Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 3 giugno 2014 - Ricorso n. 61244/09 -Pahor e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata da Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico. 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 61244/09

Samo PAHOR e altri
contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), riunita il 3 giugno 2014 in un Comitato composto da:
András Sajó, Presidente,
Helen Keller,
Robert Spano, giudici,
e Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
visto il ricorso sopra menzionato proposto il 14 novembre 2009,
dopo aver deliberato, decide:

IN FATTO

1. I ricorrenti appartengono alla minoranza slovena che vive in Italia. L’elenco dei ricorrenti figura nell’appendice.

A.  Circostanze del caso di specie

2.I fatti della causa, così come esposti dai ricorrenti, si possono riassumere come segue.

3.Secondo i ricorrenti dal 1970 al 1977 le autorità fiscali italiane fornirono loro la traduzione slovena delle valutazioni delle loro tasse automobilistiche. Tuttavia nel 1977 tale prassi cessò. Dato che i pertinenti accordi internazionali così come la Costituzione conferivano loro il diritto di usare la lingua minoritaria slovena, i ricorrenti chiesero, nel 1985, che la valutazione delle tasse automobilistiche fosse tradotta in sloveno. Tuttavia le autorità nazionali rigettarono costantemente le loro domande. Successivamente, quando i ricorrenti rifiutarono di usare la lingua italiana all’atto del pagamento delle tasse automobilistiche, sorsero diverse controversie sull’interpretazione della legislazione interna concernente l’uso della lingua minoritaria nelle comunicazioni con le autorità pubbliche. Da un lato, lo Stato italiano avviò diverse procedure di esecuzione forzata contro i ricorrenti per omesso pagamento delle tasse automobilistiche, dall’altro, i ricorrenti presentarono diverse denunce; in ogni caso i procedimenti penali furono archiviati.

4.Il 4 novembre 2004 i ricorrenti presentarono una denuncia, redatta in italiano, alla Procura di Trieste. La denuncia era diretta contro diversi politici italiani, che avevano asseritamente omesso di adottare una legislazione adeguata che tutelasse la minoranza slovena, e diversi pubblici ufficiali, magistrati e persone residenti a Trieste, che avevano asseritamente tentato di impedire l’esercizio dei diritti minoritari dei ricorrenti. I ricorrenti affermarono che il persistente rifiuto di accettare il pagamento della tassa automobilistica in lingua slovena, l’erronea interpretazione della legislazione interna da parte delle autorità nazionali così come l’omesso avvio di procedimenti penali contro le persone colpevoli di aver ostacolato l’uso della lingua minoritaria costituivano un’ingerenza nel loro diritto di usare la lingua minoritaria slovena, nonché una discriminazione razziale. Infine, chiesero di essere informati di ogni iscrizione nel registro delle notizie di reato di persone sospettate della commissione di un reato. I ricorrenti chiesero inoltre di essere informati della richiesta del pubblico ministero di proroga delle indagini e di archiviazione del procedimento penale.

5. Il 12 novembre 2004 copia del fascicolo fu inviata alla Procura di Bologna, competente per la denuncia dei ricorrenti concernente i magistrati di Trieste.

6. Il 16 novembre 2004 copia del fascicolo fu inviata anche alla Procura di Roma, competente per le indagini sui ministri del Governo italiano. Il 6 febbraio 2007 la Procura di Roma rinviò il fascicolo alla Procura di Trieste.

7.Il 30 novembre 2007 la Procura di Trieste chiese l’archiviazione del procedimento, ritenendo che all’epoca dei fatti la legislazione interna concernente il pagamento delle imposte in sloveno fosse confusa e vaga. Osservò inoltre che il differimento da parte dello Stato dell’adozione di misure legislative e amministrative adeguate così come l’assenza di dialogo tra le parti contrapposte avrebbe potuto comportare una responsabilità politica, ma non una responsabilità di natura penale.

8.Il 31 dicembre 2007 il primo ricorrente presentò opposizione. Il 10 e 19 gennaio 2008 i ricorrenti presentarono ulteriori opposizioni.

9. Il 30 marzo 2009 il giudice per le indagini preliminari di Trieste rigettò le opposizioni dei ricorrenti e dispose l’archiviazione del procedimento. In particolare, il giudice per le indagini preliminari ritenne che i ricorrenti non fossero stati vittime di alcun reato e che semplicemente essi non fossero soddisfatti della valutazione del Pubblico Ministero secondo la quale la vicenda non comportava responsabilità penali. Ammettendo che in passato erano esistiti dei forti sentimenti nazionalistici e anti-slavi, egli osservò che tale situazione era finita e che lo Stato aveva adottato una legislazione che disciplinava la tutela della minoranza slovena. Infine, il giudice per le indagini preliminari ritenne che le accuse di intimidazione e pressione sulla magistratura fossero infondate.

10. Il 28 maggio 2009 la decisione fu notificata al primo ricorrente.

11. Nel frattempo, il 16 giugno 2005 i ricorrenti avevano appreso che il Pubblico Ministero di Bologna aveva chiesto l’archiviazione del procedimento. Il 1° luglio 2005 i ricorrenti presentarono opposizione. In data 11 gennaio 2007 il procedimento fu archiviato. I ricorrenti hanno affermato di non avere ricevuto informazioni al riguardo.

B. Il diritto interno pertinente

12. Le pertinenti disposizioni interne concernenti la condizione delle parti offese e delle parti civili nel procedimento penale sono illustrate nella sentenza Giuliani e Gaggio c. Italia (n. 23458/02, §§ 150-151, 25 agosto 2009) e nella decisione Sottani c. Italia ((dec.), n. 26775/02, CEDU 2005 III).

DOGLIANZE

13. I ricorrenti hanno lamentato ai sensi degli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione l’iniquità dei procedimenti penali nel loro complesso nonché l’inefficacia delle indagini penali. Hanno inoltre lamentato ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione di non aver potuto usare la loro lingua materna. 

IN DIRITTO

A. Le doglianze ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione

14. I ricorrenti hanno lamentato l’iniquità dei procedimenti penali nonché la loro durata (in particolare il mancato rispetto di alcuni termini temporali). Hanno affermato che l’indagine è stata inefficace, che le autorità hanno tentato di ostacolare l’esame della loro causa e che la decisione finale era errata. Hanno invocato l’articolo 6 § 1, che, per quanto pertinente, prevede:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente … da un tribunale …chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile ...”

15. La Corte deve dapprima valutare se la parte civile dell’articolo 6 sia applicabile al procedimento in questione. A tale riguardo, essa osserva che i ricorrenti non si sono costituiti parte civile nei procedimenti penali.

16. Tuttavia l’articolo 6 può essere applicabile anche in assenza di una richiesta di risarcimento economico: è sufficiente che l’esito del procedimento sia decisivo per i “diritti civili” in questione (si veda Perez c. Francia [GC], n. 47287/99, § 65, CEDU 2004-I). La Corte osserva inoltre che con la denuncia i ricorrenti hanno rivendicato il loro presunto diritto all’adozione di una legislazione adeguata che tutelasse la minoranza slovena e all’effettivo esercizio dei loro diritti minoritari (si veda il paragrafo 4 supra). Tuttavia la Corte ritiene che i diritti rivendicati dai ricorrenti fossero di natura politica e non civile. Essi riguardavano sostanzialmente l’azione delle pubbliche autorità, e in particolare del potere legislativo, per applicare alcune disposizioni costituzionali sui diritti minoritari.

17. Nella misura in cui i ricorrenti potrebbero aver ritenuto che l’esito dei procedimenti penali avrebbe potuto avere qualche effetto sul pagamento della tassa automobilistica, la Corte osserva per prima cosa che tale effetto sarebbe stato una conseguenza ipotetica e remota dei procedimenti lamentati. In ogni caso, essa ricorda che le controversie fiscali non rientrano nell’ambito dei diritti e doveri di carattere civile, nonostante gli effetti patrimoniali che esse producono necessariamente per il contribuente (si veda Ferrazzini c. Italia [GC], n. 44759/98, § 29, CEDU 2001 VII).

18. Ne consegue che questa doglianza è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 § 4.

B.  La doglianza ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione

19.I ricorrenti hanno lamentato che è stato loro negato il diritto di usare la lingua materna nei procedimenti penali in questione. Hanno invocato l’articolo 14 della Convenzione che recita:

“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, od ogni altra condizione.”

20.La Corte ribadisce che l’articolo 14 integra le altre disposizioni sostanziali della Convenzione e dei suoi Protocolli. Non ha esistenza autonoma poiché ha effetto solo in relazione al “godimento dei diritti e delle libertà” salvaguardati da tali disposizioni. Benché l’applicazione dell’articolo 14 non presupponga la violazione di tali disposizioni – e in questa misura esso è autonomo - esso non può essere applicato se i fatti in questione non rientrano nell’ambito di una o più di queste ultime (si vedano, tra molti altri precedenti, Kurić e altri c. Slovenia [GC], n. 26828/06, § 384, CEDU 2012 (estratti)).

21.Vista la conclusione sull’inapplicabilità dell’articolo 6, la Corte ritiene che l’articolo 14 non possa essere preso in considerazione nel caso di specie.

22.Ne consegue che anche la doglianza ai sensi dell’articolo 14 è  incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione, ai sensi dell’articolo 35 § 3, e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 § 4.

C.  La doglianza ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione

23. Infine, i ricorrenti hanno lamentato di essere stati privati di un rimedio effettivo a causa della cessazione delle indagini. Hanno invocato l’articolo 13 della Convenzione che recita:

“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

24. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 13 si applica solo se una persona può “affermare in modo sostenibile” di essere vittima della violazione di un diritto previsto dalla Convenzione (si veda Boyle e Rice c. Regno Unito, sentenza del 27 aprile 1988, Serie A n. 131, § 52). La Corte ha concluso che le doglianze dei ricorrenti ai sensi degli articoli 6 § 1 e 14 sono incompatibili ratione materiae con le disposizioni della Convenzione. Ne consegue che i ricorrenti non hanno “una doglianza sostenibile” e che le loro doglianze non possono beneficiare delle garanzie dell’articolo 13.

25. Anche questa doglianza deve essere rigettata in quanto incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione in applicazione dell’articolo 35 § 4.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità
Dichiara il ricorso irricevibile.

András Sajó
Presidente

Abel Campos
Cancelliere aggiunto

APPENDICE

  1. Samo PAHOR, nato il 22/05/1939, è un cittadino italiano che vive a Trieste.
  2. Anton FERI, nato il 22/05/1932, è un cittadino italiano che vive a Opicina.
  3. Jože FERLUGA, nato il 16/03/1934, è un cittadino italiano che vive a Trieste.
  4. Marko KOKORAVEC, nato il 21/06/1968, è un cittadino italiano che vive a Basovizza.
  5. Anica KRALJ MALALAN, nata il 09/06/1934, è una cittadina italiana che vive a Trieste.
  6. David MALALAN, nato il 01/01/1960, è un cittadino italiano che vive a Trieste.