Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 marzo 2014 - Ricorsi nn. 3601/08, 3615/08, 3645/08, 3705/08, 3708/08, 5340/08, 5345/08, 6628/08 e 6642/08 Biasucci e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista da Martina Scantamburlo

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA BIASUCCI E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 3601/08, 3615/08, 3645/08, 3705/08, 3708/08, 5340/08, 5345/08, 6628/08 e 6642/08)

SENTENZA

STRASBURGO

25 marzo 2014

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Biasucci e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
András Sajó, presidente,
Helen Keller,
Egidijus KÅ«ris, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 marzo 2014,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi sono nove ricorsi (nn. 3601/08, 3615/08, 3645/08, 3705/08, 3708/08, 5340/08, 5345/08, 6628/08 e 6642/08) proposti contro la Repubblica italiana con i quali alcuni cittadini di questo Stato («i ricorrenti» si veda tabella allegata) hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avvocato T. Costa, del foro di Avellino. Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora e dal suo co-agente, P. Accardo.

3. Il 25 agosto 2011 i ricorsi sono stati comunicati al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti erano impiegati della Provincia di Salerno e svolgevano funzioni di assistenti amministrativi, collaboratori, assistenti tecnici e direttori dei servizi generali e amministrativi in varie scuole (il «personale ATA»). Essi avevano diritto ad uno stipendio base più compensi accessori.

5. In seguito al trasferimento del personale ATA degli enti locali nei ruoli del personale statale, previsto con legge n. 124 del 3 maggio 1999, i ricorrenti, a decorrere dal 31 dicembre 1999, divennero impiegati del Ministero della Pubblica Istruzione («il ministero»). Gli impiegati già in servizio presso il suddetto ministero, che svolgevano le stesse mansioni dei ricorrenti, avevano diritto a una progressione retributiva secondo l’anzianità di servizio.

6. Ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 124 summenzionata, l’anzianità di servizio maturata dai ricorrenti presso l’ente locale di provenienza doveva essere riconosciuta ai fini giuridici ed economici. Tuttavia, il ministero attribuì ai ricorrenti una anzianità fittizia, trasformando la retribuzione base percepita dagli enti locali alla data del 31 dicembre 1999 in anni di anzianità e, nonostante il contratto collettivo nazionale del comparto Scuola, calcolò il loro trattamento economico senza tener conto della reale anzianità di servizio maturata fino a tale data. Inoltre, trasformando la retribuzione base in anni di anzianità fittizia, il ministero tolse dalle ultime buste paga dei ricorrenti tutte le indennità regolarmente riconosciute fino al 31 dicembre 1999.

7. I ricorrenti si rivolsero al giudice del lavoro di Salerno al fine di ottenere il riconoscimento giuridico ed economico dell’anzianità maturata presso gli enti locali di provenienza e, di conseguenza, il versamento della differenza retributiva venutasi a creare a partire del 1° gennaio 2000. Essi sostennero di percepire uno stipendio non corrispondente alla loro anzianità e anche inferiore a quello dei dipendenti che erano sempre stati impiegati presso il ministero.

8 Con molte sentenze, i tribunali accolsero i ricorsi dei ricorrenti e condannarono il ministero a riconoscere l’anzianità maturata dai ricorrenti presso gli enti locali.

9. Il ministero interpose appello avverso queste sentenze. Mentre questi procedimenti erano ancora pendenti, il Parlamento adottò la legge finanziaria per il 2006 («la legge n. 266 del 2005»). L’articolo 1, comma 218, della predetta legge era intitolato «interpretazione autentica dell’articolo 8 della legge n. 124 del 1999»; esso prevedeva che il personale ATA doveva essere inquadrato nella posizione stipendiale della nuova amministrazione sulla base del trattamento economico complessivo degli interessati in godimento all’atto del loro trasferimento.
Nel sistema giuridico italiano, le leggi dette di interpretazione autentica hanno effetto retroattivo, nel senso che l’interpretazione da esse fornita è considerata parte integrante delle disposizioni interpretate dopo l’entrata di vigore di queste ultime.

10. Con molte sentenze, le corti d’appello, tenuto conto della legge n. 266, accolsero gli appelli del ministero.

11. I ricorrenti presentarono ricorsi per cassazione i cui esiti non sono conosciuti.

12. I ricorrenti hanno perso il riconoscimento dell’anzianità maturata alle dipendenze degli enti locali di provenienza. Per di più, il loro stipendio era divenuto inferiore a quello di altri dipendenti del personale ATA che avevano avuto causa vinta e le loro decisioni erano diventate definitive prima dell’entrata in vigore della legge n. 266.

13. Alcune informazioni pertinenti sui fatti relativi a questi procedimenti sono contenute nella tabella riepilogativa allegata.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

14. Fino al 31 dicembre 1999, una parte del personale ATA e degli insegnanti di applicazione tecnica degli istituti scolastici italiani dipendeva dal ministero ed era remunerato in base al contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto Scuola. Al contrario, un’altra parte dell’effettivo dipendeva ed era remunerato, sulla base di un contratto collettivo di lavoro del personale del comparto autonomie locali, dai comuni o dalle province.

15. L’articolo 8, comma 2, della legge n. 124 del 3 maggio 1999 prevedeva che il personale degli enti locali in servizio negli istituti scolastici pubblici alla data della sua entrata in vigore sarebbe stato trasferito nei ruoli del personale ATA dello Stato. A questo personale veniva riconosciuta, ai fini giuridici ed economici, l’anzianità maturata presso gli enti locali di provenienza, precedenti datori di lavoro.

16. Il 20 luglio 2000 l’associazione che rappresentava l’amministrazione (ARAN) concluse un accordo con le organizzazioni sindacali interessate al fine di derogare al principio della conservazione dell’anzianità, posto dalla legge n. 124. Questo accordo fu poi recepito nel decreto ministeriale del 5 aprile 2001.

17. Successivamente, con note del 27 febbraio e del 12 settembre 2003, depositate presso il tribunale di Milano, l’ARAN ha sostenuto che l’accordo in questione non poteva essere qualificato «accordo collettivo» e che intendeva confermare la sua posizione derogando al summenzionato principio di conservazione dell’anzianità.

18. L’articolo 1 della legge finanziaria n. 266 del 2006 prevedeva che il comma 2 dell’articolo 8 della legge n. 124 doveva essere interpretato nel senso che il personale ATA da trasferire nei ruoli del personale statale fosse inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali. Nel sistema giuridico italiano, tali leggi, dette di interpretazione autentica, hanno effetto retroattivo, nel senso che l’interpretazione da esse fornita è considerata parte integrante delle disposizioni interpretate, dopo l’entrata in vigore di queste ultime.

19. L’articolo 2112 del codice civile dispone che in caso di trasferimento il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

A. Giurisprudenza della Corte di cassazione prima dell’adozione della legge n. 266 del 2005

20. Prima che intervenisse la legge n. 266 in questione (paragrafo 19 supra) la giurisprudenza civile dichiarava nullo l’accordo siglato dall’ARAN e le organizzazioni sindacali (paragrafo 16 supra) perché in contrasto con il principio dell’inquadramento nei ruoli del personale dello Stato in base all’anzianità maturata ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 124 (paragrafo 16 supra).

21. Nel 2005 la Corte di cassazione aveva peraltro respinto tutti i ricorsi proposti dal ministero, confermando il diritto all’inquadramento nel ruolo dei dipendenti statali sulla base dell’anzianità maturata dal personale interessato prima del nuovo inquadramento, ossia prima del trasferimento (Cassazione, sezione lavoro, sentenze n. 4722 del 4 marzo 2005, nn. 18652-18657 del 23 settembre 2005 e n. 18829 del 27 settembre 2005).

22. Anche il Consiglio di Stato si era pronunciato nello stesso senso, in particolare nelle sentenze n. 4142/2003 del 6 luglio 2005 e n. 5371 del 6 dicembre 2006.

B.  Le sentenze della Corte costituzionale

23. La Corte costituzionale italiana, nella sentenza n. 234 del 2007, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge finanziaria n. 266 del 2006, basandosi sul fatto che nel sistema giuridico italiano, il legislatore disponeva del potere di emettere leggi interpretative anche incompatibili con il testo della legge interpretata e che di fatto, l’articolo 8, comma 2, della legge n. 124 del 1999 rappresentava una deroga al principio generale in vigore all’epoca pertinente. La Corte costituzionale ha anche ritenuto che la legge n. 266 non creasse alcuna disparità di trattamento tra lavoratori che avevano beneficiato di una sentenza definitiva favorevole e quelli che erano in attesa di ottenere una sentenza definitiva

24. Il 3 giugno 2008, la sezione lavoro della Corte di cassazione invitò la Corte costituzionale a rivedere la sua posizione, tenuto conto dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

25. Con sentenza del 26 novembre 2009 (n. 311), la Corte costituzionale ha respinto il rinvio deciso dalla Corte di cassazione considerando che il divieto di ingerenza del legislatore nelle cause pendenti in cui lo Stato è parte non era assoluto; secondo il parere della Corte costituzionale risultava da diversi esempi giurisprudenziali che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo non aveva voluto porre un divieto assoluto a tale riguardo (si vedano, ad esempio Forrer-Niedenthal c. Germania, n. 47316/99, 20 febbraio 2003; National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997 VII; OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri c. Francia, nn. 42219/98 e 54563/00, 27 maggio 2004) e non aveva considerato contrastanti con l’articolo 6 della Convenzione alcuni interventi retroattivi dei legislatori nazionali. In particolare la legalità di tali interventi era stata riconosciuta quando si presentavano alcune circostanze storiche, come nel caso della riunificazione tedesca. Per quanto riguarda la ratio legis della nuova legge n. 266, la Corte costituzionale ha rilevato l’esigenza di armonizzare il sistema retributivo del personale ATA indipendentemente dalle originarie differenziazioni. Per di più, la Corte costituzionale ha fatto riferimento alla necessità di porre rimedio alla imperfezione tecnica della legge originaria n. 124, la quale prevedeva la possibilità di delegare questa materia all’autonomia delle parti e ad una disciplina regolamentare.

C.  Giurisprudenza della Corte di cassazione dopo l’adozione della legge n. 266 del 2005

26. Dopo l’entrata in vigore della legge n. 266, la Corte di cassazione ha annullato tutte le sentenze favorevoli ai lavoratori ed ha accolto i ricorsi del ministero.

D.  Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6 settembre 2011

27. Con sentenza del 6 settembre 2011, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea («la CGUE») si è pronunciata sulla questione pregiudiziale sollevata dal tribunale di Venezia in merito all’inquadramento del personale ATA. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato la portata della tutela dei diritti dei lavoratori riassunti da un nuovo datore di lavoro. In particolare, trattandosi del calcolo della retribuzione dei lavoratori che sono stati trasferiti, essa ha considerato che il datore di lavoro cessionario poteva benissimo applicare – a partire dalla data del trasferimento – le condizioni lavorative previste dal contratto collettivo in vigore presso di lui, comprese quelle relative alla retribuzione. Ciò premesso, le modalità scelte per tale reintegra salariale dei lavoratori trasferiti dovevano comunque essere conformi all’obiettivo della regolamentazione dell’Unione in materia di tutela dei diritti dei lavoratori trasferiti, fermo restando che questa regolamentazione consiste, essenzialmente, nell’impedire che questi lavoratori siano posti, solo perché trasferiti, in una posizione svantaggiata se raffrontata a quella di cui beneficiavano in precedenza.

28. La CGUE ha sottolineato che nel caso di specie, anziché riconoscere questa anzianità in quanto tale e senza riserva, il ministero aveva calcolato per ogni lavoratore trasferito una anzianità «fittizia», fatto che aveva svolto un ruolo determinante nella fissazione delle condizioni retributive applicabili a questi ultimi da quel momento in poi. Dal momento che le mansioni svolte nelle scuole pubbliche dal personale ATA degli enti locali prima del trasferimento erano analoghe, addirittura identiche, a quelle svolte dal personale ATA impiegato presso il ministero, l’anzianità maturata dal personale presso il datore di lavoro cedente fino al trasferimento avrebbe potuto essere considerata equivalente a quella maturata dal personale ATA con lo stesso profilo e impiegato da sempre presso il ministero.

29. La CGUE ha concluso che quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 (riguardante il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa, di stabilimento o di parti di stabilimento) porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e qualora le condizioni retributive previste da questo contratto siano soprattutto legate all’anzianità, il diritto dell’Unione si oppone al fatto che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro situazione immediatamente precedente al trasferimento, una regressione salariale sostanziale in ragione del fatto che la loro anzianità maturata presso il cedente – equivalente a quella maturata dai lavoratori a servizio del cessionario – non venga tenuta in conto al momento della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. Secondo la CGUE, spetta ai giudici nazionali esaminare se al momento del trasferimento vi sia stata questa regressione retributiva.

30. La CGUE ha ricordato, inoltre, che non era più necessario pronunciarsi sulla compatibilità della legge finanziaria n. 266 (paragrafi 11 e 19 supra) con i principi generali del diritto, quali il principio di tutela giurisdizionale effettiva e il principio della certezza del diritto, perché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva nel frattempo risolto tale questione nella sentenza Agrati e altri c. Italia (nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, 7 giugno 2011).
31.  A seguito di questa sentenza, il giudice del procedimento nazionale a quo ha disposto una perizia al fine di valutare la posizione retributiva dei ricorrenti.

32. Inoltre, con due sentenze del 12 ottobre (n. 20980/121) e 14 ottobre 2011 (n. 21282), la Corte di cassazione, a seguito della sentenza della CGUE, ha rinviato l’esame del procedimento alla corte di appello affinché quest’ultima valutasse se, nel caso di specie, i ricorrenti avessero effettivamente subito una regressione retributiva.

IN DIRITTO

I.   SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

33. Tenuto conto della similitudine dei ricorsi relativamente ai fatti e al problema di merito che essi pongono, la Corte ritiene necessario riunirli e decide di esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

34. I ricorrenti lamentano l’intervento legislativo in pendenza dei loro procedimenti, fatto che, secondo loro, ha violato il diritto ad un processo equo. Essi sostengono che la giurisprudenza aveva già riconosciuto che gli ex dipendenti degli enti locali avevano diritto al riconoscimento della loro anzianità maturata presso gli enti locali di provenienza. Senza intervento legislativo, essi potevano dunque avere una aspettativa legittima, praticamente una certezza, di ottenere soddisfazione. I ricorrenti ritengono che soltanto l’interesse finanziario dell’amministrazione, che non era sufficiente a caratterizzare un motivo imperioso di interesse generale, abbia determinato l’intervento legislativo in questione.
Essi denunciano la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, ai sensi del quale:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»

A.  Sulla ricevibilità

35. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità, dunque lo dichiara ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

a.  I ricorrenti

36. I ricorrenti sostengono che a seguito del loro trasferimento, essi hanno ricevuto trattamenti retributivi nel complesso inferiori a quelli percepiti prima, perché hanno perduto tutti gli elementi delle indennità accessorie di cui godevano per il loro trattamento. Per di più, contrariamente a quanto affermato dal Governo, i ricorrenti sostengono di non essersi mai potuti opporre al loro trasferimento alle dipendenze dello Stato, come ha peraltro riconosciuto la Corte di cassazione nella sentenza del 7 marzo 2007.

37. I ricorrenti ribadiscono di essere stati esclusi da qualsiasi argomentazione contrattuale nonché dai vantaggi previsti soltanto nei contratti degli enti locali, quali le indennità di qualifica, di mensa, di rotazione, di rischio di disponibilità, ecc.

38.Essi rammentano che la Corte di cassazione aveva sottolineato ufficialmente, con giurisprudenza chiara e consolidata, che «la legge è inequivoca nell’attribuire al trasferimento l’effetto di riconoscimento dell’anzianità».

39. Secondo i ricorrenti non vi era alcun imperioso motivo di interesse generale che potesse giustificare l’ingerenza nella gestione del contenzioso giudiziario di cui si tratta nel caso di specie.

40. I ricorrenti rammentano che la legge interpretativa n. 266 del 2005 è intervenuta quasi sei anni dopo la decisione di trasferire il personale, mentre il trasferimento stesso era già stato realizzato da più di cinque anni, e la Corte di cassazione aveva già eliminato qualsiasi eventuale incertezza interpretativa su questo argomento. Inoltre la norma interpretativa era stata dissimulata in una legge finanziaria.

b.  Il Governo

41. Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti e afferma che, a seguito del loro trasferimento, essi avrebbero continuato a svolgere le stesse mansioni con la stessa retribuzione e che tutta l’anzianità maturata era stata riconosciuta ai fini pensionistici. L’unica differenza, secondo il Governo, era che l’anzianità maturata mentre erano in servizio presso gli enti locali non poteva comportare un aumento salariale rispetto al trattamento economico degli interessati prima del loro trasferimento.

42. Inoltre, il Governo rammenta che questa interpretazione della legge n. 124 del 1999 era stata recepita da uno dei contratti siglati dall’amministrazione (ARAN) e dai rappresentanti sindacali degli impiegati poi confermato nel decreto ministeriale del 5 aprile 2001.

43. Secondo il Governo, poiché i contenziosi si erano moltiplicati su tutto il territorio, il legislatore era intervenuto con una legge interpretativa al fine di colmare il vuoto giuridico che si era creato, tenendo conto della difficoltà di regolare questa materia attraverso contratti collettivi o tramite il potere regolamentare: lo scopo era quello di evitare aumenti ingiustificati degli stipendi e una disparità di trattamento tra diverse categorie di impiegati. Secondo il Governo, non si può parlare di reformatio in peius della posizione di ricorrenti.

44. A tale riguardo, il Governo rammenta le grandi linee della giurisprudenza della Corte in materia di interventi legislativi e fa riferimento soprattutto alla sentenza Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia del 9 dicembre 1994 (serie A n. 301-B) nonché alle sentenze, sopra citate, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, Forrer-Niedenthal c. Germania e OGIS-Institut Stanislas e altri c. Francia, a anche alla sentenza Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri c. Francia ([GC], nn. 24846/94 e da 34165/96 a 34173/96, CEDU 1999-VII),

45. Nelle presenti cause i ricorrenti, che non disponevano di una sentenza definitiva ed esecutiva, hanno tentato di approfittare di un colpo di fortuna e di un vuoto giuridico, come pure dell’inadeguatezza dei contratti collettivi di lavoro e dell’incapacità delle autorità pubbliche di regolare questa materia. L’intervento del legislatore era dunque perfettamente prevedibile e rispondeva ad una evidente ed imperiosa giustificazione di interesse generale (OGIS-Institut Stanislas e altri, sopra citata). Secondo il Governo, questa situazione è simile a quella del legislatore nella causa «Building Societies» c. Regno Unito, sopra citata. Inoltre, esso ritiene che nel caso di specie l’intervento del legislatore abbia permesso di prevenire situazioni discriminatorie all’interno del personale ATA. Conclude che esisteva proprio un imperioso motivo di interesse pubblico nel senso della giurisprudenza della Corte.

46. Infine, il Governo rammenta che la Corte costituzionale ha dichiarato che l’intervento del legislatore non era contrario né alla Costituzione italiana né alla Convenzione.

2.  Valutazione della Corte

47. La Corte ribadisce che, se in linea di principio il potere legislativo non impedisce in materia civile di regolamentare i diritti derivanti da leggi in vigore con nuove disposizioni che agiscono retroattivamente, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’articolo 6 contrastano, fatti salvi imperiosi motivi di interesse generale, con l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla conclusione giudiziaria di una controversia (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis sopra citata, § 49; Zielinski e Pradal & Gonzalez e altri, sopra citata, § 57). La Corte rammenta, inoltre, che l’esigenza della parità delle armi implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una possibilità ragionevole di presentare la propria causa in condizioni che non la pongano in una situazione di netto svantaggio rispetto alla parte avversa (si vedano in particolare le sentenze Dombo Beheer B.V. c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1993, § 33, serie A n. 274, e Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis, sopra citata, § 46).

48. Nel caso di specie, la Corte nota che l’articolo 1 della legge n. 266 del 2005 comportava una interpretazione autentica dell’articolo 8 della legge n. 124 del 1999 e prevedeva che il personale ATA doveva essere inserito nei ruoli della nuova amministrazione sulla base del trattamento retributivo globale applicabile al momento del cambiamento. La Corte nota anche che molte leggi dette di interpretazione autentica hanno un effetto retroattivo, nel senso che esse forniscono una interpretazione che è considerata integrata nelle disposizioni interpretate dall’entrata in vigore di queste ultime.

49. Nelle circostanze del caso di specie, l’articolo 1 della legge n. 266, che escludeva dal suo campo di applicazione soltanto le decisioni giudiziarie passate in giudicato, fissava definitivamente e in maniera retroattiva i termini della discussione sottoposta ai giudici.

50.Visto che le azioni proposte da tutti gli attuali ricorrenti dinanzi ai giudici nazionali erano pendenti al momento della promulgazione della legge in causa (Agrati e altri c. Italia, sopra citata, §§ 65 66 e 84-85), quest’ultima ha dunque regolato l’esame di merito delle relative liti e reso vana la prosecuzione dei procedimenti.

51. Per quanto riguarda i motivi imperativi di interesse generale richiamati dalla Corte costituzionale nella sentenza del 26 novembre 2009 poi ripresi dal Governo, questi deriverebbero dalla necessità di rimediare a una imperfezione tecnica della legge originale n. 124 e di prevenire la creazione di situazioni discriminatorie tra i dipendenti dello Stato e quelli degli enti locali.

Ora, per quanto riguarda la decisione della Corte costituzionale, la Corte rammenta che questa non può essere sufficiente per stabilire la conformità alla Convenzione della contestata legge n. 266 (Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri, sopra citata, § 59).

52. La Corte nota, inoltre, che soltanto dopo un periodo di cinque anni il legislatore ha ritenuto dover adottare nel caso di specie una norma interpretativa nonostante l’interpretazione della Corte di cassazione fosse stata fino ad allora costante. Dunque, essa non ritiene convincente l’argomento del Governo secondo il quale vi era un «vuoto giuridico» da colmare.

53. In effetti, la Corte ritiene che lo scopo invocato dal Governo, ossia la necessità di colmare un «vuoto giuridico» e di eliminare le disparità di trattamento tra i dipendenti, fosse volto in realtà a preservare unicamente l’interesse finanziario dello Stato diminuendo il numero di procedimenti pendenti negli uffici giudiziari.

54. Nessuno degli argomenti presentati dal Governo convince  dunque la Corte in merito alla legittimità e alla proporzionalità dell’ingerenza. Tenuto conto di quanto sopra esposto, il contestato intervento legislativo, volto a disciplinare definitivamente e in maniera retroattiva il merito delle controversie che dinanzi ai giudici nazionali opponeva i ricorrenti allo Stato, non era giustificato da motivi imperiosi di interesse generale.

55. Pertanto la Corte conclude per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE

56. I ricorrenti lamentano di essere stati discriminati rispetto agli altri ex colleghi del personale ATA che hanno avuto causa vinta tramite alcune decisioni divenute definitive prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Essi invocano l’articolo 14 della Convenzione che dispone quanto segue:

«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione»

57. La Corte osserva che questo motivo di ricorso è strettamente collegato a quello relativo all’articolo 6 della Convenzione e anch’esso deve essere dichiarato ricevibile. Tuttavia, tenuto conto delle conclusioni alle quali è giunta dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 (paragrafi 54 e 55 supra), la Corte non ritiene necessario esaminarlo separatamente.

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

58. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

59.I ricorrenti non hanno presentato alcuna domanda di equa soddisfazione entro il termine che era stato loro impartito, benché con la lettera che era stata loro inviata il 5 gennaio 2012 la cancelleria avesse richiamato la loro attenzione sull’articolo 60 del regolamento della Corte, che dispone che ogni richiesta di equa soddisfazione ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione deve essere esposta entro il termine fissato per la presentazione delle osservazioni scritte sul merito congiuntamente o in un documento separato.

60.  Pertanto, la Corte ritiene che non sia necessario accordare somme a titolo dell’articolo 41 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÁ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Dichiara i ricorsi ricevibili;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara non doversi esaminare il motivo di ricorso relativo all’articolo 14 della Convenzione.


Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 5 [sic] marzo 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento

András Sajó
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere