citata, § 45).

41. La Corte osserva, peraltro, che il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto in Italia proporzioni davvero preoccupanti. I profitti smisurati che le associazioni di stampo mafioso traggono dalle loro attività illecite conferiscono loro un potere la cui esistenza mette in discussione la supremazia del diritto nello Stato. Così, i mezzi utilizzati per contrastare questo potere economico - quali la confisca denunciata nel caso di specie - possono risultare indispensabili per contrastare efficacemente tali associazioni (Arcuri, decisione sopra citata, e Bongiorno, sopra citata, § 45).

42. Di conseguenza, la Corte non può ignorare le circostanze specifiche che hanno guidato l'intervento del legislatore italiano. Tuttavia essa ha il compito di assicurarsi che i diritti garantiti dalla Convenzione siano, in ciascun caso, rispettati (Bongiorno, sopra citata, § 46).

43. In questo caso, la Corte constata che l'articolo 2 ter della legge n. 575 stabilisce, in presenza di «indizi sufficienti», la presunzione che i beni di una persona indiziata di appartenere ad associazioni per delinquere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Essa nota anche che questa stessa disposizione prevede espressamente la possibilità che i beni interessati dalla misura di prevenzione, pur essendo in realtà a disposizione della persona indiziata, appartengano formalmente a terze persone (si veda paragrafo 31 supra, e Bongiorno, sopra citata, § 47).

44. La Corte rammenta che ogni sistema giuridico prevede presunzioni di fatto o di diritto e che la Convenzione in linea di principio non vi si oppone (si veda, mutatis mutandis, Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, § 28, serie A n. 141-A). Essa rammenta tuttavia che il diritto di un ricorrente al rispetto dei suoi beni implica l’esistenza di una garanzia giurisdizionale effettiva (Bongiorno, sopra citata, § 48).

45. In proposito, la Corte constata che nel caso di specie il procedimento relativo all’applicazione delle misure di prevenzione si è svolto in contraddittorio e dinanzi a tre successive autorità giudiziarie: tribunale, corte d’appello e Corte di cassazione. In particolare, le ricorrenti hanno avuto la possibilità, tramite il loro avvocato di fiducia, di sollevare le eccezioni e di presentare i mezzi di prova da loro ritenuti necessari per la tutela dei propri interessi. Agendo in proprio nome e/o tramite X, esse hanno in particolare contestato il sequestro e la confisca dei loro beni, sostenendo, tra l’altro, una violazione del principio ne bis in idem e presentando argomenti per dimostrare l’assenza di pericolosità sociale di X e l’origine legale dei fondi con i quali avevano acquistato i beni (paragrafi 6, 14, 20 e 24 supra).

46. La Corte osserva inoltre che le autorità giudiziarie italiane non hanno potuto basarsi su semplici sospetti. In proposito, essa nota che queste autorità giudiziarie hanno accertato e valutato oggettivamente i fatti esposti dalle parti e che dal fascicolo non risulta nulla che lasci pensare che esse abbiano valutato in maniera arbitraria gli elementi sottoposti alla loro attenzione. La Corte nota anche che le autorità giudiziarie hanno fondato le loro decisioni sulle informazioni raccolte su X ed hanno analizzato la natura delle relazioni tra costui e le ricorrenti come pure la situazione economica di queste ultime (si veda, mutatis mutandis, Bongiorno, sopra citata, § 49).

47. In tali circostanze, tenuto conto del margine di apprezzamento che hanno gli Stati quando disciplinano «l'uso dei beni conformemente all'interesse generale», in particolare nell'ambito di una politica criminale avente lo scopo di contrastare il fenomeno della grande criminalità, la Corte conclude che l'ingerenza nel diritto delle ricorrenti al rispetto dei loro beni non sia stata sproporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito.

48. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

B.  Motivo di ricorso relativo all’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione

49. La prima ricorrente sostiene di essere stata perseguita due volte per lo stesso reato.

Essa invoca l’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione che recita:

«1.  Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione.»

50. La prima ricorrente sostiene che i beni confiscati erano già stati oggetto del decreto del 10 novembre 2003 e che il sequestro e la confisca sono stati disposti in violazione del principio ne bis in idem.

51. La Corte rammenta la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale le misure di prevenzione previste dalle leggi italiane del 1956, 1965 e 1982 – che non importano un giudizio di colpevolezza, ma hanno lo scopo di impedire il compimento di atti criminali – non possono essere paragonate ad una «pena». Pertanto, il relativo procedimento non può avere ad oggetto «la fondatezza» di una «accusa penale» (Arcuri e Riela, decisioni sopra citate, e Andersson c. Italia (dec.), n, 55504/00, 20 giugno 2002).

52. La Corte in questo caso conclude che la prima ricorrente non è mai stata «perseguita o punita penalmente (…) per un reato» ai sensi dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione e che questa disposizione nella fattispecie non deve essere dunque applicata.

53. Del resto, e nella misura in cui le affermazioni della prima ricorrente potrebbero essere interpretate come riguardanti una presunta mancanza di equità del procedimento in ragione del rigetto della sua eccezione basata sul non riconoscimento del principio ne bis in idem, la Corte osserva che il secondo procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione ha portato alla confisca dei beni delle ricorrenti. Essa constata dunque che questo procedimento aveva ad oggetto diritti patrimoniali e riguardava «diritti e obblighi di natura civile». Ne consegue che è applicabile il profilo civile dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (si vedano, ad esempio, Riela, Arcuri e Andersson, decisioni sopra citate, e Bongiorno, sopra citata, § 34).

54. A tal proposito, la Corte osserva che la prima ricorrente ha avuto la libertà, in nome proprio o tramite X, di sollevare la sua eccezione basata sul non riconoscimento del principio ne bis in idem dinanzi a tre autorità giudiziarie (paragrafi 14, 20 e 24 supra). Essa constata che i giudici italiani hanno esaminato le contestazioni dell’interessata e le hanno respinte sulla base di argomenti che non possono essere considerati manifestamente arbitrari o irragionevoli, ossia la circostanza che, nell’ambito del primo procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, la procura non avesse esplicitamente richiesto il sequestro e la confisca dei beni della prima ricorrente e che il tribunale di Brindisi non avesse esaminato questa questione (paragrafi 19 e 23 supra – si veda, a contrario, Anđelković c. Serbia, n. 1401/08, § 27, 9 aprile 2013).

55. In queste circostanze, la Corte non rileva alcuna apparenza di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione su questo punto.

56. Ne consegue che questo motivo di ricorso è in parte incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) e in parte manifestamente infondato, e che deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4.

C.  Motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione

57. Le ricorrenti lamentano che le udienze dei procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione si sono svolte in camera di consiglio.

Esse invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti al caso di specie, recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente (…), da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…). La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia».

58. Le ricorrenti si riferiscono in particolare ai principi enunciati dalla Corte nelle sentenze Bocellari e Rizza e Perre e altri (sopra citate).

59. La Corte osserva innanzitutto che le ricorrenti non erano parti nel primo procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione e che, nell’ambito di tale procedimento non è stata adottata alcuna decisione che disponesse il sequestro o la confisca dei loro beni. La Corte ritiene che, in tali circostanze, le ricorrenti non possano considerarsi «vittime», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, dei fatti che denunciato relativamente a questo procedimento.

60. Ne consegue che questa parte del motivo di ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) e che deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 § 4.

61. La Corte ritiene inoltre, per quanto riguarda il secondo procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, e allo stato attuale della procedura, di non essere in grado di pronunciarsi sulla ricevibilità di questa doglianza, e giudica comunque necessario comunicare questa parte del ricorso al governo convenuto conformemente all’articolo 54 § 2 b) del suo regolamento.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,Aggiorna l’esame del motivo di ricorso delle ricorrenti basato sull’articolo 6 § 1 della Convenzione e relativo all’assenza di udienze pubbliche nell’ambito del secondo procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione;

Dichiara il ricorso irricevibile per il resto.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere