Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 4 febbraio 2014 - Ricorso n. 25376/06 - Ceni c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CENI c. ITALIA

(Ricorso n. 25376/06)

SENTENZA
(merito)

STRASBURGO
4 febbraio 2014

 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Ceni c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
 

Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 7 gennaio 2014,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 25376/06) proposto contro la Repubblica italiana con cui una cittadina di tale Stato, la sig.ra Rolanda Ceni («la ricorrente»), ha adito la Corte il 17 giugno 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. La ricorrente è stata rappresentata dall’avvocato C. Colinet, del foro di Firenze. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, G.M. Pellegrini.
  3. La ricorrente sostiene che la decisione di sciogliere un contratto preliminare di compravendita immobiliare di cui essa era parte contraente, presa dal curatore nell’ambito della procedura fallimentare riguardante il suo co-contraente, ha leso i suoi diritti garantiti dagli articoli 6, 8 e 13 della Convenzione e dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
  4. Il 22 marzo 2013 il ricorso è stato comunicato al Governo. Come consentito dall'articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.

    IN FATTO

    I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
     
  5. La ricorrente è nata nel 1953 e risiede a Firenze.
  6. Nel giugno 1992 la ricorrente decise di acquistare dall’impresa X un appartamento in costruzione al prezzo di 310.000.000 lire italiane (ITL), ossia circa 160.101 euro (EUR). Il 13 giugno 1992 versò un acconto di 10.000.000 ITL (circa 5.164 EUR) a titolo di cauzione. Il 3 luglio 1992 la ricorrente firmò un contratto preliminare di compravendita, versò un ulteriore acconto di 36.500.000 ITL (circa 18.850 EUR) ed effettuò altri pagamenti scaglionati in funzione dell'avanzamento dei lavori di costruzione versando così all'impresa X la somma totale di 415.577.434 ITL (circa 214.627 EUR), superiore al prezzo di vendita convenuto.
  7. Nel marzo 1995 la ricorrente si sistemò nell'appartamento in questione dove stabilì la sua residenza principale.
  8. Il 14 marzo 1997, basandosi sull'articolo 2932 del codice civile («il CC»), la ricorrente, al fine di ottenere il trasferimento della proprietà per via giudiziaria, convenne dinanzi al tribunale di Firenze il rappresentante dell’impresa X, il quale si rifiutava di stipulare il contratto di vendita definitivo.
  9. Il 26 novembre 1997 l’impresa X fu dichiarata in stato di fallimento, fatto che provocò l’interruzione de jure del procedimento civile avviato dalla ricorrente.
  10. Il 3 febbraio 1998 il curatore fallimentare nominato nell'ambito della procedura di fallimento comunicò alla ricorrente la sua decisione di sciogliere il contratto preliminare di compravendita in applicazione dell'articolo 72, comma 4, della legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942).
  11. Il 5 maggio 1998 il curatore informò l'interessata che i beni immobiliari che costituivano l'attivo fallimentare sarebbero stati venduti all'asta e invitava la ricorrente a restituire l'appartamento che occupava senza titolo. A seguito delle trattative avviate dalla ricorrente, il curatore indicò a quest'ultima che, per evitare la vendita all'asta dell’appartamento, avrebbe dovuto versare la somma di 324.000.000 ITL (circa 167.332 EUR). Poiché la ricorrente non disponeva di questa somma, il 21 gennaio 1999 le fu chiesto di pagare una indennità d'occupazione mensile di 700.000 ITL (circa 361 EUR), con decorrenza dicembre 1997, ossia la somma complessiva di 9.100.000 ITL (circa 4.699 EUR).
  12. Il 25 febbraio 1999 l'appartamento fu venduto all'asta. La ricorrente afferma di non aver avuto alcuna comunicazione in proposito. Il bene in questione fu acquistato dai coniugi Y al prezzo di 227.000.000 ITL (circa 117.235 EUR), e l'iscrizione dell'azione introdotta dalla ricorrente ai sensi dell'articolo 2932 CC fu cancellata dai registri immobiliari.
  13. Il 18 maggio 1999 la ricorrente avviò un'azione giudiziaria per ottenere l'annullamento della decisione con cui il curatore fallimentare scioglieva il contratto preliminare di compravendita e del trasferimento della proprietà dell'appartamento ai coniugi Y.
  14. Il 25 maggio 1999 la ricorrente chiese l'ammissione al passivo fallimentare delle somme che aveva pagato all'impresa X. Il 22 luglio 1999 chiese al giudice delegato del fallimento di revocare la cancellazione della sua azione giudiziaria basata sull'articolo 2932 CC.
  15. Nel frattempo, il 12 luglio 1999, i coniugi Y avevano intimato alla ricorrente di lasciare l'appartamento in causa entro dieci giorni. L’interessata si oppose all'esecuzione del suo sfratto in pendenza delle azioni giudiziarie aventi ad oggetto il titolo di proprietà di questo bene. Il giudice di Pontassieve (Firenze) accolse la richiesta di sospensione temporanea di tale esecuzione, previo pagamento da parte della ricorrente di una cauzione di 5.000.000 ITL (circa 2.582 EUR).
  16. Nel frattempo, su richiesta della ricorrente, era stato riassunto il procedimento avviato da quest'ultima in base all'articolo 2932 CC.
  17. Con sentenza del 4 ottobre 1999, depositata il 23 ottobre 1999, il tribunale di Firenze respinse la richiesta della ricorrente.
  18. Il tribunale osservò che, ai sensi dell'articolo 72, comma 4, della legge fallimentare, se la proprietà del bene venduto non era stata trasferita all'acquirente, il curatore fallimentare poteva scegliere tra l’esecuzione del contratto e il suo scioglimento precisando che, secondo la dottrina e la giurisprudenza nazionali, questa scelta poteva essere effettuata anche in pendenza dell’azione basata sull'articolo 2932 CC. Peraltro, il tribunale rilevò che se il liquidatore giudiziario optava per lo scioglimento, non era più possibile pronunciare un giudizio in base a tale articolo. Aggiunse che, in questo caso, il contratto firmato il 3 luglio 1992 era un contratto preliminare di compravendita e che, indipendentemente dalla presa di possesso dell'appartamento e dal pagamento del prezzo di vendita da parte della ricorrente, non aveva come effetto quello di trasferire la proprietà. Poiché la ricorrente aveva invocato l'articolo 47 della Costituzione, relativo alla tutela del diritto all'acquisto dell'abitazione principale, per eccepire l'incostituzionalità dell'articolo 72, comma 4, della legge fallimentare, il tribunale di Firenze respinse questa eccezione di incostituzionalità in quanto manifestamente infondata, dal momento che il legislatore poteva operare un bilanciamento tra questo diritto e altri motivi di interesse pubblico.
  19. La ricorrente interpose appello. Inoltre, il 12 novembre 1999 chiese alla procura di Firenze di indagare sull'esistenza di eventuali reati di cui essa avrebbe potuto essere vittima; in merito a questa richiesta non ricevette alcuna risposta.
  20. Con sentenza del 10 luglio 2001, depositata il 14 agosto 2001, la corte d'appello di Firenze confermò la sentenza di primo grado ritenendo che il tribunale di Firenze avesse correttamente motivato tutti i punti controversi. Osservò tuttavia che lo scioglimento di contratti analoghi a quello firmato dalla ricorrente era spesso fonte di gravissimo disagio economico perché, in caso di fallimento dei costruttori, gli acquirenti rischiavano di perdere non soltanto i loro beni immobiliari ma anche le somme che avevano versato. Indicò che poteva soltanto auspicare un intervento del legislatore a tale proposito.
  21. La ricorrente propose ricorso per cassazione.
  22. Con sentenza del 21 settembre 2005, depositata il 22 dicembre 2005, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d'appello avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il ricorso della ricorrente.
  23. Nel frattempo, il 26 giugno 2001, il tribunale di Pontassieve aveva respinto l'opposizione formulata dalla ricorrente avverso l'esecuzione del suo sfratto. Questa sentenza fu confermata in appello il 23 aprile 2004. La ricorrente ricevette più visite dell’ufficiale giudiziario e una parte del suo stipendio fu assoggettata a pignoramento.
  24. Sempre nello stesso periodo, il 25 febbraio 2004 la ricorrente aveva presentato una nuova istanza di sospensione del suo sfratto per ragioni di salute, e il giudice aveva quindi fissato l'udienza al 9 marzo e poi al 29 marzo 2004.
  25. In tale ultima data i coniugi Y proposero alla ricorrente di venderle l'appartamento al prezzo di 190.000 EUR.
  26. L'esecuzione forzata dello sfratto, fissata al 28 luglio 2004 non riuscì e fu rinviata al 22 ottobre 2004 in quanto il prefetto non aveva autorizzato l'ufficiale giudiziario a far intervenire la forza pubblica. Lo sfratto fu successivamente rinviato di tre mesi in tre mesi in quanto l'ufficiale giudiziario si presentava ogni volta non accompagnato da agenti della forza pubblica.
  27. Nel maggio 2005 la ricorrente firmò con i coniugi Y un preliminare di compravendita per un prezzo di 190.000 EUR. Il contratto di vendita fu firmato il 6 ottobre 2005, data in cui la ricorrente divenne proprietaria dell'appartamento in cui risiedeva.
  28. La ricorrente indica che, non avendo avuto accesso al prestito bancario, ha dovuto indebitarsi presso famigliari e amici per raccogliere la somma richiesta e che suo marito è stato costretto ad accettare un lavoro in Siberia per ottenere un’entrata economica più consistente.

    II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
     
  29. L’articolo 2932 CC recita:
    «Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
    Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.»
  30. Così come era in vigore all'epoca dei fatti, l'articolo 72, comma 4, della legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942) è così formulato:
    « In caso di fallimento del venditore, se la cosa venduta è già passata in proprietà del compratore, il contratto non si scioglie. Se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore ha la scelta fra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto. In caso di scioglimento del contratto il compratore ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.»
  31. La legge fallimentare è stata poi modificata da più interventi del legislatore (decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006, decreto legislativo n. 169 del 12 settembre 2007 e legge n. 134 del 7 agosto 2012). Nelle sue parti pertinenti al caso di specie, l'articolo 72 della suddetta legge è ormai così formulato:
    «Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto (…) rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.
    Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.
    La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell'art. 72-bis.
    In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.
    (...)
    In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'art. 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.
    Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente.»
  32. Il legislatore ha anche aggiunto a questa legge l’articolo 72 bis intitolato «contratti relativi ad immobili da costruire», ai sensi del quale:
    «I contratti di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 20 giugno 2005 n. 122 si sciolgono se, prima che il curatore comunichi la scelta tra esecuzione o scioglimento, l'acquirente abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, dandone altresì comunicazione al curatore. In ogni caso, la fideiussione non può essere escussa dopo che il curatore ha comunicato di voler dare esecuzione al contratto.»

    IN DIRITTO

    I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE
     
  33. La ricorrente ritiene che la decisione del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare di compravendita immobiliare di cui essa era parte contraente ha violato l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulato:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
  34. Il Governo contesta questa tesi.
    A. Sulla ricevibilità
    1. L'eccezione del Governo basata sulla inapplicabilità dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione
    a) L'eccezione del Governo
  35. Il Governo considera questo motivo di ricorso incompatibile ratione materiae con le disposizioni dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Sottolinea che, nel diritto italiano, un contratto preliminare di compravendita non opera un trasferimento di proprietà della cosa, che avviene soltanto al momento della eventuale conclusione di un contratto futuro e diverso detto «contratto definitivo». Il Governo indica che l'effetto più importante del contratto preliminare è quello di obbligare le parti a firmare il contratto definitivo. Sostiene che, nel caso di specie, la cosa venduta non esisteva al momento della conclusione del contratto preliminare in quanto l'appartamento non era ancora stato costruito e che, pertanto, le parti avevano previsto un trasferimento di proprietà successivo. Aggiunge che, quando tutte le condizioni previste nel contratto preliminare sono soddisfatte, ogni parte può chiedere la conclusione del contratto definitivo e che, se una delle parti rifiuta di concludere quest'ultimo contratto, l'altra parte può chiedere il trasferimento della proprietà per via giudiziaria in virtù dell'articolo 2932 CC. Invocando l’articolo 72 comma 4 del regio decreto n. 267 del 1942, il Governo ritiene tuttavia che un trasferimento di questo tipo non possa aver luogo se il venditore è stato dichiarato in stato di fallimento e se il curatore nominato decide di sciogliere i contratti preliminari firmati dal venditore. Aggiunge che questa disposizione è coerente con la finalità della procedura di fallimento, ossia la liquidazione di tutti i debiti, e con i suoi effetti, ossia la gestione del patrimonio del fallito da parte del curatore fallimentare.
  36. Alla luce di quanto sopra esposto, il Governo ritiene che la ricorrente non fosse titolare di un «bene» secondo i termini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e, di conseguenza, considera che firmando il contratto preliminare di compravendita, essa non fosse divenuta proprietaria dell’appartamento, ma avesse semplicemente acquisito il diritto di obbligare il venditore a concludere il contratto definitivo.
    b) La replica della ricorrente
  37. La ricorrente dichiara di aver concluso un contratto preliminare di compravendita con l'impresa X e di aver pagato un prezzo superiore a quello fissato nel contratto stesso. Essa ritiene che aveva dunque il diritto di diventare proprietaria dell'appartamento in questione e che il solo elemento che glielo impedisse fosse la mancata firma di un atto notarile di compravendita, aggiungendo che abitava nell'appartamento, che è dunque diventato la sua abitazione e il centro della sua vita familiare ed affettiva.
    c) Valutazione della Corte
    i. Principi generali
  38. La Corte rammenta che la nozione di «beni» richiamata nella prima parte dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione ha una portata autonoma che non si limita alla proprietà di beni materiali e che è indipendente dalle qualificazioni formali del diritto nazionale: ai fini di questa disposizione anche alcuni altri diritti e interessi che costituiscono degli attivi possono essere considerati «diritti patrimoniali» e quindi «beni». In ogni causa è importante esaminare se le circostanze, complessivamente considerate, abbiano reso il ricorrente titolare di un interesse sostanziale tutelato da questo articolo (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 54, CEDU 1999-II, Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, § 100, CEDU 2000‑I, eDepalle c. Francia [GC], n. 34044/02, § 62, 29 marzo 2010). L’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione non garantisce un diritto all’acquisizione dei beni (Slivenko e altri c. Lettonia [GC] (dec.), n. 48321/99, § 121, CEDU 2002-II); tuttavia, il fatto che un diritto di proprietà sia revocabile in alcune condizioni non impedisce che quest’ultimo sia considerato un «bene» ai sensi di questa disposizione, almeno fino alla sua revoca (Beyeler, sopra citata, § 105, e Moskal c. Polonia, n. 10373/05, §§ 38 e 40, 15 settembre 2009).
  39. La Corte rammenta anche che la nozione di «beni» può riguardare sia «beni effettivamente esistenti» che valori patrimoniali, compresi i crediti, in virtù dei quali il ricorrente può aspirare ad avere almeno una «aspettativa legittima» di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (si vedano, fra altre, Pressos Companía Naviera S.A. c. Belgio, 20 novembre 1995, § 31, serie A n. 332, Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, § 35, CEDU 2004-IX, e Association nationale des pupilles de la Nation c. Francia (dec.), n. 22718/08, 6 ottobre 2009). L’aspettativa legittima di poter continuare a godere del bene deve poggiare su una «base sufficiente nel diritto interno», ad esempio quando è confermata da una consolidata giurisprudenza o quando è fondata su una disposizione legislativa o su un atto legale riguardante l’interesse patrimoniale in questione (Kopecky, sopra citata, § 52, Depalle, sopra citata, § 63, e Saghinadze e altri c. Georgia, n. 18768/05, § 103, 27 maggio 2010). Una volta acquisito ciò, può entrare in gioco la nozione di «aspettativa legittima» (Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 63, CEDU 2005‑IX).
  40. Al contrario, la Corte ritiene che la speranza di vedersi riconoscere un diritto di proprietà che si è nell’impossibilità di esercitare effettivamente non possa essere considerata un «bene» ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, e lo stesso vale per un credito condizionato che si estingue per la mancata realizzazione della condizione (Malhous c. Repubblica Ceca (dec.), n. 33071/96, CEDU 2000‑XII, Principe Hans‑Adam II c. Germania [GC], n. 42527/98, § 85, CEDU 2001‑VIII, e Nerva c. Regno Unito, n. 42295/98, § 43, 24 settembre 2002).
  41. Allo stesso modo, la Corte precisa che il diritto di abitare in un una determinata casa, di cui non si è proprietari, non costituisce un «bene» ai sensi dell'articolo sopra citato (Panchenko c. Ucraina, n. 10911/05, § 50, 10 dicembre 2010, H.F. c. Slovacchia (dec.), n. 54797/00, 9 dicembre 2003, Kovalenok c. Lettonia (dec.), n. 54264/00, 15 febbraio 2001, e J.L.S. c. Spagna (dec.), n. 41917/98, 27 aprile 1999). Tuttavia, nella causa Saghinadze e altri sopra citata (§§ 104-108), la Corte ha qualificato «bene» il diritto di utilizzare una piccola casa, che era stato esercitato in buona fede e con la tolleranza delle autorità per più di dieci anni nonostante mancasse un titolo di proprietà regolarmente registrato.
    ii. Applicazione di questi principi al caso di specie
  42. La Corte rileva che tra le parti non viene contestato il fatto che la ricorrente non ha mai avuto, ai sensi del contratto preliminare di compravendita da lei concluso con l'impresa X, il diritto di proprietà sull'appartamento in causa. Questo contratto preliminare di compravendita non conferiva un diritto di questo tipo all'interessata in quanto prevedeva un semplice impegno alla conclusione di un altro contratto, detto «definitivo», che in futuro avrebbe operato il trasferimento di proprietà del bene. La Corte nota tuttavia che non è stato possibile firmare quest'ultimo contratto a causa del rifiuto del rappresentante dell'impresa X di recarsi presso un notaio per procedere alla sua conclusione e che la dichiarazione di fallimento della predetta impresa, assieme alla decisione del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare, non ha permesso alla ricorrente di ottenere la pronuncia di una sentenza che dichiarasse il trasferimento di proprietà per via giudiziaria conformemente all'articolo 2932 CC. A tale proposito essa nota che il Governo sottolinea correttamente questo punto (paragrafi 35-36 supra).
  43. Peraltro, la Corte osserva che comunque, dopo aver firmato il contratto preliminare di compravendita, versato degli acconti ed effettuato i pagamenti successivi in funzione dello stato di avanzamento dei lavori (paragrafo 6 supra), la ricorrente si era trasferita nell'appartamento e vi aveva stabilito la sua residenza principale nel marzo 1995 (paragrafo 7 supra). La Corte nota anche che la ricorrente, avendo integralmente adempiuto al suo obbligo di pagare il prezzo della cosa venduta, sapeva che il rappresentante dell'impresa X aveva l'obbligo, in base al contratto preliminare, di firmare il contratto definitivo e che in caso di rifiuto da parte di quest’ultimo essa poteva rivolgersi a un giudice per ottenere una sentenza che disponesse il trasferimento della proprietà. La Corte deduce, dunque, che la ricorrente aveva un’aspettativa legittima di divenire la proprietaria dell’appartamento o, in mancanza, di ottenere la restituzione delle somme che aveva versato. Essa constata che è soltanto a causa di una serie di eventi che sfuggono interamente al controllo della ricorrente (ossia il fallimento dell'impresa X e le decisioni prese dal curatore fallimentare) che quest’ultima si è trovata nella impossibilità di divenire la proprietaria del bene che aveva pagato e per il quale aveva firmato il contratto preliminare di compravendita.
  44. In conclusione, la Corte considera che, nelle circostanze particolari della presente causa, l'aspettativa legittima della ricorrente, collegata a interessi patrimoniali quali il pagamento integrale del prezzo di vendita e la presa di possesso dell’appartamento, fosse sufficientemente importante per costituire un interesse sostanziale, dunque un «bene» ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, il quale è di conseguenza applicabile nel caso di specie (si vedano, mutatis mutandis, Stretch c. Regno Unito, n. 44277/98, §§ 32-35, 24 giugno 2003, Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfi c. Turchia, nn. 37639/03, 37655/03, 26736/04 e 42670/04, § 50, 3 marzo 2009, Plalam S.P.A. c. Italia, n. 16021/02, § 42, 18 maggio 2010, e Di Marco c. Italia, n. 32521/05, § 53, 26 aprile 2011).
  45. L’eccezione del Governo non può dunque essere presa in considerazione.
    2. Altri motivi di irricevibilità
  46. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità; lo dichiara dunque ricevibile.
    B. Sul merito
    1. Argomenti delle parti
    a) La ricorrente
  47. La ricorrente dichiara di essere stata privata del suo diritto di diventare proprietaria dell'appartamento in causa, senza alcun indennizzo, in ragione della decisione discrezionale del curatore di sciogliere unilateralmente il contratto preliminare di compravendita. Considera che il curatore fallimentare ha in tal modo arricchito il patrimonio del fallito di un attivo immobiliare mentre ha impoverito il suo, dal momento che essa ha perduto al tempo stesso la sua abitazione principale e le somme da lei versate al costruttore.
  48. Essa aggiunge che il contratto preliminare da lei firmato datava 1992, ossia cinque anni prima della dichiarazione di fallimento dell'impresa X, che indicava il prezzo del tutto conforme al valore di mercato dell'appartamento e che non era pertanto fraudolento.
  49. La ricorrente precisa anche che, in conseguenza dello scioglimento del contratto preliminare, aveva potuto ottenere soltanto l’ammissione del suo credito al passivo fallimentare e che, trattandosi di un credito non privilegiato, le possibilità di recuperare, sia pure parzialmente, le somme versate si erano rivelate minime. A tale proposito, essa indica che, secondo l'ultimo piano di riparto, l’ammontare dei crediti privilegiati, fra i quali figuravano quelli delle banche, oltrepassava ampiamente l'attivo fallimentare. La ricorrente considera così che l'interesse generale invocato dal Governo corrisponde in realtà a un interesse privato ben specifico, ossia quello delle banche che finanziano l'attività edilizia, e che questo interesse è prevalso su quello degli acquirenti che, secondo lei, hanno ugualmente contribuito al finanziamento di questa attività.
  50. In queste condizioni, la ricorrente ritiene che non sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunità (ossia, secondo lei, la tutela dei diritti dei creditori) e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo. Afferma peraltro che la corte d'appello di Firenze ha ammesso questo stato di fatto, precisando che la facoltà del curatore fallimentare di sciogliere il contratto era spesso fonte di problemi molto gravi per gli acquirenti di un appartamento in corso di costruzione. Essa sostiene inoltre che questa facoltà è volta a consentire al curatore fallimentare di recuperare un massimo di attivi da distribuire ai creditori e che gli onorari di tale curatore sono stabiliti in funzione dell'attivo totale del fallimento.
  51. Inoltre, la ricorrente sottolinea che il legislatore è intervenuto per riformare il diritto fallimentare e modificare i poteri dei curatori fallimentari. Essa precisa che, a partire da questa riforma, i curatori non possono più sciogliere i contratti preliminari di compravendita immobiliare registrati e aventi ad oggetto l'abitazione principale o la sede d’impresa dell’acquirente (paragrafi 32 supra) e che, al momento della firma del preliminare di compravendita, i costruttori sono obbligati a sottoscrivere una assicurazione contro il fallimento in favore dell’acquirente.
  52. Precisando che il rappresentante dell'impresa X si era rifiutato di recarsi dinanzi al notaio per procedere alla conclusione di un contratto definitivo, la ricorrente indica di non aver potuto beneficiare della menzionata riforma in quanto, ai sensi del decreto-legge n. 669 del 31 dicembre 1996, soltanto gli atti notarili o le sentenze possono essere registrati, e non le scritture private come il contratto preliminare da lei firmato. Aggiunge che, all’epoca dell’entrata in vigore di questa riforma, essa aveva già avviato l'unica azione che secondo lei era possibile, ossia l'azione per ottenere il trasferimento della proprietà per via giudiziaria (paragrafo 8 supra). Su quest'ultimo punto, il Governo afferma che quest'azione avrebbe potuto essere introdotta prima, già a partire dal 1995. La ricorrente replica che, all’epoca, l’impresa X non aveva ancora ottenuto l'autorizzazione urbanistica per costruire, l’unica che avrebbe permesso al notaio di redigere l’atto di vendita, e che l’individuazione dell’appartamento in causa nei registri del catasto risaliva soltanto al 17 gennaio 1997. Inoltre, per quanto riguarda l'esistenza di una ipoteca iscritta da una banca, l’interessata precisa che questa garanzia non si riferiva all'appartamento in questione, ma al complesso di beni immobiliari appartenenti al costruttore. La ricorrente indica peraltro che, come tutte le imprese edilizie italiane, l'impresa X era totalmente dipendente dalle banche dal punto di vista economico e che, dopo la firma del contratto preliminare di compravendita, quest'ultima aveva fatto iscrivere delle ipoteche sui terreni destinati alla costruzione. La ricorrente deduce che nel 1995 l’impresa X aveva già numerosi debiti e che un’eventuale azione giudiziaria nei suoi confronti aveva scarse possibilità di riuscita.
  53. Inoltre, la ricorrente ritiene che il curatore fallimentare deve essere considerato un agente dello Stato convenuto in quanto è nominato dal giudice delegato ed è un «ausiliario giudiziario» che esercita una funzione pubblica. Aggiunge che la funzione del curatore consiste nel soddisfare quanto più possibile i creditori oltre che nell’amministrare e liquidare il patrimonio del fallito e che, nell’ambito dei suoi poteri stabiliti dalla legge, propone misure ed esegue quelle prese dal giudice delegato al fallimento.
  54. Riferendosi poi ai principi stabiliti dalla Corte nella sentenza Kotov c. Russia ([GC], n. 54522/00, §§ 109-115, 3 aprile 2012), la ricorrente sostiene che, nell'ambito della procedura fallimentare, il Governo non ha soddisfatto gli obblighi positivi che gli derivano dall'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
  55. A questo titolo, la ricorrente constata che lo Stato ha creato un fondo per le vittime di fallimenti immobiliari, fatto che, secondo lei, può essere considerato come una misura positiva in favore delle persone che si trovano nella sua stessa situazione. Tuttavia, essa riferisce che le 12.071 famiglie il cui fascicolo è stato accettato da questo fondo, fra le quali si trova anche la sua, attendono ancora che venga versata la prima quota relativa al loro indennizzo. Afferma che questo fondo dispone di circa 60 milioni di euro e, secondo lei, ciò gli consentirebbe di versare una quota pari all’8% degli indennizzi riconosciuti che, aggiunge, ammontano a 778.730.939 EUR. La ricorrente indica anche che l’attività di questo fondo è limitata al 2020, per cui la promessa di indennizzo che la riguarda è del tutto insignificante rispetto al danno che ritiene di aver subito, dal momento che, a suo parere, potrebbe ottenere il versamento di una somma pari a 13.617,63 EUR per un indennizzo riconosciuto di 167.498,53 EUR.
  56. Alla luce di quanto sopra esposto, la ricorrente considera di aver dovuto sopportare un onere eccessivo ed esorbitante: essa afferma di aver subìto la vendita forzata dell’appartamento che aveva pagato, di aver sborsato una seconda volta il prezzo di vendita di questo bene pagando una somma una volta e mezza più alta di quella che il curatore aveva iscritto all’attivo fallimentare, e di aver dovuto far fronte a numerosi procedimenti giudiziari senza ricevere il minimo indennizzo.
    b) Il Governo
  57. Il Governo indica che, quando, come nel caso di specie, il curatore esercita la facoltà di scioglimento del contratto che gli viene riconosciuta in virtù dell’articolo 72, comma 4, della legge fallimentare, l’acquirente che ha firmato un contratto preliminare di compravendita non viene privato di tutti i suoi diritti. Precisa che, anche se quest’ultimo non ha alcun diritto sulla cosa promessa in vendita, può nell’ambito della procedura fallimentare e sulla base del principio di parità di trattamento dei creditori (par condicio creditorum), recuperare le somme che ha già versato. Aggiunge che, al fine di garantire i diritti dell’acquirente, il decreto-legge n. 669 del 31 dicembre 1996 ha previsto la possibilità di registrare il contratto preliminare di compravendita di un bene immobile nei pubblici registri. Al riguardo, sottolinea che, in virtù dell’articolo 2775 bis CC, se tale registrazione è stata effettuata prima della dichiarazione di fallimento, l’acquirente ha il diritto di vantare un titolo di preferenza nel riparto dei proventi della vendita all’asta del bene in causa. Nel caso di specie, egli afferma che la ricorrente non ha effettuato tale registrazione e quindi deve assumersi i rischi che derivano dalla situazione del venditore.
  58. Il Governo nota poi che una ipoteca per un ammontare di 300.000.000 ITL (circa 154.937 EUR), ossia la quasi totalità del prezzo di vendita dell’appartamento, era stata iscritta da una banca creditrice dell’impresa X. Da ciò deduce che, anche se il curatore avesse scelto di dare esecuzione al contratto preliminare di compravendita, la ricorrente non avrebbe potuto diventare proprietaria dell’appartamento in questione senza spese addizionali. Considera che, al contrario, essa avrebbe dovuto scegliere tra la perdita dell’appartamento e il pagamento della somma corrispondente all’ipoteca o ai crediti delle banche. Infine, afferma di non comprendere perché la ricorrente, che risiedeva in questo appartamento dal marzo 1995 e che aveva a suo dire pagato l’80% del prezzo di vendita di questo bene, abbia atteso due anni prima di avviare un’azione giudiziaria sulla base dell’articolo 2932 CC. Su quest’ultimo punto aggiunge che, nel marzo 1995, il fallimento del venditore non era stato ancora dichiarato, che un’azione giudiziaria avviata dalla ricorrente a tale epoca avrebbe avuto probabilmente un esito favorevole e che l’interessata avrebbe in seguito potuto opporre il diritto di proprietà ottenuto per via giudiziaria al curatore fallimentare. Inoltre nota che, secondo quanto dichiarato dalla ricorrente, all’epoca in cui la stessa ha pagato le somme, il costruttore non aveva ancora ottenuto l’autorizzazione urbanistica a costruire, fatto che per il Governo sta a significare che essa sapeva o avrebbe dovuto sapere che la costruzione era abusiva e che doveva assumersene i rischi.
  59. Alla luce di quanto sopra esposto, il Governo ritiene che la decisione del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare di compravendita abbia mantenuto un giusto equilibrio tra i diritti della ricorrente e gli interessi della società nel suo complesso.
    2. Valutazione della Corte
    a) Sull’esistenza di una ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni
  60. La Corte rileva che, come conseguenza della scelta del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare di compravendita, la ricorrente ha perduto il diritto di ottenere il trasferimento di proprietà dell’appartamento per via giudiziaria. Essa osserva che l’appartamento in questione è stato venduto all’asta e che la ricorrente è stata costretta a far ammettere al passivo fallimentare il suo credito relativo alle somme che aveva pagato (paragrafo 14 supra). Essa nota anche che, tenuto conto dell’ammontare dei debiti dell’impresa X (paragrafo 49 supra) e del fatto che il credito dell’interessata non fosse privilegiato, le possibilità per quest’ultima di recuperare il suo credito sono state considerevolmente ridotte. Inoltre, essa constata che la ricorrente ha dovuto far fronte alla richiesta di pagamento di una indennità di occupazione (paragrafo 11 supra), al pignoramento di una parte del suo stipendio (paragrafo 23 supra) e a numerosi accessi dell’ufficiale giudiziario in vista del suo sfratto (paragrafi 23 e 26 supra), ed è diventata proprietaria del bene in causa soltanto dopo aver pagato una seconda volta il prezzo di vendita (paragrafo 27 supra).
  61. In queste circostanze, la Corte ritiene che la scelta in contestazione abbia costituito una ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni.
    b) Sulla questione di stabilire se questa ingerenza possa essere ascritta direttamente allo Stato
  62. La Corte rileva poi che la scelta in questione è stata effettuata dal curatore fallimentare. È pertanto necessario determinare se le azioni di quest’ultimo e l’ingerenza che ne deriva possano essere ascritte allo Stato. Per questo la Corte deve stabilire se il liquidatore fallimentare abbia agito in quanto agente dello Stato o in quanto privato cittadino.
  63. Nella sentenza Kotov (sopra citata, §§ 91-107), la Grande Camera della Corte ha ritenuto che, viste le regole pertinenti del diritto russo e il ruolo del liquidatore fallimentare, e soprattutto la sua indipendenza operativa e istituzionale, quest’ultimo non poteva essere considerato un agente dello Stato convenuto che, di conseguenza, non poteva essere ritenuto direttamente responsabile delle irregolarità da lui commesse.
  64. La Corte nota che, per la ricorrente, il curatore fallimentare deve essere considerato un agente dello Stato. Essa rileva che l’interessata a tale proposito fa osservare che il curatore fallimentare è designato dal giudice delegato al fallimento, che è un «ausiliario giudiziario» che svolge una funzione pubblica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia e che i suoi poteri sono stabiliti dalla legge (paragrafo 53 supra).
  65. La Corte ritiene tuttavia che gli elementi presentati dalla ricorrente non le permettano di operare una chiara distinzione tra il ruolo del curatore fallimentare in Italia e quello del curatore nel diritto russo. Al riguardo essa nota che in Russia la designazione del curatore era confermata dai giudici, che questi ultimi esercitavano un controllo di legalità sulle azioni del primo e che le funzioni del curatore russo erano simili a quelle del curatore fallimentare italiano (Kotov, sopra citata, §§ 101, 102, 105 e 106). In tali circostanze, la Corte ritiene che nel caso di specie lo Stato convenuto non possa essere considerato direttamente responsabile delle azioni del curatore fallimentare.
  66. Tuttavia, questa conclusione non esime lo Stato da ogni responsabilità dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione: occorre ancora verificare se esso si sia conformato agli obblighi positivi posti a suo carico nel caso di specie.
    c) Sulla questione di stabilire se lo Stato abbia rispettato gli obblighi positivi posti a suo carico nell’ambito della procedura fallimentare
  67. Nella causa Kotov sopra citata (§§ 109-115), la Grande Camera ha così riassunto i principi generali in materia di natura ed estensione degli obblighi positivi dello Stato nell’ambito dei procedimenti fallimentari:
    «109. La Corte ha dichiarato più volte che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 contiene anche alcuni obblighi positivi. Così, nella sentenza Öneryıldız c.Turchia ([GC], n. 48939/99, § 134, CEDU 2004‑XII), che riguardava la distruzione dei beni del ricorrente a seguito di una esplosione di gas, essa ha dichiarato che l’esercizio reale ed efficace del diritto garantito da questa disposizione non dipende unicamente dal dovere dello Stato di astenersi da qualsiasi ingerenza, ma può richiedere alcune misure positive di tutela, soprattutto laddove esiste un nesso diretto tra le misure che un ricorrente potrebbe legittimamente attendersi dalle autorità e il godimento effettivo dei suoi beni da parte dell’interessato. Anche nell’ambito di relazioni orizzontali vi possono essere considerazioni di interesse pubblico in grado di imporre alcuni obblighi allo Stato. Così, nella sentenza Broniowski c. Polonia ([GC], n. 31443/96, § 143, CEDU 2004‑V), la Corte ha dichiarato che gli obblighi positivi derivanti dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 possono comportare per lo Stato alcune misure necessarie per tutelare il diritto di proprietà. Pertanto, considerazioni di interesse generale atte ad imporre alcuni obblighi allo Stato possono entrare in gioco anche nell’ambito di relazioni orizzontali.
    110. Il confine tra obblighi positivi e obblighi negativi dello Stato a titolo dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 non può essere precisamente definito, ma i principi applicabili sono comunque analoghi. Che la causa sia analizzata dal punto di vista di un obbligo positivo dello Stato o da quello di una ingerenza dei poteri pubblici, che deve essere giustificata, i criteri da applicare non sono sostanzialmente diversi. Sia in un caso che nell’altro occorre tener conto del giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concorrenti dell’individuo e quelli dell’intera società. È anche vero che gli obiettivi elencati in questa disposizione possono avere un certo peso al fine di valutare se sia stato mantenuto un equilibrio tra le esigenze dell’interesse pubblico e il diritto fondamentale del ricorrente alla proprietà. In entrambi i casi lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento per stabilire le misure da adottare al fine di assicurare il rispetto della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Hatton e altri c. Regno Unito [GC], n. 36022/97, §§ 98 e segg., CEDU 2003‑VIII, e Broniowski [GC], sopra citata, § 144).
    111. La natura e l’estensione degli obblighi positivi dello Stato variano secondo le circostanze. Ad esempio, nella causa Öneryıldız sopra citata, la privazione di proprietà subita dal ricorrente aveva ad origine una evidente negligenza delle autorità in una situazione particolarmente pericolosa. Al contrario, quando sono in causa relazioni commerciali ordinarie tra privati cittadini, questi obblighi positivi sono ben più limitati. Così la Corte ha sottolineato più volte che l'articolo 1 del Protocollo n. 1 non può essere interpretato nel senso di far pesare sugli Stati contraenti l’obbligo generale di farsi carico dei debiti di enti privati (si vedano, mutatis mutandis, la decisione Shestakov sopra citata [Shestakov c. Russia (dec.), n. 48757/99, 18 giugno 2002] e la sentenza Scollo sopra citata [Scollo c. Italia, 28 settembre 1995, serie A n. 315‑C], § 44; si veda in particolare il ragionamento della Corte nella decisione Anokhin c. Russia (dec.), n. 25867/02, 31 maggio 2007).
    112. Tuttavia, la Corte ha anche dichiarato che, in alcune circostanze, l'articolo 1 del Protocollo n. 1 può imporre «alcune misure necessarie per tutelare il diritto di proprietà (…) anche nel caso in cui abbia ad oggetto una controversia tra persone fisiche o giuridiche» (Sovtransavto Holding sopra citata [Sovtransavto Holding c. Ucraina, n. 48553/99, CEDU 2002‑VII], § 96). Questo principio è stato largamente applicato nel contesto di procedure esecutive a carico di debitori privati (Fuklev sopra citata [Fuklev c. Ucraina, n. 71186/01, 7 giugno 2005], §§ 89-91, Kesyan sopra citata [Kesyan c. Russia, n. 36496/02, 19 ottobre 2006], §§ 79-80; si vedano anche Kin‑Stib e Majkić c. Serbia, n. 12312/05, § 84, 20 aprile 2010, Marčić e altri c. Serbia, n. 17556/05, § 56, 30 ottobre 2007, e, mutatis mutandis, Matheus c. Francia, n. 62740/00, §§ 68 e segg., 31 marzo 2005).
    113. Nella sentenza Blumberga c. Lettonia (n. 70930/01, § 67, 14 ottobre 2008), la Corte ha dichiarato: «ogni violazione del diritto al rispetto dei beni commessa da un privato cittadino fa nascere per lo Stato l'obbligo positivo di garantire nel suo ordinamento giuridico interno che il diritto di proprietà venga sufficientemente tutelato dalla legge e che dei ricorsi adeguati permetteranno alla vittima di tale violazione di far valere i suoi diritti, soprattutto, eventualmente, chiedendo risarcimento del danno subito». Ne consegue che in tali circostanze lo Stato può essere tenuto ad adottare misure preventive o misure risarcitorie.
    114. Fra le misure risarcitorie che lo Stato può essere tenuto ad adottare in alcune circostanze, vi è la istituzione di mezzi di impugnazione adeguati che permettano alla parte lesa di far valere effettivamente i suoi diritti. L'esistenza di obblighi positivi di natura procedurale ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, nonostante il silenzio di questa disposizione su tale punto, è stata riconosciuta dalla Corte sia nelle cause riguardanti alcune autorità dello Stato (Jokela c. Finlandia, n. 28856/95, §45, CEDU 2002‑IV; si veda anche Zehentner c. Austria, n. 20082/02, § 73, 16 luglio 2009) sia nelle cause che vertono, come nel caso di specie, su una controversia che oppone unicamente privati cittadini. Così, in una causa che rientra nella seconda categoria, la Corte ha giudicato che lo Stato aveva l'obbligo di prevedere un procedimento giudiziario che offrisse le garanzie procedurali necessarie e permettesse quindi ai giudici nazionali di dirimere efficacemente ed equamente qualsiasi eventuale controversia tra privati cittadini (Sovtransavto Holding, sopra citata, § 96; si veda anche Anheuser-Busch Inc.c. Portogallo [GC], n. 73049/01, § 83, CEDU 2007‑I, e Freitag c. Germania, n. 71440/01, § 54, 19 luglio 2007).
    115. La Corte rammenta infine che nel controllare il rispetto dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, essa deve eseguire un esame globale dei diversi interessi in gioco tenendo a mente che la Convenzione si prefigge di salvaguardare diritti concreti ed effettivi. Essa deve andare oltre le apparenze e informarsi sulle realtà della situazione denunciata (Plechanow sopra citata [Plechanow c. Polonia, n. 22279/04, 7 luglio 2009], § 101).»
  68. Applicando questi principi alla presente fattispecie, la Corte nota che, pagando interamente il prezzo dell'appartamento all'impresa X, la ricorrente ha corso dei rischi, legati soprattutto alla possibilità di un fallimento di questa impresa. A tale proposito lo Stato non doveva assumersi nessuna responsabilità civile (si veda, mutatis mutandis, Kotov, sopra citata, § 116). Rimane comunque il fatto che, come ha giustamente sottolineato la corte d'appello di Firenze, il potere discrezionale di scioglimento conferito al curatore fallimentare era spesso fonte di danni economici molto importanti, in caso di fallimento dei costruttori, per gli acquirenti di appartamenti in corso di costruzione. Gli acquirenti rischiavano infatti di perdere non soltanto i loro beni, ma anche le somme da loro versate (paragrafo 20 supra).
  69. In queste condizioni, la Corte ritiene che, per effetto degli obblighi derivanti dall'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, lo Stato era tenuto ad instaurare un quadro legislativo adeguato, che prevedesse una protezione minima degli interessi degli acquirenti di buona fede (si veda, mutatis mutandis, Kotov, sopra citata, § 117).
  70. Secondo la Corte, deve essere fatta una distinzione tra la vendita di beni immobili esistenti e la vendita di appartamenti in corso di costruzione. Nel primo caso, il prezzo viene di norma versato dall'acquirente al momento della conclusione dell'atto notarile di vendita, e l'interessato beneficia dunque della garanzia che il trasferimento di proprietà si effettua al momento del pagamento. Nel secondo caso, i pagamenti sono spesso effettuati in base allo stato di avanzamento dei lavori, il prezzo viene versato interamente o quasi interamente dall'acquirente prima della firma dell'atto definitivo di vendita. Resta da stabilire se in quest'ultimo caso, all'epoca dei fatti e relativamente alla presente fattispecie, il diritto italiano offrisse una tutela adeguata agli acquirenti che si trovavano in una situazione analoga a quella della ricorrente.
  71. La Corte prende atto dell'argomento del Governo secondo il quale, ai sensi del decreto-legge n. 669 del 31 dicembre 1996, il contratto preliminare di compravendita di un bene immobiliare può essere registrato nei pubblici registri, fatto che, secondo il Governo, conferisce all'acquirente il diritto di vantare un titolo di preferenza nel riparto dei proventi della vendita all'asta del bene in questione (articolo 2775 bis CC - paragrafo 57 supra). Tuttavia, essa constata che questa riforma legislativa è entrata in vigore dopo la conclusione del contratto preliminare di compravendita firmato dalla ricorrente e, per di più, non era applicabile a quest'ultimo, che non era un atto notarile. Rileva inoltre che l'affermazione della ricorrente su questo punto (paragrafo 52 supra) non è stata smentita dal Governo. La Corte osserva che lo stesso discorso vale per le altre riforme legislative adottate in materia (riguardanti l'impossibilità di sciogliere i contratti preliminari di compravendita immobiliare registrati e aventi ad oggetto l'abitazione principale dell'acquirente, e riguardanti l'obbligo per i costruttori di sottoscrivere un'assicurazione contro il fallimento – paragrafi 31-32 e 51 supra), che sono entrate in vigore dopo il fallimento dell’impresa X e dopo la pronuncia della sentenza della Corte di cassazione nella presente causa (paragrafo 22 supra).
  72. Per quanto riguarda la possibilità per la ricorrente di essere indennizzata dal fondo per le vittime di fallimenti immobiliari, la Corte nota che, secondo le informazioni fornite dall'interessata (paragrafo 55 supra) e non smentite dal Governo, il fondo in questione non ha ancora versato indennizzi e che, viste le risorse di cui dispone, sarebbe in grado di versare alla ricorrente soltanto l'8% dell'indennizzo che le è stato riconosciuto (che ammonta a 167.498,53 EUR). La Corte ritiene dunque aleatorio un indennizzo di questo tipo e in ogni caso insufficiente per risarcire il danno subìto.
  73. In più, la Corte constata che, di fronte al rifiuto del rappresentante dell'impresa X di firmare l'atto notarile definitivo di vendita, la ricorrente ha avviato l'unica azione legale che aveva a disposizione, ossia un'azione volta ad ottenere il trasferimento di proprietà per via giudiziaria conformemente all'articolo 2932 CC. Essa ritiene che l'interessata abbia fornito giustificazioni pertinenti per esporre le ragioni che le hanno impedito di avviare questa azione già dal 1995 (paragrafo 52 supra). Rileva anche che l’iniziativa della ricorrente è stata resa inefficace dalla scelta del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare di compravendita, dal momento che i giudici italiani hanno dichiarato che tale scelta poteva essere fatta ed era vincolante anche quando, come nel caso di specie, era pendente un'azione volta ad ottenere il trasferimento di proprietà per via giudiziaria (paragrafo 18 supra). La Corte ne deduce che la ricorrente è stata privata di qualsiasi tutela effettiva contro la perdita dell'appartamento e delle somme versate per l'acquisto dello stesso, e che è stata obbligata a sopportare un onere eccessivo ed esorbitante.
  74. Peraltro, la Corte nota che la ricorrente non disponeva di alcun ricorso per poter far esaminare l'opportunità e la proporzionalità della scelta del curatore fallimentare, dal momento che quest'ultimo aveva esercitato un potere discrezionale che non poteva essere soggetto al controllo giurisdizionale su richiesta delle parti contraenti del contratto sciolto.
    d) Conclusione
  75. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte considera che nel caso di specie lo Stato non ha soddisfatto gli obblighi positivi derivanti dall'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Ne consegue che vi è stata violazione di questa disposizione.
     
    II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
     
  76. La ricorrente lamenta di aver subìto pressioni economiche e minacce di sfratto dalla sua abitazione. Essa denuncia una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, così formulato:
    «1.Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
  77. Il Governo contesta questa tesi.
  78. La Corte rileva che questo motivo di ricorso è collegato a quello esaminato sopra e deve anch’esso essere dichiarato ricevibile.
    A. Argomenti delle parti
    1. La ricorrente
  79. La ricorrente afferma che, per evitare di essere sfrattata, è stata costretta a riacquistare il «suo» appartamento a un prezzo ben superiore al prezzo di vendita all'asta, indebitandosi presso familiari e amici. Aggiunge che è stata così sottoposta a una tensione che, secondo lei, le ha provocato problemi di salute e che, per poter ottenere una entrata di denaro sufficiente, suo marito è stato costretto ad andare a lavorare in Siberia (paragrafo 28 supra). Essa ritiene che le regole esistenti non le hanno garantito la tutela che la sua situazione vulnerabile avrebbe richiesto.
  80. Inoltre, la ricorrente indica che le pressioni e le minacce di sfratto che ha detto di aver subìto costituiscono una ingerenza nel diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata. Precisa che il curatore fallimentare le aveva proposto una transazione che secondo lei era inaccettabile, che, di fronte al suo rifiuto, le era stato imposto il pagamento di un'indennità di occupazione equivalente a un canone di locazione, e che i nuovi acquirenti del bene le avevano regolarmente e più volte mandato un ufficiale giudiziario per ingiungerle di lasciare l'appartamento.
  81. In più, la ricorrente afferma che non è stata messa in condizione di poter intervenire nella procedura di vendita all'asta dell'appartamento; secondo lei, il curatore fallimentare non l'ha debitamente informata della vendita all’asta di questo bene e non le ha notificato l'importo richiesto per poter partecipare all’asta (paragrafo 12 supra). L'interessata precisa che era possessore di buona fede del bene e constata che non era neanche titolare di un diritto di prelazione sullo stesso.
    2. Il Governo
  82. Il Governo indica che, in caso di scioglimento del contratto preliminare di compravendita, l'acquirente deve restituire la cosa promessa in vendita di cui eventualmente aveva potuto avere la disponibilità. Aggiunge che, nel caso di specie, l'appartamento doveva essere restituito al curatore fallimentare e che non stupisce il fatto che quest'ultimo abbia offerto alla ricorrente la possibilità di riacquistarlo pagandone una seconda volta il prezzo. Il Governo considera che il fatto di aver già pagato il prezzo di vendita dell’appartamento all'impresa X non conferiva a quest’ultima un privilegio rispetto agli altri creditori, ma semplicemente il diritto di chiederne la restituzione nell'ambito della procedura di fallimento.
  83. Il Governo indica anche che dal fascicolo risulta che, il 5 maggio 1998, il curatore fallimentare ha informato la ricorrente della sua intenzione di vendere l'appartamento. Esso ritiene che fosse del tutto ragionevole pensare che l'appartamento in questione dovesse essere venduto all’asta e che gli avvocati che hanno assistito la ricorrente nel corso dei procedimenti giudiziari avrebbero peraltro potuto informarla su questa questione.
  84. Per quanto riguarda la richiesta di pagamento di una indennità di occupazione fatta dal curatore fallimentare alla ricorrente, il Governo precisa che tale richiesta è stata formulata soltanto un anno dopo lo scioglimento del contratto preliminare ed era motivata dal fatto che la ricorrente si rifiutava di lasciare l'appartamento in cui risiedeva ormai senza avervi diritto.
    B. Valutazione della Corte
  85. La Corte ritiene che le doglianze presentate dalla ricorrente relativamente all'articolo 8 della Convenzione si confondano in larga misura con quelle da essa già esaminate relativamente all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Tenuto conto della constatazione relativa a quest'ultima disposizione (paragrafo 75 supra), la Corte ritiene non doversi esaminare se nel caso di specie vi sia stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

    III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLA MANCANZA DI ACCESSO AD UN TRIBUNALE, NONCHE DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE, IN COMBINATO DISPOSTO CON L'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE
     
  86. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, la ricorrente lamenta di non aver avuto nel diritto italiano accesso a un tribunale o a un ricorso effettivo per far valere i suoi motivi relativi all'articolo 8 della Convenzione e all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
    Nelle loro parti pertinenti al caso di specie, queste disposizioni recitano:
    Articolo 6 § 1
    «1.Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) ed entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…).»
    Articolo 13
    «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
  87. Il Governo contesta questa tesi.
    A. Sulla ricevibilità
  88. La Corte, constatando che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità, lo dichiara ricevibile.
    B. Sul merito
    1. Argomenti delle parti
    a) La ricorrente
  89. La ricorrente afferma che il giudice delegato al fallimento ha evitato di esaminare nel merito le scelte effettuate dal curatore fallimentare, visto che questo giudice si è limitato, secondo lei, a sospendere l'azione per l'annullamento dello scioglimento del contratto preliminare di compravendita da lei avviata e la domanda di ammissione del suo credito al passivo fallimentare. Essa considera che il tribunale e la corte d'appello di Firenze nonché la Corte di cassazione si sono limitati a prendere atto della scelta del curatore fallimentare. A tale proposito, essa ritiene che il comportamento dei giudici nazionali costituisca un diniego di giustizia che ha contribuito a svuotare di sostanza il suo credito.
    b) Il Governo
  90. Il Governo indica che la validità della decisione del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare è stata esaminata dettagliatamente dal tribunale, dalla corte d'appello di Firenze e dalla Corte di cassazione. Precisa che quest'ultima ha esplicitato in una sentenza di 25 pagine le ragioni del rigetto della domanda della ricorrente
  91. Peraltro, il Governo afferma che non vi è alcuna prova che l'azione della ricorrente volta all'annullamento dello scioglimento del contratto preliminare sia stata sospesa e che questa lamentata sospensione abbia portato pregiudizio all'interessata.
    2. Valutazione della Corte
  92. La Corte considera che, in primo luogo, questo motivo di ricorso può essere esaminato dal punto di vista dell'articolo 13 della Convenzione.
  93. Essa rammenta che questo articolo garantisce l'esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di far valere i diritti e le libertà della Convenzione così come da essa sanciti. Questa disposizione ha dunque come conseguenza quella di esigere un ricorso interno che permetta di esaminare il contenuto di un «motivo difendibile» basato sulla Convenzione e di offrirne la riparazione adeguata (De Souza Ribeiro c. Francia [GC], n. 22689/07, § 78, 13 dicembre 2012).
  94. Nella fattispecie, la Corte ha concluso che la scelta del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare ha costituito una ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni (paragrafo 61 supra) e che lo Stato non ha soddisfatto gli obblighi positivi posti a suo carico nell'ambito della procedura fallimentare (paragrafo 75 supra). Ne consegue che la ricorrente disponeva di un motivo difendibile secondo il punto di vista dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, e che nel caso di specie trova applicazione l'articolo 13 della Convenzione.
  95. Resta da stabilire se la ricorrente disponesse, nel diritto italiano, di un ricorso effettivo con il quale poter denunciare la violazione del diritto al rispetto dei suoi beni.
  96. A tale proposito, la Corte rammenta che la portata dell'obbligo che l'articolo 13 della Convenzione fa pesare sugli Stati contraenti varia in funzione della natura della doglianza del ricorrente. Gli Stati godono in effetti di un certo margine di apprezzamento per quanto riguarda il modo di conformarsi agli obblighi che impone loro questa disposizione (Jabari c. Turchia, n. 40035/98, § 48, CEDU 2000‑VIII). Tuttavia, il ricorso richiesto da questo articolo deve essere «effettivo» in pratica come in diritto (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 157, CEDU 2000‑XI).
  97. La Corte sottolinea che l’effettività di un ricorso ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione non dipende dalla certezza di un esito favorevole per il ricorrente. Allo stesso modo, l’«istanza» di cui parla questa disposizione non è necessariamente giurisdizionale. Tuttavia, i suoi poteri e le garanzie procedurali che essa presenta contano per stabilire se il ricorso sia effettivo (Klass e altri c. Germania, 6 settembre 1978, § 67, serie A n. 28). Inoltre, l'insieme dei ricorsi offerti dal diritto interno può rispettare le esigenze dell'articolo 13 della Convenzione, anche se nessuno di essi, da solo, può soddisfarle interamente (Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 69, CEDU 2000‑V, e De Souza Ribeiro, sopra citata, § 79).
  98. Nel caso di specie, la Corte nota che la ricorrente ha potuto avviare un’azione giudiziaria per ottenere l'annullamento della scelta del curatore fallimentare di sciogliere il contratto preliminare di compravendita (paragrafo 13 supra) e che il suo ricorso è stato esaminato da tre autorità giudiziarie, ossia il tribunale, la corte d'appello di Firenze e la Corte di cassazione. Tuttavia, essa osserva che, nell'ambito dell'esame di questo ricorso, le autorità giudiziarie in questione si sono limitate a constatare che il curatore fallimentare aveva fatto uso di un potere discrezionale di scioglimento e che questo potere era previsto dall'articolo 72, comma 4, della legge fallimentare (paragrafi 18, 20 e 22 supra). Essa rileva soprattutto che queste autorità giudiziarie non si sono ritenute competenti per giudicare se la scelta del curatore fallimentare avesse comportato un onere eccessivo ed esorbitante per la ricorrente e se nel caso di specie vi fosse stato un bilanciamento equo degli interessi pubblici e privati in gioco.
  99. In tali circostanze, la Corte ritiene che le autorità giudiziarie italiane fossero competenti unicamente per esaminare la legalità formale della misura contestata, senza potersi occupare delle sue necessità e proporzionalità alla luce dei principi enunciati nell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte. Pertanto, il sistema giuridico italiano non ha offerto alla ricorrente garanzie sufficienti contro l’arbitrio (si vedano, mutatis mutandis, Sabanchiyeva e altri c. Russia, n. 38450/05, § 154, 6 giugno 2013, e Al‑Nashif c. Bulgaria, n. 50963/99, § 123, 20 giugno 2002), e l’interessata non ha avuto a sua disposizione un ricorso effettivo per far valere la sua doglianza a livello nazionale.
  100. Ne consegue che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
  101. Tenuto conto di questa conclusione, la Corte non ritiene necessario esaminare se vi sia stata anche violazione del diritto della ricorrente di avere accesso a un tribunale, così come garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.

    IV. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLA DURATA DELLA PROCEDURA
     
  102. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione la ricorrente lamenta l’eccessiva durata del procedimento civile che aveva avviato al fine di ottenere il trasferimento di proprietà per via giudiziaria.
  103. Il Governo contesta questa tesi ed eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
  104. La Corte rileva che la ricorrente non ha indicato di aver presentato un ricorso ai sensi della «legge Pinto» (legge n. 89 del 24 marzo 2001) al fine di ottenere la riparazione del danno che dice di aver subìto in ragione della eccessiva durata della procedura messa in discussione. Ora, un ricorso di questo tipo è stato considerato dalla Corte accessibile e, in linea di principio, efficace per denunciare, a livello nazionale, la lentezza della giustizia (si vedano, fra molte altre, Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001‑IX, e Pacifico c. Italia (dec.), n. 17995/08, § 67, 20 novembre 2012).
  105. Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

    V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  106. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
  107. La ricorrente chiede 201.404,20 euro (EUR) per il danno materiale che ritiene di aver subito. Essa afferma di aver versato all’impresa X la somma totale di 214.627 EUR (paragrafo 6 supra) e di aver sborsato 190.000 EUR per riacquistare il suo appartamento (paragrafo 27 supra), ai quali si aggiungono 11.404,20 EUR per le spese notarili e per la regolarizzazione delle pratiche urbanistiche. Essa indica anche che, nell’ambito della procedura fallimentare, è stata riconosciuta titolare di un credito nei confronti dell’impresa X che ammonta a 156.960,03 EUR.
  108. La ricorrente chiede anche che le venga riconosciuta una somma per il danno morale che dice di aver subìto, somma che si auspica venga fissata secondo equità. Afferma che la situazione denunciata le ha comportato problemi di salute a partire dal 1997, che questi problemi persistono ancora oggi, e che è stata ricoverata d'urgenza nel marzo 2004
  109. Sulla base della nota spese dei suoi avvocati, la ricorrente chiede infine 32.727,55 EUR per le spese sostenute nell’ambito dei procedimenti svoltisi dinanzi alle giurisdizioni nazionali e 1.652,40 EUR per quelle sostenute per la procedura che si è svolta dinanzi alla Corte.
  110. Il Governo afferma innanzitutto che la ricorrente non ha subìto alcun danno in quanto, secondo lui, non vi è stata alcuna violazione della Convenzione. Aggiunge che, ad ogni modo, il fondo per le vittime di fallimenti immobiliari ha riconosciuto alla ricorrente l’indennizzo di 167.498,53 EUR (paragrafo 55 supra), calcolato sulla base della composizione amichevole conclusa tra l'interessata e il curatore fallimentare, e che quest'ultimo contestava l'affermazione della ricorrente secondo la quale la sua perdita economica ammontava a 201.404,20 EUR.
  111. La Corte ritiene che la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione non sia istruita, di conseguenza la riserva e fisserà la procedura successiva tenuto conto della possibilità che il Governo e la ricorrente raggiungano un accordo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Dichiara, a maggioranza, il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi relativi all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e agli articoli 8 e 13 della Convenzione e per quanto riguarda la dedotta violazione del diritto della ricorrente di avere accesso a un tribunale (articolo 6 § 1 della Convenzione);
  2. Dichiara, all’unanimità, il ricorso irricevibile per il resto;
  3. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  4. Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare i motivi di ricorso relativi agli articoli 6 § 1 (accesso a un tribunale) e 8 della Convenzione;
  5. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  6. Dichiara, con sei voti contro uno, non istruita la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione;
    di conseguenza,
    1. la riserva interamente;
    2. invita il Governo e la ricorrente a inviarle per iscritto, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le loro osservazioni su questa questione e soprattutto a informarla di ogni eventuale accordo da essi raggiunto;
    3. si riserva la procedura successiva e delega al presidente della camera l’onere di fissarla se necessario.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 4 febbraio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Stanley Naismith Işıl Karakaş
Cancelliere Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice A. Sajó.
A.I.K.
.H.N.


 

OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE SAJÓ
(Traduzione)

Secondo me il ricorso è irricevibile. La ricorrente possiede l’appartamento in questione dal mese di marzo 1995 ed ha cercato di far valere i diritti di cui all’articolo 2932 del codice civile soltanto nel marzo 1997. Questo ritardo da parte sua sorprende ancor di più in quanto essa ha ammesso che le difficoltà economiche della società di costruzione erano già note nel 1995 (§ 52). In quel momento era troppo tardi: una banca aveva fatto iscrivere una ipoteca giudiziale. Durante il processo, otto mesi dopo, l’impresa venditrice fu dichiarata in stato di fallimento. Non avendo la ricorrente fatto ricorso alla procedura prevista dall’articolo 2932, che avrebbe potuto offrire una tutela di diritto adeguata, essa non ha esaurito i ricorsi disponibili. Il Governo ha eccepito espressamente questa carenza, indicando a sostegno la giurisprudenza nazionale (Cassazione civile, SS.UU., sentenza del 7 luglio 2004 n. 12505, e in particolare il suo paragrafo 7.3). La Corte, quando ha deciso sulla sua ricevibilità, non ha esaminato questa eccezione, affrontandola, tuttavia, nella fase sul merito (§§ 52 e 73). Essa ha ammesso, sia pure soltanto rispetto al decreto-legge n. 669/1996 e all’articolo 2775 bis del Codice civile, che la mancanza di autorizzazione urbanistica e di individuazione dell’appartamento in causa nei pubblici registri aveva legittimamente impedito alla ricorrente di chiedere l’iscrizione del suo diritto di proprietà.
È sconcertante, secondo me, che la Corte abbia in tal modo esteso gli obblighi positivi dello Stato ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. La Corte ha ritenuto che, in virtù degli obblighi che derivano da questa disposizione, lo Stato è tenuto a instaurare un quadro legislativo adeguato, che preveda una protezione minima degli interessi degli acquirenti di buona fede (si veda, mutatis mutandis, Kotov c. Russia [GC], n. 54522/00, § 117, 3 aprile 2012; § 69 della sentenza). Difatti, secondo la sentenza Kotov,questo obbligo consisteva nel mettere a disposizione dell’interessato mezzi di impugnazione appropriati per permettere a quest’ultimo di far valere realmente i suoi diritti e nel creare un organo di risoluzione adeguato a tale scopo. Questo obbligo era stato imposto per rispondere ai possibili abusi nella procedura di liquidazione. Nella sentenza Kotov, la questione pertinente era l’ampiezza degli obblighi positivi dello Stato tenuto conto delle irregolarità del curatore che avevano causato al ricorrente un danno illecito (Kotov, sopra citata, § 117). Ora, nel caso di specie questa questione non si pone mancando un abuso nella procedura di liquidazione. Così come è già stato indicato, la ricorrente, per far tutelare il suo bene, aveva a disposizione un ricorso di cui non si è avvalsa per due anni. Non sono convinto che lo Stato abbia l’obbligo positivo di proteggere dal fallimento del venditore chiunque acquisti la propria abitazione, soprattutto quando l’acquirente deve essere consapevole dei rischi. Proteggere il consumatore non è di per sé un obbligo positivo dello Stato che la Convenzione imporrebbe, anche se è noto che è quello che fa lo Stato sociale. È vero anche che nell’ambito di relazioni orizzontali possono entrare in gioco considerazioni di interesse generale capaci di imporre alcuni obblighi allo Stato (Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 143, CEDU 2004‑V). Non vedo quale precisa considerazione di interesse generale imporrebbe allo Stato di agire preventivamente per proteggere dei proprietari privati dalle rivendicazioni di altri proprietari privati, di modo che la nostra Corte dovrebbe intervenire per imporre obblighi al legislatore. Lo Stato gode di un margine di apprezzamento ampio quando si tratta di definire l’interesse generale in materia di ingerenze («regolamentare») nella proprietà privata. Lo stesso vale quando si tratta di definire la mancanza di considerazioni di interesse generale che permettono di tutelare dei diritti di proprietà privati a scapito di altri diritti di proprietà privati legittimi. La Corte può intervenire imponendo un obbligo positivo nell’interesse generale soltanto per ragioni imperiose. Ora, la natura della considerazione di interesse generale qui in causa non è stata neanche discussa nella sentenza. Vista la sentenza della Corte di cassazione sopra citata (punto 5), posso comprendere che l’acquisto di una abitazione rivesta un interesse fondamentale in virtù della Costituzione italiana (articolo 47). Quand’anche questa fosse l’idea implicita che giustifica l’imposizione di un obbligo positivo nella presente sentenza, è prima di tutto il legislatore nazionale a dover giudicare.