Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 maggio 2014 - Ricorso n.5382/08 - Antonino Frascati c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 5382/08

Antonino FRASCATI
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 13 maggio 2014 in un comitato composto da:
András Sajó, presidente,
Helen Keller,
Robert Spano, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 23 gennaio 2008,
Vista la dichiarazione depositata dal governo convenuto il 15 gennaio 2014 con la quale quest’ultimo invitava la Corte a cancellare il ricorso dal ruolo, e la risposta della parte ricorrente a tale dichiarazione;
Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Antonino Frascati, è un cittadino italiano nato nel 1942 e residente a Reggio Calabria. Davanti alla Corte è stato rappresentato dall’avv. M. Miccoli del foro di Reggio Calabria.

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

3. Il ricorrente e il fratello, D.F., furono coinvolti in un procedimento penale riguardante l’attività di una associazione per delinquere di tipo mafioso.

4. Il 26 febbraio 1997, a causa degli indizi a carico del ricorrente e del fratello, la procura di Reggio Calabria avviò un procedimento ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione previste dalla legge n. 575 del 1965.

5. La sezione del riesame del tribunale di Reggio Calabria (di seguito «il tribunale») dispose il sequestro di molti beni appartenenti ai due fratelli e alle loro mogli e figli.

6. Successivamente, il procedimento dinanzi al tribunale si svolse in camera di consiglio. Il ricorrente, assistito da un avvocato di fiducia, prese parte al procedimento con facoltà di produrre memorie e mezzi di prova.

7. Con ordinanza del 16 giugno 1998 il tribunale decise di sottoporre il ricorrente e D.F. alla libertà vigilata rispettivamente per quattro e tre anni. Il tribunale dispose inoltre la confisca di tutti i beni precedentemente sequestrati.
Il tribunale affermò che, tenuto conto dei numerosi indizi raccolti, si doveva concludere per la partecipazione del ricorrente e del fratello alle attività dell’associazione per delinquere e constatare la loro pericolosità sociale. Inoltre, il tribunale affermò che le attività esercitate e i redditi dichiarati da questi ultimi non potevano giustificare l’acquisizione dei beni di loro proprietà.

8. Il ricorrente e D.F. interposero appello avverso tale ordinanza.

9. Il 16 luglio 2004 la sezione competente della corte d’appello di Reggio Calabria, dopo aver constatato che il giudice penale aveva nel frattempo condannato il ricorrente per partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, pur prosciogliendo D.F. per lo stesso reato, confermò l’applicazione delle misure di prevenzione nei confronti del ricorrente e l’annullò nei confronti di D.F.
La corte d’appello affermò che, tenuto conto degli elementi di cui disponeva, si poteva escludere che i beni appartenenti a D.F. provenissero da attività illecite. In compenso, si doveva affermare l’origine illecita dei fondi del ricorrente, considerata in particolare la sua indiscussa appartenenza alla mafia da vari anni e il fatto che la sua situazione economica non poteva giustificare l’acquisizione dei beni confiscati.

10. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Con sentenza del 3 agosto 2007 la Corte di Cassazione, ritenendo che la corte d’appello di Reggio Calabria avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il ricorso del ricorrente.

B.  Il diritto interno pertinente

11. Il diritto interno pertinente in vigore all’epoca dei fatti è descritto nella causa Bocellari e Rizza c. Italia, n. 399/02, §§ 25 e 26, 13 novembre 2007.

12. Con la sentenza n. 93 del 12 marzo 2010 la Corte costituzionale, facendo applicazione dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte, dichiarò incostituzionali gli articoli 4 della legge n. 1423 del 1956 e 2 ter della legge n. 575 del 1965 in quanto non permettevano alle persone sottoposte a giudizio di chiedere la pubblicità del dibattimento nell’ambito dei procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione.

MOTIVI DI RICORSO

13. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta la mancanza di pubblicità delle udienze nel procedimento a suo carico.

14. Il ricorrente sostiene in particolare che il procedimento era iniquo e afferma che la confisca delle sue proprietà ha pregiudicato il diritto al rispetto dei suoi beni e il principio del ne bis in idem. Egli invoca gli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione e gli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 4 del Protocollo n. 7.

IN DIRITTO

A.  Sulla mancanza di pubblicità del dibattimento

15. Dopo il fallimento dei tentativi di definizione amichevole, il 15 gennaio 2014 il Governo ha fatto pervenire alla Corte una dichiarazione unilaterale ai sensi della quale:

«Il governo italiano riconosce che il ricorrente ha subito la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte (sentenze Bocellari e Rizza c. Italia n. 399/02, del 13 novembre 2007; Perre e altri c. Italia, n. 1905/05, dell’8 luglio 2008; e Bongiorno c. Italia, n. 4514/07, del 5 gennaio 2010).

Il Governo italiano, desiderando riparare la violazione, offre, oltre alla constatazione di violazione, le spese del procedimento per l’importo di 800 EUR.

Tale importo sarà versato entro i tre mesi successivi alla data della notifica della decisione della Corte pronunciata conformemente all’articolo 37 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Se il pagamento non avvenisse entro tale termine, il Governo si impegna a versare, a decorrere dalla scadenza dello stesso e fino al versamento effettivo delle somme in questione, un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali. Tale versamento concluderà definitivamente la causa.

Il governo italiano ritiene che il riconoscimento della violazione e l’offerta di rimborso delle spese processuali costituiscano una riparazione adeguata, conformemente alla sentenza Bocellari e Rizza, e che non abbia più senso proseguire l’esame del ricorso in quanto, con la sentenza n. 93 del 12 marzo 2010, la Corte costituzionale italiana, sulla base dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, applicato dalla Corte nelle citate sentenze, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni riguardanti la procedura per l’applicazione delle misure di prevenzione (articoli 4 della legge n. 1423 del 1956 e 2ter della legge n. 575 del 1965), in quanto esse non conferiscono agli interessati il diritto di chiedere che il procedimento si tenga in pubblica udienza.

Di conseguenza, il Governo chiede alla Corte di voler dichiarare che la prosecuzione dell’esame del ricorso non è più giustificata e di cancellarlo dal ruolo conformemente all’articolo 37 della Convenzione.»

16. Con lettera pervenuta alla Corte il 18 febbraio 2014 il ricorrente ha comunicato che non era soddisfatto dei termini della dichiarazione unilaterale.

17. La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione, in qualsiasi momento della procedura essa può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze la portano a una delle conclusioni elencate ai commi a), b) o c) del paragrafo 1 di tale articolo. L’articolo 37 § 1 c) le permette in particolare di cancellare una causa dal ruolo se:

«per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata.»

18. La Corte rammenta anche che, in alcune circostanze, può essere indicato cancellare un ricorso dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 § 1 c) sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto (articolo 62A del regolamento).

19. A tale scopo, la Corte deve esaminare attentamente la dichiarazione tenendo conto dei principi sanciti dalla sua giurisprudenza (Tahsin Acar c. Turchia (questione preliminare) [GC], n. 26307/95, §§ 75-77, CEDU 2003 VI; WAZA Spółka z o.o. c. Polonia (dec.) n. 11602/02, 26 giugno 2007).

20. La Corte ha stabilito in un certo numero di cause presentate contro l’Italia la natura e la portata dell’obbligo, per lo Stato convenuto, di riconoscere alle persone sottoposte a giudizio il diritto di vedersi riconosciuta la possibilità di chiedere un’udienza pubblica nell’ambito delle procedure finalizzate all’applicazione delle misure di prevenzione (tra altre, Bocellari e Rizza c. Italia, sopra citata; Perre e altri c. Italia, n. 1905/05, 8 luglio 2008; Bongiorno e altri c. Italia, n. 4514/07, 5 gennaio 2010; Leone c. Italia, n. 30506/07, 2 febbraio 2010; Capitani e Campanella c. Italia, n. 24920/07, 17 maggio 2011). Quando la Corte ha concluso per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, essa ha ritenuto che le constatazioni di violazione costituissero un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dai ricorrenti.

21. Considerata la natura delle concessioni contenute nella dichiarazione del Governo, nonché l’importo proposto per le spese che essa considera ragionevole, la Corte ritiene che la prosecuzione dell’esame di questa parte del ricorso non sia più giustificata (articolo 37 § 1 c)).

22. Tenuto conto della riforma delle disposizioni legislative pertinenti (si veda paragrafo 12 supra), che rende poco probabile che si ripresentino casi simili, e soprattutto dell’esistenza di una giurisprudenza chiara e copiosa sulla questione relativa alla Convenzione che si pone nella presente causa, la Corte ritiene che il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non richieda la prosecuzione dell’esame di questa parte del ricorso (articolo 37 § 1 in fine).

23. Infine, la Corte sottolinea che, qualora il Governo non rispettasse i termini della sua dichiarazione unilaterale, questa parte del ricorso potrebbe essere nuovamente iscritta al ruolo in applicazione dell’articolo 37 § 2 della Convenzione (Josipović c. Serbia (dec.), n. 18369/07, 4 marzo 2008).

B.  Sulle altre violazioni dedotte

24. Invocando gli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione e gli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 4 del Protocollo n. 7, la parte ricorrente lamenta anche l’iniquità del procedimento a suo carico, nonché una violazione del diritto al rispetto dei suoi beni e del principio del ne bis in idem.

25. Tenuto conto di tutti gli elementi di cui dispone, e nella misura in cui è competente per conoscere delle accuse formulate, la Corte non ha rilevato alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli (si vedano Bocellari e Rizza c. Italia (dec.), n. 399/02, 28 ottobre 2004 e 16 marzo 2006 e Capitani e Campanella, sopra citata, §§ 31-39).

26. Di conseguenza questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Prende atto dei termini della dichiarazione del governo convenuto riguardante la mancanza di pubblicità del dibattimento (articolo 6 § 1 della Convenzione) e delle modalità previste per garantire il rispetto degli impegni presi;

Decide di cancellare questa parte del ricorso dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione;

Dichiara il resto del ricorso irricevibile.

András Sajó
Presidente

Abel Campos
Cancelliere aggiunto