Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 maggio 2014 - Ricorsi nn. 45869/08 e 47348/08 causa Marino e Colacione contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA MARINO E COLACIONE c. ITALIA

(Ricorsi nn. 45869/08 e 47348/08)

SENTENZA

STRASBURGO

13 maggio 2014

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Marino e Colacione c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
András Sajó, presidente,
Helen Keller,
Egidijus KÅ«ris, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 15 aprile 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi sono due ricorsi (nn. 45869/08 e 47348/08) presentati contro la Repubblica italiana con i quali due cittadini di tale Stato, sigg. Antonio Marino e Salvatore Colacione («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 24 settembre 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.  I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. N. Raffaelli, del foro di Catanzaro. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3.  Il 25 gennaio 2010 i ricorsi sono stati comunicati al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4.  I ricorrenti erano impiegati della Provincia di Catanzaro e svolgevano le funzioni di assistenti amministrativi, collaboratori, assistenti tecnici e responsabili amministrativi nelle scuole (il «personale ATA»). Avevano diritto ad uno stipendio base, integrato da indennità accessorie.
5.  In seguito al trasferimento del personale ATA degli enti locali nei ruoli del personale statale, previsto dalla legge n. 124 del 3 maggio 1999, a decorrere dal 31 dicembre 1999 i ricorrenti divennero dipendenti del Ministero della Pubblica Istruzione («il ministero»). Gli impiegati già in servizio presso tale ministero, che svolgevano le stesse mansioni dei ricorrenti, avevano diritto a una progressione retributiva secondo l’anzianità di servizio.
6.  Ai fini dell’articolo 8 della legge n. 124 sopra menzionata, l’anzianità di servizio maturata dai ricorrenti presso enti locali doveva essere riconosciuta ai fini giuridici ed economici. Tuttavia, il ministero attribuì ai ricorrenti un’anzianità fittizia convertendo la retribuzione di base percepita presso gli enti locali alla data del 31 dicembre 1999 in anni di anzianità e, senza tenere conto del contratto collettivo nazionale del comparto Scuola, calcolò il loro trattamento economico senza tenere conto dell’anzianità di servizio reale, maturata fino a tale data. Inoltre, trasformando la retribuzione di base in anni di anzianità fittizia, il ministero eliminò dalle ultime buste paga dei ricorrenti tutte le voci accessorie dello stipendio da essi regolarmente percepite fino al 31 dicembre 1999.
7.  I ricorrenti adirono il tribunale di Catanzaro al fine di ottenere il riconoscimento giuridico ed economico dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza e, di conseguenza, il versamento della differenza retributiva venutasi a creare a partire del 1° gennaio 2000. Essi affermarono di percepire uno stipendio non corrispondente all’anzianità maturata, che risultava così inferiore a quello degli impiegati da sempre alle dipendenze del ministero.
8.  Con sentenza resa in data 16 aprile 2004 il tribunale respinse il ricorso dei ricorrenti. Questi ultimi interposero appello avverso tale sentenza, sostenendo che essa non era conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale non si poteva derogare all’articolo 8 della legge n. 124 del 1999.
9.  Mentre tali procedimenti erano pendenti, il Parlamento adottò la legge finanziaria per l’anno 2006 («la legge n. 266»). L’articolo 1, comma 218, di detta legge, intitolato «interpretazione autentica dell’articolo 8 della legge n. 124 del 1999», prevedeva che il personale ATA dovesse essere inquadrato nei ruoli della nuova amministrazione sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento.
10.  Con sentenza res in data 26 luglio 2007, divenuta definitiva il 24 marzo 2008, la corte d’appello, tenuto conto della nuova legge, respinse il ricorso dei ricorrenti.
11.  I ricorrenti hanno perso il riconoscimento dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Per di più, i loro stipendi sono diventati inferiori a quelli di altri dipendenti ATA che avevano vinto la causa con decisioni passate in giudicato prima dell’entrata in vigore della legge n. 266.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

12.  Il diritto e la prassi interni pertinenti sono descritti nelle sentenze Agrati e altri c. Italia, (nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, 7 giugno 2011) e De Rosa c. Italia, (nn. 52888/08, 58528/08, 59194/08, 60462/08, 60473/08, 60628/08, 61116/08, 61131/08, 61139/08, 61143/08, 610/09, 4995/09, 5068/09 e 5141/09, 11 dicembre 2012).

IN DIRITTO

I. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

13.  Tenuto conto della similitudine dei ricorsi per quanto riguarda i fatti e le questioni di merito che essi pongono, la Corte ritiene necessario riunirli e decide di esaminarli congiuntamente in una sola sentenza.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

14.  I ricorrenti lamentano l’intervento legislativo in pendenza dei loro procedimenti, il quale, a loro parere, ha recato pregiudizio al loro diritto ad un processo equo. Essi sostengono che la giurisprudenza aveva già riconosciuto che gli ex dipendenti degli enti locali avevano diritto al riconoscimento dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Senza l’intervento legislativo, i ricorrenti potevano quindi avere una legittima aspettativa, praticamente una certezza, di ottenere soddisfazione. I ricorrenti ritengono che l’intervento legislativo in questione sia stato motivato unicamente dall’interesse finanziario dell’amministrazione, il quale non era sufficiente ad integrare un motivo imperativo d’interesse generale. Inoltre, i ricorrenti ritengono che la retroattività dell’articolo 1 della legge finanziaria per l’anno 2006 li abbia privati dei loro beni in quanto tale disposizione ha chiuso in maniera definitiva la controversia che li opponeva all’amministrazione.
Essi invocano l’articolo 6 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 che, nelle parti pertinenti, recitano:
Articolo 6 § 1
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»
Articolo 1 del Protocollo n. 1
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.»
15.  Il Governo contesta questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

16.  La Corte constata che questi motivi di ricorso non sono manifestamente infondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorrono in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararli ricevibili.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

a.  I ricorrenti

17.  I ricorrenti sostengono di avere percepito, in seguito al trasferimento, un trattamento economico complessivamente inferiore a quello precedente, avendo perduto tutte le voci accessorie della retribuzione. Inoltre, contrariamente a quanto afferma il Governo, essi non hanno avuto la possibilità di opporsi al trasferimento alle dipendenze dello Stato, come è stato del resto riconosciuto dalla Corte di cassazione nella sentenza del 7 marzo 2007.
18.  I ricorrenti ribadiscono di essere stati esclusi da tutti gli aumenti contrattuali e dalle voci accessorie dello stipendio, previsti unicamente nei contratti degli enti locali, come l’indennità di qualifica, l’indennità di mensa, l’indennità di turnazione, l’indennità di rischio di disponibilità, ecc.
19.  Essi rammentano che la Corte di cassazione, nella sua chiara e consolidata giurisprudenza, aveva sottolineato ufficialmente che «la legge attribuisce inequivocabilmente al trasferimento l’effetto di riconoscimento dell’anzianità». I ricorrenti affermano anche che la sentenza della Corte Costituzionale non sarebbe corretta.
20.  Secondo loro, nella presente causa nessun motivo imperativo d’interesse generale poteva giustificare l’ingerenza nella gestione del contenzioso giudiziario.
21.  I ricorrenti rammentano che la legge interpretativa n. 266 del 2005 è intervenuta quasi sei anni dopo la decisione di trasferire il personale e quando il trasferimento stesso era già stato completato da oltre cinque anni, e che la Corte di cassazione aveva già eliminato ogni eventuale incertezza interpretativa al riguardo. Inoltre, la norma interpretativa era stata dissimulata in una legge finanziaria.
22.  Per quanto riguarda l’articolo 1 del Protocollo n. 1, i ricorrenti sostengono che, nel momento in cui hanno presentato i loro ricorsi prima che fosse adottata la legge in questione, avevano una aspettativa legittima di esito positivo degli stessi dato che la giurisprudenza interna era loro favorevole.
23.  I ricorrenti concludono che la misura in questione era sproporzionata e che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

b.  Il Governo

24.  Il Governo contesta le affermazioni dei ricorrenti. Esso sostiene che, dopo il trasferimento, i ricorrenti avrebbero continuato a svolgere le stesse funzioni con la stessa retribuzione e che tutta l’anzianità maturata era stata riconosciuta ai fini pensionistici. L’unica differenza, secondo il Governo, era che l’anzianità maturata durante il servizio prestato presso l’ente locale non poteva comportare un aumento retributivo rispetto al trattamento economico percepito dagli interessati al momento del trasferimento.
25.  Inoltre, il Governo afferma che questa interpretazione della legge n. 124 del 1999 è stata ratificata da uno degli accordi conclusi tra l’amministrazione (ARAN) e i rappresentanti sindacali degli impiegati, e poi ripresa nel decreto ministeriale del 5 aprile 2001.
26.  Il Governo sostiene che, poiché i contenziosi si erano moltiplicati su tutto il territorio nazionale, il legislatore è intervenuto con una legge interpretativa al fine di colmare il vuoto giuridico creatosi, tenendo conto della difficoltà di regolare questa materia attraverso contratti collettivi o tramite il potere regolamentare: il fine era quello di evitare aumenti ingiustificati degli stipendi e disparità di trattamento tra diverse categorie di impiegati. Secondo il Governo, che a tale proposito fa riferimento a varie sentenze della Corte in materia di interventi legislativi, non si può parlare di reformatio in peius della posizione dei ricorrenti:
27.  Nelle presenti cause i ricorrenti, che non avevano ottenuto una sentenza definitiva ed esecutiva, hanno cercato di approfittare di un colpo di fortuna e di un vuoto giuridico, così come dell’inadeguatezza degli accordi collettivi e dell’incapacità delle autorità pubbliche di disciplinare questa materia. L’intervento del legislatore era quindi perfettamente prevedibile e rispondeva ad un’evidente imperativa giustificazione di interesse generale (OGIS-Institut Stanislas e altri, sopra citata). Secondo il Governo, questa situazione è molto simile a quella del legislatore nella causa «Building Societies» c. Regno Unito, sopra citata. Esso ritiene inoltre che, nella presente causa, l’intervento del legislatore abbia permesso di prevenire l’instaurarsi di situazioni discriminatorie all’interno del personale ATA e ne conclude che sussisteva un motivo imperativo di interesse pubblico nel senso della giurisprudenza della Corte.
28.  Infine, il Governo rammenta che, a giudizio della Corte costituzionale italiana, l’intervento del legislatore non era contrario né alla Costituzione italiana né alla Convenzione.
29.  Per quanto riguarda l’articolo 1 del Protocollo n. 1, il Governo ritiene che, al momento dell’adozione della legge finanziaria del 2006, i ricorrenti non fossero titolari di un credito certo ed esigibile nei confronti dello Stato poiché non era stata resa ancora alcuna sentenza definitiva nell’ambito del procedimento. A tale proposito, esso fa riferimento alle cause Fernandez-Molina Gonzalez e altri c. Spagna ((dec.), n. 64359/01, CEDU 2002 IX) e Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia (9 dicembre 1994, serie A n. 301 B) e ne conclude che i ricorrenti non erano più titolari di un «bene» nel senso dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
30.  Il Governo sostiene che l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia era giustificata da «motivi imperativi di interesse generale». Contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, esso considera che l’obiettivo per il legislatore non fosse ostacolare i procedimenti in corso ma intervenire per colmare un vuoto giuridico, e sottolinea che questo motivo è stato chiaramente richiamato dalla Corte Costituzionale nella sua decisione del 26 novembre 2009. Il Governo ritiene che tale obiettivo costituisca, nella presente causa, un «motivo imperativo di interesse generale».

2.  Valutazione della Corte

31.  La Corte rammenta di avere concluso, in cause che sollevano questioni simili a quelle del caso di specie, per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Agrati e altri c. Italia, nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, 7 giugno 2011, De Rosa c. Italia, nn. 52888/08, 58528/08, 59194/08, 60462/08, 60473/08, 60628/08, 61116/08, 61131/08, 61139/08, 61143/08, 610/09, 4995/09, 5068/09 e 5141/09, 11 dicembre 2012). Dopo aver esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti nel caso di specie, essa considera che il Governo non abbia esposto fatti o argomenti che possano condurre a una conclusione diversa nella presente causa. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia essa ritiene che, nella fattispecie, l’intervento legislativo in questione, che era volto a regolare definitivamente e in maniera retroattiva il merito della controversia che oppone la ricorrente allo Stato dinanzi ai giudici nazionali, non fosse giustificato da motivi imperativi di interesse generale e ha fatto pesare sui ricorrenti un «onere anormale ed eccessivo». Inoltre, il pregiudizio recato ai loro beni ha rivestito un carattere sproporzionato, che ha rotto il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.
32.  Pertanto, la Corte conclude che vi è stata violazione degli articoli 6 § 1 e 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

33.  I ricorrenti lamentano di essere stati oggetto di una discriminazione rispetto agli altri ex colleghi del personale ATA che hanno vinto la causa ottenendo delle decisioni passate in giudicato prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Invocano l’articolo 14 della Convenzione, che recita:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione. »
34.  La Corte osserva che questo motivo di ricorso, come presentato dai ricorrenti, è strettamente legato a quello relativo all’articolo 6 della Convenzione e deve anch’esso essere dichiarato ricevibile. Tuttavia, considerate le conclusioni alle quali è giunta sotto il profilo dell’articolo 6 §1 (paragrafi 31 e 32 supra), essa non ritiene necessario esaminarlo separatamente.
35.  Invocando l’articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti ritengono che l’articolo 1 della legge n. 266 del 2005 abbia costituito un’ingerenza nella loro vita privata.
36.  La Corte osserva anzitutto che questo motivo di ricorso non è suffragato da sufficienti elementi di prova. Tenuto conto degli elementi in suo possesso, e nella misura in cui è competente per conoscere di questa questione, la Corte non rileva alcuna violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione. Essa conclude pertanto che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

37.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
38.  Senza produrre documenti giustificativi, i ricorrenti chiedono rispettivamente le somme di 97.571,64 EUR e 62.955,25 EUR per le disparità di salario e di pensione che si sono create. Essi chiedono 10.000 EUR ciascuno per il danno morale e 6.000 EUR ciascuno per le spese.
39.  Il Governo afferma che le osservazioni dei ricorrenti non contengono alcuna richiesta quantificata e suffragata dai relativi documenti giustificativi come prevede l’articolo 60 del regolamento.
40.  La Corte osserva che i ricorrenti non hanno formulato, conformemente alle disposizioni dell’articolo 60 del regolamento della Corte, alcuna richiesta specifica a tale riguardo, sottoponendo le loro richieste, quantificate e suddivise per voci e accompagnate dai relativi documenti giustificativi. Di conseguenza, essa non ritiene opportuno accordare somme a tale titolo.
41.  Per quanto riguarda il danno morale, la Corte ritiene che le constatazioni di violazione alle quali è giunta costituiscano di per sé un’equa soddisfazione per il danno morale subito dai ricorrenti.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Dichiara i ricorsi ricevibili per quanto riguarda le doglianze relative agli articoli 6, 1 del Protocollo n.1 e 14 della Convenzione;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  5. Dichiara non doversi esaminare la doglianza relativa all’articolo 14 della Convenzione.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 13 maggio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Abel Campos
Cancelliere aggiunto

András Sajó
Presidente