Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 novembre 2017 - Ricorso n. 17527/05 - Conti e Lori c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA CONTI E LORI c. ITALIA
(Ricorso n. 17527/05)

SENTENZA

STRASBURGO

16 novembre 2017

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Conti e Lori c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:

Kristina Pardalos, presidente,
Ksenija Turković,
Pauliine Koskelo, giudici,

e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 ottobre 2017,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 17527/05) presentato contro la Repubblica italiana con cui tre cittadini di tale Stato, la sig.ra Orientalina Conti, la sig.ra Rosanna Lori e il sig. Angelo Lori («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 23 giugno 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. G. Meliadò del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente N. Lettieri, e dal suo co-agente P. Accardo.

3. Il 28 giugno 2007 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1924, 1967 e 1966, e sono residenti a Vicovaro.

5. I ricorrenti sono gli eredi del sig. Bartolomeo Lori. Quest’ultimo era proprietario, con i fratelli, di un terreno di 1.350 m² situato a Cineto Romano.

6. Con decreti emessi il 28 maggio e il 14 ottobre 1987 il comune di Cineto Romano dispose l’occupazione d’urgenza di tale terreno, per un periodo di cinque anni, allo scopo di crearvi un cimitero.

7. Il 15 dicembre 1987 ebbe luogo l’occupazione materiale del terreno.

8. Il 23 ottobre 1995 il de cujus dei ricorrenti presentò un ricorso contro il comune dinanzi al tribunale di Roma («il tribunale»), affermando che l’occupazione del terreno si protraeva oltre il periodo autorizzato senza che fosse stato adottato un decreto di esproprio e senza che fosse stata realizzata alcuna opera pubblica. Chiese che i lavori previsti non venissero iniziati, che il terreno gli venisse restituito e che gli fosse corrisposto un risarcimento.

9. Con un’ordinanza emessa il 16 luglio 1996 il tribunale, dopo avere constatato che il periodo di occupazione autorizzata era scaduto il 15 dicembre 1992 e che sul terreno non era stata realizzata alcuna opera, ordinò al comune di non iniziare i lavori e rinviò la causa per un esame sul merito.

10. All’udienza dell’11 aprile 2000 il comune dichiarò dinanzi al tribunale di avere, nel frattempo, realizzato una parte del cimitero, contravvenendo in tal modo all’ordinanza del 16 luglio 1996, e affermò che la proprietà del terreno era stata dunque trasferita a suo favore.

11. Con sentenza non definitiva del 15 gennaio 2002 il tribunale dichiarò che la proprietà del terreno era passata al comune per effetto della costruzione dell’opera pubblica, senza precisare la data del trasferimento di proprietà, e dispose che fosse eseguita una perizia per calcolare l’importo del risarcimento dovuto in virtù della legge n. 662 del 1996.

12. Nel suo rapporto depositato il 9 maggio 2003, il perito indicò che la proprietà del terreno era passata al comune il 21 novembre 1988, ossia il giorno in cui quest’ultimo aveva posto le prime strutture mobili per delimitare la zona interessata dai lavori. Il perito stimò che il valore venale del terreno in tale data ammontasse a 4.253,02 euro (EUR). Applicando i criteri introdotti dalla legge n. 662 del 1996, calcolò che l’indennità dovuta ai proprietari del terreno era di 529,35 EUR.

13. Nel frattempo, il de cujus dei ricorrenti, il sig. Bartolomeo Lori, decedette e questi ultimi si costituirono parti nel procedimento.

14. Con una sentenza depositata il 13 aprile 2004 il tribunale confermò il trasferimento della proprietà del terreno dei ricorrenti al comune in seguito all’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. Condannò il comune a pagare ai proprietari del terreno la somma totale di 1.100 EUR, ossia l’importo fissato dal perito a titolo di risarcimento, rivalutato e maggiorato di interessi.

15. La sentenza divenne definitiva il 28 maggio 2005.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

16. Per quanto riguarda il diritto e la prassi interni pertinenti nella presente causa, la Corte rinvia alla propria sentenza Messana c. Italia (n. 26128/04, §§ 17-20, 9 febbraio 2017).

IN DIRITTO

I. SULLA DOMANDA DI CANCELLAZIONE DEL RICORSO DAL RUOLO IN VIRTÙ DELL’ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE

17. Dopo il fallimento dei tentativi di composizione amichevole, con una lettera datata 29 ottobre 2015 indirizzata alla Corte, il Governo ha formulato una dichiarazione unilaterale allo scopo di risolvere la questione sollevata con il ricorso. Ha anche invitato la Corte a cancellare quest’ultimo dal ruolo, in applicazione dell’articolo 37 della Convenzione, in cambio del versamento di una somma complessiva (2.000 EUR) a copertura di tutti i danni materiali e morali e delle spese, e del riconoscimento della violazione del diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti sancito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

18. I ricorrenti hanno dichiarato di non essere soddisfatti dei termini della dichiarazione unilaterale del Governo.

19. La Corte rammenta che, in determinate circostanze, può essere opportuno cancellare un ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto anche se il ricorrente desidera che l’esame della causa prosegua. Saranno tuttavia le circostanze particolari di quest’ultima che consentiranno di stabilire se la dichiarazione unilaterale offra una base sufficiente per permettere alla Corte di concludere che il rispetto dei diritti umani sanciti dalla Convenzione non esige che essa prosegua l’esame della causa (articolo 37 § 1 in fine) (si vedano, tra altre, Tahsin Acar c. Turchia (eccezioni preliminari) [GC], n. 26307/95, § 75, CEDU 2003-VI, e Melnic c. Moldavia, n. 6923/03, § 14, del 14 novembre 2006).

20. Tra i fattori da prendere in considerazione a tale proposito vi è, tra l’altro, l’eventuale formulazione da parte del governo convenuto, nella sua dichiarazione unilaterale, di una qualche concessione per quanto riguarda le dedotte violazioni della Convenzione. In questa ipotesi, si deve dunque determinare quali siano la portata di tali concessioni e le modalità del risarcimento che il Governo intende fornire al ricorrente. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, nei casi in cui è possibile cancellare le conseguenze di una presunta violazione (ad esempio in alcune cause in materia di proprietà) e in cui il Governo convenuto si dichiara disposto a farlo, il risarcimento previsto ha più probabilità di essere considerato adeguato ai fini di una cancellazione del ricorso dal ruolo (Tahsin Acar, sopra citata, § 76).

21. Nella fattispecie, sulla questione di stabilire se sia opportuno cancellare il presente ricorso dal ruolo sulla base della dichiarazione unilaterale del Governo, la Corte rileva che l’importo dell’indennizzo offerto è insufficiente rispetto alle somme da essa riconosciute in cause simili in materia di espropriazione indiretta (Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009; Rivera e di Bonaventura c. Italia, n. 63869/00, 14 giugno 2011; De Caterina e altri c. Italia, n. 65278/01, 28 giugno 2011; Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, 12 luglio 2011).

22. In queste condizioni, essa considera che la dichiarazione unilaterale in causa non costituisca una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione non impone la prosecuzione dell’esame del ricorso (Messana, sopra citata, § 26).

23. Pertanto, la Corte respinge la richiesta di cancellazione del ricorso dal ruolo formulata dal Governo in virtù dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione e, di conseguenza, prosegue l’esame del ricorso sulla ricevibilità e sul merito.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

24. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che recita:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

25. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

26. Il Governo solleva un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto i ricorrenti non hanno interposto appello avverso la sentenza del tribunale.

27. I ricorrenti chiedono alla Corte di rigettare l’eccezione del Governo in quanto l’appello non avrebbe posto rimedio alla situazione denunciata.

28. La Corte rammenta di avere già respinto delle eccezioni simili nelle cause Giacobbe e altri c. Italia (n. 16041/02, 15 dicembre 2005) e Chirò c. Italia (n. 5) (n. 67197/01, 11 ottobre 2005). Essa non vede alcuna ragione per giungere a una conclusione diversa nel caso di specie. Di conseguenza, rigetta l’eccezione sollevata dal Governo.

29. Constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

a) I ricorrenti

30. I ricorrenti affermano che sono stati privati del loro bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, un meccanismo che consente all’autorità pubblica di acquisire un bene a loro avviso illegittimamente, e ritengono che ciò sia inammissibile in uno Stato di diritto.

31. Osservano inoltre che solo con la sentenza del tribunale, divenuta definitiva il 28 maggio 2005, hanno avuto la certezza di essere stati privati del loro bene in applicazione del principio sopra menzionato.

b) Il Governo

32. Il Governo prende atto del fatto che la giurisprudenza della Corte, ormai consolidata, si pronuncia per l’incompatibilità del meccanismo dell’espropriazione indiretta con il principio di legalità. Tuttavia, alla luce delle sentenze dei giudici nazionali che dichiarano che vi è stato un trasferimento di proprietà, e che quest’ultimo è assimilabile ad un atto formale di espropriazione, il Governo sostiene che l’espropriazione in questione non può più essere considerata incompatibile con il rispetto dei beni e il principio di preminenza del diritto.

33. Per quanto riguarda il risarcimento, il Governo riconosce che i parametri applicati nel caso di specie sollevano problemi di compatibilità con la Convenzione, in quanto i ricorrenti non sono stati risarciti in base al valore venale del terreno.

2. Valutazione della Corte

a) Sull’esistenza di un’ingerenza

34. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza costante relativa alla struttura dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e alle tre norme distinte che questa disposizione contiene (si vedano, fra molte altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A n. 52, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999 II, Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 44, CEDU 1999 V, Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 134, CEDU 2004 V, e Vistiņš e Perepjolkins c. Lettonia [GC], n. 71243/01, § 93, 25 ottobre 2012).

35. Essa constata che le parti concordano sul fatto che vi è stata una privazione della proprietà ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

36. La Corte deve quindi accertare se la privazione denunciata sia giustificata dal punto di vista di questa disposizione.

b) Sul rispetto del principio di legalità

37. La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione di proprietà soltanto «alle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni ponendo in vigore delle «leggi». Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insita in tutti gli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1996 -III, [GC] Iatridis c. Grecia, sopra citata., § 58).

38. La Corte rinvia poi alla propria giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, fra altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005, e Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per un riepilogo dei principi pertinenti e per una sintesi della sua giurisprudenza in materia, in particolare per quanto riguarda la questione del rispetto del principio di legalità in questa tipologia di cause.

39. Nella fattispecie, la Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici nazionali hanno ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro bene a decorrere dalla data della trasformazione del terreno. Ora, in assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che la privazione di proprietà dei ricorrenti non possa essere ritenuta «prevedibile». Infatti, solo con la decisione giudiziaria divenuta definitiva il 28 maggio 2005 il principio dell’espropriazione indiretta è stato effettivamente applicato e l’acquisizione del terreno da parte delle autorità pubbliche è stata confermata. Di conseguenza, vi è stata inosservanza del principio della certezza giuridica nei confronti dei ricorrenti, con riguardo alla privazione di proprietà del loro terreno, fino al 28 maggio 2005, data in cui la sentenza del tribunale è divenuta definitiva.

40. La Corte osserva poi che la situazione in causa ha consentito al comune di trarre vantaggio da una occupazione di terreno illegittima. In altre parole, l’amministrazione ha potuto appropriarsi del terreno in violazione delle norme che disciplinano l’espropriazione in debita forma.

41. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che l’ingerenza in causa sia incompatibile con il principio di legalità e che abbia pertanto violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.

42. Di conseguenza, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

43. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno materiale

44. I ricorrenti chiedono la somma di 470.618 EUR che, ritengono, corrisponde al valore venale del terreno e tiene conto della sua destinazione a cimitero. Chiedono inoltre la somma di 512.649,05 EUR corrispondente agli interessi legali che sarebbero loro dovuti.

45. Il Governo invita la Corte a non rispondere favorevolmente a queste richieste.

46. La Corte rammenta che nella sentenza Guiso-Gallisay ((equa soddisfazione) [GC], sopra citata, §§ 104-105), ha modificato la propria giurisprudenza relativa ai criteri di indennizzo nelle cause in materia di espropriazione indiretta. In particolare, ha deciso di respingere le richieste dei ricorrenti, nella causa sopra citata, nella misura in cui erano fondate sul valore dei terreni alla data della sua sentenza, e di non tenere più conto, nella valutazione del danno materiale, del costo di costruzione degli immobili realizzati dallo Stato sui terreni in causa. Ormai, l’indennizzo da accordare deve corrispondere al valore integrale del terreno al momento della perdita della proprietà, accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice competente nel corso del procedimento interno. Inoltre, una volta dedotta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, tale importo deve essere attualizzato per bilanciare gli effetti dell’inflazione e maggiorato di interessi tali da compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo che è trascorso dallo spossessamento dei terreni. Infine, occorre valutare la perdita di chance eventualmente subita dagli interessati.

47. Nel caso di specie, secondo i giudici nazionali, i ricorrenti hanno perso la proprietà del loro terreno il 21 novembre 1988 e il valore di quest’ultimo, in tale data, era di 4.252 EUR (paragrafo 12 supra).

48. Tenuto conto di questi elementi, e del fatto che i ricorrenti sono intervenuti nel procedimento in quanto eredi di uno dei proprietari, il sig. Bartolomeo Lori (paragrafo 13 supra), la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, la somma di 4.000 EUR, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.

49. Per quanto riguarda la perdita di chance subita dagli interessati a seguito dello spossessamento del loro bene, la Corte ritiene doversi prendere in considerazione il pregiudizio derivante dalla indisponibilità del terreno nel periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (15 dicembre 1987) e il momento della perdita di proprietà (21 novembre 1988). Essa ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, 60 EUR a questo titolo.

B. Danno morale

50. I ricorrenti chiedono 90.000 EUR per il danno morale.

51. Il Governo contesta questa richiesta.

52. La Corte ritiene che il senso di impotenza e di frustrazione che i ricorrenti hanno dovuto provare a seguito dello spossessamento illegittimo del loro bene abbia causato loro un danno morale importante cui si deve porre rimedio in misura adeguata.

53. Tenuto conto delle specifiche circostanze della presente causa, e decidendo in via equitativa, la Corte assegna ai ricorrenti, congiuntamente, la somma di 7.500 EUR a titolo di danno morale.

C. Spese

54. Producendo le relative parcelle, i ricorrenti chiedono anche la somma di 8.726,33 EUR a rimborso delle spese che affermano di avere sostenuto per il procedimento dinanzi ai giudici nazionali e la somma di 22.806,42 EUR a rimborso delle spese che avrebbero sostenuto per il procedimento dinanzi alla Corte.

55. Il Governo invita la Corte a respingere tale richiesta.

56. La Corte non dubita che sia stato necessario sostenere delle spese, ma ritiene che le somme richieste a questo titolo siano eccessive e che sia opportuno rimborsarle solo in parte.

57. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, la somma di 5.000 EUR per le spese complessivamente sostenute.

D. Interessi moratori

58. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta la domanda di cancellazione del ricorso dal ruolo;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  4. Dichiara:
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, congiuntamente, entro tre mesi, le somme seguenti:
      1. 4.060 EUR (quattromilasessanta euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale,
      2. 7.500 EUR (settemilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
      3. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 novembre 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Kristina Pardalos
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto