Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 settembre 2013 - Ricorso n. 2314/10 - Nuur HUSSEIN DIIRSHI c. Paesi Bassi e Italia e altri 3 ricorsi

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Silvia Canullo, funzionario linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

TERZA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 2314/10

Nuur HUSSEIN DIIRSHI contro PAESI BASSI E ITALIA
e altri 3 ricorsi (si veda elenco allegato)

La Corte europea dei diritti dell’uomo (terza sezione), riunita il 10 settembre 2013 in una Camera composta da:

Josep Casadevall, presidente,
Alvina Gyulumyan,
Guido Raimondi,
Corneliu Bîrsan,
Luis López Guerra,
Nona Tsotsoria,
Johannes Silvis, giudici,
e Santiago Quesada, cancelliere di sezione,

visti i ricorsi sopra menzionati proposti sia contro i Paesi Bassi che contro l’Italia tra il 13 gennaio 2010 e il 7 settembre 2010;
viste le misure provvisorie indicate nei presenti ricorsi al Governo olandese ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte, e il fatto che tali misure provvisorie sono state adottate e successivamente revocate dal presidente il 16 gennaio 2012 relativamente ai ricorsi nn. 2314/10, 18324/10 e 47851/10 e il 21 marzo 2012 relativamente al ricorso n. 51377/10;
viste le informazioni sui fatti presentate dal Governo olandese e/o dal Governo italiano e i commenti presentati in risposta dai ricorrenti;
dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

  1. L’elenco dei ricorrenti si trova in appendice. Il Governo olandese è stato rappresentato dal suo agente, R.A.A. Böcker, e/o dal suo agente supplente, L. Egmond, ambedue del Ministero degli Affari Esteri. Il Governo italiano è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

    A. Le circostanze del caso di specie
     
  2. I fatti delle cause, così come esposti dai ricorrenti, dal Governo italiano e dal Governo olandese, si possono riassumere come segue. Alcuni fatti sono contestati dalle parti.

    1. Ricorso n. 2314/10
     
  3. Il ricorrente è un cittadino somalo che afferma di essere nato nel 1992. All’epoca della presentazione del ricorso si trovava a Baexem, nei Paesi Bassi. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. J. Niemer, del foro di Amsterdam.
  4. Il ricorrente proviene da Mogadiscio e appartiene agli Abgaal o agli Habar Gedir, sotto-clan del clan degli Hawiye. Dopo essersi recato in Libia dalla Somalia, il ricorrente lasciò la Libia mediante imbarcazione nel dicembre 2008. Sull’imbarcazione scoppiò una rissa che la fece quasi affondare. Il ricorrente, tratto in salvo dalla Guardia costiera italiana, fece ingresso in Italia il 1° gennaio 2009, sull’isola di Lampedusa. Quello stesso giorno fu sottoposto a rilievo dattiloscopico e fotografico dalla polizia locale di Lampedusa che lo registrò per essere entrato illegalmente nel territorio dell’Unione europea, con il nome di Nuor Hussin Mohamed, cittadino somalo, nato il 1° gennaio 1994.
  5. Il 27 gennaio 2009, il ricorrente presentò domanda di protezione internazionale presso l’Ufficio immigrazione della questura di Bari. Secondo le informazioni contenute nel “modello C/3 per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951” e fornite dal ricorrente con l’assistenza di un interprete, egli si chiamava Nur Hussen Mohamed ed era un cittadino somalo di origine Abgaal, nato a Mogadiscio il 1° gennaio 1990 e non nel 1994 come annotato nella registrazione iniziale. Egli dichiarò inoltre di avere una sorella che viveva nei Paesi Bassi e di essere fuggito dalla Somalia il 29 settembre 2008 a causa della guerra. Il modello fu firmato dal ricorrente, dall’interprete e dal funzionario che aveva condotto l’audizione del ricorrente. Il ricorrente fu nuovamente sottoposto a rilievo dattiloscopico e fotografico. Secondo tale modello, il ricorrente soggiornava nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo ( “CARA”) di Bari-Palese.
  6. Il 28 gennaio 2009 fu fornito al ricorrente un permesso di soggiorno provvisorio per richiedente asilo, valido venti giorni.
  7. Con decisione del 12 marzo 2009 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari concesse al ricorrente un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria. La decisione fu notificata personalmente al ricorrente il 16 marzo 2009 e l’attestazione di avvenuta notifica fu firmata dal ricorrente, dall’interprete e dal funzionario responsabile. Contemporaneamente, al ricorrente fu fornito un permesso di soggiorno per stranieri titolari di protezione sussidiaria, che recava la sua firma, e un titolo di viaggio per stranieri, recante anch’esso tale firma. Sia il permesso di soggiorno sia il titolo di viaggio erano validi fino al 16 marzo 2012.
  8. In data imprecisata, il ricorrente lasciò di propria volontà il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari-Palese.
  9. In data 11 maggio 2009, il ricorrente fece ingresso nei Paesi Bassi dove presentò domanda di asilo il 13 maggio 2009. L’esame e il confronto delle impronte digitali da parte delle autorità olandesi generarono una “risposta pertinente” nel sistema Eurodac, che indicava che il ricorrente era entrato illegalmente in Italia il 1° gennaio 2009 e che il 27 gennaio 2009 vi aveva presentato domanda di asilo.
  10. Nel corso della prima audizione (eerste gehoor) con le autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, avvenuta il 15 maggio 2009, il ricorrente scrisse le sue generalità, dichiarando di chiamarsi Nuur Hussein Diirshi, e di essere nato a Mogadiscio il 1° luglio 1992, confermando così di avere diciassette anni. Dichiarò inoltre di appartenere al clan degli Hawiye/Habar Gedir, un clan maggioritario. Dopo un iniziale diniego ammise di essere stato in Italia e di aver ivi presentato domanda di asilo. Dichiarò di averlo fatto con il proprio nome, e di non aver ricevuto alcun documento. Dichiarò inoltre che suo padre era morto nel 1995 e che sua madre, sua sorella e i suoi due fratellastri vivevano a Mogadiscio, senza menzionare di avere una sorella che viveva nei Paesi Bassi. Aveva lasciato la Somalia nel marzo 2008 e aveva attraversato l’Etiopia, il Sudan e la Libia per giungere in Italia.
  11. Nelle sue osservazioni scritte contenute nel verbale della sua prima audizione, il ricorrente dichiarò di non sapere se avesse presentato domanda di asilo in Italia, c’era una persona che fungeva da interprete, ma parlava un pessimo somalo. Era stato condotto in un luogo dove doveva soggiornare ma si era trovato molto male, perciò aveva deciso di proseguire la fuga e, per questa ragione, non voleva tornare in Italia. Durante il viaggio dalla Somalia ai Paesi Bassi aveva usato il nome di Abdirahman. Inoltre egli negò di aver mai avuto un passaporto o un permesso di soggiorno emesso a suo nome o un altro tipo di documento di identità.
  12. Nella successiva audizione del ricorrente dinanzi alle autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, avvenuta il 16 maggio 2009, egli dichiarò, inter alia, di essere contrario al trasferimento in Italia dove non gli era stata fornita né un’istruzione né un alloggio.
  13. Il 7 luglio 2009 le autorità olandesi chiesero alle autorità italiane di riprendere in carico il ricorrente ai sensi dell’articolo 16 § 1 (c) del regolamento del Consiglio (CE) n. 343/2003 del 18 febbraio 2003 (“il regolamento di Dublino”). Dal momento che le autorità italiane non risposero alla richiesta entro il termine di due settimane, si ritenne che, ai sensi dell’articolo 20 § 1 del regolamento di Dublino, vi avessero implicitamente aderito.
  14. La domanda di asilo del ricorrente presentata nei Paesi Bassi fu respinta il 26 agosto 2009 dal Sottosegretario di Stato alla Giustizia (Staatssecretaris van Justitie) che ritenne che, ai sensi del regolamento di Dublino, l’Italia fosse competente a trattare la domanda di asilo. Quanto agli argomenti del ricorrente secondo cui il suo trasferimento in Italia avrebbe violato i suoi diritti ai sensi degli articoli 3 e 13 della Convenzione perché la procedura di asilo italiana aveva molti vizi, perché egli era un minore e non aveva accesso a un ricorso effettivo e perché in Italia rischiava di non avere un alloggio e di dover vivere per strada come un vagabondo, il Sottosegretario ritenne che non fosse provato che l’Italia sarebbe venuta meno ai suoi obblighi nei confronti del ricorrente ai sensi della Convenzione o della Convenzione del 1951 relativa ai rifugiati.
  15. L’impugnazione del ricorrente avverso tale decisione e la contestuale richiesta di misura provvisoria (voorlopige voorziening) furono respinte il 12 gennaio 2012 dal giudice per i provvedimenti d’urgenza (voorzieningenrechter) del Tribunale regionale (rechtbank) dell’Aja con sede a Zwolle. Il giudice considerò, inter alia, che il Sottosegretario di Stato, in via di principio, potesse fare affidamento sul principio della reciproca fiducia tra Stati (interstatelijk vertrouwensbeginsel) salvo che il ricorrente non riuscisse a dimostrare, sulla base di fatti e circostanze concrete riguardanti il suo caso personale, che in Italia la situazione era diversa. Il giudice ritenne che il ricorrente non lo avesse fatto e la semplice affermazione che egli, in quanto minore, non aveva ricevuto accoglienza e assistenza era insufficiente a dimostrare l’esistenza di elementi concreti del fatto che l’Italia aveva mancato di rispettare i suoi obblighi derivanti dai trattati internazionali nei confronti del ricorrente.
  16. Il 13 gennaio 2010 il ricorrente presentò un’ulteriore impugnazione alla Divisione della giurisdizione amministrativa (Afdeling Bestuursrechtspraak) del Consiglio di Stato (Raad van State) unitamente alla richiesta di una misura provvisoria di sospensione del suo trasferimento in Italia nelle more del procedimento relativo all’ulteriore impugnazione. In quella stessa data, il presidente della Divisione della giurisdizione amministrativa respinse la richiesta di misura provvisoria del ricorrente.
  17. Il 4 giugno 2010 la Divisione della giurisdizione amministrativa rigettò l’ulteriore impugnazione del ricorrente per motivi sommari, ritenendo che:
    “Ciò che è stato obiettato nelle doglianze…non fornisce motivi per annullare l’impugnata decisione (kan niet tot vernietiging van de aangevallen uitspraak leiden). Visto l’articolo 91 § 2 della Legge sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingenwet 2000), non sono richiesti ulteriori ragionamenti, poiché gli argomenti presentati non sollevano questioni che richiedano di essere decise nell’interesse dell’uniformità giuridica, dello sviluppo giuridico o della tutela giuridica in senso generale.”
    Contro tale decisione non era consentita ulteriore impugnazione.
  18. Il ricorso fu presentato alla Corte il 13 gennaio 2010 e in quella stessa data il presidente della Sezione decise, ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte, di indicare al Governo olandese che, nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento della procedura dinanzi alla Corte, era auspicabile non trasferire il ricorrente in Italia per la durata della procedura innanzi alla Corte.
  19. Il 16 gennaio 2012 il presidente decise di revocare l’indicazione data ai sensi dell’articolo 39 e di porre alcune domande di ordine fattuale al Governo italiano (articolo 54 § 2 (a)), riguardanti la situazione del ricorrente in Italia prima del suo arrivo nei Paesi Bassi. Il Governo italiano presentò le sue risposte il 5 marzo 2012, e il 2 aprile 2012 furono inoltrati i commenti in risposta del ricorrente.
  20. Nel frattempo, il 19 marzo 2012 il ricorrente fu trasferito dai Paesi Bassi in Italia.
  21. Il 5 dicembre 2012 il ricorrente fece ritorno nei Paesi Bassi dove presentò una nuova domanda di asilo.
  22. Il 14 gennaio 2013 le autorità olandesi chiesero alle autorità italiane di riprendere in carico il ricorrente ai sensi dell’articolo 16 del regolamento di Dublino. Dal momento che le autorità italiane non risposero alla richiesta entro il termine di due settimane si ritenne che, ai sensi dell’articolo 20 § 1 del regolamento di Dublino, vi avessero implicitamente aderito.
  23. Il 13 giugno 2013 il Sottosegretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia (Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie) respinse la nuova domanda di asilo del ricorrente presentata nei Paesi Bassi, ritenendo che, ai sensi del regolamento di Dublino, l’Italia fosse competente a trattare tale domanda. Il Sottosegretario ritenne non dimostrato che l’Italia venisse meno ai suoi obblighi derivanti dai trattati internazionali nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, e respinse l’argomento del ricorrente secondo il quale in Italia egli rischiava un trattamento in violazione dell’articolo 3 della Convenzione o il respingimento.
  24. L’impugnazione del ricorrente avverso tale decisione e la contestuale richiesta di misura provvisoria furono respinte il 12 luglio 2013 dal giudice per i provvedimenti d’urgenza del Tribunale regionale dell’Aja, con sede a Haarlem, che ritenne che non fosse emerso che il ricorrente, dopo il suo trasferimento in Italia nel 2012, avesse fatto un chiaro tentativo di denunciare alle autorità italiane la mancanza di accoglienza, di assistenza legale e di altre agevolazioni. Secondo il giudice tale conclusione non era modificata dal fatto che il ricorrente aveva presentato ricorso alla Corte, poiché egli avrebbe dovuto rivolgersi prima alle autorità italiane.
  25. Un’ulteriore impugnazione del ricorrente è attualmente pendente dinanzi alla Divisione della giurisdizione amministrativa.
  26. Il 24 giugno 2013 fu notificato al ricorrente che il suo trasferimento in Italia era stato fissato per il 22 luglio 2013. Non sono state trasmesse ulteriori informazioni su tale trasferimento.

    2. Ricorso n. 18324/10
     
  27. Il ricorrente è un cittadino somalo che dichiara di essere nato nel 1993. All’epoca della presentazione del ricorso si trovava a Zuidlaren. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. P.J. Schüller, del foro di Amsterdam.
  28. Il 9 ottobre 2008 il ricorrente fu registrato a Lampedusa e Linosa per essere entrato illegalmente nel territorio dell’Unione europea. Egli dichiarò di essere Liban Ali Omer, cittadino somalo, nato il 1° gennaio 1991 e fu conformemente registrato e sottoposto a rilievo dattiloscopico.
  29. Il 24 novembre 2008 presso l’Ufficio immigrazione della questura di Agrigento, il ricorrente fu sottoposto nuovamente a rilievo dattiloscopico e registrato come minore non accompagnato che aveva presentato domanda di protezione internazionale. In quella occasione dichiarò di chiamarsi Lubaan Cumar Cali e di essere nato il 1° gennaio 1991. Poiché era un minore non accompagnato, il ricorrente fu affidato alla Comunità per minori “Alice”, un centro di accoglienza e cura per minori svantaggiati e stranieri di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento.
  30. Quello stesso giorno l’Ufficio immigrazione della Questura di Agrigento comunicò al Tribunale per i minorenni di Palermo, all’Ufficio del Giudice Tutelare del Tribunale di Agrigento, all’ Ufficio Servizi Sociali del comune di Palma di Montechiaro e al Servizio del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati di Roma la presenza del ricorrente e di altri quattro minori non accompagnati richiedenti asilo presso la Comunità per minori “Alice” nelle more della decisione sulla loro domanda di asilo e di altre procedure, tra cui la nomina di un tutore legale. Non sono state trasmesse ulteriori informazioni su tale ultima procedura.
  31. Il 12 marzo 2009 il ricorrente lasciò la Comunità “Alice” senza autorizzazione, per destinazione ignota e fu successivamente registrato dalla questura di Agrigento nella banca dati del sistema d’indagine “SDI” delle forze dell’ordine come minore scomparso.
  32. Dato che il ricorrente non si presentò all’audizione innanzi alla Commissione territoriale di Trapani, il 5 agosto 2009 questa respinse la sua domanda di asilo, ritenendo che non fosse possibile valutare l’asserito rischio di persecuzione.
  33. Nel frattempo, il ricorrente si era recato nei Paesi Bassi ove era giunto il 5 aprile 2009 e aveva presentato domanda di asilo, dichiarando di essere Abdale Ali Omar, cittadino somalo nato il 5 dicembre 1993. L’esame e il confronto delle impronte digitali da parte delle autorità olandesi generarono una “risposta pertinente” nel sistema Eurodac, che indicava che il ricorrente era stato registrato a Lampedusa e Linosa il 9 ottobre 2008 e ad Agrigento il 24 novembre 2008.
  34. Nella prima audizione dinanzi alle autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, tenutasi in data 8 aprile 2009, il ricorrente dichiarò inter alia che era un orfano analfabeta proveniente da Mogadiscio e che suo zio e sua nonna gli avevano detto che avrebbe compiuto sedici anni trascorsi venticinque giorni. Non possedeva documenti di identità. Si era recato in aereo da Mogadiscio a Hargeisa (Somaliland) il 15 gennaio 2008, e aveva poi viaggiato via terra, attraverso l’Etiopia e il Sudan fino in Libia, dove era stato trattenuto per circa cinque mesi. Dopo essere riuscito a fuggire, si era imbarcato per l’Italia. Il ricorrente dichiarò inoltre che il suo vero nome era Libaan Ali Omar. Sebbene il suo “agente di viaggio” gli avesse detto di non rivelare mai la sua vera identità, in Italia lo aveva fatto a causa dello stress cui era stato sottoposto. Poiché in Italia aveva dichiarato di avere diciassette anni, gli era stato assegnato un tutore ed era stato collocato presso una famiglia affidataria italiana con altri due figli. Era arrivato un uomo con dei documenti da firmare, ma il ricorrente non aveva compreso che si trattava di una domanda di asilo. Aveva lasciato la famiglia affidataria perché non gli consentiva di andare a scuola e non gli permetteva di fare niente. Doveva andare a dormire alle 22:00 e anche alle 13:00 gli dicevano di dormire. In compagnia di un conoscente di suo zio il ricorrente si era recato in treno nei Paesi Bassi.
  35. Il 10 aprile 2009 ebbe luogo una successiva audizione col ricorrente ai sensi della procedura Dublino (gehoor Dublinclaim), durante la quale egli dichiarò, inter alia, che era stato portato da Lampedusa in una casa in cui soggiornavano diversi altri giovani richiedenti asilo. Non gli era stato permesso di andare a scuola e lo picchiavano quando non andava a letto all’ora stabilita. In quella casa vi erano regole molto severe. Aveva chiamato suo zio che conosceva una persona in Italia che era riuscito a farlo uscire da quel posto, e lo aveva anche condotto nei Paesi Bassi dove voleva costruirsi un futuro e ricevere un’istruzione.
  36. In data 11 aprile 2009 il Sottosegretario di Stato alla Giustizia comunicò al ricorrente la propria intenzione (voornemen) di respingere la sua domanda di asilo. Il ricorrente presentò i propri commenti scritti (zienswijze) su tale intenzione il 13 luglio 2009 e il 31 agosto 2009, e in essi fece presente, inter alia, di essere stato trattenuto in Libia per cinque mesi e di essere stato maltrattato durante il trattenimento in quel luogo, esperienza traumatica che lo aveva portato a sviluppare problemi psicologici.
  37. Il 15 giugno 2009 le autorità olandesi chiesero alle autorità italiane di riprendere in carico il ricorrente in conformità all’articolo 16 del regolamento di Dublino. Il 30 giugno 2009 le autorità italiane accolsero tale richiesta.
  38. Il 1º settembre 2009 la domanda di asilo presentata dal ricorrente nei Paesi Bassi fu respinta dal Sottosegretario. Osservando che il ricorrente aveva presentato domanda di asilo in Italia il 24 novembre 2008 e che l’Italia aveva accettato di riprendere in carico il ricorrente, il Sottosegretario ritenne che, in conformità al regolamento di Dublino, l’Italia fosse competente a trattare la richiesta di asilo del ricorrente. Il Sottosegretario respinse in quanto infondati gli argomenti del ricorrente secondo i quali l’Italia non rispettava gli obblighi derivanti dai trattati internazionali nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, e respinse altresì l’argomento del ricorrente secondo il quale in Italia avrebbe rischiato di essere sottoposto a un trattamento in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
  39. Il 4 settembre 2009 il ricorrente impugnò tale decisione dinanzi al Tribunale regionale dell’Aja.
  40. Il 3 novembre 2009 fu comunicato al ricorrente che il suo trasferimento in Italia era stato fissato per il 27 novembre 2009.
  41. Il 14 novembre 2009 il ricorrente chiese al Tribunale regionale dell’Aja di emettere una misura provvisoria che proibisse il trasferimento nelle more del procedimento di impugnazione. Il 24 novembre 2009, il giudice per i provvedimenti d’urgenza del Tribunale regionale dell’Aja, con sede a Zwolle, accolse tale richiesta.
  42. Con sentenza del 22 febbraio 2010 il Tribunale regionale dell’Aja, con sede a Zwolle, respinse l’impugnazione del ricorrente, ritenendo che il Sottosegretario di Stato, in via di principio, potesse fare affidamento sul principio della reciproca fiducia tra Stati, a meno che il ricorrente non riuscisse a dimostrare, sulla base di fatti e circostanze concrete riguardanti il suo caso personale, che in Italia la situazione era diversa. Il Tribunale regionale ritenne che il ricorrente non lo avesse fatto, e le semplici affermazioni che egli, in quanto minore, si sarebbe trovato in una situazione inumana se fosse stato trasferito in Italia, o che non potesse agire autonomamente contro lo Stato italiano, il cui trattamento dei rifugiati era carente, erano entrambi insufficienti per ritenere dimostrato che l’Italia non avrebbe rispettato i suoi obblighi derivanti dai trattati internazionali nei confronti del ricorrente. Inoltre il Tribunale regionale non ritenne dimostrato che, qualora il ricorrente fosse stato trasferito in Italia, egli non avrebbe avuto accesso a cure mediche adeguate, o che si dovesse ritenere che tale trasferimento comportasse una sofferenza eccessiva (onevenredige hardheid).
  43. In data 8 marzo 2010, fu comunicato alla sig.ra S., tutrice della fondazione "Nidos” (agenzia di tutela dei giovani per i minori non accompagnati richiedenti asilo) cui apparentemente, in data imprecisata, era stata affidata la tutela (voogdij) del ricorrente, che il trasferimento del ricorrente in Italia era stato fissato al più tardi per il 22 agosto 2010.
  44. Tra il 4 e il 22 marzo 2010, la tutrice del ricorrente, sig.ra S., inviò messaggi inter alia al Servizio centrale dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), all’Unità Dublino del Ministero dell’Interno e al Consiglio italiano per i rifugiati, chiedendo informazioni riguardo alla situazione cui si sarebbe venuto a trovare in Italia il ricorrente dopo il trasferimento (alloggio, tutela, istruzione). Il 22 marzo 2010 la sig.ra S. inviò una lettera per fax alle autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, comunicando che la Nidos aveva la tutela del ricorrente e che essa aveva contattato le autorità italiane il 15 marzo per avere informazioni sull’accoglienza che attendeva il ricorrente in Italia in modo da valutare se avrebbe potuto acconsentire al suo trasferimento in Italia. Poiché non era ancora pervenuta alcuna informazione, la Nidos non acconsentiva al trasferimento del ricorrente dai Paesi Bassi fino a quando non fosse stata fatta chiarezza su come sarebbe stato accolto e alloggiato in Italia.
  45. Il 22 marzo 2010 il ricorrente presentò un’ulteriore impugnazione alla Divisione della giurisdizione amministrativa avverso la sentenza del 22 febbraio 2010 del Tribunale regionale.
  46. Il 23 marzo 2010 fu comunicato alla fondazione Nidos che il ricorrente sarebbe stato consegnato alle autorità (italiane) in data 8 aprile 2010, e che egli sarebbe stato accompagnato nel viaggio verso l’Italia, dove, una volta arrivato, sarebbe stato consegnato alle autorità italiane.
  47. Il 26 marzo 2010 il ricorrente chiese alla Divisione della giurisdizione amministrativa di emettere una misura provvisoria di sospensione del suo trasferimento in Italia nelle more della determinazione della sua ulteriore impugnazione. Tale richiesta fu rigettata il 1° aprile 2010 dal presidente della Divisione della giurisdizione amministrativa.
  48. Il 14 luglio 2011, a seguito delle udienze tenutesi il 19 ottobre 2010 e il 21 aprile 2011, la Divisione della giurisdizione amministrativa respinse l’ulteriore impugnazione del ricorrente del 22 marzo 2010. Contro tale decisione non era consentita ulteriore impugnazione.
  49. Il ricorso fu presentato alla Corte il 1° aprile 2010 e in quella data, dopo il rigetto della richiesta di misura provvisoria da parte del presidente della Divisione della giurisdizione amministrativa, il presidente della Sezione decise, ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte, di indicare al Governo olandese che, nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento della procedura dinanzi alla Corte, era auspicabile non trasferire il ricorrente in Italia per la durata della procedura innanzi alla Corte.
  50. Il 16 gennaio 2012 il presidente decise di revocare l’indicazione data ai sensi dell’articolo 39 e di porre alcune domande di ordine fattuale al Governo italiano (articolo 54 § 2 (a)), riguardanti la situazione del ricorrente in Italia prima del suo arrivo nei Paesi Bassi. Il Governo italiano presentò le sue risposte il 5 marzo 2012, e il 25 aprile 2012 furono inoltrati i commenti in risposta del rappresentante del ricorrente.
  51. Nel frattempo, il 22 febbraio 2012, il Ministro per l’Immigrazione, l’Integrazione e l’Asilo (Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel) respinse la seconda domanda di asilo del ricorrente ritenendo che non fosse basata su fatti e circostanze emersi recentemente ai sensi dell’articolo 4:6 della Legge generale in materia di diritto amministrativo (Algemene wet bestuursrecht), tali da consentire la revisione dell’iniziale decisione sfavorevole. Lo stesso giorno il ricorrente presentava impugnazione al Tribunale regionale dell’Aja.
  52. Lo stesso 22 febbraio 2012, il ricorrente presentò opposizione (bezwaar) avverso un atto finalizzato al suo effettivo allontanamento (daadwerkelijke uitzettingshandeling) ai sensi dell’articolo 72 § 3 della Legge sugli stranieri del 2000, in relazione al suo imminente trasferimento in Italia. Il ricorrente presentò inoltre due richieste al Tribunale regionale dell’Aja di emissione di una misura provvisoria di sospensione del suo trasferimento in Italia nelle more dei procedimenti relativi all’impugnazione e all’opposizione.
  53. In quella stessa data il giudice per i provvedimenti d’urgenza del Tribunale regionale dell’Aja, con sede ad Almelo, respinse le richieste di misure provvisorie del ricorrente, il giudice ritenne infatti che non vi fosse motivo di consentire al ricorrente di attendere nei Paesi Bassi l’esito della sua nuova domanda di asilo o del suo ricorso alla Corte. Non sono state trasmesse ulteriori informazioni sui procedimenti relativi all’impugnazione e all’opposizione del ricorrente.
  54. Il 23 febbraio 2012 il ricorrente fu trasferito a Milano (Italia). Secondo il rappresentante del ricorrente in Italia quest’ultimo sarebbe stato abbandonato a sé stesso, senza che nessuno gli spiegasse cosa dovesse fare o dove dovesse andare per ricevere consulenza o assistenza legale per presentare una nuova domanda di asilo.
  55. In una nota del 23 aprile 2012 (la data 2011 sembra essere un errore di dattilografia), la ONG “Save the Children Italia Onlus” comunicò all’avvocato che rappresenta il ricorrente nella procedura dinanzi alla Corte, su richiesta di quest’ultimo, che alcuni loro operatori di campo avevano rintracciato e incontrato il ricorrente, che si trovava in condizioni di indigenza. Dopo il suo arrivo in Italia, le autorità pubbliche non gli avevano fornito assistenza né alloggio, e neanche informazioni su come poter accedere ai servizi per i richiedenti asilo del Comune di Roma. A causa del numero di posti estremamente limitato nelle strutture di accoglienza per i richiedenti asilo di quel comune, gli operatori non erano riusciti a trovare un alloggio per il ricorrente, comunque egli aveva trovato recentemente posto in un dormitorio gestito da un ente benefico privato a Latina, a circa 70 km a sud di Roma, dove i volontari avevano cercato di aiutarlo a ottenere assistenza sociale e cure mediche di base. La struttura era comunque destinata a essere chiusa il 30 aprile 2012. Nella nota si evidenziava anche che avere un alloggio era il presupposto per l’ammissibilità della domanda di asilo e che, pertanto, la richiesta di protezione internazionale o di revisione del rigetto della sua domanda iniziale, non sarebbero state prese in esame dalle autorità se il ricorrente non avesse avuto un alloggio e un domicilio. Nella nota si esprimeva anche la preoccupazione che in tal caso – sebbene le espulsioni verso la Somalia non fossero generalmente eseguite – il ricorrente rischiava di vedersi rifiutato l’accesso al sistema italiano di protezione internazionale, la detenzione ai fini dell’espulsione ed eventualmente l’emissione di un ordine di accompagnamento alla frontiera.
  56. Nelle sue osservazioni del 25 aprile 2012, il rappresentante del ricorrente informò la Corte che, dopo il trasferimento di quest’ultimo in Italia, l’avvocato che lo aveva assistito nel procedimento interno era riuscito a parlare con il suo assistito due volte. Il rappresentante del ricorrente informò inoltre la Corte di non aver avuto l’opportunità di discutere con il suo assistito le risposte presentate dal Governo italiano il 5 marzo 2012.

    3. Ricorso n. 47851/10
     
  57. Il ricorrente è un cittadino somalo che dichiara di essere nato nel settembre del 1993. All’epoca della presentazione del ricorso si trovava a Oude Pekela. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. W. Eikelboom, del foro di Amsterdam.
  58. Dopo aver lasciato la Somalia e aver compiuto un viaggio traumatico attraverso il Kenya, l’Uganda, il Sudan e la Libia, il 1° dicembre 2008 il ricorrente approdò in Italia, sull’isola di Lampedusa, dove la polizia locale lo sottopose a rilievo dattiloscopico e lo registrò per essere entrato illegalmente nel territorio dell’Unione europea. Il ricorrente comunicò di voler presentare domanda di protezione internazionale. Su consiglio di altri e nella convinzione che ciò avrebbe aumentato le sue probabilità di successo, egli fornì delle false generalità alla polizia di Lampedusa, e fu conseguentemente registrato come Yusuf Mohamed Osman, cittadino somalo nato il 5 dicembre 1980.
  59. Il 4 marzo 2009, la Commissione territoriale di Taranto concesse al ricorrente, sotto il nome che egli aveva fornito alla polizia di Lampedusa, un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria valido tre anni.
  60. Il 26 aprile 2009, il ricorrente lasciò l’Italia e si recò nei Paesi Bassi, dove giunse il 27 aprile 2009, e presentò domanda di asilo.
  61. Nella prima audizione dinanzi alle autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, avvenuta il 30 aprile 2009, il ricorrente dichiarò di chiamarsi Yusuf Madi Sheekh e di essere nato il 6 settembre 1994 a Mogadiscio, data successivamente corretta nel 6 settembre 1993. Dichiarò inoltre di non possedere documenti di identità o di altro genere e che sua madre lo aveva mandato in Kenya nel 2005 dove aveva vissuto dal 2005 fino alla sua partenza, il 27 aprile 2009, quando si era recato in aereo nei Paesi Bassi. Quando gli fu contestato che le sue impronte digitali risultavano acquisite in Italia nel dicembre 2008, ammise di essere stato in tale paese dove, nel marzo 2009, gli era stato concesso un permesso di soggiorno valido per tre anni e un titolo di viaggio che gli permetteva di viaggiare in Europa. Dichiarò inoltre di aver presentato domanda di asilo in Italia con il nome di Yusuf Mohamed Osman nato nel 1980. Aveva lasciato la Somalia nel settembre 2005 e attraverso il Kenya, l’Uganda, il Sudan e la Libia era giunto a Lampedusa in Italia, da Lampedusa era stato poi condotto in Sicilia. Dopo aver perso i suoi documenti, si era recato a Palermo, poi a Torino e infine nei Paesi Bassi. Poiché il ricorrente aveva affermato di provenire da Mogadiscio gli furono poste alcune domande su tale città.
  62. Nelle sue osservazioni scritte contenute nel verbale di tale audizione, l’avvocato che assisteva il ricorrente nella procedura di asilo spiegò, inter alia, che il ricorrente non conosceva il suo esatto anno di nascita, ma solo che sua madre, in una conversazione telefonica nell’ottobre 2008, gli aveva detto che aveva sedici anni.
  63. Il 1° maggio 2009 si svolse un colloquio con il ricorrente nell’ambito della procedura di Dublino durante il quale egli dichiarò, inter alia, di aver soggiornato in Italia dal 1° dicembre 2008 al 25 aprile 2009, di aver ricevuto un permesso di soggiorno italiano e una specie di passaporto che gli erano stati sottratti cinque giorni più tardi. Tranne che all’ufficio dove gli avevano consegnato tali documenti, egli non aveva denunciato il furto a nessun’altra autorità. Quando aveva tentato di ottenere un nuovo permesso di soggiorno gli era stato detto che non era possibile. Poiché non riusciva a procurarsi cibo né un posto dove dormire aveva deciso di lasciare l’Italia. Quando era andato al centro di accoglienza e aveva esposto il suo problema, degli altri richiedenti asilo gli avevano consigliato di andare nei Paesi Bassi, cosa che aveva fatto.
  64. Il 2 maggio 2009 il Sottosegretario alla Giustizia comunicò l’intenzione di respingere la domanda di asilo del ricorrente. Osservando che risultava dal sistema Eurodac che il ricorrente aveva presentato domanda di asilo in Italia il 5 dicembre 2008 e che egli aveva dichiarato che gli era stata concessa protezione internazionale fino al 2012, il Sottosegretario ritenne che, ai sensi del regolamento di Dublino, l’Italia fosse competente nei confronti del ricorrente e che non vi fossero ragioni che giustificassero l’applicazione della “clausola di sovranità” contenuta nel regolamento di Dublino e che imponessero conseguentemente di decidere la domanda di asilo nei Paesi Bassi e di astenersi dal trasferire il ricorrente in Italia. Al ricorrente, rappresentato da un avvocato nella procedura di asilo, fu data l’opportunità di presentare commenti scritti alla comunicazione dell’intenzione, ma egli non si avvalse di tale opportunità.
  65. Il 20 maggio 2009, il giudice del Tribunale per i minorenni (kinderrechter) presso la sezione civile del Tribunale regionale di Leeuwarden, prendendo nota della dichiarata data di nascita del ricorrente e con il suo consenso, affidò la tutela provvisoria (tijdelijke voogdij) del ricorrente alla fondazione Nidos.
  66. Il 23 giugno 2009 le autorità olandesi chiesero alle autorità italiane di riprendere in carico il ricorrente ai sensi dell’articolo 16 § 1 (c) del regolamento di Dublino. Dal momento che le autorità italiane non risposero alla richiesta entro il termine di due settimane si ritenne che, ai sensi dell’articolo 20 § 1 del regolamento di Dublino, vi avessero implicitamente aderito.
  67. La domanda di asilo del ricorrente presentata nei Paesi Bassi fu respinta il 29 luglio 2009 dal Sottosegretario. Osservando che il ricorrente non aveva presentato alcun commento alla comunicazione dell’intenzione, il Sottosegretario fece riferimento ai motivi esposti nella comunicazione.
  68. L’impugnazione del ricorrente avverso tale decisione fu respinta il 19 marzo 2010 dal Tribunale regionale (rechtbank) dell’Aja, con sede a Zwolle, il quale considerò, inter alia, che il Sottosegretario di Stato, in via di principio, potesse fare affidamento sul principio della reciproca fiducia tra gli Stati salvo che il ricorrente non riuscisse a dimostrare, sulla base di fatti e circostanze concrete riguardanti il suo caso personale, che in Italia la situazione era diversa. Il tribunale ritenne che semplicemente affermando che, quando era minorenne, in Italia egli era stato abbandonato a sé stesso, senza che gli venisse fornito cibo o alloggio, il ricorrente non avesse dimostrato l’esistenza di elementi concreti secondo i quali l’Italia aveva mancato di rispettare gli obblighi nei suoi confronti derivanti dai trattati internazionali. Inoltre tale conclusione non fu ritenuta modificata dall’affermazione del ricorrente secondo la quale i suoi interessi di minore sarebbero stati lesi in caso di recisione del legame con la sua tutrice, poiché non era emerso che in Italia mancassero disposizioni sulla tutela dei minori non accompagnati richiedenti asilo, e inoltre non risultava dimostrato che vi fosse il rischio che l’Italia venisse meno ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione relativa ai rifugiati del 1951 o della Convenzione.
  69. Il 12 aprile 2010 il ricorrente presentò un’ulteriore impugnazione alla Divisione della giurisdizione amministrativa.
  70. Il 2 giugno 2010 il ricorrente chiese al Ministro della Giustizia il differimento del trasferimento (uitstel van vertrek) per motivi di salute ai sensi dell’articolo 64 della Legge sugli stranieri del 2000.
  71. Il 13 luglio 2010, l’Ufficio per gli accertamenti medici (Bureau Medische Advisering) del Ministero della Giustizia redasse un parere basato sulle conclusioni dell’esame delle condizioni di salute del ricorrente. Secondo tale parere, il ricorrente soffriva di disturbo post-traumatico da stress (DPTS), che comportava disturbi del sonno, flash-back, incubi, emicranie e problemi di concentrazione, e nei Paesi Bassi riceveva una cura temporanea con la metodica della desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR) e di specifiche forme di terapia cognitivo-comportamentale. Pur concludendo che il ricorrente era in grado di viaggiare e che l’interruzione di tale cura non avrebbe dato luogo a un’emergenza medica nel breve periodo, si consigliò - visto che era comunque opportuno che il ricorrente avesse un accompagnatore data la sua giovane età - di farlo accompagnare da un infermiere psichiatrico.
  72. Il 27 luglio 2010, preso atto del parere del 13 luglio 2010, il Ministro della Giustizia respinse la richiesta del ricorrente di differimento del trasferimento per motivi di salute.
  73. Il 29 luglio 2010 la Divisione della giurisdizione amministrativa respinse l’ulteriore impugnazione del ricorrente del 12 aprile 2010 e confermò l’impugnata sentenza del 19 marzo 2010. Contro tale decisione non era consentita ulteriore impugnazione.
  74. Il ricorso fu presentato alla Corte il 20 agosto 2010 e in quella stessa data il presidente della Sezione decise, ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte, di indicare al Governo dei Paesi Bassi che, nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento della procedura dinanzi alla Corte, era auspicabile non trasferire il ricorrente in Italia per la durata della procedura innanzi alla Corte.
  75. Il 30 marzo 2011 il ricorrente presentò una nuova domanda di asilo nei Paesi Bassi, che fu respinta dal Ministro per l’Immigrazione, l’Integrazione e l’Asilo. Il ricorrente presentò impugnazione al Tribunale regionale dell’Aja.
  76. Il 16 gennaio 2012 il presidente decise di revocare l’indicazione data ai sensi dell’articolo 39 e di porre alcune domande di ordine fattuale al Governo italiano (articolo 54 § 2 (a)), riguardanti la situazione del ricorrente in Italia prima del suo arrivo nei Paesi Bassi. Il Governo italiano presentò le sue risposte il 6 marzo 2012, e il 25 aprile 2012 furono inoltrati i commenti in risposta del ricorrente.
  77. A seguito della decisione del presidente del 16 gennaio 2012, il ricorrente chiese al Tribunale regionale dell’Aja di emettere una misura provvisoria di sospensione del suo trasferimento in Italia nelle more del procedimento di impugnazione. Il 15 marzo 2012 ebbe luogo un’udienza innanzi al Tribunale regionale dell’Aja. Non sono state trasmesse ulteriori informazioni su questo procedimento.

    4. Ricorso n. 51377/10
     
  78. Il ricorrente è un cittadino somalo che dichiara di essere nato nel marzo del 1994. All’epoca della presentazione del ricorso si trovava a Oude Pekela. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. M. Haanstra, del foro di Groningen.
  79. Il ricorrente proviene da Mogadiscio e appartiene al clan minoritario degli Sheikal; per sottrarsi alle pressioni di unirsi ai militanti di al-Shabaab, egli fuggì dalla Somalia nel 2008.
  80. Dopo aver patito gravi privazioni durante la fuga, il 10 ottobre 2008 riuscì infine a raggiungere – passando per la Libia – la costa della Sicilia, dove fu sottoposto a rilievo dattiloscopico dalla polizia di Catania e registrato per essere entrato illegalmente nel territorio dell’Unione europea. Il ricorrente dichiarò di chiamarsi Negib Ise, di essere cittadino somalo e di essere nato il 1° gennaio 1992, e fu conformemente registrato. Lo stesso 10 ottobre 2008, il Sostituto Procuratore del Tribunale per i minorenni di Catania affidò la cura e la tutela provvisorie del ricorrente e di quattro altre persone che, come il ricorrente, risultavano essere minori non accompagnati richiedenti asilo, al direttore del “servizio di prima assistenza dello SPRAR” di Caltagirone, dove questi cinque minori dovevano essere alloggiati.
  81. Il 1° dicembre 2008 la polizia di Catania sottopose nuovamente il ricorrente a rilievi dattiloscopici e lo registrò come richiedente asilo; in quella occasione egli dichiarò di chiamarsi Najib Ise Ali e di essere nato il 1° gennaio 1989, essendo pertanto maggiorenne. Il 23 dicembre 2008, con l’assistenza di un interprete, il ricorrente completò la sua formale domanda di asilo. Secondo le informazioni contenute nel “modello C/3 per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951”, ottenute con l’assistenza di tale interprete, il ricorrente si chiamava Najib Ise ed era nato il 1° gennaio 1989 a Mogadiscio.
  82. Il 13 marzo 2009, la Commissione territoriale di Siracusa concesse al ricorrente, con l’identità fornita alle autorità italiane il 23 dicembre 2008, un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, decisione che gli fu notificata personalmente il giorno stesso. Gli furono forniti un permesso di soggiorno per stranieri titolari di protezione sussidiaria e un titolo di viaggio per stranieri, validi entrambi fino al 31 maggio 2012. Il ricorrente continuò a risiedere nel centro di accoglienza dello SPRAR di Caltagirone “Casa Serena”, almeno fino al 1° giugno 2009.
  83. In data imprecisata ma prossima al 10 giugno 2009 il ricorrente lasciò l’Italia per recarsi nei Paesi Bassi ove giunse poco dopo e il 18 giugno 2009 presentò domanda di asilo.
  84. Nel corso della prima audizione dinanzi alle autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, tenutasi il 20 giugno 2009, il ricorrente dichiarò di chiamarsi Aange Isse Ali e di essere nato il 4 marzo 1994 a Mogadiscio, e di essere pertanto un minore. Dichiarò inoltre di non avere mai avuto un passaporto o un documento di soggiorno a suo nome. Aveva lasciato la Somalia circa un anno prima, suo padre era stato ucciso da una pallottola vagante nell’agosto 2008 e sua madre, i suoi sei fratelli e cinque fratellastri vivevano ancora a Mogadiscio. Aveva avuto l’ultima conversazione con sua madre sette giorni prima. Inoltre egli ammise di essere stato in Italia dove era stato sistemato in un campo profughi. In Italia si era ammalato ed era stato portato in ospedale per un’operazione. Era andato via prima della decisione sulla sua domanda di asilo perché sua madre gli aveva detto di andare in un paese migliore. Dichiarò infine che i suoi familiari gli avevano detto di lasciare l’Italia e andare in un altro paese, in tal modo avrebbe potuto lavorare e frequentare la scuola e successivamente essere utile alla sua famiglia.
  85. Il 22 giugno 2009 ebbe luogo un’ulteriore audizione del ricorrente durante la quale egli dichiarò inter alia di essere venuto in Europa per poter avere una buona istruzione, buoni servizi e buone cure mediche, cose che non aveva ottenuto in Italia, motivo per cui l’aveva lasciata.
  86. Il 2 maggio 2009 il Sottosegretario alla Giustizia comunicò l’intenzione di respingere la domanda di asilo del ricorrente. Osservando che risultava dal sistema Eurodac che il ricorrente aveva fatto domanda di asilo in Italia il 1° dicembre 2008, che egli aveva dichiarato di aver soggiornato in Italia dal 10 ottobre 2008 al 12 giugno 2009, data in cui aveva lasciato l’Italia per i Paesi Bassi, e che era stato in un centro di accoglienza e poi per tre giorni in ospedale a fini di cura, il Sottosegretario ritenne che, ai sensi del regolamento di Dublino, l’Italia fosse competente nei confronti del ricorrente e che non vi fossero ragioni che giustificassero l’applicazione della “clausola di sovranità” contenuta nel regolamento di Dublino e quindi imponessero di decidere la domanda di asilo nei Paesi Bassi e di astenersi dal trasferire il ricorrente in Italia. Il ricorrente, rappresentato da un avvocato nella procedura per l’asilo, non presentò commenti scritti sulla comunicazione dell’intenzione.
  87. Il 5 agosto 2009 le autorità olandesi chiesero alle autorità italiane di riprendere in carico il ricorrente ai sensi dell’articolo 16 § 1 (c) del regolamento di Dublino. Dal momento che le autorità italiane non risposero alla richiesta entro il termine di due settimane si ritenne che, ai sensi dell’articolo 20 § 1 del regolamento di Dublino, vi avessero implicitamente aderito.
  88. La domanda di asilo presentata dal ricorrente nei Paesi Bassi fu respinta dal Sottosegretario il 7 settembre 2009. Osservando che il ricorrente non aveva presentato alcun commento alla comunicazione dell’intenzione, il Sottosegretario fece riferimento ai motivi esposti in tale comunicazione.
  89. L’impugnazione del ricorrente avverso tale decisione fu respinta il 29 marzo 2010 dal Tribunale regionale dell’Aja, con sede ad Almelo, che considerò inter alia che si dovesse ritenere che, in via di principio, gli Stati membri dell’Unione europea rispettassero il principio del non respingimento e i loro obblighi ai sensi della Convenzione e della Convenzione del 1951 relativa ai rifugiati (principio della reciproca fiducia tra Stati), salvo che lo straniero interessato non riuscisse a dimostrare, sulla base di fatti e circostanze concrete riguardanti il suo caso personale, che in Italia la situazione era diversa. Il Tribunale ritenne che il ricorrente non avesse dimostrato alcun elemento concreto del fatto che l’Italia aveva mancato di rispettare gli obblighi nei suoi confronti derivanti dai trattati internazionali.
  90. L’ulteriore impugnazione del ricorrente alla Divisione della giurisdizione amministrativa fu respinta il 14 giugno 2010 con conferma dell’impugnata sentenza. Contro tale decisione non era consentita ulteriore impugnazione.
  91. Poco prima, il 1° giugno 2010, il ricorrente aveva chiesto al Ministro della Giustizia il differimento del trasferimento per motivi di salute ai sensi dell’articolo 64 della Legge sugli stranieri del 2000. Il Ministro chiese il parere dell’Ufficio per gli accertamenti medici.
  92. Lo stesso giorno il ricorrente presentò opposizione al Ministro avverso un atto finalizzato al suo effettivo allontanamento ai sensi dell’articolo 72 § 3 della Legge sugli stranieri del 2000 in relazione al suo trasferimento in Italia, fissato per il 9 giugno 2010. Il 7 giugno 2010, il giudice per i provvedimenti d’urgenza del Tribunale dell’Aja, con sede ad Almelo, accolse la richiesta di misura provvisoria del ricorrente e dispose la sospensione del suo trasferimento in Italia per quattro settimane fino alla decisione dell’opposizione del ricorrente. Tale opposizione fu respinta dal Ministro il 6 luglio 2010.
  93. Il 13 luglio 2010, l’Ufficio per gli accertamenti medici redasse un parere basato sulle conclusioni dell’esame delle condizioni di salute del ricorrente. Secondo tale parere, il ricorrente soffriva di disturbo post-traumatico da stress (DPTS), il che comportava disturbi del sonno, flash-back, incubi, emicranie e problemi di concentrazione, e nei Paesi Bassi riceveva una cura temporanea con la metodica della desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR) e di specifiche forme di terapia cognitivo-comportamentale. Pur concludendo che il ricorrente era in grado di viaggiare e che l’interruzione di tale cura non avrebbe dato luogo a un’emergenza medica nel breve periodo, si consigliava - dato che comunque era opportuno che il ricorrente avesse un accompagnatore data la sua giovane età - di farlo accompagnare da un infermiere psichiatrico.
  94. Il 4 agosto 2010, preso atto del parere del 13 luglio 2010, il Ministro della Giustizia respinse la richiesta di differimento del trasferimento del ricorrente per motivi di salute.
  95. Il ricorso fu presentato alla Corte il 20 agosto 2010 e in quella stessa data il presidente della Sezione decise, ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte, di indicare al Governo olandese che, nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento della procedura dinanzi alla Corte, era auspicabile non trasferire il ricorrente in Italia per la durata della procedura innanzi alla Corte.
  96. Il 30 marzo 2011 il ricorrente presentò una nuova domanda di asilo nei Paesi Bassi, che fu respinta dal Ministro per l’Immigrazione, l’Integrazione e l’Asilo. Il ricorrente presentò impugnazione al Tribunale regionale dell’Aja.
  97. Il 16 gennaio 2012 il presidente decise di revocare l’indicazione data ai sensi dell’articolo 39 e di porre alcune domande di ordine fattuale al Governo italiano (articolo 54 § 2 (a)), riguardanti la situazione del ricorrente in Italia prima del suo arrivo nei Paesi Bassi. Il Governo italiano presentò le sue risposte il 6 marzo 2012, e il 25 giugno 2012 furono inoltrati i commenti in risposta del ricorrente.

    B. Il diritto e la prassi pertinenti dell’Unione europea, dell’Italia e dei Paesi Bassi 
     
  98. Il diritto, gli strumenti, i principi e la prassi pertinenti europei, italiani e olandesi in materia di procedure di asilo, accoglienza e trasferimento dei richiedenti asilo ai sensi del regolamento di Dublino sono stati recentemente sintetizzati in maniera esaustiva nellae cause Mohammed Hussein c. Paesi Bassi e Italia ((dec.), n. 27725/10, §§ 25-28 e 33-50, 2 aprile 2013); Daybetgova e Magomedova c. Austria ((dec.), n. 6198/12, §§ 25 29 e §§ 32-39, 4 giugno 2013); Halimi c. Austria e Italia ((dec.), n. 53852/11, §§ 21-25 e §§ 29-36, 18 giugno 2013); e Abubeker c. Austria e Italia ((dec.), n. 73874/11, §§ 31-34 e §§ 37-41, 18 giugno 2013). Si ripetono o si espongono di seguito esclusivamente le informazioni che rivestono particolare importanza per il caso di specie.
    1. Il regolamento del Consiglio (CE) n. 2003/9 (la direttiva sull’accoglienza)
      L’articolo 2 (h) della direttiva sull’accoglienza definisce i minori non accompagnati:
      “persone di età inferiore ai diciotto anni che entrino nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnate da un adulto che ne sia responsabile per legge o in base agli usi, fino a quando non siano effettivamente affidate ad un tale adulto; il termine include i minori che vengono abbandonati dopo essere entrati nel territorio degli Stati membri.”
      La categoria delle persone vulnerabili di cui all’articolo 17 della direttiva sull’accoglienza comprende i minori non accompagnati e l’articolo 19, che tratta in particolare dei minori non accompagnati, recita nella parte pertinente:
      “1. Gli Stati membri adottano quanto prima misure atte ad assicurare la necessaria rappresentanza dei minori non accompagnati da parte di un tutore legale oppure, ove necessario, la rappresentanza da parte di un organismo incaricato della cura e del benessere dei minori, oppure qualsiasi altra forma adeguata di rappresentanza. Le autorità competenti effettuano periodiche verifiche.
      2. I minori non accompagnati che presentano domanda di asilo, dal momento in cui entrano nel territorio dello Stato membro ospite in cui la domanda di asilo è stata presentata o viene esaminata sino al momento in cui ne debbono uscire, sono alloggiati:
      1. presso familiari adulti;
      2. presso una famiglia affidataria;
      3. in centri di accoglienza che dispongano di specifiche strutture per minori;
      4. in altri alloggi idonei per minori.
      Gli Stati membri possono alloggiare i minori non accompagnati che abbiano compiuto 16 anni in centri di accoglienza per adulti richiedenti asilo. … I cambi di residenza dei minori non accompagnati sono limitati al minimo. …”
    2. Il regolamento del Consiglio (CE) n. 343/2003 (il regolamento di Dublino)
  99. L’articolo 6 del regolamento di Dublino recita:
    “Se il richiedente asilo è un minore non accompagnato, è competente per l’esame della domanda di asilo lo Stato membro nel quale si trova legalmente un suo familiare, purché ciò sia nel miglior interesse del minore.
    In mancanza di un familiare, è competente per l’esame della domanda lo Stato membro in cui il minore ha presentato la domanda di asilo.”
  100. Nella sua decisione del 6 giugno 2013 relativa alla causa C-648/11 MA, BT e DA c. Secretary of State of the Home Department, la quarta camera della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha esaminato il trasferimento di minori non accompagnati richiedenti asilo ai sensi del regolamento di Dublino.
  101. La causa riguardava tre minori non accompagnati che avevano presentato domanda di asilo nel Regno Unito dopo aver presentato precedenti domande di asilo nei Paesi Bassi e in Italia. Nessuno di tali minori richiedenti asilo aveva familiari che risiedessero legalmente in uno di tali stati. Le autorità del Regno Unito decisero inizialmente di trasferirli nei Paesi Bassi o in Italia, in conformità al regolamento di Dublino. I minori interessati impugnarono tale decisione e proseguirono i procedimenti di appello anche dopo che le autorità del Regno Unito ebbero successivamente revocato la loro decisione iniziale e applicato a ciascun caso la clausola di sovranità. Nel contesto di tale procedimenti di appello la Corte di Appello (dell’Inghilterra e del Galles) rinviò la seguente questione alla CGUE per una pronuncia pregiudiziale:
    “Nel contesto del[regolamento del Consiglio (CE) n. 343/2003 del 18 febbraio 2003] che stabilisce i criteri e i meccanismi per determinare quale sia lo Stato membro competente a esaminare una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU [2005 L 50] p. I), quando un richiedente asilo, che sia un minore non accompagnato sprovvisto di familiari che si trovino legalmente in un altro Stato membro, ha presentato domande di asilo in più di uno Stato membro, ai sensi del secondo comma dell’articolo 6, quale Stato membro è competente a pronunciarsi sulla domanda di asilo?”
  102. Dopo aver considerato sia la formulazione che l’obiettivo delle pertinenti disposizioni del regolamento di Dublino, la CGUE ritenne che:
    “55. Orbene, poiché i minori non accompagnati costituiscono una categoria di persone particolarmente vulnerabile, la procedura di determinazione dello Stato membro competente non dev’essere prolungata più di quanto strettamente necessario, il che implica che, in linea di principio, essi non siano trasferiti verso un altro Stato membro.
    56. Le considerazioni che precedono sono confortate dalle esigenze che derivano dal considerando15 del regolamento n. 343/2003 ai sensi del quale quest’ultimo rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi che sono riconosciuti, segnatamente, dalla Carta.
    57. Infatti, tra tali diritti fondamentali compare, in particolare, quello sancito nell’articolo 24, paragrafo 2 della Carta, consistente nella garanzia che, in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore sia considerato preminente.
    58. Quindi, l’articolo 6, secondo comma, del regolamento n. 343/2003 non può essere interpretato in modo da violare il citato diritto fondamentale (v., per analogia, sentenze Detiček, punti 54 e 55, nonché del 5 ottobre 2010, McB, C-400/10 PPU, Racc. pag. I-8965, punto 60).
    59. Pertanto, benché l’interesse del minore sia menzionato espressamente solo al primo comma dell’articolo 6 del regolamento n. 343/2003, l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, letto in combinato disposto con l’articolo 51, paragrafo 1, di quest’ultimo, produce l’effetto che, in tutte le decisioni che adottano gli Stati sul fondamento del secondo comma del citato articolo 6, l’interesse superiore del minore deve parimenti essere considerato preminente.
    60. Tale presa in considerazione dell’interesse superiore del minore impone, in linea di principio, che, in circostanze come quelle che caratterizzano la situazione dei ricorrenti in via principale, l’articolo 6, secondo comma, del regolamento n. 343/2003 sia interpretato nel senso che designa come competente lo Stato membro nel quale il minore si trova dopo avervi presentato una domanda.
    61. Infatti, nell’interesse dei minori non accompagnati è necessario, come emerge dal punto 55 della presente sentenza, non prolungare inutilmente la procedura di determinazione dello Stato membro competente, bensì assicurare loro un rapido accesso alle procedure volte al riconoscimento dello status di rifugiato.
    62. Tale metodo di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata da un minore non accompagnato sprovvisto di familiari nel territorio di uno Stato membro si basa su un criterio oggettivo, come previsto dal considerando 4 del regolamento n. 343/2003.
    63. Inoltre, una siffatta interpretazione dell’articolo 6, secondo comma, del regolamento n. 343/2003 che designa come competente lo Stato membro nel quale il minore si trova dopo avervi presentato una domanda, non implica, contrariamente a quanto fatto valere dal Governo olandese nelle sue osservazioni scritte, che il minore non accompagnato la cui domanda d’asilo sia stata respinta nel merito in uno Stato membro possa poi imporre a un altro Stato membro di esaminare una domanda d’asilo.
    64. Infatti, emerge dall’articolo 25 della direttiva 2005/85 che, oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento n. 343/2003, gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di rifugiato qualora la domanda di asilo sia giudicata irricevibile in quanto, in particolare, il richiedente ha presentato una domanda identica dopo che sia stata presa una decisione definitiva.
    65. Peraltro, occorre aggiungere che, poiché la domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro, lo Stato membro che, in circostanze come quelle della causa principale, è individuato come competente in forza dell’articolo 6, secondo comma, del regolamento n. 343/2003, ne informa lo Stato membro nel quale è stata presentata la prima domanda di asilo.
    66. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sottoposta dichiarando che l’articolo 6, secondo comma, del regolamento n. 343/2003 deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento principale nelle quali un minore non accompagnato sprovvisto di familiari che si trovino legalmente nel territorio di uno Stato membro, ha presentato domanda di asilo in più di uno Stato membro, designa come «Stato membro competente» lo Stato membro nel quale si trova tale minore dopo avervi presentato una domanda di asilo”.

    3. I minori non accompagnati richiedenti asilo in Italia
     
  103. Secondo le “Note sulle condizioni di accoglienza in Italia dei richiedenti asilo minorenni” pubblicate il 14 dicembre 2009 dalla ONG “Save the Children, Italia Onlus”:
    “2. ... gli adolescenti che sbarcano in Italia sono spesso registrati dalla polizia come maggiorenni o dichiarano di essere maggiorenni. Spesso non modificano la loro versione anche dopo essere stati debitamente informati dei loro diritti di minori migranti in Italia (i nostri colleghi che lavorano a Lampedusa e in altri punti di sbarco lo hanno riscontrato). Alcuni minori migranti hanno dichiarato ai nostri colleghi di credere che dichiarare di essere maggiorenni assicurerà loro un permesso di soggiorno e la libertà di spostarsi in altri paesi europei. A nostro parere ciò è vero nella misura in cui la legge italiana obbliga i pubblici ufficiali a collocare i minori migranti in strutture protette e a farli andare a scuola, mentre ai maggiorenni non è garantita tale tutela.
    I comuni debbono farsi carico dei minori migranti, il tribunale locale deve nominare un tutore e deve pronunciarsi su un progetto individuale riguardante il luogo e le condizioni di educazione del minore (articoli 343 e seguenti del Codice civile italiano). Il Tribunale per i minorenni esamina il caso e può ritenere che il minore in questione sia stato abbandonato e aprire una procedura d’adozione (diritto a una famiglia, legge n. 183/1984). Tuttavia, a volte, tali provvedimenti sono adottati con considerevole ritardo, oppure non lo sono affatto. Le strutture di accoglienza per i migranti minorenni (ed eventuali o effettivi richiedenti asilo) in alcuni casi risultano inadeguate o insoddisfacenti per i minori, che spesso si allontanano.
    3. I migranti minorenni che dichiarano in Italia di essere maggiorenni sono registrati ufficialmente come tali (vale a dire le loro impronte digitale sono compatibili con le generalità di un maggiorenne) e sono trattati da maggiorenni, dopo il rinvio in Italia. Di conseguenza i migranti minorenni rinviati possono finire in centri di accoglienza per maggiorenni.”.
  104. Nel rapporto “Minori non accompagnati: aspetti quantitativi e politiche in materia di accoglienza, rimpatrio e integrazione – studio comparativo dell’UE”, pubblicato nel maggio 2010 dalla Rete europea delle migrazioni, una rete europea finanziata dall’Unione europea, il cui mandato è fornire informazioni aggiornate, oggettive, affidabili e paragonabili sulla migrazione e l’asilo al fine di sostenere lo sviluppo di politiche nell’Unione europea, si afferma:
    “In caso di presentazione di domanda di protezione internazionale in Italia da parte di un minore non accompagnato, la domanda di asilo è portata all’attenzione del Tribunale per i minorenni territorialmente competente, per essere poi confermata da un tutore nominato dal giudice tutelare, che presterà assistenza in ogni fase della procedura per l’esame della domanda; contemporaneamente si provvede alla segnalazione del minore al Comitato per i minori stranieri, che diventa competente nel caso non venga accolta la domanda di asilo. La questura rilascia al minore la documentazione attestante la qualifica di richiedente asilo, con la quale il minore può ricevere protezione e assistenza dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Nel periodo antecedente al rilascio di tale documentazione, fermo restando il divieto di trattenimento del minore, spetta ai servizi sociali del comune dove il minore risiede fornire protezione e assistenza e segnalare immediatamente il minore allo SPRAR.”
  105. Il rapporto “L’accoglienza e la presa in carico dei minori non accompagnati in otto paesi dell’Unione europea; studio comparativo e prospettive di armonizzazione” pubblicato nel dicembre 2010 è il risultato di un progetto co-finanziato dal Programma diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione europea, coordinato da France Terre d’Asile (Francia) e svolto in collaborazione con due organizzazioni non governative: l’Istituto per i diritti, l’eguaglianza e la diversità (Grecia) e il Consiglio italiano per i rifugiati (Italia). Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto contiene, inter alia, i seguenti passaggi:
    “In Italia un minore non accompagnato che fa ingresso nel paese e si trova in territorio italiano non può essere espulso salvo che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. In tal caso spetta al tribunale per i minorenni eseguire le misure di espulsione. Il divieto di espulsione relativo ai minori non accompagnati implica pertanto che essi non possano essere trattenuti nei centri per immigrati. Non possono neanche essere trattenuti nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE, ex CPT) o nei Centri di accoglienza (CDA). La legge prescrive che i minori stranieri isolati debbano essere sistemati in comunità per minori o nei centri dello SPRAR - in locali riservati ai minori - nel caso in cui presentino domanda di asilo. …
    In Italia la nomina di un tutore è obbligatoria per l’esame della domanda di asilo. L’ufficio della polizia di frontiera o la questura che riceve la domanda sospende immediatamente la procedura e trasmette la domanda al Tribunale per i minorenni specificamente competente affinché nomini un tutore. Nominato dal giudice tutelare, il tutore ‘conferma’ poi la domanda di asilo e attiva nuovamente la procedura presso la questura competente. Il minore deve essere accompagnato dal tutore in tutte le fasi della procedura e quest’ultimo deve essere totalmente attento alle esigenze del minore, in particolare deve essere presente all’audizione dinanzi alla Commissione territoriale ed è l’unico ad avere la competenza esclusiva per presentare ricorso in caso di decisione sfavorevole, ma deve ottenere l’autorizzazione del giudice tutelare per avviare tale procedura. …
    In Italia è stato creato un quadro giuridico specifico per il trattamento delle domande di asilo dei minori non accompagnati, con l’adozione di una direttiva seguita da una circolare del 2007 e da due decreti miranti a trasporre la legislazione europea: il decreto ‘qualifiche’ sugli standard minimi relativi alle condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini di stati terzi o dagli apolidi per poter richiedere lo status di rifugiato, o dalle persone che, ad altro titolo, hanno bisogno di protezione internazionale, e il decreto ‘procedura’ relativo agli standard procedurali minimi per concedere o revocare lo status di rifugiato negli Stati membri.
    In primo luogo, al suo arrivo in Italia il minore deve ottenere tutte le necessarie informazioni sui suoi diritti e sulle possibilità legali esistenti, in particolare in materia di domanda di asilo. Il minore che esprime il desiderio di fare domanda di asilo deve essere immediatamente segnalato alla questura che, a sua volta, informa il tribunale per i minorenni e il giudice tutelare affinché vengano adottate le necessarie misure di rappresentanza legale e protezione sociale; successivamente questi ultimi segnalano il minore al Sistema di protezione per richiedenti asilo che intraprende i passi necessari per la sua ammissione in un centro adeguato. L’articolo 3 comma 1 della direttiva prevede che i servizi sociali della comunità in cui il minore è stato collocato lo aiutino a presentare la domanda di asilo in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e altri organismi attivi nel campo della protezione dei richiedenti asilo.
    Il minore è identificato tramite fotografie e impronte digitali, che sono poi inserite nel sistema Eurodac per verificare se si possa applicare il regolamento di Dublino II. In seguito è compilato un modulo nella questura competente, dopo aver sentito e preso in considerazione il parere del minore, se egli ha l’età per esprimerlo. L’audizione ha luogo dinanzi alle Commissioni territoriali per la protezione internazionale, presenti in dieci città italiane. Entro due giorni dalla presentazione della domanda di asilo, il questore trasmette la domanda alla Commissione territoriale, che organizza poi un’audizione entro 30 giorni. Il decreto ‘procedura’ prevede che il minore sia sentito dalla Commissione territoriale in via prioritaria. Al minore richiedente asilo è fornito un permesso di soggiorno per richiedenti asilo, rinnovabile fino alla definizione della procedura.
    Per assicurare al minore la serenità e la tranquillità necessarie in questa fase della procedura, l’audizione ha luogo in un ambiente adeguato per il minore, con pause ogni qualvolta è necessario. In tutti i casi, la Commissione territoriale, in sede deliberativa, tiene conto dell’età e della maturità del minore, della sua situazione familiare, di specifiche forme di persecuzione che il minore può aver subito nel paese di origine, della possibilità che il minore non conosca la situazione del suo paese di origine e, soprattutto, del fatto che il minore può esprimere le sue paure in maniera diversa da come farebbe un adulto. La legge stabilisce che l’audizione non abbia luogo qualora la Commissione ritenga di aver acquisito elementi sufficienti per una decisione favorevole. Infine, è possibile che a un minore sia riconosciuto lo status di rifugiato senza audizione, nel caso in cui la Commissione abbia già preso nei suoi confronti una decisione favorevole, sulla base di prove fornite da documenti, testimonianze, ecc.
    La Commissione territoriale può decidere di concedere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, o di respingere tale domanda, ma può anche raccomandare che il richiedente rimanga nel territorio nel caso in cui il rimpatrio rappresenti un rischio per la sua sicurezza. In quest’ultimo caso, la decisione negativa attiva una disposizione di legge che permette al richiedente di ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari, valido un anno e rinnovabile.
    In caso di decisione di rifiuto ‘netto’ il minore, se è ancora tale, può rimanere nel territorio, poiché il suo status vieta l’espulsione. Può proporre ricorso, ma a tale fine, ha bisogno del consenso del suo tutore, che non può agire in tal senso senza l’autorizzazione del giudice tutelare. …
    In Italia i minori non accompagnati richiedenti asilo sono integrati nel sistema di protezione per richiedenti asilo (SPRAR) e pertanto sono oggetto di un’accoglienza distinta da quella riservata agli altri minori non accompagnati. Presi in carico nell’ambito del quadro ordinario dell’accoglienza dei richiedenti asilo, essi sono alloggiati in centri ove alloggiano anche adulti, ricevendo nondimeno un’attenzione specifica. Tuttavia, i centri SPRAR non sono sufficienti a far fronte al numero di richieste di accoglienza da parte di minori richiedenti asilo che, conseguentemente, sono accolti in altri centri per minori non accompagnati, in cui i servizi disponibili non sono sempre adeguati.”
  106. Il rapporto “Le condizioni di vita dei rifugiati in Italia pubblicato il 28 febbraio 2011 dalla ONG tedesca “Pro Asyl”, che si basa su un viaggio di ricerca a Roma e Torino nell’ottobre 2010, afferma riguardo ai minori non accompagnati richiedenti asilo:
    “Nel corso della nostra ricerca abbiamo incontrato diverse persone che erano chiaramente dei minori, e che vivevano senza un adulto responsabile. In risposta alla domanda sul perché non vivessero in una delle strutture di accoglienza per minori non accompagnati esistenti in tutta Italia, molti di loro hanno risposto che secondo i loro documenti italiani erano maggiorenni.
    Alcuni di loro avevano fornito l’età corretta in sede di domanda di asilo ma non erano stati creduti. Altri hanno raccontato che la loro età era stata decisa in base a una valutazione visiva, descritta come particolarmente superficiale, nell’inverno del 2008, quando il numero degli arrivi era stato particolarmente elevato. In alcuni casi l’accertamento dell’età si era basato sulla radiografia delle ossa del polso, che aveva stimato una data di nascita antecedente a quella reale.
    Un certo numero di questi giovani ha confermato anche di aver deliberatamente fornito alle autorità un’età maggiore, la loro giustificazione era o il desiderio di una procedura di asilo da maggiorenni rapida e l’ottenimento del diritto di lavorare, o la paura di essere separati dal gruppo dei loro coetanei per via della giovane età. Tali giustificazioni erano conosciute e confermate dai nostri interlocutori all’interno delle ONG.
    Inoltre essi hanno confermato che i minori – nella misura in cui sono registrati come tali – di solito sono alloggiati e protetti per legge dall’espulsione (a differenza di quanto prevede la legislazione tedesca). In pratica questo divieto di allontanamento del minore significa che la procedura di asilo non è condotta con sufficiente diligenza. Conseguentemente una volta che la persona diventa maggiorenne si trova all’improvviso di fronte al problema di come assicurarsi il diritto di rimanere.
    Molti giovani inoltre attribuiscono tale importanza alla possibilità di lavorare (che in realtà spesso è solo una possibilità teorica) che rinunciano all’alloggio nei centri per i giovani. Ciò è comprensibile quando si prenda in considerazione coloro che hanno fatto il viaggio “a credito” e debbono restituire il denaro a parenti, membri della comunità o trafficanti, il prima possibile. Nessuna delle persone interessate è stata disposta a parlare delle conseguenze in caso di mancata restituzione del denaro.
    Per contro, molti giovani hanno descritto in modo particolareggiato il timore di essere separati dal gruppo con il quale erano sbarcati nell’Italia meridionale o a Lampedusa. Ciò era particolarmente evidente in coloro che, durante il viaggio attraverso il Sahara e la Libia, sono stati continuamente lasciati indietro dai trafficanti perché erano troppo deboli o senza i mezzi per stare al passo. Non volevano in alcun caso essere separati dal gruppo con cui avevano recentemente fatto la parte particolarmente drammatica del loro viaggio, l’attraversamento del Mediterraneo.
    La voce corrente in Libia che è più difficile essere un rifugiato per un minorenne che non per un maggiorenne, ha avuto importanza per tutti i giovani che abbiamo intervistato e che “si sono aumentati l’età”. Molti hanno poi compreso che è vero il contrario e si sono pentiti della decisione di fornire una data di nascita falsa, ma non sono riusciti a vedere come modificarla presso le autorità.”
  107. Il rapporto “Procedura di asilo e condizioni di accoglienza in Italia”, concentrato in particolare sulle “persone rinviate ai sensi del regolamento di Dublino”, pubblicato nel maggio 2011 da Juss-Buss, una ONG elvetico-norvegese, e basato su una visita in Italia nel settembre 2010, afferma che i minori non accompagnati non restano nei CARA per un periodo più lungo e che sono trasferiti in centri speciali per minori, di solito entro 24 ore. Nei centri SPRAR complessivamente solo 134 posti sono destinati ai minori non accompagnati, pertanto la maggioranza di essi è presa in carico dai servizi sociali locali che forniscono alloggio in diverse case per minori collegate a diversi progetti locali, di solito non specializzate nell’accoglienza ai rifugiati. Il rapporto dichiara inoltre:
    “Le statistiche mostrano che molti minori sbarcati da poco nel sud, specialmente afgani, sono scappati dopo essere stati registrati e assegnati a una struttura per minori. In Sicilia, l’organizzazione Save the Children ha riscontrato che circa il 70% dei minori non accompagnati si era allontanato.
    In realtà molti minori non accompagnati che arrivano in Italia tendono a dichiarare di essere maggiorenni, perché sperano di trovare un lavoro per mantenere le loro famiglie, e considerano un’istruzione regolare una perdita di tempo. Molti di loro tentano di trovare un lavoro irregolare nelle grandi città per guadagnare del denaro. Alcuni di questi, a volte, dopo un certo tempo, si rivolgono ai servizi sociali chiedendo protezione, ma in molti casi gli assistenti sociali hanno problemi a convincerli a optare per uno status regolare. Save the Children stima che vi siano diverse migliaia di minori irregolari nelle strade delle grandi città, e oltre mille solo a Roma. Molto spesso diventano vittime di ogni sorta di sfruttamento, controllato per lo più da adulti. Un altro motivo per il quale i minori dichiarano di essere maggiorenni è il fatto che alcuni di loro hanno paura di essere separati dal proprio gruppo etnico. Un’altra ragione ancora è il desiderio di proseguire il viaggio e chiedere asilo in altri paesi europei.”
  108. Il rapporto “Minori non accompagnati richiedenti asilo: compendio sulla protezione, l’assistenza e le prassi promettenti” redatto nel dicembre 2011 per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (“OIM”) da B. Hancilova e B. Knauder afferma:
    “I resoconti dall’Italia suggeriscono che i minori spesso spariscono perché non sono bene informati sulla procedura di asilo e sui loro diritti derivanti dallo status che hanno ottenuto. A causa della scarsità di informazioni fornite dalle autorità, essi raccolgono informazioni frammentarie, e sovente false, principalmente tramite un passaparola. La cattiva informazione e la conseguente insicurezza spesso generano paure non sempre legittime, e i giovani si convincono che sia meglio scappare e nascondersi alle autorità. Nel frattempo cercano di trovare il denaro per proseguire il viaggio verso paesi del nord, nella convinzione che lì li attendano una migliore assistenza, migliori condizioni di vita e un futuro più promettente.”
  109. Nelle “Raccomandazioni dell’UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione dei rifugiati in Italia” del luglio 2012 a cura dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), riguardo alla protezione dei minori non accompagnati o separati (MNAS) si dichiara quanto segue:
    “Secondo il Ministero dell’Interno nel 2011 hanno presentato domanda di asilo in Italia 827 minori stranieri non accompagnati. Al Comitato per i minori stranieri, l’organo interministeriale responsabile per la tutela dei minori stranieri non accompagnati in Italia, a fine 2011 ne risultavano segnalati 7.750, di cui gli afgani rappresentavano il secondo gruppo nazionale più numeroso. Questi dati statistici indicano che molti di quei MNAS, cittadini di paesi da cui spesso provengono rifugiati, non abbiano in realtà presentato una domanda di protezione internazionale in Italia. Vi sono, inoltre, molte segnalazioni di frequenti abbandoni dei centri di accoglienza da parte di minori stranieri non accompagnati. Molti MNAS evitano del tutto di presentarsi e registrarsi presso le autorità nel timore di non potersi poi spostare in altri paesi europei. A tale riguardo, da ricerche effettuate dall’UNHCR negli ultimi mesi del 2010, è emerso che molti MNAS, in assenza di informazioni attendibili sulle concrete possibilità di ottenere protezione in Italia, decidono di spostarsi in altri paesi. Si suppone che ciò avvenga anche sotto l’influenza dei trafficanti e dei familiari, oltre che a causa delle preoccupazioni sulle prospettive di integrazione in Italia, una volta raggiunta l’età adulta.
    La normativa italiana è particolarmente attenta alla tutela dei minori stranieri non accompagnati. Essi, infatti, non possono essere espulsi ed hanno diritto a un permesso di soggiorno. Nel caso non sia possibile pervenire a una determinazione certa rispetto all’età dichiarata, è previsto che venga applicato il criterio del beneficio del dubbio in favore di colui che ha dichiarato di essere minore. È prevista, tra l’altro, la rapida nomina di un tutore e, per coloro che fanno domanda di protezione internazionale, l’esame in via prioritaria della domanda di asilo. Per quanto riguarda invece l’effettiva applicazione di queste garanzie c’è ampio margine di miglioramento. In alcuni casi, ad esempio, la nomina di un tutore (solitamente il sindaco o un funzionario comunale) può essere una mera formalità. In questi casi le funzioni del tutore vengono generalmente delegate ad operatori sociali che spesso, visto l’altro numero di minori non accompagnati di loro competenza, incontrano difficoltà pratiche nel fornire assistenza ai casi individuali. Accade inoltre che i tempi della nomina del tutore, spesso assai lunghi, ritardano l’accesso alla procedura di protezione internazionale e allo stesso tempo l’individuazione di forme di tutela più appropriate a ogni singolo caso e dei conseguenti percorsi di integrazione.
    La determinazione dell’età di un minore proveniente da un paese terzo è di fondamentale importanza, considerato che la grande maggioranza dei minori stranieri non accompagnati registrati ha un’età compresa tra i 16 e i 17 anni. In Italia manca tuttora una procedura multidisciplinare adeguata per la determinazione dell’età, condizione necessaria per far sì che i minori siano riconosciuti come tali e che sia loro garantita tempestivamente una protezione adeguata alle particolari vulnerabilità ed esigenze specifiche di cui sono portatori.
    Un’ulteriore riflessione riguarda il sistema di accoglienza per i minori non accompagnati, che al momento offre standard piuttosto eterogenei i quali, stando ad alcuni rapporti, non sempre corrispondono a quelli appropriati.”
    Per quanto riguarda l’accesso alla procedura di asilo, il rapporto dichiara:
    “L’UNHCR rileva che i cittadini di paesi terzi già presenti sul territorio italiano non incontrano generalmente problemi particolari nel presentare una domanda di protezione internazionale. Tuttavia nella prassi sono state segnalate alcune criticità. Ad esempio alcune questure non procedono alla ricezione della domanda se i richiedenti non producono prova di un domicilio stabile; in altri casi in alcune questure l’appuntamento per la verbalizzazione della domanda di asilo viene fissato a distanza di diversi mesi dalla presentazione della domanda, con la conseguenza che le persone interessate non possono avere accesso per periodi prolungati ai diritti di cui godono i richiedenti asilo formalmente registrati.”
  110. Il “Rapporto nazionale sul regolamento di Dublino II” relativo all’Italia, redatto il 19 dicembre 2012 dalla Rete europea di cooperazione tecnica sull’applicazione del regolamento di Dublino II, una rete europea di organizzazioni non governative che assistono e consigliano i richiedenti asilo soggetti alla procedura Dublino, dichiara in relazione ai minori non accompagnati richiedenti asilo in Italia inter alia:
    “3.3.3 Minori non accompagnati
    … Ad ogni modo in Italia, vi è una specifica questione riguardante i minori trattati come minorenni o come maggiorenni a seconda delle dichiarazioni rese dai richiedenti asilo (qualora abbiano dichiarato di essere maggiorenni per evitare di rimanere nei centri per minori con l’intenzione di andare in altri paesi) e in base alle norme per l’accertamento dell’età applicate in Italia e nei paesi che trasferiscono i minori in Italia ai sensi del regolamento [di Dublino II] senza il consenso degli interessati (considerati minori dai paesi che li inviano). Se un ragazzo dichiara di essere maggiorenne in Italia e minorenne nel paese in cui si reca, in Italia è trattato come un maggiorenne, se vi è rinviato in base al regolamento, in conformità alle sue precedenti dichiarazioni, con il rischio di finire a vivere per strada o con la propria comunità in edifici occupati. Il CIR (Consiglio italiano per i rifugiati) ha chiesto più volte alle autorità competenti di trattarli come minori e, in caso di dubbio, di sottoporli a un accertamento dell’età, ma allo stato non si sono registrati cambiamenti nelle procedure. Per contro, se i richiedenti asilo dichiarano di essere minorenni in Italia come pure in un altro paese, quando sono trasferiti in Italia ai sensi del regolamento sono trattati come richiedenti asilo non accompagnati e sono pertanto indirizzati in appositi centri per i minori. Ogni qualvolta vi sono dubbi sull’età della persona, essa viene sottoposta a un accertamento dell’età da parte delle autorità.
    3.3.3.i La procedura di asilo per i minori non accompagnati
    ... Quando un minore non accompagnato presenta domanda di asilo, le competenti autorità di polizia sospendono immediatamente la procedura e informano il Tribunale per i Minorenni competente per territorio e il giudice tutelare il quale è competente a nominare un tutore legale, che è responsabile nei confronti del minore di tutta l’assistenza di cui ha bisogno fino all’età di 18 anni. Il giudice tutelare nomina un tutore nelle 48 ore successive alla comunicazione dell’ufficio immigrazione della questura. Il tutore legale si mette immediatamente in contatto con le autorità di polizia per confermare e riattivare la procedura di asilo e per l’adozione delle misure relative all’alloggio e alla presa in carico del minore. Il tutore legale ha la responsabilità di assistere il minore durante tutta la procedura di asilo e anche dopo in caso di decisione sfavorevole. Per tale motivo, il tutore legale accompagna il minore alla polizia dove, se ha più di 14 anni, può essere sottoposto a rilievo dattiloscopico e lo assiste nella compilazione del modulo per formalizzare la domanda. Il tutore legale accompagna il minore non accompagnato presso la Commissione territoriale (di seguito la Commissione) ove ha luogo l’audizione, cui si procede solo in presenza del tutore legale. Il minore viene informato del significato e delle conseguenze dell’audizione.
    Il minore richiedente asilo beneficia dei servizi di accoglienza della SPRAR. Nel caso in cui non sia possibile alloggiare il minore in un centro SPRAR destinato a minori non accompagnati per carenza di posti, alloggio e assistenza sono temporaneamente garantiti dalle autorità del comune in cui si trova il minore. È importante sottolineare che, in conformità all’articolo 26 § 6 del decreto “procedura”, ‘I minori non accompagnati in nessun caso possono essere trattenuti presso le strutture di cui agli articoli 20 e 21’ [cioè nei CARA Centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei CIE, Centri di identificazione e espulsione].
    3.3.3.ii Corretta identificazione dei minori e accertamento dell’età dei minori
    La corretta identificazione dei minori è il presupposto per consentire loro di avere accesso alle specifiche misure e garanzie previste dalla legge.
    L’articolo 19 del Decreto legislativo 25/2008 prevede che: ‘Se sussistono dubbi in ordine all'età, il minore non accompagnato può, in ogni fase della procedura, essere sottoposto, previo consenso del minore stesso o del suo rappresentante legale, ad accertamenti medico-sanitari non invasivi al fine di accertarne l'età. Se gli accertamenti effettuati non consentono l'esatta determinazione dell'età si applicano le disposizioni del presente articolo.”
    È stato evidenziato che il rifiuto del richiedente asilo di sottoporsi all’accertamento dell’età non ha conseguenze negative sulla ricezione della richiesta di asilo.
    In Italia non ci sono disposizioni specifiche riguardo alla procedura per l’accertamento dell’età, tuttavia si possono desumere alcuni principi dalla legge sui minori. Tali principi sono contenuti in un Protocollo per l’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati. Tale documento è stato elaborato dalle autorità italiane con la consulenza di molti esperti, ma non è mai stato adottato formalmente e pertanto applicato. Tra le garanzie indicate nel Protocollo vi sono il consenso informato del minore, l’obbligo di rilasciare al minore un certificato medico tradotto in una lingua che egli comprenda, l’obbligo di notificare la decisione di attribuzione dell’età, l’obbligo di indicare i mezzi di impugnazione avverso l’attribuzione dell’età, l’obbligo di indicare il margine di errore nell’attribuzione dell’età.
    In pratica, nella maggioranza dei casi i richiedenti protezione internazionale che dichiarano di essere minorenni vengono sottoposti alla procedura di accertamento dell’età senza il tutore legale che, quasi in ogni caso, è nominato successivamente. Molto spesso, inoltre il referto medico non indica il margine d’errore sebbene la letteratura medica mostri che non è possibile determinare con certezza l’età di una persona (il margine d’errore è di almeno due anni). L’accertamento dell’età è eseguito da medici non specialisti che spesso ignorano o conoscono scarsamente l’ambiente culturale dei migranti e le conseguenze dei risultati dell’esame. La notifica ai minori del risultato dell’esame medico avviene verbalmente e non è possibile impugnare direttamente l’attribuzione dell’età. Generalmente l’età accertata è indicata direttamente sul decreto di espulsione o – in caso di domanda di asilo – può essere desunta dal fatto stesso che non sono state applicate le garanzie specifiche per i minori, ma quelle per i maggiorenni.
    L’UNHCR, il CIR e Save the Children hanno chiesto che nei certificati medici sia sempre indicato il margine di errore e che, nei casi dubbi, sia applicato il principio del beneficio del dubbio.
    Le ONG raccomandano che l’accertamento dell’età non sia eseguito sistematicamente ed esclusivamente attraverso radiografie. Una copia del certificato medico dovrebbe essere consegnata a tutti i minori e in ogni caso dovrebbe essere chiesto il loro consenso all’esposizione ai raggi X.”
  111. Il 5 luglio 2013, l’AIDA (Asylum Information Database) ha lanciato un sito internet contenente rapporti e altre informazioni sulla posizione dei richiedenti asilo in vari paesi europei. L’AIDA è un progetto del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) in collaborazione con il francese Forum Refugiés-Cosi, il Comitato ungherese Helsinki e il Consiglio irlandese per i rifugiati. Riguardo all’accoglienza e alla sistemazione delle persone rinviate in Italia ai sensi del regolamento di Dublino esso dichiara:
    “Il quadro giuridico italiano non prevede alcun sistema specifico di accoglienza per i casi Dublino. Bisogna distinguere due scenari: il primo riguarda le persone la cui domanda deve essere esaminata da un altro Stato membro in attesa del loro trasferimento. …
    Il secondo scenario riguarda le persone rinviate ai sensi del regolamento di Dublino, oggetto di un provvedimento di trasferimento da un altro Stato membro e, conseguentemente, rinviate in Italia. All’interno di questa categoria più ampia è necessario tracciare un’altra distinzione a seconda che la persona rinviata abbia già usufruito del sistema di accoglienza mentre era in Italia o meno. Se le persone rinviate (richiedenti asilo che beneficiano della protezione internazionale o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari) non erano state sistemate in strutture di accoglienza mentre erano in Italia, hanno ancora la possibilità di entrare in un centro di accoglienza. A causa della mancanza di posti disponibili nelle strutture di accoglienza e della frammentazione del sistema di accoglienza, nella maggior parte dei casi il tempo richiesto per trovare nuovamente un posto disponibile nei centri è eccessivo. Poiché non vi è una prassi generale, non è possibile stimare il tempo necessario ad accedere a un alloggio. Negli ultimi anni, sono stati creati dei sistemi di accoglienza temporanea per alloggiare le persone trasferite in Italia sulla base del regolamento di Dublino II; si tratta comunque di forme di accoglienza temporanea che durano finché non si definisce la situazione giuridica di tali persone, o, se appartengono a una categoria vulnerabile, finché non è trovata una struttura alternativa.
    Tali strutture di accoglienza temporanea sono state create grazie a progetti mirati finanziati dal Fondo europeo per i rifugiati. Per esempio a Roma, sono attualmente in corso progetti che forniscono assistenza a 200 persone, e nell’ambito di questa più ampia categoria 60 posti sono riservati alle categorie vulnerabili.
    Tuttavia, accade che delle persone rinviate ai sensi del regolamento di Dublino rimangano senza alloggio e trovino forme alternative di alloggio in sistemazioni auto-organizzate. Se le persone rinviate cui è già stata concessa una forma di protezione, hanno già usufruito del sistema di accoglienza mentre erano in Italia, esse non hanno più diritto a essere alloggiate nei CARA, tuttavia vi possono accedere se vi sono posti disponibili in modo da consentire loro di riattivare la procedura amministrativa e ottenere un permesso di soggiorno.”

    4. Il diritto penale italiano
     
  112. L’articolo 495 del Codice penale italiano prevede il reato di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale sull’identità, punibile con la reclusione da uno a sei anni.
  113. In una nota datata 19 agosto 2010 e indirizzata a un avvocato dello stesso studio dei rappresentanti dei ricorrenti dei ricorsi nn. 18324/10 e 47851/10, Lara Olivetti, avvocato specializzato in diritto dell’immigrazione e di asilo in Italia e consulente del Servizio nazionale di informazione sui diritti dei minori migranti di Save the Children Italia, scrive che per il reato di cui all’articolo 495 del Codice penale italiano, il Codice di procedura penale prevede l’arresto facoltativo senza mandato (articolo 381). Secondo l’avv. Olivetti una precedente condanna per reati che comportano l’arresto facoltativo senza mandato ai sensi dell’articolo 381, compresa la falsa dichiarazione a pubblico ufficiale sull’identità, ostacola il rilascio di un permesso di soggiorno di lungo periodo o è motivo di revoca dello stesso (articolo 9 comma 4 della legge italiana sull’immigrazione, decreto legislativo n. 286/1998) e sebbene in via di principio il permesso di soggiorno debba essere concesso, la realtà dimostra che è molto difficile ottenerlo dagli uffici immigrazione delle questure di molte province ed è necessario ricorrere a battaglie in tribunale.

    5. Trasferimenti dai Paesi Bassi in Italia ai sensi del regolamento di Dublino
     
  114. Il diritto e la prassi nazionali relativi alle procedure di asilo e all’esecuzione degli allontanamenti sono esposti nella decisione K. c. Paesi Bassi ((dec.), n. 33403/11, §§ 16-19 e §§ 25-32, 25 settembre 2012).
  115. Per quanto riguarda i trasferimenti in Italia ai sensi del regolamento di Dublino, le autorità olandesi decidono, in consultazione con le autorità italiane, come e quando effettuare il trasferimento dei richiedenti asilo alle competenti autorità italiane. In linea di massima è dato un preavviso di tre giorni lavorativi, in conformità all’articolo 8 § 2 del regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione. Le richieste di un preavviso maggiore da parte delle autorità italiane sono rispettate.
  116. Se il trasferimento riguarda una persona vulnerabile, come un minore straniero non accompagnato, le autorità olandesi richiamano espressamente l’attenzione delle autorità italiane su questo fatto e danno a queste ultime un preavviso di quattordici giorni. Lo stesso preavviso è in genere dato quando il trasferimento avviene in circostanze mediche eccezionali. Se un medico stabilisce delle condizioni per il trasferimento, quali la presenza di una sedia a rotelle, di un medico o di un’ambulanza per il trasporto del richiedente asilo in ospedale o in un altro istituto, sono presi accordi con le autorità italiane prima del trasferimento per rispettare tale condizione. Solo dopo il ricevimento della conferma che la condizione sarà rispettata, il trasferimento è effettivamente eseguito.
  117. A differenza dei minori non accompagnati richiedenti asilo, in genere i maggiorenni o le famiglie non sono accompagnati. Essi sono ritenuti in grado, all’arrivo in aeroporto, di presentarsi di propria iniziativa alle autorità italiane che, avendo ricevuto un preavviso, sono a conoscenza del loro imminente arrivo. Se necessario può essere fornito un accompagnatore. Spetta alla Polizia militare reale olandese (Koninklijke Marechaussee), che effettua il trasferimento, decidere se è necessario un accompagnatore. Ogni qualvolta ha luogo un trasferimento, la persona in questione è informata del fatto che deve presentarsi alla polizia di frontiera all’aeroporto.

    MOTIVI DI RICORSO

    1. Ricorso n. 2314/10
     
  118. Ai sensi dell’articolo 3 il ricorrente ha lamentato il suo trasferimento in Italia dove, ha sostenuto, gli verrebbero negate cure e accesso a strutture di accoglienza. Invocando ancora l’articolo 3 ha lamentato inoltre che trasferirlo in Italia, senza un esame nei Paesi Bassi del trattamento che egli rischia in Somalia, lo esporrebbe al rischio di respingimento dall’Italia verso Somalia, senza che in Italia abbia luogo un esame adeguato della sua domanda di asilo e di quella ai sensi dell’articolo 3. Egli ha inoltre dedotto la violazione dell’articolo 13 della Convenzione e dell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.

    2. Ricorso n. 18324/10

    (a) Contro i Paesi Bassi
     
  119. Il ricorrente ha lamentato che le autorità olandesi trasferendo lui, un giovane somalo traumatizzato di Mogadiscio, in Italia, violavano i suoi diritti ai sensi dell’articolo 3 poiché l’ordinamento giuridico italiano non era in grado di offrire una tutela giuridica effettiva né a livello nazionale né a livello internazionale ai richiedenti asilo. Dato che in Italia egli non avrebbe avuto accesso alla procedura di asilo, rischiava pertanto anche il respingimento verso la Somalia.
  120. Il ricorrente ha inoltre lamentato, per ciò che concerneva i suoi motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 3, che la procedura di asilo nei Paesi Bassi non poteva essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13. 

    (b) Contro l’Italia
  121. Il ricorrente ha lamentato di essere stato sottoposto a un trattamento proibito dall’articolo 3 durante il suo primo soggiorno in Italia, poiché era stato sistemato in una comunità dove aveva subito abusi fisici mentre la sua vulnerabilità era stata rafforzata dal fatto che egli era un minore all’epoca dei fatti e che soffriva di gravi problemi mentali causati dagli eventi traumatici che lo avevano costretto a fuggire dalla Somalia. Ha lamentato inoltre di essere anche attualmente sottoposto a un trattamento in violazione dell’articolo 3 della Convenzione in Italia, dove si è trovato in una situazione di estrema indigenza, senza accesso alle fondamentali cure mediche o psichiatriche pur continuando a soffrire di gravi problemi mentali.
  122. Il ricorrente ha lamentato inoltre che, in relazione ai suoi motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 3, la procedura di asilo in Italia non poteva essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione.
  123. Con riferimento alle conclusioni della Corte nella causa Tabesh c. Grecia (n. 8256/07, 26 novembre 2009), il ricorrente ha infine lamentato che il suo trattenimento dopo il primo arrivo in Italia era contrario ai suoi diritti ai sensi dell’articolo 5 §§ 1 e 4 della Convenzione.

    3. Ricorso n. 47851/10
  124. Il ricorrente ha lamentato ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione che, in caso di trasferimento dai Paesi Bassi all’Italia, egli sarebbe esposto al rischio reale di successivo respingimento verso la Somalia o la Libia dove rischiava di essere sottoposto a un trattamento in violazione dell’articolo 3, perché non avrebbe alcun accesso alla procedura di asilo, perché sarebbe perseguito penalmente per aver presentato false generalità e/o perché la procedura di asilo in Italia era gravemente carente.
  125. Il ricorrente ha lamentato inoltre ai sensi dell’articolo 13 che, a causa dell’inadeguatezza del sistema di asilo in Italia, egli non aveva alcun ricorso effettivo previsto da tale articolo per quel che concerneva i suoi motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 3, che costituivano la base della sua domanda di asilo, e che le modalità con cui il Governo olandese cercava di applicare il regolamento di Dublino al suo caso erano contrarie ai suoi diritti ai sensi dell’articolo 13.

    4. Ricorso n. 51377/10
     
  126. Il ricorrente ha lamentato che il suo trasferimento in Italia, dove presumibilmente gli sarebbero negate adeguate cure mediche e di altro genere nonché accesso a strutture di accoglienza, violerebbe i suoi diritti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Invocando ancora l’articolo 3 egli ha inoltre lamentato che durante il suo iniziale soggiorno in Italia, le autorità, sebbene all’epoca fosse un minore, gli avevano fornito poche o nessuna cura medica, che solo la chiesa gli aveva fornito alloggio e vitto, e che non gli era stato assegnato un tutore, né offerta un’istruzione. Egli ha infine lamentato che, dato che l’Italia non ottemperava alle direttive dell’UE applicabili, il trasferimento in Italia lo esporrebbe al rischio di respingimento dall’Italia verso Somalia, senza che in Italia abbia luogo un esame adeguato della sua domanda di asilo e di quella ai sensi dell’articolo 3. Egli ha infine dedotto la violazione dell’articolo 13 della Convenzione.

    IN DIRITTO
     
  127. Tutti i ricorrenti hanno lamentato che il trasferimento dai Paesi Bassi all’Italia ai sensi del regolamento di Dublino era o sarebbe stato contrario ai loro diritti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, che recita:
    “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”
  128. La Corte rileva dalle sue osservazioni che il rappresentante del ricorrente della causa n. 18324/10, che non ha assistito il ricorrente nei procedimenti interni, non è apparentemente in grado di stabilire alcun contatto diretto con il suo assistito (si veda § 56). Ciò solleva la questione di sapere se, date le circostanze, tale rappresentante possa validamente proseguire la procedura innanzi alla Corte (si vedano, per esempio, A.S. c. Paesi Bassi (dec.), n. 16247/11, 4 giugno 2013; Betwata Khoushnauw c. Paesi Bassi (dec.), nn. 28244/10 e 32224/11, 13 dicembre 2011; e Ramzy c. Paesi Bassi (di cancellazione) n. 25424/05, §§ 64-65, 20 luglio 2010, con ulteriori riferimenti).
  129. Tuttavia la Corte non reputa necessario pronunciarsi su tale questione, poiché il ricorso è in ogni caso irricevibile per le ragioni esposte più avanti.
  130. La Corte osserva che, al momento del loro primo arrivo in Italia, e sulla base delle informazioni che essi avevano fornito alle autorità italiane, i ricorrenti delle cause nn. 2314/10, 47851/10 e 51377/10 sono stati ammessi in Italia in qualità di maggiorenni richiedenti asilo ed è stato loro concesso successivamente un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria valido per tre anni.
  131. La Corte osserva inoltre che ciascuno di tali tre ricorrenti si è successivamente recato nei Paesi Bassi dove ha presentato domanda di asilo in qualità di minore non accompagnato richiedente asilo, fornendo un’altra data di nascita e, o un altro nome, o un nome leggermente diverso rispetto a quelli precedentemente forniti alle autorità italiane. Dopo che tali ricorrenti sono stati identificati nel sistema Eurodac come persone le cui domande di asilo erano di competenza dell’Italia ai sensi del regolamento di Dublino, le autorità amministrative e giudiziarie olandesi, non avendo riscontrato motivi che giustificassero l’applicazione della clausola di sovranità prevista dal regolamento di Dublino, hanno concluso che l’Italia fosse competente per esse. Conseguentemente, le autorità olandesi hanno chiesto ai loro omologhi italiani di accettare tale competenza, cosa che questi ultimi hanno implicitamente fatto. La Corte osserva infine che, nella misura in cui può essere accertato, solo il ricorrente della causa n. 2314/10 è stato trasferito in Italia, e che quando ciò è avvenuto il 19 marzo 2012, egli aveva, in base alla data di nascita da lui fornita alle autorità olandesi, quasi venti anni.
  132. Il ricorrente della causa n. 18324/10, che aveva dichiarato alle autorità italiane di essere un minore di diciassette anni all’epoca del suo primo arrivo in tale paese, è stato ammesso in Italia nell’ottobre del 2008 in qualità di minore non accompagnato richiedente asilo, e trattato come tale in conformità alle norme applicabili del diritto interno italiano che prevedevano, inter alia, che egli fosse sistemato in uno speciale centro di alloggio e cura per minori e che si desse avvio alla procedura per la nomina di un tutore legale. Prima che fosse presa una decisione su quest’ultima procedura o sulla sua domanda di asilo, il ricorrente, ritenendo che le regole cui era sottoposto nel centro per i minori in cui soggiornava fossero troppo severe, è fuggito e, con l’aiuto di un amico di famiglia che viveva in Italia, si è recato nei Paesi Bassi dove ha presentato domanda di asilo nell’aprile 2009 con un nome diverso e dichiarando di avere circa sedici anni.
  133. Dopo che è stato identificato nel sistema Eurodac come persona la cui domanda di asilo era di competenza dell’Italia ai sensi del regolamento di Dublino, le autorità amministrative e giudiziarie dei Paesi Bassi, non avendo trovato motivi che giustificassero l’applicazione della clausola di sovranità prevista dal regolamento di Dublino, hanno concluso che l’Italia fosse competente per il ricorrente. Conseguentemente, le autorità olandesi hanno chiesto agli omologhi italiani di accettare tale competenza, cosa che questi ultimi hanno fatto il 30 giugno 2009. La Corte osserva infine che quando il ricorrente è stato trasferito in Italia il 23 febbraio 2012, egli era, sulla base della data di nascita da lui fornita alle autorità olandesi, maggiorenne.
  134. La Corte rammenta i pertinenti principi generali ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione recentemente delineati nella sua decisione sulla ricevibilità relativa alle cause Mohammed Hussein c. Paesi Bassi e Italia (sopra citata, §§ 65-71) e Daybetgova e Magomedova c. Austria (sopra citata, §§ 58-64). Essa rammenta inoltre che, per quanto riguarda la data pertinente, l’esistenza di una asserita esposizione al rischio di trattamento contrario all’articolo 3 deve essere valutata principalmente con riferimento ai fatti che erano conosciuti o che avrebbero dovuto essere conosciuti dallo Stato contraente al momento dell’espulsione. A ogni modo, se un ricorrente non è stato ancora trasferito quando la Corte esamina la causa, la data pertinente per la valutazione dell’esistenza del rischio di trattamento contrario all’articolo 3 è quella della procedura dinanzi alla Corte (si veda Saadi c. Italia [GC], n. 37201/06, § 133, CEDU 2008, e A.L. c. Austria, n. 7788/11, § 58, 10 maggio 2012). È necessaria una valutazione completa, dal momento che la situazione del paese di destinazione può cambiare nel corso del tempo (si veda Salah Sheekh c. Paesi Bassi, n. 1948/04, § 136, 11 gennaio 2007).
  135. Per quanto riguarda i ricorrenti delle cause 2314/10, 47851/10 e 51377/10, la Corte non può non tenere conto del fatto che i ricorrenti stessi hanno deliberatamente detto alle autorità italiane di essere maggiorenni, cercando apparentemente di tranne in inganno le autorità per beneficiare del regime applicato ai richiedenti asilo maggiorenni, che a quanto pare è ritenuto più permissivo. La Corte ritiene che le autorità che trattano le domande di asilo debbano potersi basare sulle informazioni personali fornite dai richiedenti stessi tranne quando vi è una flagrante discrepanza di qualche tipo o le autorità sono state in altro modo informate dell’esistenza di una particolare esigenza di protezione. A ogni modo non vi è nulla nei casi di specie che suggerisca che le autorità italiane non abbiano agito in buona fede a tale riguardo.
  136. La Corte ritiene inoltre che tutti i ricorrenti possano attualmente essere considerati dei richiedenti asilo poiché, anche se tre di loro sono già stati ammessi in passato in Italia in qualità di stranieri bisognosi di protezione sussidiaria (nn. 2314/10, 47851/10 e 51377/10), nessuno di loro è attualmente titolare di un permesso di soggiorno italiano valido, conseguentemente, se rinviati in Italia, dovranno presentare una (nuova) domanda di asilo in tale luogo.
  137. La Corte considererà anzitutto la questione di sapere se la situazione in cui si verrebbero probabilmente a trovare i ricorrenti che sono attualmente nei Paesi Bassi (nn. 2314/10, 47851/10 e 51377/10), in caso di trasferimento in Italia, possa essere considerata incompatibile con l’articolo 3, tenendo conto della loro situazione di richiedenti asilo e, in quanto tali, di membri di un gruppo della popolazione particolarmente svantaggiato e vulnerabile che necessita di una protezione speciale (si veda M.S.S. c. Belgio e Grecia, [GC], n. 30696/09, §251, CEDU 2011 sopra citata, § 251).
  138. Rammentando le proprie conclusioni nella causa Mohammed Hussein c. Paesi Bassi e Italia (sopra citata, § 78) e non avendo ravvisato alcun motivo nelle osservazioni prospettate nei ricorsi nn. 2314/10, 47851/10 e 51377/10, che giustifichi un’altra conclusione, la Corte ritiene che, benché la situazione generale e le condizioni di vita in Italia dei richiedenti asilo sia minorenni che maggiorenni siano sicuramente lungi dall’essere ideali e possano rivelare delle lacune, non è ravvisabile una carenza sistemica nel fornire supporto o strutture di assistenza ai richiedenti asilo, come nella causa M.S.S. c. Belgio e Grecia (sopra citata).
  139. La Corte ritiene inoltre, anche in considerazione delle modalità con cui tali tre ricorrenti sono stati trattati dalle autorità italiane dopo il loro iniziale arrivo in Italia, che nessuno dei tre ricorrenti che sono ancora nei Paesi Bassi abbia dimostrato che, in caso di trasferimento in Italia, le proprie prospettive future, considerate dal punto di vista materiale, fisico o psicologico, rivelino un rischio sufficientemente reale e imminente di privazioni di gravità tale da rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3. La Corte non ha riscontrato alcuna base per assumere che i ricorrenti non potranno beneficiare delle risorse disponibili in Italia per i richiedenti asilo o che, in caso di difficoltà, le autorità italiane non risponderebbero in maniera adeguata.
  140. Per quanto riguarda il ricorrente della causa n. 18324/10, che si trova attualmente in Italia, la Corte osserva che, dopo il suo iniziale arrivo in Italia, le autorità italiane lo hanno trattato in conformità alle norme speciali applicabili ai minori non accompagnati richiedenti asilo. Il ricorrente ha volontariamente abbandonato tale programma di protezione, e l’Italia non può essere ritenuta responsabile di tale decisione. L’affermazione del ricorrente che egli avrebbe subito abusi e gli sarebbero state negate adeguate cure mentali nel centro di accoglienza e alloggio per minori ove alloggiava dopo l’iniziale arrivo in Italia è rimasta del tutto indimostrata e non vi è nulla nel fascicolo che indichi che, all’epoca dei fatti, egli abbia cercato di portare tali questioni all’attenzione delle autorità italiane.
  141. La Corte inoltre non ha riscontrato nel fascicolo alcuna indicazione del fatto che il ricorrente, dopo essere stato trasferito in Italia il 23 febbraio 2012, abbia effettivamente cercato di presentarvi una nuova formale domanda di asilo (che è ovviamente una condizione sine qua non per accedere ai benefici previsti in tale paese in base ai programmi di assistenza per i richiedenti asilo) né all’arrivo in Italia, né in epoca successiva con l’assistenza del suo rappresentante dinanzi alla Corte, dei volontari dell’ente benefico privato di Latina ove ha trovato alloggio, e/o della ONG che lo ha localizzato in Italia. La Corte non ritiene pertanto accertato il fatto che il ricorrente non potrebbe beneficiare delle risorse disponibili in Italia per i richiedenti asilo o che, in caso di difficoltà, le autorità italiane non risponderebbero in maniera adeguata.
  142. Ne consegue che questa parte dei motivi di ricorso dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 3, sollevati contro i Paesi Bassi e l’Italia, è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e pertanto irricevibile in applicazione dell’articolo 35 § 4.
  143. I ricorrenti hanno inoltre lamentato che, in relazione ai loro motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 3, essi non hanno avuto un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 nei Paesi Bassi e/o in Italia. Tale disposizione recita:
    “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”
  144. La Corte sottolinea che, nella misura in cui i fatti lamentati rientrano nel campo di applicazione di una o più disposizioni della Convenzione, il termine “ricorso”, nell’accezione dell’articolo 13, non indica un ricorso destinato ad avere esito positivo, ma semplicemente un ricorso accessibile dinanzi a un’autorità competente a esaminare il merito di una doglianza sollevata ai sensi della Convenzione (si vedano Ivakhnenko c. Russia (dec.), n. 12622/04, 21 ottobre 2008; e Adamczuk c. Polonia (revisione), n. 30523/07, § 78, 15 giugno 2010).
  145. La Corte osserva che nessuno dei ricorrenti ha tentato di impugnare le azioni e/o le decisioni adottate dalle autorità italiane nel contesto della domanda di asilo presentata in Italia dopo il loro primo arrivo in tale luogo. Inoltre non vi è alcun elemento concreto nelle osservazioni dei ricorrenti che dimostri che ciò sarebbe stato impossibile, o all’epoca dei fatti, o in caso di presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale in Italia.
  146. Per quanto concerne la determinazione delle loro rispettive domande di asilo presentate nei Paesi Bassi, la Corte osserva che i ricorrenti potevano avvalersi e si sono avvalsi della possibilità di impugnare la decisione del Ministro (Sottosegretario) della Giustizia dinanzi al Tribunale regionale dell’Aja e alla Divisione della giurisdizione amministrativa, e che tali organi giurisdizionali hanno esaminato e determinato le argomentazioni dei ricorrenti, basate sull’articolo 3 della Convenzione, in merito al loro trasferimento in Italia.
  147. Ne consegue che anche questi motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere rigettati in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.
  148. Il ricorrente della causa n. 18324/10 ha inoltre lamentato che la sua privazione di libertà in Italia dopo il suo primo arrivo in tale luogo era contraria ai suoi diritti ai sensi dell’articolo 5 §§ 1 e 4 della Convenzione che garantisce il diritto alla libertà e mira a proteggere la libertà fisica delle persone.
  149. La Corte osserva che, dopo il suo primo arrivo in Italia nell’ottobre del 2008 il ricorrente, sulla base della sua dichiarazione di essere minorenne, è stato ammesso in Italia in qualità di minore non accompagnato richiedente asilo e, per tale motivo, sistemato in centro per l’accoglienza e la cura dei minori svantaggiati e stranieri. La Corte osserva inoltre che il ricorrente è fuggito da tale centro nel marzo del 2009, ritenendo che le regole di quel luogo fossero troppo severe.
  150. Tuttavia, in assenza di qualsiasi indicazione del fatto che il ricorrente abbia cercato di contestare la sua collocazione in tale centro dinanzi alle autorità italiane o che ciò sarebbe stato per lui impossibile, visto che il suo ricorso è stato presentato il 1° aprile 2010, vale a dire oltre sei mesi dopo la sua sistemazione nel centro in questione, la Corte conclude che, in relazione a questo motivo di ricorso, i requisiti dell’articolo 35 § 1 non sono stati soddisfatti.
  151. Conseguentemente questo motivo di ricorso deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § § 1 e 4 della Convenzione.
  152. Poiché il ricorrente della causa n. 2314/10 ha dedotto la violazione dei suoi diritti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, la Corte rammenta che, ai sensi degli articoli 19 e 32 § 1 della Convenzione, la propria competenza si estende esclusivamente a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei suoi Protocolli.
  153. Ne consegue che questo motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4 (si veda, per esempio, El-Habach c. Germania (dec.), n. 66837/11, 22 gennaio 2013). 

Per questi motivi, la Corte all’unanimità
Decide di riunire i ricorsi;
Dichiara i ricorsi irricevibili.

Santiago Quesada
Cancelliere

Josep Casadevall
Presidente
 

 

APPENDICE
N. Ricorso n. Presentato il Ricorrente
Data di nascita
Luogo di residenza
Rappresentato da
1.     2314/10 13/01/2010 Nuur HUSSEIN DIIRSHI
01/07/1992
Baexem
J. NIEMER
2.     18324/10 01/04/2010 Abdale ALI OMAR
05/12/1993
Zuidlaren
P. SCHÜLLER
3.     47851/10 20/08/2010 Yusuf MADI SHEEKH
06/09/1993
Oude Pekela
W. EIKELBOOM
4.     51377/10 07/09/2010 Aange ISSE ALI
07/03/1994
Oude Pekela
M. HAANSTRA