Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 1 aprile 2014 - Ricorso n. 28298/10 Bellomonte c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 28298/10

Bruno BELLOMONTE

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 1° aprile 2014 in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
 András Sajó,
 Nebojša Vučinić,
 Helen Keller,
 Egidijus Kūris,
 Robert Spano, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, proposto il 28 aprile 2010,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Bruno Bellomonte, è un cittadino italiano nato nel 1949 e residente a Sassari. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. S. Crisci, del foro di Roma.

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

A.  Le circostanze del caso di specie

3. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

4. Il ricorrente fu accusato di far parte di un gruppo terroristico di estrema sinistra («le nuove brigate rosse»). Con ordinanza resa in data 5 giugno 2009 il giudice per le indagini preliminari di Roma ordinò che fosse posto in custodia cautelare in carcere. Il ricorrente fu arrestato il 10 giugno 2009.

5. Fu detenuto nel carcere Regina Coeli di Roma fino al 25 luglio 2009. In tale data, fu trasferito nel penitenziario di Catanzaro e assegnato a un «circuito di alta sicurezza» (AS) di livello 2 («AS2»). I detenuti assegnati a un tale circuito a causa della loro pericolosità vengono mantenuti in una cella singola, non hanno contatti con gli altri detenuti e non sono autorizzati a ricevere visite «straordinarie». Secondo le affermazioni del ricorrente, la passeggiata era ridotta a 10 minuti al giorno per mancanza di spazio disponibile, il che avrebbe costretto l’interessato a rimanere nella sua cella, dove avrebbe subito una mancanza di luce e difficoltà respiratorie dovute al calore. A questo proposito, il ricorrente precisa che la finestrella che avrebbe permesso di aerare la sua cella era stata murata, e aggiunge che non era stato autorizzato ad ascoltare le registrazioni delle sue conversazioni telefoniche che costituivano una parte degli indizi a suo carico.

6. Il ricorrente afferma che il suo trasferimento a Catanzaro ha prodotto l’effetto di limitare i suoi contatti con la moglie, la sig.ra T., residente in Sardegna, e con i suoi avvocati, a causa di difficoltà logistiche. In assenza di voli diretti tra la Sardegna e Catanzaro, la sig.ra T. sarebbe stata costretta a chiedere un congedo e ad affrontare un viaggio di due giorni per ogni visita. Il ricorrente afferma che la moglie ha potuto fargli visita solo una volta al mese.

7. Il 10 luglio 2009, poco prima del suo trasferimento a Catanzaro, il ricorrente aveva chiesto di essere assegnato ad un penitenziario situato in Sardegna o, in alternativa, a Roma. Aveva indicato che, ai sensi di un protocollo d’intesa concluso secondo lui tra il Ministero della Giustizia e la Regione Autonoma Sardegna (paragrafo 19 infra), i detenuti residenti in Sardegna dovevano scontare la pena in un carcere situato nell’isola.

8. Con nota in data 29 luglio 2009 il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia («il DAP») informò il ricorrente che la sua domanda non poteva essere accolta «per motivi di opportunità penitenziaria»).

9. Nell’ottobre 2009 il ricorrente chiese di essere sottoposto a una visita medica «sotto sforzo». Secondo le informazioni fornite dall’interessato il 21 aprile 2010, in tale data la visita non era ancora stata effettuata.

10.Dalla cartella clinica del ricorrente, prodotta dal Governo, risulta che, il 3 agosto 2009, l’interessato aveva beneficiato di una visita cardiologica con elettrocardiogramma, all’esito della quale era stato dichiarato idoneo alla pratica di attività sportive. Il 2 ottobre 2009 fu effettuato un nuovo elettrocardiogramma. In tale occasione, furono raccomandati ulteriori accertamenti, in particolare un test sotto sforzo, che furono poi effettuati il 9 giugno 2010. Alla luce dei risultati di tali esami, il ricorrente fu nuovamente dichiarato idoneo alla pratica di attività sportive. Peraltro, fu sottoposto a ripetuti trattamenti per lesioni ai tendini.

11. L’11 marzo 2010 il ricorrente chiese nuovamente di essere trasferito in Sardegna o a Roma.

12. Con nota in data 16 marzo 2010 il DAP confermò al ricorrente il rigetto della sua domanda, precisando che le decisioni in materia di assegnazione dei detenuti rientravano nel potere e dovere dell’amministrazione di scegliere per ciascuno di essi l’istituto più idoneo, e che l’accesso ai documenti relativi a tali decisioni era bloccato dal decreto ministeriale n. 115 del 1996.

13. Il ricorrente espone che, durante la sua detenzione a Catanzaro, tutte le lettere scambiate con i suoi avvocati sono state aperte e lette, e che vi è stato apposto un visto della censura. Egli ha prodotto due lettere, datate 13 novembre 2009 e 21 aprile 2010, che recavano il visto in questione. Il Governo osserva che il controllo della corrispondenza è stato ordinato in applicazione dell’articolo 18 ter della legge n. 354 del 1975 (o legge penitenziaria) e non riguardava la corrispondenza tra il detenuto e il suo avvocato.

14. Con sentenza resa il 21 novembre 2011, depositata in cancelleria il 3 febbraio 2012, la corte d’assise di Roma assolse il ricorrente perché il fatto non sussiste e ordinò la sua liberazione immediata.

15.La procura interpose appello e la corte d’assise d’appello di Roma, nel novembre 2012, confermò l’assoluzione del ricorrente.

B. Il diritto interno pertinente

1. «Il circuito penitenziario di alta sicurezza»

16. Ai sensi degli articoli 13 e 14 della legge n. 354 del 26 luglio 1975, il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto. Il numero dei detenuti negli istituti e nelle sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da favorire l'individualizzazione del trattamento. L'assegnazione dei condannati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti con particolare riguardo alla possibilità di procedere ad un trattamento rieducativo comune e all'esigenza di evitare influenze nocive reciproche.

17. I «circuiti penitenziari» sono entità logistiche all’interno delle carceri che rispondono ad alcune esigenze di sicurezza. Sono regolati da circolari amministrative emesse dal Ministro della Giustizia. Il circuito di alta sicurezza è stato regolato dalle circolari n. 606895 del 20 gennaio 1991, n. 3359 del 21 aprile 1993, n. 3449 del 16 gennaio 1997, n. 3479 del 9 luglio 1998, n. 20 del 9 gennaio 2007 e n. 3691 del 21 aprile 2009. Secondo il Governo, l’assegnazione del ricorrente al circuito di alta sicurezza di livello 2 (AS2) era fondata su quest’ultima circolare, che stabilisce che, sulla base dei criteri indicati agli articoli 13 e 14 della legge n. 354 del 1975, l’amministrazione penitenziaria assicuri la suddivisione dei detenuti per categorie omogenee al fine di assicurare un trattamento di riabilitazione adeguato e di evitare influenze nocive reciproche. Nell’assegnazione dei detenuti a particolari istituti penitenziari o sezioni degli stessi si dovranno tenere in considerazione anche alcuni criteri di sicurezza. L’articolo 32 del decreto prevede che i detenuti che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele siano assegnati ad appositi istituti o sezioni dove sia più agevole adottare le suddette cautele.

18. Ai sensi dell’articolo 42 cc. 1 e 2 della legge n. 354 del 26 luglio 1975, i trasferimenti dei detenuti sono disposti per motivi di sicurezza, per esigenze dell’istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e famigliari. Nel disporre i trasferimenti, deve essere favorito il criterio di destinare soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie.

19. Il protocollo di intesa concluso il 7 febbraio 2006 tra il Ministero della Giustizia e la Regione Autonoma della Sardegna prevede che il Ministero si impegna a favorire l’assegnazione in istituti penitenziari situati in Sardegna dei detenuti di origine sarda o residenti o aventi interessi nell’isola, tenendo conto in particolare del luogo di residenza delle loro famiglie.

20. Con delibera del 22 maggio 2007 il Consiglio regionale della Sardegna, osservando che molti detenuti sardi erano ristretti fuori dall’isola, invitò la Giunta Regionale a intercedere presso il Ministero della Giustizia al fine, tra l’altro, di «porre un termine alla grave discriminazione esercitata nei confronti dei detenuti sardi».

2. Il controllo della corrispondenza dei detenuti

21. In seguito all’entrata in vigore della legge n. 95 dell’8 aprile 2004, è stato aggiunto alla legge penitenziaria un nuovo articolo 18 ter relativo al controllo della corrispondenza. La nuova norma prevede che un tale controllo può essere effettuato, per un periodo massimo di sei mesi, allo scopo di evitare la perpetrazione di reati ovvero per ragioni di sicurezza dell’istituto o per esigenze investigative. Il controllo viene attuato sulla base di un decreto motivato dell’autorità giudiziaria, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto interessato. Il comma 2 dell’articolo 18 ter esclude da tale controllo la corrispondenza del detenuto con, in particolare, il suo avvocato e gli organismi internazionali preposti alla tutela dei diritti dell’uomo. Infine, in virtù del comma 6 dello stesso articolo, contro i provvedimenti che dispongono il controllo della corrispondenza può essere proposto reclamo, secondo la procedura prevista dall’articolo 14 bis della legge penitenziaria (per una descrizione più dettagliata del diritto interno pertinente si vedano, in particolare, Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, §§ 30-42, 17 settembre 2009, e Ospina Vargas c. Italia n. 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004).

MOTIVI DI RICORSO

22. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente lamenta le sue condizioni di detenzione.

23. Peraltro, egli sostiene che la sua assegnazione al circuito AS2 ha comportato una violazione degli articoli 6 § 2 e 8 della Convenzione.

24.Infine, invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente denuncia una violazione del suo diritto di accesso a un tribunale.

IN DIRITTO

A. L’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

1. L’eccezione del Governo

25. Il Governo eccepisce anzitutto il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, indicando in primo luogo che il ricorrente non ha prodotto i decreti ministeriali che disponevano la sua assegnazione al circuito AS2 e, inoltre, che ha citato la circolare n. 20 del 9 gennaio 2007 – e non quella n. 3691 del 21 aprile 2009 – come base giuridica della situazione da lui denunciata. Il Governo espone poi che l’assegnazione al circuito in questione può comportare alcune restrizioni dei diritti dei detenuti (in particolare dei contatti con i detenuti non assegnati a tale circuito, dei contatti con la famiglia – quattro visite al mese invece di sei e due telefonate (che vengono ascoltate) al mese invece di una telefonata a settimana – e delle attività di riabilitazione). Esso precisa che lo scopo di tali restrizioni è limitare quanto più possibile i contatti dei detenuti pericolosi con il mondo esterno e tagliare i legami con le organizzazioni criminali alle quali appartengono.

26. Secondo il Governo, con la sentenza n. 26 resa in data 8-11 febbraio 1999, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 35 (relativo alle vie di ricorso offerte ai detenuti) e dell’articolo 69 (relativo alle funzioni e alle decisioni del magistrato di sorveglianza) della legge n. 354 del 1975, in quanto non prevedevano un ricorso che potesse essere definito giurisdizionale avverso una decisione che può pregiudicare i diritti dei detenuti e, in particolare, avverso una decisione relativa al controllo della corrispondenza o alle limitazioni del diritto di ricevere riviste o altri periodici. Il Governo aggiunge che la decisione delle autorità adite in virtù dell’articolo 35 viene adottata senza procedura in contraddittorio, non ha alcun valore vincolante e non può essere impugnata in nessun altro modo. Afferma che l’assenza di una via di ricorso in materia è stata peraltro constatata e sanzionata dalla Corte europea nelle sentenze Calogero Diana c. Italia e Domenichini c. Italia (15 novembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-V – si veda Enea, sopra citata, § 39).

27. Il Governo espone inoltre che, in assenza di un intervento del legislatore, con la sentenza n. 25079 del 23 febbraio 2003, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno precisato che le decisioni dell’amministrazione penitenziaria relative alle visite dei famigliari e alle conversazioni telefoniche dei detenuti riguardavano dei diritti individuali; che, di conseguenza, ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 354 del 1975, esse possono essere impugnate, entro dieci giorni, dinanzi al magistrato di sorveglianza; che, infine, il detenuto può proporre ricorso per cassazione avverso la decisione di quest’ultimo. Pertanto, dal 2003 sarebbe  previsto un ricorso di piena giurisdizione avverso gli atti amministrativi che violino i diritti dei detenuti.

28. Il Governo ammette che l’assegnazione al circuito AS e il trasferimento da un carcere all’altro non possono, in quanto tali, essere oggetto del ricorso in questione. Esso afferma che possono tuttavia essere contestati nell’ambito della procedura non contenziosa prevista dall’articolo 35 della legge n. 354 del 1975 che, in pratica, garantirebbe spesso dei risultati importanti ed effettivi. Il Governo aggiunge che la decisione adottata dal magistrato di sorveglianza nell’ambito dell’articolo 35 sopra citato non è vincolante per l’amministrazione, ma che quest’ultima si espone a conseguenze politiche se non rispetta una decisione giudiziaria che dichiari che il suo operato non è stato corretto e adeguato.

29. Il Governo indica che, in ogni caso, quando riguarda interessi individuali, la decisione di assegnazione al circuito AS può essere oggetto di un ricorso di piena giurisdizione. Esso ritiene che, nel caso di specie, il ricorrente, poiché sostiene che la sua assegnazione al circuito AS2 ha causato una limitazione delle visite dei suoi famigliari e il controllo della sua corrispondenza, avrebbe potuto rivolgersi al magistrato di sorveglianza ai sensi della sentenza della Corte di Cassazione n. 25079 del 2003. Invece, continua il Governo, il ricorrente non lo ha fatto.

30. Il ricorrente non avrebbe fornito alcun elemento che dimostri che tali vie di ricorso non erano effettive. Secondo il Governo, la semplice presentazione di una richiesta di trasferimento in un altro istituto penitenziario non può essere considerata sufficiente rispetto all’articolo 35 § 1 della Convenzione. Inoltre, nell’ambito di tale richiesta, il ricorrente non avrebbe contestato la propria assegnazione al circuito AS2. Infine, il Governo considera che le osservazioni del ricorrente per quanto riguarda l’esistenza di una «situazione continua» sono ininfluenti al riguardo.

2. La replica del ricorrente

31. Il ricorrente sostiene che le misure amministrative di cui è stato oggetto – la sua assegnazione al circuito AS2 e a un determinato istituto penitenziario – rientrino nel potere discrezionale del DAP e non possano essere annullate da una decisione giudiziaria. Egli considera che, ai sensi dell’articolo 3 del decreto ministeriale n. 115 del 25 gennaio 1996, i documenti relativi all’assegnazione dei detenuti non sono accessibili, e sono pertanto atti interni riservati. Egli afferma che, pertanto, non era possibile contestarne il contenuto dinanzi a un giudice, e sostiene inoltre di essere stato sottoposto in maniera continua a una situazione incompatibile con la Convenzione, contro la quale non sarebbe stato disponibile alcun ricorso e che si sarebbe conclusa soltanto con la sua scarcerazione. Aggiunge che egli ha peraltro cercato, invano, di contestare dinanzi al DAP la sua assegnazione a penitenziari situati in luoghi diversi dalla Sardegna. Sostiene infine che il magistrato di sorveglianza era incompetente in materia, in quanto la sua competenza era limitata, secondo lui, alla situazione dei detenuti che scontano una condanna definitiva e non a quella delle persone sottoposte, come lui, a custodia cautelare.

3. Valutazione della Corte

32. La Corte rinvia ai principi generali relativi alla regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne che sono esposti nella sentenza Sejdovic c. Italia ([GC], n. 56581/00, §§ 43-46, CEDU 2006 II). Essa rammenta che l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive l’esaurimento dei soli ricorsi che siano al tempo stesso relativi alle violazioni denunciate, disponibili e adeguati. Un ricorso è effettivo quando è disponibile tanto in teoria quanto in pratica all’epoca dei fatti, vale a dire quando è accessibile, può offrire al ricorrente la riparazione delle violazioni denunciate e presenta ragionevoli prospettive di successo. Al riguardo, il mero fatto di nutrire dubbi quanto alle prospettive di successo di un dato ricorso che non è secondo ogni evidenza destinato al fallimento non costituisce un motivo valido per giustificare il mancato utilizzo di ricorsi interni (Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001 IX, Sardinas Albo c. Italia (dec.), n. 56271/00, CEDU 2004 I, e Alberto Eugénio da Conceição c. Portogallo (dec.), n. 74044/11, 29 maggio 2012).

33.La Corte ritiene che, nel caso di specie, si debbano distinguere due aspetti delle doglianze del ricorrente: da una parte, il trasferimento nel carcere di Catanzaro e l’assegnazione al circuito AS» di per sé; dall’altra, la dedotta limitazione dei suoi diritti in conseguenza di tale assegnazione.

34. Per quanto riguarda il  primo aspetto, il Governo stesso ammette che il ricorrente non disponeva di alcun ricorso di piena giurisdizione (paragrafo 28 supra). La procedura prevista dall’articolo 35 della legge n. 354 del 1975, infatti, è di natura non contenziosa e la decisione adottata dal magistrato non è vincolante per l’amministrazione. Peraltro, nella sentenza n. 26 del 1999, la Corte Costituzionale ha indicato che il ricorso in questione non soddisfaceva le esigenze della Costituzione italiana (paragrafo 26 supra).

35. In queste circostanze, la Corte ritiene che il ricorrente non disponesse di alcun ricorso effettivo per contestare il suo trasferimento nell’istituto penitenziario di Catanzaro e la sua assegnazione al circuito AS2.

36. Pertanto, l’eccezione preliminare del Governo su questi punti non può essere accolta.

37. Lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la dedotta restrizione dei diritti del ricorrente sanciti dalla legge penitenziaria, ossia i suoi diritti alle visite dei famigliari, alle tefonate, alla partecipazione alle attività di riabilitazione e alle attività ricreative, nonché alla riservatezza della corrispondenza con il suo avvocato.

38. A questo proposito, la Corte ricorda che, nella sentenza Enea (sopra citata, §§ 106 e 119), la Grande Camera ha precisato che in Italia un detenuto che desideri rimettere in discussione una qualsiasi limitazione di un diritto di «natura civile» (che riguardi, ad esempio, le visite dei famigliari, la corrispondenza scritta e telefonica o i suoi rapporti con i terzi, o che lo privi delle passeggiate) può presentare un ricorso su questo punto. Nessun elemento della presente causa porta a ritornare su questa conclusione. L’esistenza di un ricorso di piena giurisdizione contro gli atti amministrativi che ledono i diritti dei detenuti è peraltro confermata dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione citata nel paragrafo 27 supra. Inoltre, la legge penitenziaria indica che le decisioni relative al controllo della corrispondenza possono essere oggetto di reclamo (paragrafo 21 supra).

39. La Corte osserva poi che il ricorrente non ha provato la sua affermazione secondo la quale la sua condizione di detenuto in stato di custodia cautelare gli avrebbe impedito di contestare la restrizione dei suoi diritti individuali legati alla privazione della libertà (paragrafo 31 in fine supra). In particolare, l’interessato non ha indicato disposizioni interne né prodotto decisioni giudiziarie che dimostrino che i detenuti non condannati non beneficiano di alcuna tutela giurisdizionale.

40. Alla luce dii quanto sopra esposto, la Corte giunge alla conclusione che il ricorrente disponeva di un ricorso interno attraverso il quale avrebbe potuto denunciare qualsiasi restrizione ingiustificata dei suoi diritti riguardanti le visite dei suoi famigliari, la corrispondenza scritta e telefonica, i rapporti con i terzi o il tempo di passeggiata e di partecipazione alle altre attività fuori dalla cella. Un tale ricorso non era manifestamente destinato ad avere esito negativo (si veda, mutatis mutandis, Riina c. Italia (dec.), n. 43575/09, §§ 19-21, 11 marzo 2014). Il ricorrente, tuttavia, non se ne è avvalso, e si è limitato a chiedere all’amministrazione penitenziaria di essere collocato in un istituto penitenziario situato in Sardegna o a Roma (paragrafi 7 e 11 supra).

41.Ne consegue che la parte del ricorso relativa alla dedotta restrizione dei diritti sopra menzionati deve essere rigettata per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

B. Motivo di ricorso relativo all’articolo 3 della Convenzione

42.Il ricorrente considera che le sue condizioni di detenzione e la sua assegnazione al circuito AS2 hanno violato l’articolo 3 della Convenzione, che recita:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

43. Il Governo contesta questa tesi.

1. Argomenti delle parti

a)Il Governo

44. Basandosi sulla circolare n. 3691 del 21 aprile 2009 (paragrafo 17 supra), il Governo osserva che la creazione di circuiti penitenziari speciali è volta ad evitare che la detenzione in uno stesso luogo di detenuti comuni e detenuti che appartengono ad organizzazioni terroristiche o mafiose possa portare a forme di proselitismo o di assoggettamento dei primi rispetto ai secondi. Esso ritiene che la semplice detenzione non sia sufficiente per smantellare tali organizzazioni e per impedire i contatti tra coloro che ne fanno parte e che, di conseguenza, i detenuti che fanno parte di tali organizzazioni debbano essere separati dai delinquenti comuni. Secondo il Governo, la creazione del circuito AS (con i sotto-circuiti 1, 2 e 3, destinati rispettivamente ai membri della mafia, ai membri di organizzazioni terroristiche e sovversive e alle persone colpevoli di reati molto gravi e violenti) è volta al raggiungimento di tale scopo, senza tuttavia prevedere un diverso trattamento penitenziario per quanto riguarda i diritti e gli obblighi dei detenuti.

45. Il Governo espone inoltre che, a partire dal 25 luglio 2009, il ricorrente è stato, giustamente a suo parere, assegnato al circuito AS2 sulla base dei criteri fissati dalla circolare n. 3691 del 21 aprile 2009. Esso sostiene che l’assegnazione a un circuito penitenziario non comporta un regime differenziato e costituisce una semplice sistemazione logistica con un controllo della sicurezza potenziato. Il ricorrente non sarebbe stato privato di contatti con gli altri detenuti, ma solo con quelli che erano stati assegnati ad altri circuiti, e questo allo scopo di evitare influenze negative reciproche.

46. Il Governo indica poi che l’assegnazione in questione è stata decisa tenendo conto del principio del trattamento individualizzato del detenuto (articoli 13 e 14 della legge n. 354 del 1975 – paragrafo 16 supra) e dei motivi di sicurezza sopra indicati. Esso ritiene che il ricorrente non abbia fornito la minima prova che dimostri che l’assegnazione contestata non era giustificata e che la stessa ha comportato una sofferenza o un’umiliazione che andavano oltre a quelle che comporta inevitabilmente una determinata forma di trattamento o di pena legittime. Il Governo afferma che i detenuti del circuito AS2 hanno accesso a tutte le attività di riabilitazione e di trattamento offerte generalmente ai detenuti, ad eccezione di quelle che si svolgono all’esterno dell’istituto designato per accogliere il circuito in questione. Esso afferma inoltre che qualsiasi limitazione dei diritti dei detenuti (controllo della corrispondenza, numero di visite e di chiamate telefoniche) è fondata direttamente sulla legge e non su scelte discrezionali dell’amministrazione. La salute e il benessere dei detenuti sarebbero garantiti in maniera appropriata e l’interessato sarebbe stato sottoposto a esami medici con una frequenza adeguata al suo stato di salute e in funzione delle disponibilità dei servizi ospedalieri. Il ricorrente non sarebbe affetto da alcuna patologia particolare e la sua assegnazione al circuito AS2 non avrebbe messo in pericolo la sua salute. Non sarebbe dimostrato alcun nesso di causalità tra la sua detenzione e le malattie che l’interessato ha denunciato dopo la sua liberazione, e in ogni caso egli non avrebbe intentato alcuna azione per negligenza medica contro il personale del carcere.

47. Infine, per quanto riguarda il periodo (compreso tra il 10 giugno e il 25 luglio 2009) durante il quale il ricorrente è stato detenuto nel carcere di Roma (che non disporrebbe di un settore di alta sicurezza), il Governo precisa che l’interessato è stato posto in una cella singola di 9,5 m², a suo parere sufficientemente illuminata e ventilata, e che ha beneficiato di un accesso normale alle attività all’esterno della cella.
i.  Il ricorrente
48.  Il ricorrente contesta l’affermazione del Governo secondo la quale, nel periodo in cui è stato detenuto nel carcere di Roma, il suo accesso limitato alle attività all’esterno della cella derivava da una sua scelta. Egli indica che, secondo i documenti prodotti dal Governo stesso, il carcere di Roma non disponeva di un circuito AS, e precisa che non ha avuto alcun contatto con gli altri detenuti, e non ha potuto beneficiare delle visite «straordinarie», non ha avuto accesso alle attività all’aria aperta e non ha avuto la possibilità di ascoltare le registrazioni delle sue conversazioni intercettate, il che gli avrebbe impedito di preparare la sua difesa.

49. Egli sostiene inoltre che è stato collocato negli istituti di Roma e di Catanzaro senza alcun riguardo per la sua situazione famigliare e contravvenendo all’articolo 42 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 e al protocollo di intesa che sarebbe stato concluso tra il Ministero della Giustizia e la Regione Autonoma Sardegna. Le sue condizioni di salute non sarebbero state debitamente tutelate. A tale riguardo, l’interessato afferma di avere costantemente richiesto delle visite mediche a causa dei suoi problemi cardiovascolari. Tuttavia, tali visite sarebbero state ripetutamente rinviate e un elettrocardiogramma sotto sforzo sarebbe stato effettuato solo tardivamente. Due mesi dopo la sua scarcerazione sarebbe stata emessa la diagnosi di ischemia del miocardio. Nel gennaio 2013, alcuni esami effettuati all’ospedale di Sassari avrebbero rivelato una patologia coronarica presente da vari anni. Il ricorrente ritiene che il fatto che tale patologia – aggravata, secondo lui, dallo stress e dalla vita sedentaria condotta in carcere – non sia stata rilevata dai medici degli istituti penitenziari dimostra l’inadeguatezza delle cure dispensate in carcere. Infine, egli afferma che le domande da lui presentate per avere accesso al campo da calcio o alla passeggiata sono state esaminate tardivamente o rigettate.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

50. La Corte richiama la sua giurisprudenza costante secondo la quale, per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; essa dipende dall’insieme delle circostanze della causa, soprattutto dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o psichici nonché, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute della vittima (si vedano, tra le altre, Price c. Regno Unito, n. 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII, Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 37, CEDU 2002-IX, e Gennadi Naoumenko c. Ucraina, n. 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Le deduzioni di maltrattamenti devono essere supportate da adeguati elementi di prova (si veda, mutatis mutandis, Klaas c. Germania, 22 settembre 1993, § 30, serie A n. 269). Per la valutazione di questi elementi, la Corte applica il principio di prova «al di là di ogni ragionevole dubbio», aggiungendo che tale prova può risultare da un insieme di indizi, o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 161 in fine, serie A n. 25, e Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 121, CEDU 2000-IV).

51. Affinché una pena e il trattamento che ne deriva possano essere qualificati «inumani» o «degradanti», la sofferenza o l’umiliazione devono comunque essere superiori a quelle che inevitabilmente comporta una determinata forma di trattamento o di pena legittimi (Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, 11 luglio 2006).

52. I principi generali riguardanti gli obblighi derivanti dall’articolo 3 rispetto alle persone private della libertà sono esposti in Tellissi c. Italia ((dec.), n. 15434/11, § 26-28, 5 marzo 2013). La Corte rammenta che deve tener conto soprattutto di tre elementi per valutare la compatibilità del mantenimento in carcere di un ricorrente con uno stato di salute preoccupante, ossia: a) la condizione del detenuto, b) la qualità delle cure dispensate e c) l'opportunità di mantenere la detenzione visto lo stato di salute del ricorrente (Farbtuhs c. Lettonia, n. 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, n. 61828/00, § 39, 15 gennaio 2004).

53. Infine, la Corte rammenta di avere giudicato che il sovraffollamento carcerario grave, da solo, basta per concludere che vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Di norma, sebbene lo spazio ritenuto auspicabile dal CPT per le celle collettive fosse di 4 m2, si trattava di casi in cui lo spazio personale concesso ad un ricorrente era inferiore a 3 m2 (Kantyrev c. Russia, n. 37213/02, §§ 50-51, 21 giugno 2007, Andreï Frolov c. Russia, n. 205/02, §§ 47-49, 29 marzo 2007, Kadikis c. Lettonia, n. 62393/00, § 55, 4 maggio 2006, e Sulejmanovic c. Italia, n. 22635/03, § 43, 16 luglio 2009).

b) Applicazione di questi principi al caso di specie

54. La Corte osserva anzitutto che non vi sono elementi che dimostrino che il ricorrente sia stato detenuto in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione. A questo proposito, essa osserva che nell’istituto penitenziario di Roma l’interessato è stato collocato in una cella di 9,5 m² (paragrafo 47 supra) e che lo stesso non denuncia di avere subito le ripercussioni di un grave sovraffollamento carcerario nel carcere di Catanzaro. Inoltre, anche a voler supporre che il ricorrente non abbia potuto partecipare ad alcune attività all’esterno della cella e che, essendo intrinsecamente legata alla logistica del circuito AS2, tale circostanza non abbia potuto costituire l’oggetto di un ricorso interno, la Corte ritiene che ciò non possa tradursi, di per sé, in un trattamento inumano o degradante. Peraltro, l’interessato non ha fornito alcun elemento che permetta di dimostrare la sua affermazione secondo la quale l’ingresso dell’aria e della luce nella sua cella sarebbe stato a tal punto  limitato da essere costitutivo di una violazione dell’articolo 3.

55. Per quanto riguarda lo stato di salute del ricorrente, quest’ultimo non ha affermato che esso era  incompatibile con il mantenimento in detenzione. L’unica questione posta nel caso di specie è stabilire se le cure somministrate in carcere siano state adeguate, tenuto conto dell’esigenza di tutelare l’integrità fisica dell’interessato.

56. A tale riguardo, il ricorrente sostiene  che i suoi problemi cardiovascolari non sono stati trattati in maniera adeguata. Tuttavia, dalla cartella clinica prodotta dal Governo (paragrafo 10 supra) risulta che sono state effettuate visite cardiologiche con elettrocardiogrammi il 3 agosto e il 2 ottobre 2009 e il 9 giugno 2010. All’esito di quest’ultima visita il ricorrente è stato dichiarato idoneo alla pratica di attività sportive. Egli è stato peraltro ripetutamente curato per lesioni ai tendini.

57. Alla luce di quanto detto sopra, la Corte è del parere che le autorità, sottoponendo il  ricorrente a controlli medici appropriati, abbiano adempiuto al loro obbligo di tutelare l’integrità fisica di quest’ultimo. Essa sottolinea a tale proposito che lo stato di salute del ricorrente sembra essere stato tenuto costantemente  sotto controllo e che nulla dimostra che i problemi cardiaci manifestati dall’interessato dopo la sua scarcerazione fossero legati all’inadeguatezza delle cure dispensate in carcere (paragrafo 49 supra).

58. Pertanto, la Corte giunge alla conclusione che il trattamento di cui è stato oggetto il ricorrente non abbia ecceduto in maniera significativa il livello di sofferenza che inevitabilmente comporta la detenzione. Non essendo stato raggiunto il livello minimo di gravità per rientrare nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione, essa conclude che non vi è stata violazione di tale disposizione nel caso di specie.

59. Di conseguenza, il motivo di ricorso proposto sulla base dell’articolo 3 è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

60. È opportuno notare altresì che, dal momento che il ricorrente lamenta l’impossibilità  di ascoltare le registrazioni delle conversazioni intercettate (si veda paragrafo 48 supra), le sue doglianze potrebbero tradursi in una ingerenza nel diritto dell’interessato di preparare la sua difesa. Tuttavia, essendo stato assolto da tutte le accuse mosse nei suoi confronti (paragrafi 14 e 15 supra), il ricorrente non può sostenere di essere «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, di una violazione del suo diritto a un processo equo.

61. Per quanto riguarda, infine, l’assegnazione del ricorrente in istituti  penitenziari situati fuori dalla Sardegna, la Corte considera che l’allontanamento del ricorrente rispetto alla sua famiglia si presti ad essere esaminato sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione.

C. Motivi di ricorso relativi agli articoli 6 § 2 e 8 della Convenzione

62. Il ricorrente afferma che la sua assegnazione al circuito AS2 si traduce in una anticipazione della pena e in una ingerenza ingiustificata nel suo diritto al rispetto della vita privata e famigliare. Egli sottolinea che il suo trasferimento al penitenziario di Catanzaro ha de facto limitato i contatti con la moglie.

A tale riguardo invoca gli articoli 6 § 2 e 8 della Convenzione, che recitano:

Articolo 6 § 2

«Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.»

Articolo 8

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

63. Il Governo contesta questa tesi.

1. Argomenti delle parti

a)Il Governo

64. Il Governo indica che, in virtù della legge, i detenuti assegnati al circuito AS hanno diritto a quattro visite al mese (invece delle sei che sarebbero previste per i detenuti comuni) e che l’assegnazione controversa non comporta alcuna modifica per quanto riguarda il controllo della corrispondenza. Esso precisa che, nel periodo in cui è stato detenuto a Catanzaro, il ricorrente ha beneficiato di quattro visite al mese da parte della moglie, ciascuna della durata di due ore, e che aveva anche diritto a due telefonate (sottoposte ad ascolto) al mese, ma che ha liberamente scelto di non beneficiarne interamente.

65. Il Governo indica poi che il carcere di Catanzaro è stato designato come luogo di detenzione per i terroristi di estrema sinistra della nuova generazione, mentre quelli della prima generazione venivano mandati a Carinola, e i terroristi islamici, di estrema destra e anarchici sarebbero mandati rispettivamente a Benevento, Macomer e Rossano (nonché a Terni e Alessandria). Esso sostiene che il ricorrente non è stato incarcerato in Sardegna non solo perché la sua destinazione obbligatoria in conseguenza del reato ascrittogli sarebbe stata Catanzaro, ma anche perché egli avrebbe, in passato, militato in una organizzazione sovversiva fautrice dell’indipendenza della Sardegna. In queste circostanze, secondo il Governo, il protocollo d’intesa concluso il 7 febbraio 2006 tra il Ministero della  Giustizia e la Regione Autonoma Sardegna (paragrafo 19 supra) non si poteva applicare al ricorrente. Il Governo aggiunge che, in ogni caso, tale documento non ha effetto vincolante per l’amministrazione penitenziaria, che avrebbe ampio margine di libertà per tenere conto di circostanze  che possano rendere inappropriato il collocamento di un detenuto in un carcere della Sardegna. Esso rinvia inoltre alla Corte di Cassazione e alla Corte dei diritti dei diritti dell’uomo per le quali, secondo il Governo, un detenuto non dispone di un diritto a essere trasferito in un determinato penitenziario.

66. Il Governo sostiene peraltro che il principio della presunzione di innocenza non si applica alla custodia cautelare. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che tale principio è stato inserito nell’articolo 6 – e non nell’articolo 5 – della Convenzione. Inoltre, esso afferma che le decisioni relative alla custodia cautelare del ricorrente non contenevano alcuna constatazione di colpevolezza e si limitavano a rilevare uno stato di sospetto. Secondo il Governo, il successivo proscioglimento del ricorrente non ha in alcun modo pregiudicato la legalità della custodia cautelare disposta nei suoi confronti e, peraltro, l’interessato non ha presentato una richiesta di riparazione per detenzione «ingiusta» come gli avrebbero permesso gli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale. Il Governo sottolinea infine che il circuito AS si applica sia ai detenuti accusati che ai detenuti condannati; nel caso del ricorrente, il giudice per le indagini preliminari di Roma avrebbe, nella sua ordinanza del 19 giugno 2009, sottolineato la necessità di evitare qualsiasi azione che possa pregiudicare la sicurezza dell’istituto penitenziario e qualsiasi tentativo di evasione.

b) Il ricorrente

67. Il ricorrente sostiene che l’assegnazione al circuito AS di una persona in custodia cautelare è incompatibile con la presunzione di innocenza. Egli afferma che, senza tenere conto, secondo lui, delle norme interne pertinenti, nell’ambito di tale circuito non viene fatta alcuna distinzione tra detenuti condannati e detenuti in attesa di giudizio. Egli rimprovera al Governo di averlo presentato, nelle sue osservazioni, come una persona colpevole dei fatti ascrittigli quando invece sarebbe stato ancora in attesa dell’esito del procedimento penale a suo carico, procedimento che, come precisa, si è concluso con il suo proscioglimento.

2. Valutazione della Corte

68. La Corte osserva anzitutto che non rileva, nella presente causa, alcuna violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione. In effetti, dal fascicolo non risulta che il ricorrente sia stato indicato come colpevole dei reati che gli erano ascritti. Del resto, la Corte rammenta che l’articolo 5 § 1 c) permette espressamente di detenere regolarmente una persona allo scopo di condurla dinanzi all’autorità giudiziaria competente quando vi sono motivi plausibili per sospettarla di avere commesso un reato.

69. Rimane da verificare se l’assegnazione dell’interessato al circuito AS2, che ha comportato il suo collocamento in istituti penitenziari (quelli di Roma e di Catanzaro) situati fuori dalla Sardegna, abbia violato il suo diritto al rispetto della sua vita privata e famigliare sancito dall’articolo 8 della Convenzione. A questo proposito, la Corte osserva che, secondo il ricorrente, era particolarmente difficile per la moglie fargli visita nel carcere di Catanzaro, trattandosi di una città situata lontano dalla Sardegna e verso la quale non vi erano voli diretti.

a) Sull’esistenza di una ingerenza

70. La Corte rammenta che qualsiasi detenzione regolare rispetto all’articolo 5 comporta per la sua stessa natura una restrizione alla vita privata e famigliare dell’interessato. La Convenzione non sancisce in quanto tale il diritto di essere detenuto in un determinato carcere e il rifiuto di trasferire un detenuto in un carcere vicino al suo domicilio può essere considerato come lesivo del suo diritto al rispetto della sua vita famigliare soltanto in circostanze eccezionali (Descamps c. Francia, n. 29472/95, decisione della Commissione del 21 maggio 1997). Rimane comunque il fatto che l’assegnazione di un detenuto a un determinato carcere può sollevare un problema sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione quando le conseguenze che essa comporta, per la vita privata e famigliare del ricorrente, eccedono le restrizioni normalmente inerenti alla detenzione stessa (Khodorkovskiy e Lebedev c. Russia, nn. 11082/06 e 13772/05, § 837, 25 luglio 2013). È in effetti essenziale per il rispetto della vita famigliare che l’amministrazione penitenziaria aiuti il detenuto a mantenere un contatto con i suoi famigliari più stretti (Messina c. Italia (n. 2), n. 25498/94, § 61, CEDU 2000 X, Lavents c. Lettonia, n. 58442/00, § 139, 28 novembre 2002, e Alboreo c. Francia, n. 51019/08, § 173, 20 ottobre 2011).

71. La Corte può ammettere che, nel caso di specie, la distanza tra la Sardegna e Catanzaro e l’assenza di voli diretti che collegano queste due località abbiano potuto rendere più difficile per la moglie del ricorrente fargli visita in carcere. Pertanto, non si può escludere che quest’ultimo abbia ricevuto un numero di visite inferiore rispetto a quelle che avrebbe ricevuto se fosse stato detenuto in Sardegna o in una località di più facile accesso. L’assegnazione del ricorrente al circuito AS2, che ha comportato il suo trasferimento a Catanzaro, si traduce dunque in una ingerenza nei diritti dell’interessato al rispetto della sua vita privata e famigliare (si veda, mutatis mutandis, Khodorkovskiy e Lebedev, § 838).

72. Una tale ingerenza sarebbe contraria all’articolo 8 della Convenzione, a meno che non sia «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi rispetto al paragrafo 2 di detto articolo e, inoltre, non sia «necessaria in una società democratica» per il raggiungimento degli stessi.

b) L’ingerenza era «prevista dalla legge»?

73. Nel caso di specie, l’ingerenza in questione era prevista dalla legge, in quanto il sistema giuridico italiano attribuisce all’amministrazione penitenziaria il potere di assegnare i detenuti alle diverse unità di alta sicurezza e di collocarli nelle carceri della penisola (paragrafo 17 supra). Peraltro, il protocollo d’intesa firmato il 7 febbraio 2006 tra il ministero della Giustizia e la Regione Autonoma della Sardegna (paragrafo 19 supra) non impone l’assegnazione dei detenuti di origine sarda in istituti penitenziari situati in Sardegna, ma prevede un semplice impegno da parte del Ministero a favorire una tale assegnazione. Come ha sottolineato giustamente il Governo (paragrafo 65 supra), esso non può dunque essere considerato vincolante.

c) L’ingerenza perseguiva uno scopo legittimo?

74. Il Governo afferma che l’assegnazione del ricorrente al circuito AS2 e il suo trasferimento nel carcere di Catanzaro perseguiva lo scopo legittimo di assegnarlo al carcere indicato come luogo di detenzione per i terroristi di estrema sinistra della nuova generazione (paragrafo 65 supra).

75.La Corte non vede alcun motivo per dubitare della pertinenza di tale spiegazione. Essa ritiene pertanto che le misure contestate fossero finalizzate alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, nonché alla tutela dei diritti e delle libertà altrui, scopi altrettanto legittimi ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 8 della Convenzione.

d) L’ingerenza era «necessaria in una società democratica»?

76. La Corte è consapevole delle difficoltà legate all’organizzazione del sistema carcerario e rammenta che le autorità dispongono di un ampio margine di apprezzamento in questo ambito (Khodorkovskiy e Lebedev, sopra citata, § 850). Essa rileva che le autorità penitenziarie italiane avevano stabilito un metodo chiaro e prevedibile di ripartizione dei detenuti per i quali erano richieste misure di sicurezza rinforzate (si veda, a contrario, Khodorkovskiy e Lebedev, ibidem). In particolare, i terroristi di estrema sinistra della nuova generazione venivano collocati a Catanzaro, la prima generazione di tali terroristi era detenuta a Carinola, e i terroristi islamici, di estrema destra e anarchici venivano collocati, rispettivamente, a Benevento, Macomer e Rossano (nonché a Terni e Alessandria) (paragrafo 65 supra). Tale metodo di separazione e di ripartizione dei detenuti non può essere considerato arbitrario o irragionevole.

77. La Corte osserva inoltre che era irrealistico aspettarsi che un’eccezione a un tale metodo fosse fatta per ovviare alle difficoltà che la moglie del ricorrente avrebbe potuto incontrare per recarsi a Catanzaro. Inoltre, essa ritiene che la distanza tra la Sardegna e Catanzaro non sembra smisurata e che l’assenza di voli diretti che colleghino queste due località non costituisce un ostacolo insuperabile. La circostanza che la moglie del ricorrente fosse costretta a prendere dei voli con coincidenza per le sue visite a Catanzaro non può, da sola, essere costitutiva di una violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

e)  Conclusioni

78. Tenuto conto di quanto precede, la Corte ritiene che l’ingerenza nel diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e famigliare fosse proporzionata agli scopi legittimi perseguiti e che lo Stato non abbia oltrepassato il margine di apprezzamento di cui gode in materia.

79. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

D Motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione

80. Il ricorrente lamenta di non aver avuto accesso a un tribunale per contestare la sua assegnazione al circuito AS2 e il suo trasferimento al penitenziario di Catanzaro. Egli ritiene che si tratti di decisioni che rientrano nel potere discrezionale dell’amministrazione e che esulano pertanto dal controllo giurisdizionale.

Egli invoca a questo proposito l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle parti pertinenti al caso di specie, recita:

«1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»

81. Il Governo contesta questa tesi.

1. Argomenti delle parti

a) Il Governo

82. Il Governo espone che, nella sentenza Enea (sopra citata, § 119), la Grande Camera ha concluso che l’assenza di ricorsi avverso una decisione di assegnazione a un livello di sorveglianza elevato («E.I.V.») che non comporti alcuna limitazione di un diritto di «carattere civile» (influendo, ad esempio, sulle visite dei famigliari o sulla corrispondenza di un detenuto) non poteva essere considerata un diniego di accesso a un tribunale. Aggiunge che il settore E.I.V. sarebbe molto simile al circuito AS (l’unica differenza effettiva, secondo il Governo, sarebbe costituita dal fatto che il primo era destinato ai membri della mafia mentre il secondo si applicherebbe anche ai terroristi). Il settore E.I.V. sarebbe stato assorbito dal circuito AS in seguito alla circolare n. 3619 del 21 aprile 2009.

83. Il Governo considera che, nel caso di specie, l’assegnazione al circuito AS di per sé non abbia inciso sui diritti di carattere civile del ricorrente e che l’articolo 6 § 1 della Convenzione non sia applicabile a tale riguardo. L’assegnazione in questione deriverebbe infatti dal potere pubblico accordato dalla legge all’amministrazione dell’istituto penitenziario per motivi logistici e organizzativi.

b) Il ricorrente

84. Il ricorrente fa riferimento essenzialmente agli argomenti formulati per contestare l’eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo (paragrafo 31 supra). Egli sostiene che la sua assegnazione al circuito AS2 e il suo trasferimento in un altro penitenziario interessino i suoi diritti fondamentali e rientrino pertanto nel campo di applicazione dell’articolo 6 della Convenzione.

2.  Valutazione della Corte

85. La Corte rammenta anzitutto la propria constatazione secondo la quale il ricorrente aveva a disposizione un ricorso interno con il quale avrebbe potuto denunciare qualsiasi restrizione secondo lui ingiustificata dei suoi diritti riguardanti le visite dei suoi famigliari, la sua corrispondenza scritta e telefonica o i suoi rapporti con i terzi, o qualsiasi limitazione che sia stata apportata al suo tempo di passeggiata e di partecipazione alle altre attività fuori dalla cella (paragrafo 40 supra).

86. Essa rammenta che, nella causa Enea (sopra citata, §§ 118-120), la Grande Camera ha ritenuto che l’impossibilità di contestare la decisione di assegnazione a un settore penitenziario E.I.V. non fosse costitutiva di una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, a condizione che qualsiasi limitazione di un diritto di «carattere civile» derivante da una tale assegnazione potesse essere oggetto di un ricorso giurisdizionale.

87. La Corte non può che giungere a conclusioni analoghe nel caso di specie. Essa osserva che, analogamente a un’assegnazione a un settore E.I.V., l’assegnazione del ricorrente al circuito AS2 e la sua collocazione nell’istituto penitenziario di Catanzaro non abbiano comportato alcuna limitazione dei diritti in questione. Pertanto, l’eventuale assenza di ricorsi avverso tali misure non può essere considerata un diniego di accesso a un tribunale.
88.  Di conseguenza, questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

E. Motivo di ricorso relativo all’articolo 5 § 3 della Convenzione

89. Al momento della comunicazione del ricorso, il vice-presidente della sezione ha deciso di porre al Governo una questione volta ad accertare se la durata della custodia cautelare subita dal ricorrente sia compatibile con la condizione di giudizio entro un «termine ragionevole» prevista dall’articolo 5 § 3 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti al caso di specie, tale disposizione recita:

«Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura.»

90. Il Governo osserva che il ricorrente non ha formulato motivi di ricorso sotto il profilo dell’articolo 5 § 3 della Convenzione. In ogni caso, esso ritiene che la durata della custodia cautelare dell’interessato (dal 10 giugno 2009 al 21 novembre 2011) non possa essere considerata eccessiva, tenuto conto, a suo parere, della complessità del procedimento penale condotto a suo carico e della gravità dei fatti ascrittigli.

91. Il ricorrente non ha presentato osservazioni in merito.

92.La Corte osserva che, al momento in cui è stato comunicato il ricorso, la vice-presidente ha deciso di porre, d’ufficio, una questione relativa alla durata della custodia cautelare del ricorrente. Nelle sue osservazioni, il Governo ha sottolineato che il ricorrente non si era mai lamentato di tale aspetto nel suo percorso giudiziario. La Corte osserva che, nella sua replica alle osservazioni del Governo, l’avvocato del ricorrente non ha fatto alcuna menzione della questione della durata della custodia cautelare del suo cliente e non ha denunciato una violazione dell’articolo 5 § 3 della Convenzione.

93.In queste circostanze, la Corte ritiene che il ricorrente non desideri che venga proseguito l’esame del motivo di ricorso relativo all’articolo 5 § 3 della Convenzione. Pertanto, essa ritiene che non sia necessario esaminare se tale disposizione sia stata rispettata nel caso di specie.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Presidente
Işıl Karakaş

Cancelliere aggiunto
Abel Campos