Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 luglio 2013 - Ricorso n. 32968/02 Fiocca c. Italia

Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Pucci, funzionario linguistico. Revisione a cura di Martina Scantamburlo.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA FIOCCA c. ITALIA

(Ricorso n. 32968/02)

SENTENZA

STRASBURGO

16 luglio 2013

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Fiocca c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un Comitato composto da:
Peer Lorenzen, presidente,
András Sajó,
Nebojša Vučinić, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione f.f.,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 25 giugno 2013,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 32968/02) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, il sig. Vincenzo Fiocca («il ricorrente»), ha adito la Corte il 10 luglio 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è rappresentato dagli avv. R. Vico e V. Coppola, del foro di Bergamo. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, I.M. Braguglia, e dal suo ex co-agente, N. Lettieri.

3. Il 2 settembre 2004 la Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. In applicazione del Protocollo n. 14, il ricorso è stato assegnato ad un Comitato.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il ricorrente è nato nel 1937 e risiede a Colere (Bergamo).

A.  Il procedimento principale

5. Il 2 maggio 1990 il ricorrente citò il sig. G.C. e la compagnia di assicurazioni S. dinanzi al tribunale di Roma al fine di ottenere un indennizzo di 20 milioni di lire (circa 10.329 euro (EUR) per i danni materiali derivanti da un incidente stradale (RG n. 43726/90).

6. L’istruzione della causa iniziò il 21 novembre 1990. Delle dieci udienze fissate tra il 7 ottobre 1991 e il 15 maggio 1997, una fu rinviata su richiesta delle parti e una d’ufficio.

7. In data imprecisata, la causa fu assegnata al collegio di magistrati incaricato di trattare le cause più vecchie (sezione stralcio).

8. All’udienza del 14 giugno 2000, il giudice pronunciò l’interruzione del procedimento a causa del decesso dell’avvocato della compagnia di assicurazioni S.

9. Le parti non ripresero il procedimento.

B. Il procedimento «Pinto»

10. Il 4 ottobre 2001 il ricorrente adì la corte d’appello di Perugia ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, la cosiddetta «legge Pinto», al fine di lamentare la durata eccessiva del procedimento sopra descritto. Il ricorrente chiese alla corte di dichiarare che vi era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo Stato al risarcimento dei danni subiti.

11. Con decisione del 7 ottobre 2002, il cui testo fu depositato in cancelleria il 17 ottobre 2002, la corte d’appello constatò il superamento della durata ragionevole. Essa accordò 3.500 EUR in via equitativa a titolo di riparazione del danno morale e 1.960,88 EUR per le spese.

12. La decisione fu notificata al ministero della Giustizia il 7 gennaio 2003 e passò in giudicato l’8 marzo 2003.

13. Con missiva del 5 maggio 2003, il ricorrente informò la Corte dell’esito del procedimento nazionale e chiese che la Corte riprendesse l’esame del suo ricorso.

14. Con missiva del 1° settembre 2003, il ricorrente informò la Corte anche di non avere intenzione di proporre ricorso per cassazione perché tale rimedio non poteva essere considerato effettivo.

15. Le somme accordate in esecuzione della decisione Pinto furono pagate il 6 ottobre 2004.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

16. Il diritto e la prassi interni pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

IN DIRITTO

I.  OSSERVAZIONI PRELIMINARI

17. Il Governo si oppone alla decisione della Corte di esaminare congiuntamente la ricevibilità e il merito del ricorso, come previsto all’articolo 29 § 1 (in precedenza l’articolo 29 § 3) della Convenzione. Esso ritiene che il ricorso non si presti ad un simile approccio, per le particolarità legate alle caratteristiche della via di ricorso «Pinto» e alla data di deposito della decisione «Pinto».

18. La Corte osserva, da un lato, che il Governo non ha apportato prove a sostegno dell’argomento relativo alle particolarità del ricorso. Essa osserva, dall’altro lato, che la procedura di esame congiunto in questione non osta ad un esame attento delle questioni sollevate e degli argomenti invocati dal Governo (si veda, mutatis mutandis, Leo Zappia c. Italia, n. 77744/01, §§ 12-14, 29 settembre 2005). Pertanto, non è opportuno accogliere la domanda del Governo.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

19. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta la durata del procedimento principale e l’insufficienza dell’indennizzo «Pinto», nonché il ritardo nel pagamento di quest’ultimo.

20. Il Governo si oppone a questa tesi.

21. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è così redatto:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)».

A. Sulla ricevibilità

1. Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

22. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto che il ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione.

23. Nella causa Scordino ((dec.), n. 36813/97, CEDU 2003 IV), la Corte aveva ritenuto, da un lato, che, quando un ricorrente lamenta unicamente l’importo dell’indennizzo, egli non sia tenuto ai fini dell’esaurimento delle vie di ricorso interne a proporre ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d’appello e, dall’altro, che il ricorrente possa continuare a sostenere di essere «vittima» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione qualora, anche se la corte d’appello ha riconosciuto l’esistenza della durata eccessiva del procedimento, la somma accordata non possa essere considerata adeguata a riparare il danno e la violazione denunciati.

24. Per giungere a tali conclusioni, la Corte si era basata sull’esame di un centinaio di sentenze della Corte di cassazione e non aveva trovato alcun caso in cui la Corte di cassazione aveva preso in considerazione un motivo di ricorso relativo all’insufficienza dell’importo accordato dalla corte d’appello rispetto al danno dedotto o relativo all’inadeguatezza di tale importo rispetto alla giurisprudenza di Strasburgo.

25. La Corte rammenta anche che, nel gennaio 2004, la Corte di cassazione, con le sentenze nn. 1338, 1339, 1340 e 1341, ha posto il principio secondo il quale «la determinazione del danno extrapatrimoniale effettuata dalla corte d’appello conformemente all’articolo 2 della legge n. 89/2001, sebbene per natura fondata sull’equità, deve intervenire in un quadro che è definito dal diritto giacché occorre fare riferimento agli importi accordati, in cause simili, dalla Corte di Strasburgo, dai quali è consentito discostarsi, ma in modo ragionevole» (si veda Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 24-25). In seguito a tale mutato orientamento, la Corte ha ritenuto che, a partire dal 26 luglio 2004, data in cui tali sentenze, in particolare la sentenza n. 1340 della Corte di cassazione, non potevano più essere ignorate dal pubblico, si dovesse esigere dai ricorrenti che si avvalessero del ricorso per cassazione ai sensi della legge «Pinto» ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (Di Sante c. Italia (dec.), sopra citata; Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 42-44).

26. Nel caso di specie, la Corte osserva che la decisione della corte d’appello «Pinto» è divenuta definitiva l’8 marzo 2003, vale a dire assai prima della data del 26 luglio 2004. Pertanto, la Corte ritiene che il ricorrente fosse dispensato dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne e che l’obiezione del Governo non possa essere accolta.

2.  Qualità di «vittima»

27. Il Governo sostiene che il ricorrente non può più affermare di essere «vittima» della violazione dell’articolo 6 § 1 in quanto ha ottenuto dalla corte d’appello «Pinto» una constatazione di violazione e una riparazione appropriata e sufficiente.

28. La Corte, dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti nel loro complesso, ritiene che la riparazione si sia rivelata insufficiente (si vedano Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 69-98) e che l’indennizzo «Pinto» non sia stato versato entro sei mesi a decorrere dal momento in cui la decisione della corte d’appello «Pinto» divenne esecutiva (Cocchiarella c. Italia, sopra citata, § 89). Pertanto, il ricorrente può ancora sostenere di essere «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.

3.  Assenza di pregiudizio importante

29. Nelle sue osservazioni depositate nella cancelleria della Corte il 28 aprile 2009, il Governo invoca l’assenza di pregiudizio importante per il ricorrente, in quanto la corte d’appello «Pinto» ha prima constatato, poi accordato una riparazione appropriata per la violazione della Convenzione.

30. Esso fa riferimento al testo dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, come modificato dal Protocollo n. 14, secondo il quale la Corte può dichiarare un ricorso irricevibile quando «il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno».

31. La Corte tiene a sottolineare che il fatto che i giudici interni avrebbero riconosciuto, poi accordato una riparazione per violazione della Convenzione non comporta automaticamente che non vi sarebbe «pregiudizio» a carico del ricorrente, come sembra sostenere il Governo convenuto. Infatti, la valutazione riguardante l’assenza di un tale «pregiudizio» non si riduce a una stima puramente economica.

32. La Corte rammenta che, al fine di verificare se la violazione di un diritto raggiunga la soglia minima di gravità, vanno presi in considerazione in particolare i seguenti elementi: la natura del diritto di cui si deduce la violazione, la gravità dell’incidenza della violazione denunciata nell’esercizio di un diritto e/o le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del ricorrente. Nella valutazione di tali conseguenze, la Corte prenderà in esame, in particolare, la posta in gioco del procedimento nazionale o il suo esito (si veda, Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011).

33. La Corte osserva che, nel caso di specie, il ricorrente lamentava la durata di un procedimento civile, riguardante il riconoscimento del suo diritto di ottenere un indennizzo di 20 milioni di lire (circa 10.329 EUR) per i danni materiali derivanti da un incidente stradale (§ 5 supra), protrattosi per dieci anni e un mese per un grado di giudizio. Evidentemente, una tale durata non può essere compatibile con il principio del termine ragionevole previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Secondo la Corte, al fine di valutare la gravità delle conseguenze di questo tipo di denuncia, la posta in gioco della causa dinanzi ai giudici nazionali potrebbe essere determinante solo nel caso in cui il valore fosse modesto o irrisorio. Ciò non è nel caso di specie tenuto conto della natura nonché dell’entità del risarcimento in questione.

34. È inoltre opportuno osservare che il ricorrente aveva adito la Corte il 7 luglio 1999 deducendo una violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole sulla base di una giurisprudenza ben consolidata (si veda, tra le altre, Bottazzi c. Italia [GC], n. 34884/97, CEDU 1999 V). In seguito all’entrata in vigore della legge «Pinto», il ricorrente ha dovuto adire la corte d’appello competente che ha emesso la sua decisione il 7 ottobre 2002. Poi, il 5 maggio 2003, il ricorrente ha ripreso il suo ricorso dinanzi alla Corte. Ora, è evidente che una tale decisione è legata alle lacune del ricorso «Pinto» (si veda, tra le altre, Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 82, CEDU 2009-... (estratti)), segnatamente per quanto riguarda la modicità delle somme accordate dalle corti competenti, in particolare prima del mutamento di orientamento della Corte di cassazione (si veda Di Sante c. Italia, sopra citata), e il ritardo nel pagamento di dette somme. Tutto ciò ha comportato evidentemente un rilevantissimo ritardo nell’esame della causa dell’interessato, ritardo che non può essere ignorato dalla Corte al momento di valutare l’importanza del pregiudizio subito da quest’ultimo.

35. D’altra parte, non si può concludere altrimenti per il semplice motivo che l’efficacia del rimedio «Pinto» non è stata fino ad oggi messa in discussione (si veda, tra le altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, sopra citata), tanto più che la Corte ha denunciato chiaramente l’esistenza di un problema nel funzionamento dello stesso (si veda Simaldone c. Italia, sopra citata, § 82).

36. Tenuto conto di quanto precede, è opportuno rigettare anche questa eccezione.

4.  Conclusioni

37. La Corte constata che questa parte del ricorso non incorre in nessun altro dei motivi di irricevibilità di cui all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Quindi, la dichiara ricevibile.

B.  Sul merito

38. La Corte constata che il procedimento principale, che è iniziato il 2 maggio 1990 e si è interrotto il 14 giugno 2000, è durato oltre dieci anni per un solo grado di giudizio. La Corte constata anche che l’indennizzo «Pinto» è stato versato solo il 6 ottobre 2004, vale a dire quasi due anni dopo il deposito in cancelleria della decisione della corte d’appello di Perugia.

39. La Corte ha trattato in più occasioni ricorsi che sollevavano questioni simili a quella del caso di specie ed ha constatato un’inosservanza dell’esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri individuati dalla sua ben consolidata giurisprudenza in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). Non scorgendo niente che possa condurre a conclusioni diverse nella presente causa, la Corte ritiene che si debba anche constatare una violazione dell’articolo 6 § 1.

III.  SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

40. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’ineffettività del rimedio «Pinto» a causa dell’insufficienza della riparazione accordata dalle corti d’appello «Pinto».

41. La Corte rammenta che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado c. Italia (sopra citata, §§ 43-46) e Simaldone c. Italia (sopra citata, §§ 71 72), l’insufficienza dell’indennizzo «Pinto» non mette in discussione l’effettività di questa via di ricorso. Pertanto, è opportuno dichiarare questo motivo di ricorso irricevibile in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

42. Con due missive del 20 ottobre e del 27 novembre 2004, il ricorrente ha lamentato anche la violazione degli articoli 17 e 34 della Convenzione in quanto la legge «Pinto» chiede di dimostrare i danni morali subiti in conseguenza della durata di un procedimento.

43. La Corte osserva che la decisione della corte d’appello «Pinto» è divenuta definitiva l’8 marzo 2003. I motivi di ricorso del ricorrente sono stati presentati non prima del 20 ottobre 2004, pertanto la Corte ritiene che sia opportuno dichiararli irricevibili per tardività, ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. Peraltro, la Corte ritiene che questi motivi di ricorso, strettamente legati a quelli relativi all’effettività del rimedio «Pinto», sarebbero stati comunque manifestamente infondati, tenuto conto delle conclusioni che figurano al precedente paragrafo 41 (si veda, mutatis mutandis, Fascini c. Italia, n. 56300/00, § 45, 5 luglio 2007).

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

44. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danni

45.Il ricorrente chiede una somma non inferiore a 12.000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

46.Il Governo non si è pronunciato al riguardo.

47.La Corte osserva che il ricorrente ha ottenuto a livello nazionale il 25% della somma che essa avrebbe potuto accordargli per la violazione dell’articolo 6 § 1, in assenza di vie di ricorso interne, il che porta ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, date le caratteristiche della via di ricorso «Pinto», la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in via equitativa, accorda al ricorrente 2.800 EUR nonché 200 EUR per l’ulteriore frustrazione derivante dal ritardo nel versamento dell’indennizzo «Pinto» (si vedano i paragrafi 15 e 25 supra).

B.  Spese

48. Il ricorrente chiede il rimborso delle spese relative al procedimento «Pinto» e di quelle sostenute davanti alla Corte nella misura fissata da questa.

49.Il Governo non ha preso posizione al riguardo.

50.La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, il rimborso delle spese ai sensi dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà, la necessità e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22).

51.Nel caso di specie, la Corte constata l’assenza di giustificativi delle spese reclamate e pertanto decide di non accordare niente.

C.  Interessi moratori

52. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

 

  1. Dichiara il ricorso ricevibile quanto al motivo relativo alla durata eccessiva del procedimento, all’insufficienza dell’indennizzo «Pinto» nonché al ritardo nel pagamento di quest’ultimo, e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 3.000 EUR (tremila euro) per il danno morale, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 luglio 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Peer Lorenzen
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto f.f.