Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 3 giugno 2014 - Ricorso n.2911/05 - Rossi e Variale c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata da Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE 

CAUSA ROSSI E VARIALE c. ITALIA

(Ricorso n. 2911/05)

SENTENZA

STRASBURGO

3 giugno 2014

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Rossi e Variale c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione) riunita in un Comitato composto da:
András Sajó, Presidente,
Helen Keller,
Robert Spano, giudici,
e Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 13 maggio 2014,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 2911/05) proposto contro la Repubblica italiana con il quale cinque cittadini italiani, i Sigg. Fulvio Rossi, Alessandra Rossi, Amalia Rossi, Maria Luisa Rossi e Bruna Variale (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) il 18 gennaio 2005.

2.I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. A. Saccucci, del foro di Roma. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex agente aggiunto, N. Lettieri, e dal suo  agente aggiunto, P. Accardo.

3. Il 30 giugno 2006 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1948, 1939, 1946, 1973 e 1941. Il primo ricorrente, Sig. Fulvio Rossi, vive a Torino, mentre gli altri ricorrenti vivono a Napoli.

5. I ricorrenti ereditarono un appezzamento di terreno a Crispano. Il terreno in questione – di superficie pari a 8.950 metri quadrati – era distinto al catasto dei terreni al foglio n. 2, particella n. 44.

6. Il 9 febbraio 1982 il sindaco di Crispano emanò un’ordinanza che autorizzava il Comune a occupare, mediante una procedura d’urgenza e sulla base di una dichiarazione di pubblico interesse, 416 metri quadrati del terreno dei ricorrenti, per iniziare la costruzione di una strada.

7.Il 23 marzo 1982 le autorità occuparono materialmente il terreno.

8.Con atto di citazione notificato il 30 maggio 1990, i ricorrenti avviarono un’azione risarcitoria contro il Comune di Crispano dinanzi al Tribunale di Napoli. Affermarono che l’occupazione del terreno era  illegittima e che i lavori di costruzione erano stati ultimati senza che vi fosse stata una formale espropriazione del terreno e che fosse stato versato un indennizzo. Chiesero una somma corrispondente al valore venale del terreno e un’ulteriore somma a risarcimento della perdita del godimento del terreno, sia per il periodo di occupazione legittima sia per quello di occupazione illegittima. I ricorrenti chiesero infine un indennizzo per la demolizione degli edifici e la distruzione dei raccolti presenti sul terreno.

9. In data imprecisata il Tribunale dispose una perizia di stima del terreno. Con relazione presentata il 5 novembre 1996 il perito concluse che il valore venale del terreno alla data della sua irreversibile trasformazione, che egli riteneva avvenuta nel 1987, corrispondeva a 73.682 lire italiane (ITL) al metro quadrato (38.054 euro (EUR).

10. Con sentenza pronunciata il 31 maggio 2000 e depositata in cancelleria il 12 gennaio 2001, il Tribunale di Napoli dichiarò che l’occupazione del terreno, che era stata inizialmente autorizzata, era divenuta illegittima a decorrere dal 23 marzo 1990. Esso concluse che il terreno era stato irreversibilmente trasformato dai lavori pubblici. Conseguentemente, in conformità con la norma sull’espropriazione indiretta (occupazione acquisitiva o accessione invertita), i ricorrenti erano stati privati del loro bene, in virtù della sua irreversibile trasformazione, il giorno in cui l’occupazione aveva cessato di essere legittima. Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale concluse che i ricorrenti avevano diritto a un indennizzo in considerazione della perdita della proprietà causata dall’illegittima occupazione.

11. Il Tribunale considerò che il terreno potesse essere classificato come suolo edificabile e che il suo valore venale alla data in cui l’occupazione era divenuta illegittima (23 marzo 1990) corrispondesse a  ITL 275.000 al metro quadrato (EUR 142.026).

12. Il Tribunale ritenne che i ricorrenti avessero diritto a un indennizzo, calcolato in conformità alla legge n. 662 del 1996, che era nel frattempo entrata in vigore, pari a ITL 61.339.393 (equivalenti a  EUR 31.679.53), da adeguare all’inflazione, oltre agli interessi legali.

13. Il Tribunale accordò inoltre ai ricorrenti ITL 22.305.234 (EUR 11.519.692) a titolo di indennizzo per il danno causato dall’indisponibilità del terreno durante il periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (23 marzo 1982) e la data della perdita della proprietà (23 marzo 1990), nonché ITL 45.400.000 (EUR 23.447.143) a titolo di indennizzo per la demolizione degli edifici e la distruzione dei raccolti presenti sul terreno.

14. Il 31 maggio 2001 il Comune propose appello avverso il provvedimento dinanzi alla Corte di appello di Napoli.

15. Con sentenza del 27 maggio 2003 la Corte di appello concluse che i ricorrenti avevano diritto a un indennizzo pari a EUR 48,899.90 da adeguare all’inflazione, oltre agli interessi legali, per la perdita della proprietà causata dall’illegittima occupazione. La Corte accordò inoltre EUR 7.090.90 a titolo di indennizzo per il periodo di occupazione legittima dal 23 marzo 1982 al 23 marzo 1990.

16. La sentenza divenne definitiva il 31 ottobre 2004.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

17. Il diritto e la prassi interni pertinenti concernenti l’espropriazione indiretta si trovano nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009).

18.  Con sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ritenne che la legislazione nazionale dovesse essere compatibile con la Convenzione quale interpretata dalla giurisprudenza della Corte e, conseguentemente, dichiarò incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’ 11 luglio 1992 come modificato dalla legge n. 662 del 1996.

19. Con sentenza n. 349 la Corte costituzionale osservò che l’insufficiente livello di indennizzo previsto dalla legge del 1996 era in contrasto con l’articolo 1 del Protocollo n.1, nonché con l’articolo 117 della Costituzione italiana, che prevedeva che gli obblighi internazionali dovessero essere rispettati. A seguito di tale sentenza la disposizione in questione non può più essere applicata nell’ambito di procedimenti nazionali pendenti.

20. La legislazione nazionale fu modificata per diversi aspetti in conseguenza delle sentenze della Corte costituzionale. L’articolo 2, comma 89, lettera e,  della legge finanziaria (legge n. 244) del 24 dicembre 2007 stabilì che in caso di espropriazione indiretta l’indennizzo da versare dovesse corrispondere al valore venale del bene, senza possibilità di riduzione.

IN DIRITTO

I.  SULLA DOMANDA DEL GOVERNO DI CANCELLAZIONE DEL RICORSO AI SENSI DELL’ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE

21. Con due lettere datate 4 novembre 2013 e 19 febbraio 2014 il Governo ha presentato una dichiarazione unilaterale finalizzata a risolvere la questione sollevata dal presente ricorso e ha chiesto alla Corte di cancellarlo dal  ruolo.

22. Quanto al danno patrimoniale, al danno morale e alle spese, il Governo ha proposto di accordare ai ricorrenti EUR 89 251,02.

23. Con lettera datata 10 dicembre 2013 i ricorrenti si sono opposti alla proposta del Governo.

24. La Corte ribadisce che in alcune circostanze essa può cancellare un ricorso dal ruolo ai sensi dell’articolo 37 § 1 (c) sulla base di una dichiarazione unilaterale del Governo convenuto anche nel caso in cui il ricorrente auspichi la prosecuzione dell’esame della sua causa. Se la dichiarazione unilaterale offra una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli non esige che la Corte prosegua l’esame della causa dipende dalle particolari circostanze della stessa (si vedano, tra molti altri precedenti, Tahsin Acar c. Turchia, (questione preliminare) [GC], n. 26307/95, § 75, CEDU 2003 VI, e Melnic c. Moldavia, n. 6923/03, § 22, 14 novembre 2006).

25. La Corte ha ritenuto che la somma proposta in una dichiarazione unilaterale possa essere considerata una base sufficiente per cancellare un ricorso dal ruolo in tutto o in parte. La Corte considererà a tale riguardo se la somma sia commisurata agli importi che essa accorda in cause simili (si veda Przemyk c. Polonia, n. 22426/11, § 39, 17 settembre 2013).

26. Avendo studiato i termini della dichiarazione unilaterale del Governo, la Corte è del parere che, nel caso di specie, la somma proposta per il danno patrimoniale e morale subito dai ricorrenti in conseguenza dell’espropriazione indiretta del loro terreno non abbia un rapporto ragionevole con le somme accordate dalla Corte in cause simili contro l’Italia (si vedano, tra altre, Guiso-Gallisay c. Italia  (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009, e Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, 12 luglio 2011).

27. La Corte ritiene pertanto che, date le particolari circostanze della causa dei ricorrenti, la dichiarazione proposta non fornisca una base sufficiente per concludere che il rispetto per i diritti dell’uomo come definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli non esiga che essa prosegua l’esame della causa.

28. Date le circostanze, la Corte rigetta la domanda del Governo di cancellazione del ricorso dal ruolo ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione e conseguentemente proseguirà l’esame della ricevibilità e del merito della causa. 

SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

29. I ricorrenti hanno lamentato di essere stati privati del loro terreno in circostanze incompatibili con i requisiti dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita:

“Ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

30. Il Governo ha contestato l’argomentazione dei ricorrenti.

A.  Sulla ricevibilità

31. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Osserva inoltre che essa non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B.  Sul merito

32. I ricorrenti hanno sostenuto di essere stati privati della loro proprietà in base alla norma sull’espropriazione indiretta, mediante la quale le autorità pubbliche acquisiscono un terreno approfittando della propria condotta illegittima. I ricorrenti hanno affermato che l’applicazione alla loro causa della norma sull’espropriazione indiretta non rispettava il principio dello stato di diritto.

33. Secondo il Governo, nonostante l’assenza di un formale decreto di esproprio e il fatto che l’irreversibile trasformazione del terreno a seguito della realizzazione delle opere “pubbliche” ne impedisse la restituzione, l’occupazione in questione era stata effettuata nell’ambito di una procedura amministrativa fondata su una dichiarazione di pubblico interesse.

34. La Corte osserva che le parti concordano che è avvenuta una “privazione di proprietà” ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

35. Per quanto riguarda l’espropriazione indiretta, la Corte rinvia alla propria giurisprudenza consolidata (si vedano, tra altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000 VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005; e Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per una sintesi dei principi pertinenti e una visione d’insieme della propria giurisprudenza in materia.

36. Nel caso di specie la Corte osserva che, in conformità alla norma sull’espropriazione indiretta, i tribunali nazionali hanno ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro terreno a decorrere dal 23 marzo 1990 (si veda il paragrafo 10  supra). La Corte considera che tale situazione non potesse essere considerata “prevedibile”, poiché solo nella decisione definitiva si poteva considerare che la norma sull’espropriazione indiretta fosse stata effettivamente applicata. La Corte conclude conseguentemente che i ricorrenti non hanno avuto la certezza di essere stati privati del loro terreno fino al 31 ottobre 2004 al più tardi, quando è divenuta definitiva la sentenza  della Corte di appello di Napoli.

37. Alla luce delle precedenti considerazioni, la Corte ritiene che l’ingerenza lamentata non fosse compatibile con il principio di legalità e che essa abbia pertanto violato il diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni.

38. Ne consegue che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELL’INIQUITÀ DELLE PROCEDURE

39. I ricorrenti hanno affermato che la promulgazione e l’applicazione alla loro causa dell’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 of 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, costituiva un’ingerenza da parte del corpo legislativo in violazione del loro diritto a un equo processo garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, le cui parti pertinenti prevedono:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente … da un tribunale … il quale sia chiamato a pronunciarsi sui suoi diritti e doveri di carattere civile ...”

A.  Sulla ricevibilità

40. La Corte osserva che la presente doglianza è connessa a quella esaminata precedentemente e deve analogamente essere dichiarata ricevibile.

B.  Sul merito

41. La Corte ha concluso che l’ingerenza nei diritti di proprietà dei ricorrenti non fosse compatibile con il principio di legalità e che abbia pertanto violato il diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano i paragrafi 31-37 supra).

42. Vista la precedente conclusione, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare se, nel caso di specie, vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 (si vedano, tra altri precedenti, Rivera e di Bonaventura c. Italia, n. 63869/00, §§ 27-30, 14 giugno 2011, e Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, §§ 46-50, 12 luglio 2011).

IV.  SULLE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE

43. I ricorrenti hanno inoltre lamentato, ai sensi dell’articolo 13,  di non aver avuto un ricorso effettivo mediante il quale contestare la compatibilità della norma dell’espropriazione indiretta con l’articolo 1 del Protocollo n. 1.

44. I ricorrenti hanno infine affermato che l’applicazione retroattiva dell’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 del 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, aveva dato luogo a un’ingiustificata disparità di trattamento in contrasto con l’articolo 14 della Convenzione, letto in combinato disposto con  l’articolo 1 del Protocollo n. 1, tra i cittadini interessati dalle disposizioni in questione e quelli che avevano ottenuto una sentenza definitiva prima della promulgazione e l’entrata in vigore della legge e che avevano, conseguentemente, ricevuto un indennizzo integrale per la privazione del loro terreno.

A. Sulla ricevibilità

45. La Corte osserva che tali doglianze sono strettamente connesse a quella presentata ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e devono pertanto analogamente essere dichiarate ricevibili.

B. Sul merito

46. Vista la conclusione tratta in relazione alla doglianza ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, nonché le modifiche della legislazione nazionale introdotte a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007 (si vedano i paragrafi 18-20 supra), la Corte ritiene che non sia necessario esaminare se, nel caso di specie, vi sia stata violazione dell’articolo 13 e dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1.

V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

47. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Danno patrimoniale

48. Per quanto riguarda il danno patrimoniale, i ricorrenti hanno chiesto il pagamento di una somma equivalente alla differenza tra il valore venale del bene e l’importo ottenuto a livello nazionale, rivalutato per l’inflazione e aumentato dell’importo degli interessi dovuti, nonché l’indennizzo per il periodo di occupazione legittima del loro terreno. Nel luglio 2013 la somma totale richiesta ammontava a EUR 183.537.29.

49. Il Governo ha contestato l’importo.

50. La Corte ribadisce che una sentenza in cui essa riscontra una violazione pone in capo allo Stato convenuto l’obbligo giuridico di porre fine alla violazione e ripararne le conseguenze in modo tale da ripristinare per quanto possibile la situazione esistente prima della violazione (si veda Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000 XI).

51. La Corte osserva inoltre che, nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia  (equa soddisfazione) ([GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009), la Grande Camera ha ritenuto opportuno adottare un nuovo approccio riguardo ai criteri da utilizzare per valutare i danni nelle cause di espropriazione indiretta. In particolare, la Corte ha deciso di rigettare le  pretese dei ricorrenti nella misura in cui esse erano basate sul valore del terreno alla data della sentenza della Corte e, nel valutare il danno patrimoniale, di  non tenere ulteriormente conto delle spese di costruzione degli edifici eretti dallo Stato sul terreno.

52. La Corte ha ritenuto che la riparazione del danno patrimoniale debba essere pari al valore venale del bene alla data della sentenza interna che ha dichiarato che i ricorrenti hanno perso la proprietà del loro bene, e tale valore deve essere calcolato sulla base delle perizie disposte dal tribunale, redatte nell’ambito dei procedimenti interni. Una volta dedotto l’importo ottenuto a livello nazionale, e ottenuta la differenza con il valore venale del terreno al momento in cui i ricorrenti hanno perso la proprietà,  tale importo deve essere convertito nel valore attuale per compensare gli effetti dell’inflazione. Su tale importo dovrà inoltre essere pagato un interesse legale semplice (applicato al capitale progressivamente rivalutato) per compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo per il quale i ricorrenti sono stati privati del terreno.

53. Nel caso di specie si può fare riferimento alle sentenze dei tribunali interni, secondo i quali i ricorrenti avevano perso il diritto alla proprietà del terreno il 23 marzo 1990 (si vedano i paragrafi 10 e 15 supra) e il valore venale del terreno a tale data corrispondeva a ITL 275.000 al metro quadrato (EUR 142.026).

54. Visti i precedenti fattori, e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti EUR 130.000 oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale cifra, da ripartirsi tra i ricorrenti in conformità alle rispettive quote del bene come previsto dal diritto interno.

55. Resta da valutare la perdita di chances subita dai ricorrenti a seguito dell’espropriazione (si veda Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], sopra citata, § 107). La Corte ritiene di dover tenere conto del danno causato dall’indisponibilità del terreno per il periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (1° gennaio 1981) e la data della perdita della proprietà (12 settembre 1986). Deliberando in via equitativa, la Corte accorda ai ricorrenti congiuntamente EUR 7.000 per la perdita di chances.

B. Danno morale

56. I ricorrenti hanno chiesto EUR 50.000 (EUR 10.000 per ciascun ricorrente) per il danno morale.

57. Il Governo non ha presentato osservazioni su tale questione.

58. La Corte ritiene che le sensazioni di impotenza e frustrazione derivanti dalla violazione dei diritti dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione abbiano provocato loro un notevole danno morale che dovrebbe essere opportunamente risarcito.

59. Alla luce di quanto sopra e deliberando in via equitativa, la Corte decide di accordare congiuntamente ai ricorrenti EUR 15.000  a tale titolo.

C.  Spese

60. Producendo i documenti giustificativi a sostegno della loro pretesa, i ricorrenti hanno chiesto EUR 53.248.41 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni ed EUR 3.412.88 per quelle sostenute dinanzi a questa Corte.

61. Il Governo ha contestato tale importo.

62. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, le spese possono essere accordate ai sensi dell’articolo 41 solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole (si veda Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008).

63. Benché sia indiscutibile che i ricorrenti abbiano sostenuto delle spese per ottenere riparazione dinanzi a essa, la Corte ritiene che la somma richiesta sia eccessiva.

64. Visti i documenti di cui è in possesso e la sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole accordare la somma di EUR 5.000 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni e a Strasburgo.

D.  Interessi moratori

65. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta la domanda del Governo di cancellazione del ricorso dal ruolo;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  4. Ritiene che non sia necessario esaminare le doglianze ai sensi degli articoli  6 § 1, 13, e 14 della Convenzione;
  5. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti congiuntamente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 137.000 (centotrentasettemila euro), da ripartirsi tra i ricorrenti in conformità alle rispettive quote del bene come previsto dal diritto interno, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno patrimoniale;
      2. EUR 15.000 (quindicimila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      3. EUR 5.000 (cinquemila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali.

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto il 3 giugno 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

András Sajó
Presidente

Abel Campos    
Cancelliere aggiunto