Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'8 aprile 2014 - Ricorso n. 29100/07 - Esterina Marro e altri c. Italia

Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura di Martina Scantamburlo, funzionario linguistico
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 29100/07

Esterina MARRO e altri
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita l’8 aprile 2014 in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paul Lemmens,
Egidijus Kūris,
Robert Spano, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione.
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 2 luglio 2007,
Viste le osservazioni proposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo aver deliberato, decide quanto segue:

IN FATTO

1.L'elenco dei ricorrenti figura in allegato. Dinanzi alla Corte essi sono rappresentati dagli avvocati D. e G. Novarini, con studio in Broni (Pavia).

2.Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

A.  Le circostanze del caso di specie

3.I fatti della causa, così come sono stati esposti dalle parti, possono riassumersi come segue.

4.La prima ricorrente (sig.ra Esterina Marro) è la madre di Sergio Marra, nato il 27 luglio 1972. Gli altri ricorrenti sono i fratelli e la sorella di quest'ultimo.

5.In una data non precisata, i ricorrenti sporsero denuncia contro Sergio Marra, che da molto tempo faceva uso di sostanze stupefacenti. Essi dichiararono di aver preso questa iniziativa al fine di allontanare il loro parente dai tossicodipendenti che frequentava.

6.Il 17 agosto 1995 Sergio Marra fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Voghera. Al momento del suo ingresso nel penitenziario, egli dichiarò di aver consumato stupefacenti due giorni prima del suo arresto. Il 5 settembre 1995 dichiarò al medico del carcere che non aveva assunto stupefacenti da circa due anni. Il 13 settembre 1995 decedette. Secondo il rapporto del medico legale, la causa del decesso era una overdose di sostanze simili alla morfina, probabilmente eroina.

7.Il 2 luglio 1996 i ricorrenti citarono il Ministero della Giustizia dinanzi al tribunale di Milano per ottenere il risarcimento dei danni che ritenevano di aver subito in ragione del decesso del loro parente. Essi sostenevano che l'introduzione di sostanze stupefacenti all'interno del carcere era vietata, e consideravano che il fatto che il loro figlio e fratello avesse potuto procurarsi tali sostanze dimostrava che vi era stata negligenza da parte del personale incaricato della sorveglianza nel penitenziario di Voghera.

8.Con sentenza del 24 ottobre 1998 il tribunale di Milano respinse la richiesta dei ricorrenti.

9.Nella sua decisione, il tribunale osservava che spettava all'amministrazione del penitenziario impedire che la droga fosse introdotta all’interno del carcere e che la circostanza che in carcere circolassero sostanze stupefacenti dimostrava l'inefficacia del controllo da essa operato. Notava, tuttavia, che la responsabilità dell'amministrazione poteva essere dichiarata soltanto se vi era stato dolo o colpa. Nel caso di specie, il tribunale riteneva che non ci fossero elementi per poter affermare che l'introduzione di stupefacenti fosse avvenuta per volontà del personale penitenziario e dunque non vi era stato dolo. Per quanto riguarda la negligenza, il tribunale rilevava che questa poteva sussistere se il fatto in causa era prevedibile ed evitabile, e riteneva che l'introduzione di stupefacenti fosse un evento prevedibile ma non evitabile in quanto, secondo lui, tali sostanze erano facili da nascondere. Inoltre, considerava che non era possibile ravvisare una responsabilità oggettiva dell'amministrazione perché ciò avrebbe significato affermare che tutto quello che avveniva all'interno di un carcere le venisse ipso facto addebitato.

10.Il tribunale sottolineava che comunque mancava un nesso di causalità tra l’omesso controllo dell’amministrazione e il decesso di Sergio Marra. Esponeva che, in effetti, secondo la teoria della «causalità adeguata», erano «cause» di un evento soltanto i comportamenti che, secondo una valutazione ex ante, avrebbero probabilmente evitato che tale evento si producesse. Rilevava che, nel caso di specie, il decesso non era stato provocato dall'assunzione di sostanze stupefacenti, ma dalla somministrazione di una dose di droga superiore alla soglia di tolleranza di una persona che, essendo in carcere da circa un mese, aveva una minore capacità di sopportare stupefacenti rispetto alla maggior parte dei tossicodipendenti. Poiché non si conosceva l’autore dell'ingresso degli stupefacenti in carcere, riteneva molto difficile prevedere che la droga fosse destinata a Sergio Marra, che si trovava in condizioni fisiologiche particolari. Il tribunale notava che i ricorrenti stessi ammettevano, peraltro, che il loro figlio e fratello si era iniettato volontariamente le sostanze in questione e che, trattandosi di persona adulta e in possesso delle sue facoltà mentali, il personale del carcere non era obbligato ad attuare una sorveglianza particolare.

11.I ricorrenti interposero appello avverso questa sentenza. Essi sostenevano l'esistenza di un nesso di causalità tra l'omesso controllo dell'amministrazione penitenziaria e il decesso del loro parente e sostenevano che l'introduzione di stupefacenti in carcere poteva essere evitata utilizzando unità cinofile.

12.La corte d'appello di Milano, con sentenza del 6 marzo 2002, respinse l'appello dei ricorrenti confermando essenzialmente il ragionamento del tribunale e rilevando che Sergio Marra si era iniettato volontariamente delle sostanze stupefacenti. Su questo ultimo punto, la corte d'appello riteneva trattarsi di una condotta frutto di una scelta personale dell'interessato, non imputabile all'amministrazione. Notava, peraltro, che nessuna disposizione imponeva specificamente a quest'ultima, ai fini della protezione della salute dei detenuti, di impedire l'uso di droga all'interno del carcere e che l’uso di unità cinofile non costituiva necessariamente un mezzo sicuro ed efficace per prevenire l'introduzione degli stupefacenti. Per la corte d'appello, non era stato accertato come, nel caso di specie, gli stupefacenti erano stati introdotti nel carcere; pertanto, a suo parere, non era possibile imputare all'amministrazione uno specifico comportamento negligente.

13.Invocando, tra altri, l'articolo 40 del codice penale (il CP), nonché gli articoli 28 e 32 della Costituzione (si veda, qui di seguito, sotto «il diritto interno pertinente»), i ricorrenti proposero ricorso per cassazione.

14. Con sentenza del 6 febbraio 2007, depositata il 31 marzo 2007, la Corte di cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti.

15.La suprema Corte osservava che la responsabilità per omissione era eccezionale ed era possibile prospettarla soltanto quando vi era l’obbligo di impedire il verificarsi di un certo evento. Essa precisava che questo obbligo poteva trovare il suo fondamento in una disposizione di legge o nell'esistenza di un rapporto specifico tra la persona il cui interesse era stato leso e quella responsabile di tale lesione. In merito a quest'ultimo punto, aggiungeva che tale rapporto doveva essere stabilito caso per caso.

16.Inoltre, la Corte di cassazione prendeva le distanze dalla posizione della corte d'appello sulla questione di stabilire se l'amministrazione fosse tenuta ad impedire l'introduzione di stupefacenti in carcere. Essa riteneva che tale obbligo esistesse, tenuto conto dell'esigenza di tutelare la salute dei detenuti e della situazione particolare di questi ultimi. Indicava, tuttavia, che la scelta degli strumenti da utilizzare a tale scopo rientrava nel potere discrezionale del legislatore o dell'amministrazione e che non era sottoposta a un controllo giurisdizionale.

17.Secondo la Corte di cassazione, la responsabilità dell'amministrazione doveva essere esclusa quando l'evento pregiudizievole si sarebbe prodotto anche in presenza di un comportamento adeguato, e ciò in ragione dell’assenza di un nesso di causalità. Nel caso di specie, la Corte di cassazione notava che la droga avrebbe potuto essere introdotta in carcere secondo modalità idonee ad escludere qualsiasi violazione dell'obbligo di controllo imposto all'amministrazione.

18. La Corte di cassazione precisava infine che la corte d'appello aveva a torto ritenuto che l'assunzione volontaria di sostanze stupefacenti avesse interrotto il nesso di causalità, ma che questo errore non influiva sull'esito della controversia.

B. Il diritto interno pertinente

1. Il codice penale

19. Ai sensi dell’articolo 40 del CP,

«Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione.
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.»

2. La Costituzione

20. Le disposizioni della Costituzione pertinenti al caso di specie recitano:

Articolo 28

«I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civile e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.»

Articolo 32 c. 1

«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.»

MOTIVI DI RICORSO

21. Invocando l’articolo 2 della Convenzione, i ricorrenti accusano le autorità del decesso del loro parente.

IN DIRITTO

22.I ricorrenti sostengono che il decesso del loro figlio e fratello consegue ad una violazione dell’articolo 2 della Convenzione, così formulato:

«1.Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.

2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:

a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;

b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;

c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.»

23. Il Governo contesta questa tesi.

A. Argomenti delle parti

1. I ricorrenti

24. I ricorrenti sostengono che le autorità italiane hanno omesso di impedire al loro parente di procurarsi le sostanze stupefacenti all'interno del penitenziario di Voghera e in questo modo hanno violato l'obbligo di tutelare la sua vita. Secondo gli interessati, la Corte di cassazione ha precisato che l'uso volontario di stupefacenti implicava una assunzione di rischio, ma non neutralizzava completamente il nesso di causalità tra il decesso e l'omesso controllo e che ciò non escludeva di conseguenza la responsabilità delle autorità. In altre parole, i ricorrenti ritengono che tale uso non fosse da solo sufficiente per determinare l'evento in causa.

25. Inoltre, i ricorrenti osservano che, ai sensi dell'articolo 40 c. 2 del CP, «non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a provocarlo». Essi indicano che la corte d'appello di Milano ha dichiarato che nessuna disposizione interna obbligava l'amministrazione penitenziaria a impedire l'uso di sostanze stupefacenti da parte dei detenuti, e considerano che, in tal modo, essa sia giunta ad una conclusione «assurda». I ricorrenti sostengono che, al contrario, l'articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti gli individui, compreso - secondo loro - quello dei detenuti, che è noto a tutti che gli stupefacenti sono dannosi per la salute e che il divieto di introdurli in carcere è volto dunque anche a garantire la salute delle persone private della libertà.

26. I ricorrenti ritengono inoltre che non si possa prendere in considerazione l'argomento del Governo, secondo il quale l'uso di unità cinofile per cercare la droga era stato escluso per evitare di intimidire le famiglie che facevano visita ai loro parenti detenuti (paragrafo 27 infra). Essi indicano che cani in grado di scoprire la droga sono presenti negli aeroporti. Considerano che alcuni metodi di controllo più incisivi non possono essere scartati per timore di violare il diritto al rispetto della vita privata, in quanto - secondo loro - questo diritto non è più importante del diritto alla vita.

28. I ricorrenti affermano infine che il loro figlio e fratello era appena scappato da una comunità per tossicodipendenti e che in carcere era stato sistemato nella stessa cella occupata da un detenuto accusato di traffico di stupefacenti. Aggiungono che un esame effettuato su questa persona il giorno del decesso del loro parente aveva dato risultato positivo al test antidroga. Ritengono che l’assegnazione del loro parente alla cella in questione sia derivata da «un cumulo di ignoranza e di sciocchezze».

2.  Il Governo

29. Il Governo indica che lo Stato è tenuto da obblighi positivi a tutelare la vita quando vi è un rischio immediato, concreto e prevedibile per la vita di una persona identificabile e quando le misure necessarie per diminuire questo rischio sono ragionevoli. Aggiunge che ciò vale anche per i carcerati tenuto conto della loro situazione di vulnerabilità, facendo riferimento in particolare alle sentenze Salman c. Turchia ([GC], n. 21986/03, CEDU 2000-VII), Trubnikov c. Russia (n. 49790/99, 5 luglio 2005) e Keenan c. Regno Unito (n. 27229/95, CEDU 2001-III), ma ritiene che non si possa imporre alle autorità un onere insostenibile o eccessivo.

30. Nella fattispecie, il Governo ritiene che l’amministrazione non sia stata negligente nella sorveglianza di Sergio Marra e che le misure prese per proteggere quest’ultimo fossero ragionevoli e adeguate. Indica che il giorno del suo arresto l’interessato era apparso calmo e collaborativo e aggiunge che quest’ultimo aveva mostrato i segni della sua tossicodipendenza e un inizio di crisi di astinenza e che, per questo motivo, era stato sottoposto a un programma di disintossicazione. Precisa che l’interessato era stato spostato in una cella collettiva e settimanalmente era stato sottoposto a visita medica. Afferma anche che quest’ultimo aveva dichiarato al medico del carcere di non fare più uso di sostanze stupefacenti da due anni e che il suo stato generale sembrava buono. Inoltre, indica che non vi erano elementi per pensare che la vita di Marra fosse in pericolo, che quest’ultimo non aveva dato segni di disturbi mentali e che non era stato sottoposto ad alcuna misura coercitiva speciale. Peraltro, per il Governo, nulla impedisce di pensare che la morte di Sergio Marra fosse la conseguenza non di un suicidio, ma di una iniezione accidentale di una dose eccessiva di stupefacenti, e dunque – secondo lui – di un evento del tutto imprevedibile.

31. Per quanto riguarda le misure generali in materia di controllo e prevenzione della circolazione di sostanze stupefacenti in ambiente carcerario, il Governo indica che ogni penitenziario ha un elenco di oggetti che possono entrare e circolare e che gli stupefacenti non ne fanno parte. Esso precisa che, all’epoca dei fatti, il carcere di Voghera proibiva l’introduzione di vari prodotti – ossia i prodotti in polvere o in grani, il sapone e le siringhe – e che, prima di entrare a contatto con i carcerati, ogni persona veniva perquisita e ogni pacco era ispezionato. Aggiunge che i visitatori, gli agenti penitenziari e i carcerati dovevano passare sotto un sensore elettromagnetico e che, inoltre, i detenuti erano sottoposti a perquisizione personale.

32. Il Governo sostiene inoltre che i detenuti, nel corso degli anni, hanno elaborato dei sistemi ingegnosi per avere accesso alla droga, che talvolta sarebbe nascosta sotto i francobolli, negli effetti personali, nelle calzature, nel cibo, tra due fogli di carta, o impregnata nelle immagini, o talvolta trasmessa con i baci. Esso ritiene che l’amministrazione non possa essere ritenuta responsabile ogni volta che uno di questi stratagemmi – secondo lui inopinati e imprevedibili – si riveli efficace. Il Governo richiama anche l’attenzione della Corte sul numero di detenuti tossicodipendenti in Italia (secondo lui: nel giugno 1995, 15.336 detenuti su 51.973, ossia il 29,51% del totale della popolazione carceraria e, al 31 dicembre 2012, 15.663 detenuti su 65.701).

33. Inoltre, il Governo ritiene che effettuare frequenti e sistematiche perquisizioni all’interno delle carceri potrebbe risultare non efficace e potrebbe violare la vita privata e la dignità umana dei detenuti. Al riguardo, aggiunge che l’amministrazione penitenziaria ha escluso l’uso di unità cinofile per non intimidire le famiglie che visitano i loro parenti detenuti, bilanciando in tal modo – secondo lui – l’obbligo di tutelare la salute con il diritto al rispetto della vita familiare.

34. Il Governo sostiene anche che da un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica del 28 maggio 1997 risulta che i ricorrenti avevano tentato di far pervenire del cibo al loro parente e che i loro pacchi erano stati restituiti perché l’amministrazione del penitenziario li aveva considerati un potenziale mezzo per nascondere la droga.

35. Peraltro il Governo indica che, come avrebbe sottolineato a giusto titolo la Corte di cassazione, non si poteva escludere che gli stupefacenti sarebbero arrivati a Sergio Marra anche se le autorità penitenziarie avessero effettuato tutti i controlli possibili. Esso considera che i ricorrenti denunciano una interpretazione – secondo loro scorretta – delle disposizioni interne pertinenti al caso di specie e che, così facendo, proponendo dinanzi alla Corte doglianze che secondo lui sono identiche a quelle già formulate a livello interno, essi sollevano essenzialmente un motivo di ricorso che necessita di un quarto grado di giudizio.

36. Il Governo rileva inoltre che i ricorrenti rimproverano alle autorità di aver sistemato il loro figlio e fratello in una cella in cui era detenuta una persona accusata di traffico di sostanze stupefacenti e che era risultata positiva al test antidroga (paragrafo 28 supra). Esso ritiene tuttavia che questa circostanza non sarebbe importante perché sarebbero state prese numerose misure per evitare la circolazione di droga all’interno del carcere e perché il parente dei ricorrenti avrebbe potuto lui stesso procurarsi degli stupefacenti e condividerli con il suo compagno di cella.

37. Il Governo indica anche che, dopo il rinvenimento del corpo di Sergio Marra, erano state condotte delle indagini ed era stata eseguita l’autopsia per stabilire le cause del decesso. Aggiunge che non era stato trovato alcun elemento che permettesse di attribuire una qualsiasi responsabilità a persone identificabili e che, di conseguenza, il 14 settembre 1996 il giudice per le indagini preliminari di Voghera aveva disposto l’archiviazione del caso. Il Governo afferma che, subito dopo i fatti, era stata avviata anche una indagine amministrativa che aveva portato alla conclusione che prima del decesso di Sergio Marra non era stato notato nulla di anormale. Esso indica peraltro che i ricorrenti hanno avuto il tempo di avviare un’azione civile di risarcimento e che quest’ultima è stata esaminata nel merito.

B. Valutazione della Corte

1. Principi generali

38. La Corte rammenta che la prima frase dell’articolo 2 § 1 della Convenzione costringe lo Stato non soltanto ad astenersi dal provocare la morte in modo volontario e irregolare, ma anche a prendere le misure necessarie per la tutela della vita delle persone che sono sottoposte alla sua giurisdizione (L.C.B. c. Regno Unito, 9 giugno 1998, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1998-III, e Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, § 115, Recueil 1998 VIII).

39. La Corte rammenta anche che l’obbligo dello Stato va al di là del dovere fondamentale di assicurare il diritto alla vita, mettendo in atto una legislazione penale concreta che dissuada dal commettere violazioni contro la persona e basandosi su un meccanismo di applicazione concepito per prevenire, reprimere e sanzionare le violazioni (Osman, sopra citata, ibidem). Così, in talune circostanze ben definite, l’articolo 2 della Convenzione può porre a carico delle autorità l’obbligo positivo di prendere preventivamente delle misure di ordine pratico per proteggere l’individuo la cui vita è minacciata dai comportamenti criminali altrui (Mastromatteo c. Italia [GC], n. 37703/97, § 67 in fine, CEDU 2002-VIII, Branko Tomašić e altri c. Croazia, n. 46598/06, § 50, 15 gennaio 2009, e Opuz c. Turchia, n. 33401/02, § 128, 9 giugno 2009).

40. Tuttavia, secondo la Corte ciò non significa che da questa disposizione si possa dedurre l’obbligo positivo di impedire qualsiasi potenziale violenza. In effetti occorre interpretare questo obbligo in modo da non imporre alle autorità un onere insostenibile o eccessivo, tenendo conto delle difficoltà per la polizia di esercitare le sue funzioni nelle società contemporanee e anche dell’imprevedibilità del comportamento umano e delle scelte operative da fare in termini di priorità e di risorse (Osman, sopra citata, § 116, e Maiorano e altri c. Italia, n. 28634/06, § 105, 15 dicembre 2009).

41. La Corte considera pertanto che qualsiasi lamentata minaccia contro la vita non obbliga le autorità, rispetto alla Convenzione, a prendere misure concrete per prevenirne la realizzazione. Essa ha già affermato che un obbligo positivo esiste quando è provato che le autorità conoscevano o avrebbero dovuto conoscere l’esistenza di una minaccia reale e immediata per la vita di uno o più individui e che esse, nell’ambito dei loro poteri, non hanno preso le misure che, da un ragionevole punto di vista, avrebbero senza dubbio dovuto diminuire questo rischio (Bromiley c. Regno Unito (dec.), n. 33747/96, 23 novembre 1999, Paul e Audrey Edwards c. Regno Unito, n. 46477/99, § 55, CEDU 2002–III, Mastromatteo, sopra citata, § 68, e Branko Tomašić, sopra citata, §§ 50-51).

42. In particolare, poiché si tratta di persone private della libertà, la Corte rammenta che la Convenzione impone allo Stato l’obbligo positivo di vigilare, tra l’altro, affinché la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in maniera adeguata (si veda, dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione, Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI, e Riviere c. Francia, n. 33834/03, § 62, 11 luglio 2006).
2.  Applicazione di questi principi al caso di specie

43. La Corte osserva che i ricorrenti non hanno affermato che le autorità disponessero di elementi tali da indurre queste ultime a credere che il loro parente si trovasse in una particolare situazione di pericolo e che, facendo uso di droga, corresse, rispetto a qualsiasi altro detenuto tossicodipendente, un rischio potenzialmente più elevato di subire conseguenze mortali. Essa ritiene dunque che, in questo caso, non fosse in gioco l’esigenza di una protezione ravvicinata di uno o più individui identificabili in anticipo come potenziali bersagli di una offesa alla vita (si veda, mutatis mutandis e a contrario, Osman, Paul e Audrey Edwards, Branko Tomašić e Opuz, sopra citate), ma piuttosto l’obbligo di assicurare una tutela generale a un gruppo vulnerabile di persone, ossia i detenuti tossicodipendenti (si vedano, mutatis mutandis, Mastromatteo, sopra citata, e Maiorano, sopra citata).

44. La Corte rileva che ciò è ancor più vero nel caso di specie, dal momento che il parente dei ricorrenti aveva lui stesso affermato, il 5 settembre 1995, di non aver fatto uso di sostanze di stupefacenti da molto tempo e non aveva mostrato alcun segno tale da far pensare che soffrisse di disturbi mentali o si trovasse in una situazione di particolare vulnerabilità (paragrafi 6 e 30 supra).

45.In queste condizioni, la Corte non può ritenere che lo Stato abbia violato i suoi obblighi positivi che derivano dall’articolo 2 della Convenzione per il solo fatto oggettivo che un detenuto abbia potuto avere accesso agli stupefacenti. Essa riconosce che le autorità, al fine di tutelare la salute e la vita dei cittadini, sono di certo tenute ad adottare misure per contrastare il traffico di droga, e ciò a maggior ragione quando questa calamità ha luogo o potrebbe aver luogo in un ambiente reso sicuro, quale un carcere; rimane il fatto che, comunque, esse non possono garantire in maniera assoluta che il traffico di stupefacenti venga totalmente fermato e che hanno un ampio potere di apprezzamento nella scelta del metodo da utilizzare in materia. Al riguardo, la Corte rammenta che esse sono legate da un obbligo di mezzo e non di risultato (si veda, mutatis mutandis, Giuliani e Gaggio c. Italia [GC], n. 23458/02, § 251, CEDU 2011).

46. Nel caso di specie, la Corte nota che i ricorrenti non hanno contestato le affermazioni del Governo (paragrafo 31 supra) secondo le quali, all’epoca dei fatti, il carcere di Voghera proibiva l’introduzione non soltanto delle sostanze stupefacenti, ma anche di diversi prodotti – ossia i prodotti in polvere o in grani, il sapone e le siringhe -, ogni persona era sottoposta a perquisizione e ogni pacco veniva ispezionato, e visitatori, agenti penitenziari e detenuti dovevano passare sotto un sensore elettromagnetico. Secondo la Corte, adottando tali misure, lo Stato ha adempiuto il suo obbligo di agire per contrastare il traffico di droga in ambito carcerario. Al contrario, tenuto conto del margine di apprezzamento di cui godono le autorità, essa ritiene che non si possa far discendere dall’articolo 2 della Convenzione un obbligo generale, per lo Stato, di fare ricorso a unità cinofile in ogni posto – quale un penitenziario – che possa essere un luogo di transito di sostanze stupefacenti.

47. Il parente dei ricorrenti, la cui tossicodipendenza era conosciuta dalle autorità, è stato sistemato in una cella con un altro detenuto accusato di traffico di stupefacenti e che era risultato positivo al test antidroga. La Corte nota che i ricorrenti sottolineano questo punto giustamente (paragrafo 28 supra) e che il Governo non ha contestato la veridicità della loro affermazione (paragrafo 36 supra); rimane comunque il fatto che questo incidente non può essere considerato come la causa del decesso del figlio e fratello dei ricorrenti. In effetti, la Corte rileva che la maniera con cui quest’ultimo si è procurato gli stupefacenti rimane sconosciuta; quindi non si può dire con precisione quale sia stata l’inadempienza che ha reso possibili l’introduzione e la circolazione della droga all’interno del carcere di Voghera e se il co-detenuto in questione fosse in qualche modo coinvolto nei fatti. Inoltre, viste le informazioni fornite dal Governo sul numero di detenuti tossicodipendenti in Italia (paragrafo 32 supra), la Corte considera che in pratica potrebbe risultare difficile per le autorità separare sistematicamente fra tutti i tossicodipendenti in carcere coloro che fanno uso occasionale di droga dai trafficanti di stupefacenti.

48. La Corte nota anche che, dopo il rinvenimento del cadavere del parente dei ricorrenti, sono state avviate un’indagine penale e un’indagine disciplinare e che è stata eseguita un’autopsia in tempo utile (paragrafo 37 supra). A tale proposito, essa constata che i ricorrenti non hanno sostenuto che queste indagini siano carenti o altrimenti contrarie alla Convenzione.

49. Alla luce di quanto è stato esposto sopra, la Corte ritiene che il fatto che il figlio e fratello dei ricorrenti, pur essendo detenuto, abbia potuto procurarsi e utilizzare la droga non possa, da solo, comportare la responsabilità dello Stato per quanto riguarda il decesso in causa (si veda, mutatis mutandis, Volk c. Slovenia, n. 62120/09, § 90, 13 dicembre 2012).

50. In tali circostanze, la Corte ritiene che nel caso di specie non possa essere rilevata alcuna parvenza di violazione dell’articolo 2 della Convenzione.

51. Ne consegue che il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere

ALLEGATO

  1. Esterina MARRO è una cittadina italiana nata nel 1946, residente a Stradella
  2. Alessandro MARRA è un cittadino italiano nato nel 1967, residente a Stradella
  3. Carmine MARRA è un cittadino italiano nato nel 1968, residente a Stradella
  4. Anna MARRA è una cittadina italiana nata nel 1973, residente a Stradella