Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 15 aprile 2014 - Ricorso n.353/10 - Dalla Santa contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 353/10
Aldo Florindo DALLA SANTA
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione) riunita il 15 aprile 2014 in un comitato composto da:
András Sajó, presidente,
Helen Keller,   
Egidijus KÅ«ris, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato l’11 dicembre 2009,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo aver deliberato, decide quanto segue:

IN FATTO

Il ricorrente, sig. Aldo Florindo Dalla Santa, è un cittadino italiano nato nel 1935 e residente a Torino. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. R. Capra, del foro di Torino.
Il governo italiano (« il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo coagente, P. Accardo.

A.  Le circostanze del caso di specie

1.  I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, possono riassumersi come segue.
2.  Il ricorrente è detenuto nel carcere di Torino.
3.  Dinanzi al giudice dell’udienza preliminare di Ivrea – qui di seguito «il GUP» – si svolse una udienza in camera di consiglio secondo il rito abbreviato. Con sentenza del 19 marzo 2008, il ricorrente fu condannato a cinque anni e due mesi di reclusione per rapina a mano armata.
4.  In una data non precisata, il ricorrente interpose appello avverso questa sentenza.
5.  L’udienza dinanzi alla corte di appello di Torino fu fissata al 24 ottobre 2008.
6.  Il 24 luglio 2008 il ricorrente fu informato della data d’udienza e del fatto che, essendo detenuto, poteva chiedere la traduzione ai fini della sua comparizione.
7.   Dal fascicolo e dai documenti prodotti dal ricorrente risulta che quest’ultimo è stato visitato dal medico del carcere il quale ha constatato la necessità di una ambulanza per poter garantire la comparizione dell’interessato all’udienza.
8.  Il 24 ottobre 2008 il ricorrente non venne tradotto all’udienza, quest’ultima si svolse in sua assenza, ma alla presenza del suo avvocato che non si oppose alla prosecuzione del procedimento.
9.  Con sentenza emessa lo stesso giorno, depositata il 27 ottobre 2008, la corte d’appello confermò la sentenza del GUP sottolineando, in particolare, che il ricorrente non era presente in quanto non aveva fatto richiesta di comparire.
10.  Il ricorrente propose ricorso per cassazione deducendo una violazione del diritto di difesa dal momento che non aveva potuto comparire in udienza. Allegò al suo ricorso il certificato del medico del carcere.
11.  Con sentenza del 6 luglio 2009, la Corte di cassazione respinse il ricorso ritenendo che il ricorrente non avesse affatto provato la sua intenzione di comparire all’udienza che si era svolta dinanzi alla corte d’appello.

B.  Il diritto interno pertinente

12.  Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Hermi c. Italia [GC], (n. 18114/02, § 27-29, CEDU 2006 XII).
13.  Con sentenza del 24 giugno 2010, la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha espresso il seguente principio di diritto «nel giudizio camerale di appello avverso una sentenza pronunciata col rito abbreviato, la presenza dell’imputato detenuto o sottoposto agli arresti domiciliari non è necessaria e va quindi assicurata soltanto se questi manifesti la volontà di voler comparire, potendo altrimenti presumersi la sua rinunzia ad essere presente».

MOTIVI DI RICORSO

14.  Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta di non aver potuto partecipare all’udienza del 24 ottobre 2008 svoltasi dinanzi alla corte d’appello di Torino.

IN DIRITTO

15.  Il ricorrente lamenta di non aver potuto partecipare all’udienza di appello. Invoca l’articolo 6 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:
 «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.»

1.  Argomenti delle parti

16.  Il Governo osserva innanzitutto che il ricorrente non ha mai chiesto all’Autorità competente di essere tradotto all’udienza del 24 ottobre 2008. Dal fascicolo e dai documenti prodotti dal ricorrente risulta che quest’ultimo è stato visitato da un medico il quale ha constatato la necessità di un’ambulanza «per poter comparire in udienza».
Il medico può soltanto verificare lo stato di salute di ogni detenuto, senza alcun potere decisionale sulla gestione concreta della vita dei detenuti.
17.  In particolare, secondo il Governo, il certificato rilasciato dal medico si limita esclusivamente ad attestare che, nell’ipotesi in cui il ricorrente avesse voluto partecipare personalmente alla suddetta udienza, sarebbe stato necessario tradurlo in ambulanza a causa delle sue condizioni fisiche. Questo certificato non può dunque essere considerato come un atto equivalente ad una vera istanza di partecipazione all’udienza, né in considerazione della sua provenienza e dei suoi destinatari, né in considerazione del contenuto.
18.  Il Governo rammenta che la richiesta di comparire all’udienza avrebbe dovuto essere inviata all’Ufficio matricola dell’istituto penitenziario in cui si trovava, che a sua volta avrebbe trasmesso la sua richiesta direttamente alla corte d’appello.
19.  Il Governo mette in evidenza che l’atto di citazione dinanzi alla corte d’appello di Torino recava chiaramente, tra le altre, l’indicazione secondo la quale «l’imputato, se detenuto, può chiedere di essere tradotto dinanzi alla corte d’appello». Inoltre, il Governo rammenta che si trattava di una udienza in camera di consiglio in quanto la decisione di primo grado era stata emessa a seguito di rito abbreviato; secondo l’articolo 127 del codice di procedura penale, l’udienza avrebbe potuto essere rinviata in caso di impedimento legittimo dell’imputato che aveva manifestato la volontà di comparire.
20.  Il Governo nota che l’avvocato del ricorrente, che aveva evidenziato l’assenza del suo cliente in udienza, non ha chiesto né il suo trasferimento immediato, né la sospensione del processo.
21.  Di conseguenza, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso del ricorrente mettendo in evidenza la mancanza assoluta di prova di una istanza di partecipazione del detenuto e dunque l’assoluta mancanza di violazione dei diritti della difesa. Del resto, il Governo nota che l’avvocato del ricorrente ha chiesto l’inserimento del certificato medico nel fascicolo soltanto dopo la sentenza della corte d’appello del 23 gennaio 2009, all’epoca del suo ricorso per cassazione.
22. Il ricorrente contesta la tesi del Governo e sostiene che il certificato del medico del carcere dimostra che egli desiderava partecipare all’udienza dinanzi alla corte d’appello. Il fatto che il medico abbia sottolineato la necessità di tradurre il detenuto in udienza con l’ambulanza dimostrerebbe che il ricorrente aveva chiesto di esservi condotto.
23.  Inoltre, il ricorrente afferma che, essendo detenuto a Torino, nella stessa città in cui si svolgeva il processo, la corte d’appello avrebbe dovuto sospendere l’udienza per verificare se il ricorrente avesse manifestato la sua volontà di comparire.
24.  Infine, secondo il ricorrente, una volta riscontrata la sua assenza, la corte d’appello avrebbe dovuto rinviare il processo. A tale proposito, il ricorrente ritiene che il fatto di dover dimostrare la volontà di voler partecipare all’udienza costituisca «una anomalia» del sistema giuridico italiano.

2.  Valutazione della Corte

25.  La Corte rammenta che la comparizione di un imputato è di fondamentale importanza ai fini di un processo penale equo e giusto (Lala c. Paesi Bassi, 22 settembre 1994, § 33, serie A n. 297-A; Poitrimol c. Francia, 23 novembre 1993, § 35, serie A n. 277-A; De Lorenzo c. Italia (dec.), n. 69264/01, 12 febbraio 2004), e l’obbligo di garantire all’accusato il diritto di essere presente nella sala di udienza – ossia durante il primo procedimento a suo carico – è uno degli elementi essenziali dell’articolo 6 (Stoichkov c. Bulgaria, n. 9808/02, § 56, 24 marzo 2005).
26.  Eppure, anche nell'ipotesi di una corte d'appello dotata di piena giurisdizione, l'articolo 6 non sempre implica il diritto a una pubblica udienza né, a maggior ragione, il diritto di comparire personalmente (Fejde c. Svezia, 29 ottobre 1991, § 31, serie A n. 212-C). In materia, occorre tener conto, fra l’altro, delle particolarità della procedura in causa e del modo in cui gli interessi della difesa sono stati esposti e tutelati dinanzi alla giurisdizione d'appello, considerate soprattutto le questioni che quest'ultima doveva esaminare (Helmers c. Svezia, 29 ottobre 1991, §§ 31-32, serie A n  212-A) e la loro importanza per l'appellante (Kremzow c. Austria, 21 settembre 1993, § 59, serie A n. 268-B; Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 106 in fine, serie A n. 168; Ekbatani c. Svezia, 26 maggio 1988, §§ 27-28, serie A n. 134; Hermi, sopra citata, § 62).
27.  Data la sua posizione, l’appellante detenuto non può presentarsi dinanzi alla giurisdizione d'appello con la stessa facilità dell’appellante libero o della parte civile. In effetti, per condurre un appellante detenuto dinanzi ad una simile giurisdizione, occorre adottare misure tecniche speciali, soprattutto in materia di sicurezza (Kamasinski, sopra citata, § 107 e Hermi, sopra citata, § 63).
28.  Né la lettera né lo spirito dell'articolo 6 della Convenzione impediscono ad una persona di rinunciare volontariamente alle garanzie di un processo equo in maniera espressa o tacita (Kwiatkowska c. Italia (dec.), n. 52868/99, 30 novembre 2000). Tuttavia, per essere presa in considerazione dal punto di vista della Convenzione, la rinuncia al diritto di partecipare all'udienza deve essere provata in maniera inequivoca e associata ad un minimo di garanzie che corrispondano alla sua gravità (Hermi, sopra citata, § 73).
29.  Ai sensi della legge italiana, il ricorrente aveva senza dubbio il diritto di essere presente al dibattimento d'appello, a condizione che domandasse di esservi condotto. A tale proposito la Corte osserva che l'obbligo a carico del ricorrente di segnalare la sua intenzione di essere tradotto all'udienza non richiedeva il compimento di formalità particolarmente complesse. Occorreva rivolgersi all'ufficio matricola che avrebbe trasmesso la sua richiesta alla corte d'appello. Peraltro, il trasferimento di un detenuto comporta l’adozione di misure di sicurezza e deve essere organizzato in anticipo.
30.  La Corte rileva che il ricorrente è stato debitamente informato della data di questa udienza e che non ha manifestato il desiderio di parteciparvi. Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, il certificato rilasciato dal medico del carcere non può costituire una richiesta di comparire all'udienza. Spetta al legale dell'imputato informare il suo cliente in merito alla richiesta di traduzione all'udienza, nonché del termine e delle modalità per presentarla (Hermi, sopra citata, § 92).
31.  Su questo punto, la Corte rammenta che dalla formulazione dell'articolo 599 comma 2 del codice di procedura penale e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione risulta che un detenuto che vuole essere presente al dibattimento d'appello nell'ambito di un procedimento che si svolge con rito abbreviato deve segnalare la sua intenzione di esservi condotto. Ciò sarebbe stato noto all'avvocato del ricorrente.
32.  La Corte nota per di più che la corte d’appello di Torino ha sostanzialmente interpretato l’omessa presentazione della richiesta di traduzione alla sala di udienza come una rinuncia inequivoca, sebbene implicita, del ricorrente al suo diritto di partecipare al dibattimento di appello. Nelle particolari circostanze del caso di specie, la Corte ritiene che questa conclusione fosse ragionevole e non arbitraria. Inoltre, l’avvocato del ricorrente non ha sollevato in udienza la questione dell’assenza del suo cliente e non ha chiesto il rinvio dell’udienza, nonostante potesse farlo.
33.  Alla luce di quanto esposto sopra, la Corte ritiene che le autorità italiane fossero libere di concludere che il ricorrente aveva rinunciato in maniera tacita, ma non equivoca, al suo diritto di comparire all’udienza del 24 ottobre 2008 dinanzi alla corte d’appello di Torino.
34.  Ne consegue che il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato, in applicazione degli articoli 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Abel Campos   
Cancelliere aggiunto

András Sajó
Presidente