Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 15 aprile 2014 - Ricorsi nn. 21838/10, 21849/10, 21852/10, 21855/10, 21860/10, 21863/10, 21869/10 e 21870/10) Stefanetti e altri c. Italia

p>© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata da Silvia Canullo e Maria Caterina Tecca, funzionari linguistici. Revisione a cura di Maria Caterina Tecca.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

EX SECONDA SEZIONE

CAUSA STEFANETTI E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 21838/10, 21849/10, 21852/10, 21855/10, 21860/10, 21863/10, 21869/10 e 21870/10)

SENTENZA

(Merito)

STRASBURGO

15 aprile 2014

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Stefanetti e altri c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), riunita in una Camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, giudici,
e Stanley Naismith, cancelliere di Sezione,
dopo aver deliberato in camera di consiglio il 25 marzo 2014,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi sono otto ricorsi proposti contro la Repubblica italiana con cui nel 2010 otto cittadini italiani (“i ricorrenti”) hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione») (si veda l’appendice per i dettagli).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. R. Palotti, del foro di Sondrio, Italia. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, Ersiliagrazia Spatafora, e dal suo co-agente, Paola Accardo.

3. I ricorrenti sostenevano che l’intervento legislativo, avvenuto nelle more dei loro procedimenti, violava il loro diritto a un equo processo ai sensi dell’articolo 6 e il loro diritto di proprietà ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione .

4.Il 29 agosto 2012 i ricorsi sono stati comunicati al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Le circostanze del caso di specie sono analoghe a quelle descritte nella causa Maggio e altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 31 maggio 2011).

6.I ricorrenti hanno lavorato in Svizzera negli anni pertinenti, in totale, per  i seguenti periodi:

  • Sig. Stefanetti: circa ventitré anni tra il 1959 e il 1996;
  • Sig. Rodelli: circa trentun anni tra il 1962 e il 1996;
  • Sig. Negri: circa tredici anni tra il 1954 e il 1997;
  • Sig. Della Nave: circa ventotto anni tra il 1962 e il 1989;
  • Sig. Del Maffeo: circa trentadue anni e mezzo tra il 1959 e il 1996;
  • Sig. Cotta: circa ventisei anni tra il 1962 e il 1987;
  • Sig. Curti: circa ventotto anni tra il 1962 e il 1997;
  • Sig. Andreola: circa 10 anni e mezzo tra il 1967 e il 1977.

7. Nel 1982 l’Italia modificò il suo sistema pensionistico contributivo, secondo il quale l’importo della pensione percepita dipendeva dai contributi versati, in un sistema retributivo basato sul reddito o sulla retribuzione.

8.I ricorrenti, che avevano trasferito in Italia i contributi versati in Svizzera, chiesero all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (“INPS”) di calcolare le loro pensioni, in conformità alla Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 1962 (si vedano il diritto e la prassi interni pertinenti infra), in base ai contributi versati in Svizzera per il lavoro ivi svolto nel corso di un certo numero di anni (si veda per i dettagli la tabella allegata). Come base di calcolo delle loro pensioni (in relazione alla loro retribuzione media negli ultimi dieci anni), l’INPS utilizzò una retribuzione teorica invece della retribuzione effettiva. Tale criterio portò a una riparametrazione sulla base dell’aliquota contributiva applicata in Svizzera  (8%) e di quella applicata in Italia (32,7%), vale a dire che il calcolo fu basato su uno pseudo-salario con il risultato che la pensione percepita dai ricorrenti era inferiore alle aspettative. Secondo i ricorrenti la loro pensione era circa un terzo di quello che avrebbe dovuto essere.

9. A titolo di esempio, è indicata nell’appendice la pensione che i ricorrenti hanno effettivamente percepito nel 2010 e una stima, calcolata da loro, di quanto avrebbero dovuto percepire nello stesso anno se non fosse stato applicato tale metodo di calcolo.

10. Conseguentemente nel 2006 i ricorrenti instaurarono dei procedimenti giudiziari, sostenendo che ciò era contrario allo spirito della Convenzione italo-svizzera. Diverse persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti avevano fatto lo stesso con successo. I tribunali nazionali avevano stabilito che le persone che avevano lavorato in Svizzera e che avevano successivamente trasferito i loro contributi in Italia avrebbero dovuto beneficiare di una pensione calcolata con il metodo retributivo sulla base della retribuzione percepita in Svizzera, a prescindere dal fatto che i contributi trasferiti fossero stati versati in base a un’aliquota svizzera molto inferiore.

11. Mentre i loro procedimenti erano ancora pendenti, il 1° gennaio 2007 entrò in vigore la Legge n. 296/2006 (si vedano il diritto e la prassi  interni pertinenti infra).

12. Le pretese dei ricorrenti furono respinte con sentenze distinte del Tribunale di Sondrio (depositate nella pertinente cancelleria come indicato infra) in considerazione dell’entrata in vigore della Legge n. 296/2006:

  • sentenza (n. 149/09) del 30 novembre 2009 nei confronti del Sig. Stefanetti;
  • sentenza (n. 96/09) del 27 ottobre 2009 nei confronti del Sig. Rodelli;
  • sentenza  (n. 09/10) del 28 gennaio 2010 nei confronti del Sig. Negri;
  • sentenza (n. 104/09) del 27 ottobre 2009 nei confronti del Sig. Della Nave;
  • sentenza (n. 09/10) del 28 gennaio 2010 nei confronti del Sig. Del Maffeo;
  • sentenza (n. 166/09) del 10 dicembre 2010 nei confronti del Sig. Cotta;
  • sentenza (n. 112/09) del 10 novembre 2009 nei confronti del Sig. Del Curti;
  • sentenza (n. 96/09) del 27 ottobre 2009 nei confronti del Sig. Andreola.

Nessuno dei ricorrenti propose appello, ritenendolo inutile dato che la Legge n. 296/2006 era stata dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 172 del 23 maggio 2008 (si vedano il diritto e la prassi  interni pertinenti infra), che  gli altri tribunali erano tenuti ad applicare.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. La Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale

13. L’articolo 23 delle disposizioni transitorie della Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, per quanto pertinente, prevede:

“1. Da parte svizzera le prestazioni sono accordate di regola secondo le disposizioni della presente Convenzione anche nel caso che l’evento assicurato si sia realizzato prima dell’entrata in vigore della Convenzione. Le rendite ordinarie dell’assicurazione vecchiaia e superstiti vengono tuttavia corrisposte secondo le suddette disposizioni solo nel caso che l’evento assicurato si sia verificato prima del 21 dicembre 1959 e quando i contributi non siano stati o non saranno trasferiti o rimborsati in applicazione della Convenzione del 17 ottobre 1951, o del paragrafo 5 del presente articolo. …

2. Da parte italiana le prestazioni saranno di regola concesse secondo le disposizioni della presente Convenzione nei casi in cui l’evento assicurato si verifichi a partire dalla data o dopo la data della sua entrata in vigore. Tuttavia nei casi in cui l’evento assicurato si sia verificato anteriormente a questa data, le prestazioni saranno concesse secondo le disposizioni della presente Convenzione a partire dalla sua entrata in vigore, qualora non sia stato possibile concedere la pensione a causa dell’insufficienza dei periodi di assicurazione e qualora i contributi non siano stati rimborsati dalle assicurazioni sociali italiane.

3. Salvo le disposizioni dei paragrafi 1 e 2, i periodi di assicurazione, di contribuzione e di soggiorno compiuti prima dell’entrata in vigore della presente Convenzione saranno ugualmente presi in considerazione.

5. Per un periodo di cinque anni a partire dalla data dell’entrata in vigore della presente Convenzione, i cittadini italiani hanno la facoltà, in deroga all’articolo 7, di chiedere, al verificarsi dell’evento assicurato in caso di vecchiaia, secondo la legislazione italiana, il trasferimento alle assicurazioni italiane dei contributi versati da loro stessi e dai loro datori di lavoro all’assicurazione vecchiaia e superstiti svizzera, a condizione tuttavia che essi abbiano lasciato la Svizzera per stabilirsi definitivamente in Italia o in un terzo Paese prima della fine dell’anno in cui detto evento si sia verificato. Per quanto riguarda l’utilizzazione dei contributi trasferiti, l’eventuale rimborso all’interessato e gli effetti del trasferimento, si applica l’articolo 5, paragrafi 4 e 5, della Convenzione del 17 ottobre 1951.”

14. Per quanto pertinente, l’articolo 5 della Convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale del 17 ottobre 1951 prevede:

“… (4) I cittadini italiani che non si trovino nelle condizioni stabilite al precedente comma (*), nonché i loro superstiti, possono chiedere che i contributi versati dall’assicurato e dai suoi datori di lavoro nell’assicurazione vecchiaia e superstiti svizzera siano trasferiti alle assicurazioni sociali italiane indicate all’articolo 1 (*). Queste utilizzeranno tali contributi per garantire all’assicurato i benefici derivanti dalla legislazione italiana citata all’articolo 1 (*) e dalle disposizioni particolari che saranno emanate dalle autorità italiane. Se in base alle disposizioni della legislazione italiana, l’assicurato non può ugualmente far valere il diritto alla pensione, le assicurazioni sociali italiane gli rimborseranno, a sua domanda, i contributi ad esse trasferite.

(5) Il trasferimento dei contributi previsto al precedente comma può essere chiesto:

(a) se il cittadino italiano ha lasciato la Svizzera da almeno dieci anni o

(b) al verificarsi dell’evento assicurato.

Il cittadino italiano i cui contributi sono stati trasferiti alle assicurazioni sociali italiane, non può più far valere alcun diritto nei confronti dell’assicurazione vecchiaia e superstiti svizzera in base a detti contributi. Egli, come pure i suoi superstiti, possono pretendere una rendita ordinaria dell’assicurazione vecchiaia e superstiti svizzera solamente … [in base] alle condizioni stabilite al primo paragrafo (*).”

15.Si osserva che gli articoli contrassegnati da (*) sono stati abrogati dall’articolo 26, paragrafo 3, della Convenzione del 1962, eccetto che ai fini dell’articolo 23, paragrafo 5, riportato sopra.

16.Le disposizioni transitorie dell’articolo 23 della Convenzione del 1961 sono diventate definitive mediante l’Accordo aggiuntivo del 4 luglio 1969 che, all’articolo 1, paragrafi 1 e 3, recita:

“I cittadini italiani hanno la facoltà, in deroga alle disposizioni dell’articolo 7 della Convenzione, di chiedere, al verificarsi dell’evento assicurato in caso di vecchiaia secondo la legislazione italiana, il trasferimento alle assicurazioni sociali italiane dei contributi versati da loro stessi e dai loro datori di lavoro all’assicurazione vecchiaia e superstiti svizzera, ove non abbiano ancora beneficiato di alcuna prestazione dell’assicurazione vecchiaia, superstiti e invalidità svizzera, a condizione tuttavia che essi abbiano lasciato la Svizzera per stabilirsi definitivamente in Italia ...”

“Le assicurazioni sociali italiane utilizzano a favore dell’assicurato o dei suoi superstiti i contributi trasferiti al fine di far loro conseguire i vantaggi derivanti dalla legislazione italiana, citata all’articolo 1 della Convenzione, secondo le disposizioni particolari emanate dalle Autorità italiane. Se in base alle disposizioni della legislazione italiana non derivi all’assicurato o ai suoi superstiti, dal trasferimento dei contributi, alcun vantaggio nel regime delle pensioni, le assicurazioni sociali italiane rimborsano agli interessati i contributi trasferiti.”

B. La giurisprudenza relativa al periodo precedente all’entrata in vigore della Legge n. 296/2006.

17. La sentenza della Corte di Cassazione del 6 marzo 2004, e altra analoga giurisprudenza dell’epoca, hanno stabilito che, in assenza di legislazione specifica che disciplini il trasferimento dei contributi, il metodo di calcolo utilizzato per determinare le pensioni dei lavoratori dovesse essere basato sulla retribuzione effettiva percepita dall’interessato, comprendente ogni attività lavorativa svolta in Svizzera, a prescindere dal fatto che i contributi versati in Svizzera e trasferiti in Italia fossero stati calcolati in base ad aliquote molto più basse di quelle applicate in base alla normativa italiana.

C. La Legge n. 296 del 27 dicembre 2006

18.L’articolo 1, comma 777, della Legge n. 296/2006, entrata in vigore il 1° gennaio 2007, prevede:

“L’articolo 5, secondo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica del 27 aprile 1968, n. 488, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, in caso di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni e accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l’importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge.”

D. La sentenza della Corte Costituzionale n. 172 del 23 maggio 2008

19. Con ordinanza del 5 marzo 2007, la Corte di Cassazione sollevava la questione della legittimità costituzionale della Legge n. 296/2006 e rinviava la causa alla Corte Costituzionale. Il 23 maggio 2008 la Corte Costituzionale emetteva una sentenza, ritenendo, in sintesi, quanto segue.

20. Ancorché interpretativa, la Legge n. 296/2006 era innovativa. Non vi era stato alcuna giurisprudenza divergente in materia di regime pensionistico, ma si era invece affermato un orientamento unico e ben consolidato, secondo il quale il lavoratore italiano poteva chiedere il trasferimento all’INPS dei contributi versati in Svizzera a suo favore, al fine di conseguire i vantaggi previsti dalla legislazione italiana sull’assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti, compreso quello della determinazione della pensione con il metodo retributivo, in base alla retribuzione percepita in Svizzera, a prescindere dal fatto che i contributi trasferiti fossero stati versati con un’aliquota svizzera molto inferiore.

21. La Corte Costituzionale osservava che le norme di definizione dei pagamenti pensionistici si collocavano nell’ambito di un sistema previdenziale che bilanciava le risorse disponibili e le prestazioni erogate. Il passaggio nel calcolo delle pensioni dal metodo contributivo a quello retributivo non era avvenuto a discapito della sostenibilità finanziaria del sistema. Pertanto le modifiche causate dalla legge contestata cercavano di rendere il rapporto tra retribuzione pensionabile e contributi versati omogeneo con il sistema vigente in Italia nello stesso periodo. La Legge prevedeva che la retribuzione percepita all’estero (utilizzata come base del calcolo della pensione) fosse riparametrata applicando lo stesso rapporto percentuale utilizzato per i contributi versati in Italia nel medesimo periodo. Pertanto la norma ha reso esplicito un precetto contenuto nelle disposizioni oggetto dell’interpretazione autentica. Conseguentemente non è stato leso il principio della certezza giuridica. Né la norma era discriminatoria, perché i diritti acquisiti e più favorevoli di coloro che erano andati in pensione precedentemente erano ormai inattaccabili. Inoltre, la Legge non discriminava le persone che avevano lavorato all’estero, poiché assicurava semplicemente un equilibrio complessivo del sistema previdenziale ed evitava che, a fronte di a una contribuzione relativamente esigua a un fondo pensionistico straniero, si potesse avere diritto alla stessa pensione di chi aveva versato contributi italiani notevolmente più elevati. La Legge contestata non determinava alcuna riduzione ex post facto, dato che essa non faceva altro che imporre un’interpretazione già desumibile dalle disposizioni interpretate. In definitiva, tale sistema permetteva comunque una pensione sufficiente e soddisfacente, adeguata allo stile di vita di un lavoratore. Conseguentemente, la questione di incostituzionalità della suddetta Legge era manifestamente infondata.

E.  La sentenza della Corte Costituzionale n. 264 del  28 novembre 2012

22. La questione fu sollevata nuovamente dinanzi alla Corte Costituzionale a seguito della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Maggio e altri, sopra citata, in cui la Corte riscontrava, in circostanze simili a quelle del  caso di specie, che lo Stato italiano, promulgando la Legge n. 296/2006, aveva violato i diritti dei ricorrenti previsti dall’articolo 6 § 1, intervenendo in maniera decisiva per assicurare che l’esito di un procedimento nel quale era parte fosse a esso favorevole. La Corte Costituzionale doveva pertanto esaminare la compatibilità della Legge n. 296/2006 con il pertinente quadro giuridico, e ritenne che essa fosse in effetti compatibile.

23. La Corte Costituzionale  osservava che il D.P.R. n. 488 del 27 aprile 1968 aveva introdotto un nuovo metodo di calcolo delle pensioni, il metodo retributivo, basato sul reddito o sulla retribuzione. Si era stabilita una costante giurisprudenza che riteneva che anche gli italiani che avevano lavorato in Svizzera e avevano successivamente trasferito i loro contributi nel sistema italiano avrebbero dovuto beneficiare del calcolo di tipo retributivo, a prescindere dal fatto che avessero versato dei contributi inferiori a quelli esigibili in Italia. Successivamente fu promulgata la Legge n. 296/2006, la cui costituzionalità fu confermata nel 2008 dalla Corte Costituzionale, e poiché la legge costituiva l’interpretazione autentica della legislazione originaria ed era pertanto ragionevole, da quel momento in poi la giurisprudenza si adeguò.

24. La Corte Costituzionale faceva riferimento alle conclusioni della causa Maggio, ma riteneva di dover valutare essa stessa la questione; la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva riconosciuto che era possibile intervenire in un procedimento pendente qualora fossero sussistessero impellenti motivi di interesse generale, e la Corte Costituzionale riteneva che spettasse allo Stato contraente individuare tali impellenti motivi di interesse generale e intervenire dal punto di vista legislativo per garantire che essi fossero risolti.

25. La giurisprudenza della Corte Costituzionale dimostrava che comparando i meccanismi di tutela nazionali e quelli della Convenzione, la tutela delle garanzie doveva prevalere, tenendo comunque conto degli altri interessi costituzionalmente protetti. Il principio del margine di discrezionalità stabilito dalla Corte stessa era di particolare rilevanza e la Corte Costituzionale doveva tenerne conto per assicurare un sistema uniforme di norme coerenti.

26. Pur essendo vincolata, in linea di massima, dalla sentenza Maggio (essendo anche i principi posti a suo fondamento principi costituzionalmente riconosciuti), la Corte Costituzionale doveva prestarsi a un esercizio di bilanciamento. Essa riteneva che altri interessi opposti, anche essi costituzionalmente protetti e attinenti alla questione in discussione, prevalessero nelle circostanze del caso di specie. Ne conseguiva che esistevano impellenti motivi di interesse generale che giustificavano l’applicazione retroattiva della legge. Invero, gli effetti della nuova legge andavano nel senso di evitare un sistema previdenziale che privilegiasse alcuni a svantaggio di altri, garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà che, per via del loro carattere fondativo, occupavano una posizione privilegiata rispetto ad altri diritti costituzionali. La legge contestata era ispirata ai principi di uguaglianza e proporzionalità e teneva conto del fatto che i contributi versati in Svizzera erano quattro volte inferiori a quelli versati in Italia; in tal modo essa applicava un ricalcolo diretto che consentiva di erogare pensioni proporzionali ai contributi versati, eliminare eventuali disparità e rendere il sistema previdenziale più sostenibile a beneficio di tutti i suoi  utenti. Anche la  Corte europea dei diritti dell’uomo accoglieva questo ragionamento nella causa Maggio in relazione alla doglianza di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1, sebbene non lo ritenesse sufficiente a evitare una violazione dell’articolo 6. A ogni modo, a differenza della Corte che è tenuta a esaminare le doglianze separatamente, la Corte Costituzionale doveva adottare un approccio globale e valutare una causa sulla base di tutte le pertinenti garanzie costituzionali. Pertanto la questione dell’incostituzionalità era infondata; e invero una diversa conclusione non solo avrebbe conseguenze sul sistema pensionistico ma andrebbe anche contro lo spirito della sentenza della Corte nella causa Maggio, che aveva respinto le richieste del ricorrente di una pensione basata sul precedente metodo di calcolo.

F. Le conclusioni del Comitato europeo dei diritti sociali sulla conformità della situazione dell’Italia alla Carta sociale europea (2013)[1]

27. Le parti pertinenti del rapporto recitano:

" Il Comitato inoltre evince dal MISSOC [Sistema di informazione reciproca sulla protezione sociale dell’Unione europea] che nel 2011 l’importo della pensione minima si attestava a €6.246,89 (€520 al mese). La pensione di vecchiaia è portata all’importo della pensione minima se il reddito annuale tassabile del pensionato è inferiore al doppio della pensione minima. Il Comitato osserva che il livello della pensione minima è inferiore al 40% del reddito equivalente mediano (Eurostat) ed è pertanto inadeguato (pagina 29)”.

“Nel valutare l’adeguatezza delle risorse delle persone anziane di cui all’articolo 23, il Comitato prende in considerazione tutte le misure di tutela sociale garantite alle persone anziane anziani e finalizzate a mantenere un livello di reddito che consenta loro di condurre una vita dignitosa e di partecipare attivamente alla vita pubblica, sociale e culturale.

In particolare il Comitato esamina le pensioni, contributive o non contributive, e le altre prestazioni pecuniarie complementari disponibili per le persone anziane. Tali risorse sono poi paragonate al reddito equivalente mediano. Il Comitato ricorda comunque che il proprio compito è valutare non solo la legislazione ma anche l’adeguamento della pratica agli obblighi derivanti dalla Carta. A tal fine il Comitato terrà conto anche conto dei pertinenti indicatori relativi al tasso di rischio di povertà per le persone di 65 anni o più.

Il Comitato rileva dal MISSOC che non è prevista nessuna pensione minima di legge per i lavoratori assicurati la prima volta a partire dal 1° gennaio 1996; pertanto solo le pensioni versate in base al sistema retributivo possono essere integrate fino a raggiungere l’importo della pensione minima. È una prestazione collegata al reddito, pertanto, per avervi diritto, il reddito personale o familiare non deve superare determinate soglie, stabilite annualmente (€6,247 per una persona che vive sola, circa €521 al mese nel 2011). Nel 2011 l’importo annuale della pensione minima ammontava a €6.076 (€ 506 al mese). Coloro che beneficiano di una pensione minima possono inoltre percepire una o più integrazioni. Le informazioni fornite dalle autorità italiane indicano diverse integrazioni e forniscono tassi diversi per esse. (…)

Il rapporto indica inoltre che la Social Card, carta magnetica finanziata con fondi pubblici e donazioni private, distribuita dalla società Poste Italiane, può essere utilizzata dalle persone anziane con un basso reddito per acquistare generi alimentari in negozi convenzionati e pagare bollette di importo non superiore a €40 al mese. È disponibile per le persone di età superiore ai 65 anni con una pensione inferiore a € 6.000 all’anno (€8.000 per chi ha 70 anni o più),  e  un patrimonio mobiliare inferiore a €15.000.

Il Comitato osserva che il 50% del reddito equivalente mediano Eurostat nel 2011 si attestava a €665 (il 40% a  €532). La pensione minima è inferiore al 40% del reddito equivalente mediano Eurostat, pertanto il Comitato non può valutare la situazione fin quando non riceverà ulteriori informazioni sulle integrazioni disponibili  (si veda il quesito supra).

Il comitato rileva dalle informazioni integrative fornite dall’Italia che esiste un assegno sociale che può essere concesso a coloro che hanno più di 65 anni e un reddito inferiore a €5.749,90. Nel 2012 l’importo pagabile a una persona che viveva sola ammontava a €442,30 al mese. Il Comitato osserva che anche questo importo è inferiore al 40% del reddito equivalente mediano Eurostat e chiede nuovamente se esistano integrazioni, o altre prestazioni e sussidi (pagine 44-45)”.

IN DIRITTO

I. LA RIUNIONE DEI RICORSI

28. In conformità all’articolo 42 § 1 del Regolamento della Corte, la Corte decide di riunire i ricorsi data la similitudine del loro contesto fattuale e giuridico.

II. LA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

29. I ricorrenti lamentavano che l’intervento legislativo, vale a dire la promulgazione della Legge n. 296/2006, che aveva modificato una giurisprudenza consolidata mentre i procedimenti erano pendenti, aveva negato loro il diritto a un equo processo previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, … da un tribunale … il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile ...”

30. Il Governo contestava tale argomento.

A. Ricevibilità

31. La Corte constata che la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e osserva peraltro che essa non incorre in altri motivi di irricevibilità, pertanto deve essere dichiarata ricevibile.

B. Il merito

1. Gli argomenti delle parti

(a) I ricorrenti

32. I ricorrenti affermavano che con la promulgazione della (articolo 1 comma 777 ) Legge n. 296/2006 il Governo ha interferito a favore di una delle parti nei procedimenti pendenti. La Legge n. 296/2006 ha introdotto un’interpretazione delle pertinenti disposizioni di legge diametralmente opposta al significato attribuito dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare in seguito alla sua sentenza del 2004).

33. La disposizione controversa era stata inserita nella Legge n. 296/2006, legge finanziaria dell’anno 2007, che aveva un campo d’applicazione del tutto diverso e sebbene nell’ordinamento interno ci si possa essere riferiti a essa come a una norma di interpretazione autentica, nella sostanza non era niente del genere, come implicitamente riconosciuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 72 del 2008, in cui essa  dichiarava che “non si può anche solo nominalmente attribuire valore interpretativo a una disposizione che, con norme dettagliate mai espresse precedentemente nell’ordinamento, incide su una norma entrata in vigore trentotto anni prima.” I ricorrenti ritenevano che la disposizione in questione fosse una norma innovativa che introduceva un meccanismo perequativo (pregiudizievole per i ricorrenti) precedentemente inesistente nell’ordinamento giuridico italiano. Sebbene esistessero tre parametri di calcolo delle pensioni, nessuno di essi faceva riferimento al rapporto tra i contributi versati al momento pertinente. Inoltre, anche i principi generali della legge stabilivano che i calcoli dovessero essere basati sulle norme del sistema assicurativo beneficiario e sugli stessi criteri che se il ricorrente fosse sempre stato iscritto all’INPS (ovvero sulla base dei salari percepiti).

34. La norma mirava a modificare il contenuto di un trattato entrato in vigore quarantatré anni prima il quale, inoltre, era stato abrogato quattro anni prima (in conseguenza di un nuovo accordo tra la Svizzera e l’Unione europea). Pertanto, il fine del legislatore era stato precisamente quello di estinguere i diritti delle persone che avevano lavorato in Svizzera (diritti che erano stati confermati dai tribunali italiani) e così facendo di influire sull’esito di tali procedimenti pendenti. La norma era retroattiva, erano escluse le persone i cui procedimenti erano giunti al termine ma non quelle i cui procedimenti erano ancora pendenti, e non si basava su alcun impellente motivo di interesse generale. I ricorrenti facevano riferimento alle conclusioni della Corte nella causa Maggio e altri, sopra citata. 

(b)  Il Governo

35. Il Governo ricapitolava i fatti, evidenziando che la Convenzione italo-svizzera era stata ratificata nel 1963 e la Legge n. 1987 era stata approvata nel 1982. Tale legge aveva modificato il metodo di calcolo delle pensioni passando dal metodo contributivo a quello retributivo e aveva così posto un serio problema di coerenza riguardo alla valutazione dei periodi di lavoro svolto in Svizzera, nella misura in cui i salari svizzeri erano assoggettati a un contributo dell’8% mentre quelli italiani a un contributo del 32%. Ne conseguiva che le pensioni degli italiani che avevano lavorato in Svizzera erano supervalutate sia rispetto agli altri lavoratori italiani che avevano versato i contributi solo in Italia sia rispetto ai lavoratori svizzeri che avevano versato contributi inferiori, ma che ricevevano anche pensioni inferiori. Questo è il motivo per cui il Governo aveva promulgato la Legge n. 296/2006, che prevedeva che se i contributi versati all’estero venivano trasferiti nel sistema italiano in conformità agli accordi internazionali in materia di sicurezza sociale, la retribuzione delle persone che avevano lavorato all’estero, per il periodo in cui avevano lavorato all’estero, doveva essere determinata moltiplicando i contributi versati per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva applicabile in Italia nel periodo pertinente. I diritti pensionistici più favorevoli già liquidati prima dell’entrata in vigore della legge erano fatti salvi.

36. Il Governo riteneva che non vi fosse stata un’ingerenza ingiustificata nelle decisioni giudiziarie, né alcuna violazione della certezza giuridica, poiché l’interpretazione delle legge era stata, in ogni caso, controversa - un certo numero di decisioni di primo grado aveva confermato il metodo di calcolo applicato dall’INPS – e poiché la legge non aveva alcun effetto sulle cause già concluse. Il motivo alla base della promulgazione della legge, e cioè assicurare che il metodo di calcolo utilizzato dall’INPS (e confermato dalla giurisprudenza minoritaria) diventasse l’interpretazione prevalente delle leggi pertinenti, era serio e ragionevole poiché prevedeva che fosse attribuito lo stesso valore ai periodi di lavoro sia svolti in Italia che all’estero. Ne conseguiva che i motivi non erano stati unicamente di carattere finanziario come nella causa Zielinski, Pradal, Gonzalez e altri c. Francia ([GC], nn. 24846/94 e dal 34165/96 al 34173/96, CEDU 1999-VII) e nella causa Scordino c. Italia (n. 1) ([GC], n. 36813/97, CEDU 2006-V.

37. Il Governo riteneva che la causa fosse paragonabile a quella di OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri c. Francia (nn. 42219/98 e 54563/00, 27 maggio  2004), in cui la Corte non aveva riscontrato violazioni perché l’ingerenza mirava ad assicurare il rispetto della volontà originaria del legislatore, e in cui la Corte aveva attribuito importanza anche all’obiettivo di ristabilire la parità di  trattamento tra gli insegnanti degli istituti privati e di quelli pubblici. Anche nel caso di specie il fine dell’intervento del corpo legislativo nel promulgare la Legge n. 296/2006 era stato quello di assicurare il rispetto della volontà originaria del legislatore e di coordinare l’applicazione della Convenzione italo-svizzera e del nuovo metodo di calcolo, entrato in vigore nel 1982, che aveva creato uno squilibrio nelle pertinenti valutazioni. Ne consegue che l’ingerenza era giustificata da un impellente motivo di interesse generale.

2. La valutazione della Corte

38. La Corte ha ripetutamente riconosciuto che, benché non sia precluso al corpo legislativo di disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio dello stato di diritto e la nozione di equo processo sanciti dall’articolo 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale, l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la definizione giudiziaria di una controversia (si vedano, tra molti altri precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 49, Serie A n. 301-B; National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, Reports 1997-VII; e Zielinski, Pradal, Gonzalez e altri, sopra citata). Benché le disposizioni di legge in materia di pensioni possano cambiare e non si possa fare affidamento su una sentenza come garanzia contro tali cambiamenti nel futuro (si veda Sukhobokov c. Russia, n. 75470/01, § 26, 13 aprile 2006), anche se tali cambiamenti sono svantaggiosi per alcuni beneficiari delle prestazioni previdenziali, lo Stato non può interferire in modo arbitrario nelle procedure di decisione giudiziaria (si veda, mutatis mutandis, Bulgakova c. Russia, n. 69524/01, § 42, 18 gennaio 2007).

39.  In circostanze analoghe, nella causa Maggio e altri, sopra citata, §§ 44-50, la Corte, nel constatare la violazione dell’articolo 6, riteneva:

“la legge [296/2006] ha escluso espressamente dal suo ambito di applicazione le sentenze divenute irrevocabili (trattamenti pensionistici già liquidati) e ha determinato una volta per tutte retroattivamente i termini delle controversie pendenti dinanzi ai tribunali ordinari. Invero, la promulgazione della Legge 296/2006 mentre i procedimenti erano pendenti in realtà determinava il merito delle controversie, e l’applicazione di questa da parte dei vari tribunali ordinari ha reso inutile per un intero gruppo di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti la prosecuzione del giudizio. Perciò, la legge aveva avuto l’effetto di modificare definitivamente l’esito del giudizio pendente, nel quale lo Stato era parte, avallando la posizione dello Stato a svantaggio dei ricorrenti.

(...) Il rispetto per lo stato di diritto e la nozione di equo processo impongono che qualsiasi motivazione addotta per giustificare tale misura sia trattata con il massimo grado di circospezione possibile (si veda, Stran Greek Refineries, sopra citata, § 49). (…) La Corte ha precedentemente ritenuto che le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie (si vedano Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 132, CEDU 2006-V, e Cabourdin c. Francia, n. 60796/00, § 37, 11 aprile 2006).

La Corte osserva che, dopo il 1982, l’INPS ha applicato un’interpretazione della legge allora in vigore che gli era particolarmente favorevole in quanto organo erogatore. Questo sistema non era sostenuto dalla giurisprudenza prevalente. La Corte non riesce a immaginare in quale modo il fine di rafforzare un’interpretazione soggettiva e parziale, favorevole a un ente dello Stato, parte nel procedimento, possa costituire una giustificazione dell’ingerenza legislativa mentre il procedimento era pendente, in particolare quando tale interpretazione era stata ritenuta erronea nella maggioranza dei casi dai tribunali nazionali, compresa la Corte di Cassazione.

Quanto alla tesi del Governo secondo cui la legge era stata necessaria per ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico eliminando qualsiasi vantaggio goduto dalle persone che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori, la Corte, pur accettando che ciò costituisse un motivo di interesse generale, non è convinta che esso fosse sufficientemente impellente da prevalere sui pericoli inerenti all’utilizzo di una normativa retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la definizione giudiziaria di una controversia pendente in cui lo Stato sia parte.

In conclusione, lo Stato ha violato i diritti dei ricorrenti di cui all’articolo 6 § 1 intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole.”

40. Nel caso di specie il Governo presentava ulteriori argomenti evidenziando in particolare il fatto che la promulgazione della Legge n. 296/2006 mirava ad assicurare il rispetto della volontà originaria del legislatore e a coordinare l’applicazione della Convenzione italo-svizzera e il nuovo metodo di calcolo, entrato in vigore nel 1982 e che aveva creato uno squilibrio nelle relative valutazioni. Faceva riferimento alla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X,  Blanche de Castille e altri (sopra citata).

41.  La Corte ritiene che il caso di specie sia diverso dalla causa National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society (sopra citato) in cui l’avvio di un procedimento da parte delle società ricorrenti è stato considerato un tentativo di approfittare della vulnerabilità delle autorità derivante da difetti tecnici della legislazione e di frustrare l’intenzione del Parlamento (§§ 109 e 112). Il caso di specie è diverso anche dalla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X , Blanche de Castille e altri citato dal Governo in cui i ricorrenti cercavano di nuovo di ottenere dei vantaggi da una lacuna della legislazione, cui l’ingerenza legislativa mirava a porre rimedio. In questi due casi i tribunali nazionali avevano riconosciuto le carenze della legislazione in questione e l’azione da parte dello Stato, per porre rimedio alla situazione, era stata prevedibile (rispettivamente §§ 112 e 72).

42.Nel caso di specie non vi erano difetti cospicui nel quadro giuridico del 1962 e, come riconosciuto dal Governo, la necessità di un intervento legislativo è sorta solo in conseguenza della decisione dello Stato, nel 1982, di riformare il sistema pensionistico. In quella fase fu lo Stato stesso a creare una disparità che esso provò a correggere solo ventiquattro anni dopo (e trentotto anni dopo la promulgazione delle disposizioni di legge originarie). In effetti, non risulta che vi siano stati tentativi tempestivi di correggere il sistema prima, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali. A tale proposito la Corte osserva che prima della promulgazione della Legge n. 296/2006 i tribunali nazionali si erano ripetutamente pronunciati a favore di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, e che l’interpretazione delle pertinenti disposizioni di legge (come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 6 marzo 2004) era diventata la giurisprudenza maggioritaria. Ne consegue che, dato anche il fatto che nei decenni in cui l’applicazione del calcolo in questione era stata contestata nei tribunali nazionali vi era stata un’interpretazione maggioritaria a favore dei ricorrenti (con l’eccezione di alcune sentenze di primo grado), nel caso di specie, diversamente dalle cause summenzionate, l’ingerenza legislativa (che faceva pendere la bilancia a favore di una delle parti) non era prevedibile.

43. La Corte ritiene inoltre, data la sequenza degli eventi, che non si possa affermare che l’intervento legislativo mirasse a ripristinare l’intenzione originaria del legislatore del 1962. Inoltre, anche assumendo che la legge mirasse davvero a reintrodurre la volontà originaria del legislatore dopo le modifiche del 1982, la Corte ha già accettato che il fine di ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico, benché di interesse generale, non era sufficientemente impellente da prevalere sui pericoli inerenti all’utilizzo di una normativa retroattiva che incideva su una controversia pendente. Invero, anche ammettendo che lo Stato stesse tentando di perequare una situazione che originariamente non aveva inteso creare, avrebbe potuto farlo tranquillamente senza ricorrere all’applicazione retroattiva della legge. Inoltre, anche il fatto che lo Stato abbia aspettato ventiquattro anni prima di effettuare una simile perequazione, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali, crea dei dubbi riguardo al fatto che quella fosse realmente l’intenzione del legislatore nel 1982.

44. Alla luce di quanto sopra, e ribadendo le considerazioni della Corte nella summenzionata sentenza Maggio, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

III.  LA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE

45. I ricorrenti lamentavano che la promulgazione della Legge n. 296/2006 e la sua applicazione alle loro cause costituivano un’ingerenza ingiustificata nei loro beni. Essa era inoltre arbitraria poiché creava una disparità di trattamento tra coloro che avevano scelto di lavorare in Svizzera e  coloro che erano rimasti in Italia. Invocavano l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione. Le pertinenti disposizioni recitano:

Articolo 1 del Protocollo  n. 1 alla Convenzione

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

Articolo 14 della Convenzione

“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella [presente] Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.”

A.  Le osservazioni delle parti

46. I ricorrenti ritenevano di avere un bene previsto dal diritto interno che ricadeva nell’ambito dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Il loro diritto alla pensione si basava sui salari che avevano percepito; tuttavia, a causa della Legge n. 296/06, tale diritto era stato negato alle persone come i ricorrenti, che avevano lavorato in Svizzera. Benché fosse vero che la Convenzione italo-svizzera avesse previsto la possibilità per lo Stato di promulgare norme specifiche per disciplinare la materia, le norme che riformavano totalmente la legge a danno dei ricorrenti erano state poste in essere solo trentotto anni dopo l’adozione di tale Convenzione. Nel frattempo, in assenza di una lex specialis, i diritti in questione erano maturati ed erano divenuti parte del patrimonio dei ricorrenti conformemente alle norme generali applicabili. Pertanto la nuova legge aveva interferito col pacifico godimento da parte dei ricorrenti dei loro beni in maniera arbitraria e radicalmente ingiustificata, riducendo drasticamente le loro pensioni. Essi ritenevano inoltre che tale ingerenza fosse discriminatoria e rivolta solo contro le persone che avevano lavorato all’estero, in particolare in Svizzera.

47. Il Governo reiterava le proprie osservazioni ai sensi dell’articolo 6.

B. La valutazione della Corte

1. Principi generali

48. La Corte ribadisce che, secondo la propria giurisprudenza, un ricorrente può addurre la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 solo nella misura in cui le decisioni che contesta sono relative ai suoi "beni" ai sensi di tale disposizione. I "beni" possono essere “beni esistenti" o valori patrimoniali, ivi compresi, in determinati casi ben definiti, i crediti.  Affinché un credito possa essere considerato un "valore patrimoniale" ricadente nel campo di applicazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, è necessario che il titolare del credito dimostri che esso ha un sufficiente fondamento nel diritto interno, per esempio, che esso sia confermato da una consolidata giurisprudenza dei tribunali nazionali. Una volta che ciò sia dimostrato, può entrare in gioco il concetto di "aspettativa legittima" (si veda Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 63, CEDU 2005 IX).

49. L'articolo 1 del Protocollo n. 1 non garantisce il diritto a diventare proprietario di un bene (si vedano  Van der Mussele c. Belgio, 23 novembre 1983, § 48, Serie A n. 70; Slivenko c. Lettonia (dec.) [GC], n. 48321/99, § 121, CEDU 2002-II; e Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, § 35 (b), CEDU 2004-IX). Né garantisce il diritto a una pensione di un particolare importo (si vedano, per esempio, Kjartan Ásmundsson c. Islanda, n. 60669/00, § 39, CEDU 2004-IX; Domalewski c. Polonia (dec.), n. 34610/97, CEDU 1999-V; Janković c. Croazia (dec.), n. 43440/98, CEDU 2000-X; Valkov e altri c. Bulgaria, nn. 2033/04, 19125/04, 19475/04, 19490/04, 19495/04, 19497/04, 24729/04, 171/05 e 2041/05, § 25, 25 ottobre 2011; e Frimu e altri quattro ricorsi c. Romania (dec.), nn.45312/11, 45581/11, 45583/11, 45587/11 e 45588/11,§ 42, 7 febbraio 2012). Analogamente, non è garantito il diritto a percepire una pensione per attività svolte in uno Stato diverso dallo Stato convenuto (si veda L.B. c. Austria (dec.), n. 39802/98, 18 aprile 2002). Tuttavia, il "credito"  relativo a una pensione può costituire un "bene" ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 qualora esso abbia un sufficiente fondamento nel diritto interno, per esempio, se è confermato da una sentenza definitiva pronunciata da un tribunale (si vedano, Pravednaya c. Russia, n. 69529/01, §§ 37-39, 18 novembre 2004; e Bulgakova, sopra citata, § 31).

50.La riduzione o la sospensione di una prestazione può costituire un'ingerenza nei beni, che deve essere giustificata (si vedano Kjartan Ásmundsson, sopra citata, § 40, e Rasmussen c. Polonia, n. 38886/05, § 71, 28 aprile  2009).

51. La Corte ribadisce che l'articolo 1 del Protocollo n. 1 comprende tre norme distinte: “la prima norma, espressa nella prima frase del primo paragrafo, è di carattere generale ed enuncia il principio del rispetto per la proprietà; la seconda norma, contenuta nella seconda frase dello stesso paragrafo, concerne la privazione della proprietà e la sottopone a determinate condizioni; la terza norma, contenuta nel secondo paragrafo, riconosce che gli Stati contraenti hanno il diritto, tra l'altro, di controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale. Le tre norme tuttavia non sono "distinte" nel senso che non hanno rapporto tra loro. La seconda e la terza norma concernono particolari casi di ingerenza nel diritto al pacifico godimento di un bene e devono pertanto essere interpretate alla luce del principio generale enunciato nella prima norma" (si vedano, tra altri precedenti, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, Serie A n. 98; Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999-II; e Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, §98, CEDU 2000-I).

52. Condizione essenziale perché l'ingerenza sia ritenuta compatibile con l'articolo 1 del Protocollo n. 1 è che essa sia legittima. Inoltre l'ingerenza da parte di un'autorità pubblica nel pacifico godimento di beni può essere giustificata solo se necessaria per un interesse pubblico (o generale) legittimo. In ragione della diretta conoscenza della loro società e delle sue esigenze, le autorità nazionali si trovano in linea di massima in una posizione migliore del giudice internazionale per valutare ciò che corrisponde "all'interesse pubblico". In base al sistema di tutela istituito dalla Convenzione, spetta pertanto alle autorità nazionali effettuare la valutazione iniziale dell'esistenza di un problema di interesse pubblico che giustifichi delle misure di ingerenza nel pacifico godimento di beni  (si veda Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002, e Wieczorek c. Polonia, n. 18176/05, § 59, 8 dicembre 2009). L'articolo 1 del Protocollo n. 1 esige inoltre che l'ingerenza sia ragionevolmente proporzionata al fine che si intende realizzare (si veda Jahn e altri c. Germania,  [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§ 81-94, CEDU 2005-VI). Il giusto equilibrio richiesto non risulta rispettato se la persona interessata sopporta un onere individuale eccessivo (si veda Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, §§ 69-74, Serie A n. 52).

2.  L’applicazione al caso di specie

(a)  La doglianza ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

i. Ricevibilità

53. Alla luce della propria giurisprudenza, la Corte è pronta ad accettare che, ai fini della presente causa, i diritti pensionistici dei ricorrenti costituiscano un bene ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (si vedano, per esempio, Lakićević e altri c. Montenegro e Serbia, nn.. 27458/06, 37205/06, 37207/06 e 33604/07, § 34, 13 dicembre 2011, Grudić c. Serbia, n. 31925/08, § 77, 17 aprile 2012; Pejčić c. Serbia, n. 34799/07, § 55, 8 ottobre 2013). Ne consegue che la disposizione è applicabile nel caso di specie.

54. La Corte osserva inoltre che il motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Essa osserva inoltre che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.

ii.  Merito

55. Nella causa Maggio e altri c. Italia, sopra citata, §§ 60-64, nello stesso contesto e in circostanze molto simili, la Corte concludeva che il Sig. Maggio non aveva subito una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1. Essa riteneva quanto segue:

"La Corte  ha in precedenza riconosciuto che leggi aventi effetto retroattivo e ritenute un'ingerenza legislativa fossero comunque compatibili con il requisito di legittimità dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 81, CEDU 2005 IX; Draon c. Francia [GC], n. 1513/03, § 73, 6 ottobre 2005; e Kuznetsova c. Russia, n. 67579/01, § 50, 7 giugno 2007). Essa non vede motivo per ritenere diversamente nel caso di specie. Essa ammette inoltre che la promulgazione della Legge n. 296/2006 perseguiva un interesse pubblico (quale fornire un metodo di calcolo della pensione armonizzato, al fine di garantire un sistema previdenziale sostenibile e bilanciato).

Nel valutare se l'ingerenza abbia imposto un onere individuale eccessivo a carico del primo ricorrente, la Corte tiene conto del particolare contesto in cui viene sollevata la questione, segnatamente quello di un regime di previdenza sociale. Tali regimi sono l'espressione della solidarietà della società nei confronti dei suoi membri più deboli (si veda, mutatis mutandis,  Goudswaard-Van der Lans c. Paesi Bassi (dec.), n. 75255/01, CEDU 2005-XI).

La Corte osserva che la Legge 296/2006 prevede che la retribuzione pensionabile, relativa al periodo di lavoro svolto all’estero, debba essere determinata moltiplicando per cento l’importo dei contributi trasferiti e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva prevista per i regimi di invalidità, vecchiaia e superstiti, in vigore nel periodo a cui si riferiscono i contributi. Di conseguenza, secondo il primo ricorrente, tra il 1996 - anno in cui iniziò a ricevere la pensione - e il 2009, egli ha percepito una pensione mensile pari a EUR 873 anziché EUR 1.372, che invece avrebbe ottenuto se il suo procedimento non avesse subito ingerenze e avesse avuto esito positivo, e nel 2010 ha percepito una pensione di EUR 1.178 anziché di EUR 1.900. Alla luce di questi calcoli, la Corte osserva che il primo ricorrente ha perso molto meno della metà della sua pensione. Pertanto la Corte reputa che egli sia stato obbligato a sopportare una riduzione ragionevole e commisurata, piuttosto che essere totalmente privato dei suoi diritti (si veda, a contrario, Kjartan Ásmundsson, sopra citata § 45). Di conseguenza, il diritto del ricorrente di beneficiare del regime di previdenza sociale in questione non ha subito ingerenze tali da pregiudicare i suoi diritti pensionistici nella loro essenza. A questo proposito la Corte rileva che il ricorrente, di fatto, aveva versato in Svizzera contributi inferiori rispetto a quelli che avrebbe versato in Italia e che, pertanto, all’epoca aveva avuto l’opportunità di beneficiare di guadagni più sostanziosi. Inoltre, questa riduzione aveva avuto unicamente l’effetto di uniformare la situazione, evitando che il ricorrente e chiunque altro nella sua stessa situazione potessero beneficiare di vantaggi ingiustificati (per effetto della decisione di andare in pensione in Italia). Ciò considerato, tenuto conto dell’ampio margine di discrezionalità dello Stato nel disciplinare il suo regime pensionistico e del fatto che il ricorrente ha perso solo una parte dell’importo della sua pensione, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia dovuto sostenere un onere individuale eccessivo.

Pertanto, anche assumendo che la disposizione fosse applicabile, non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.”

56. La Corte ribadisce che l’eliminazione delle disposizioni discriminatorie e il controllo della spesa pubblica da parte dello Stato sono fini legittimi finalizzati a garantire la giustizia sociale e tutelare il benessere economico dello Stato, e  nell’attuare delle politiche sociali ed economiche il margine di discrezionalità di cui le autorità godono nel valutare cosa corrisponda all’interesse generale della comunità è ampio (si veda, Hoogendijk c. Paesi Bassi, (dec.) n. 58641/00, 6 gennaio 2005).

57. La Corte osserva, tuttavia, che diversamente dalla causa del Sig. Maggio, nel caso di specie i ricorrenti affermano di aver perso più della metà di quello che avrebbero dovuto percepire come pensione. Invero, le cifre presentate dai ricorrenti, che non sono state contestate dal Governo, e che devono pertanto essere ritenute corrette, indicano che i ricorrenti del caso di specie hanno subito la perdita di circa due terzi (approssimativamente il 67%) delle loro rispettive pensioni.

58. La Corte osserva che nella causa Maggio e altri, sopra citata, il fatto che il ricorrente avesse perso molto meno della metà della pensione, fatto che equivaleva pertanto a una riduzione ragionevole e proporzionata, aveva innegabilmente un certo peso nella conclusione che la disposizione non era stata violata. Data la riduzione più sostanziale nel caso di specie e in considerazione della contribuzione totale dei ricorrenti, la Corte deve rivalutare la questione ed esaminare la riduzione più attentamente nel contesto della causa.

59. La Corte osserva che è probabile che la privazione dell’intera pensione violi la suddetta disposizione (si vedano, per esempio, Kjartan Ásmundsson, sopra citata, e Apostolakis c. Grecia, n. 39574/07, 22 ottobre 2009) e che, invece, è probabile che delle riduzioni minime di una pensione o delle prestazioni connesse non lo facciano (si vedano, per esempio, tra molti altri precedenti, Valkov e altri, sopra citata; Arras e altri c. Italia, n. 17972/07, 14 febbraio 2012; Poulain c. Francia (dec.), n. 52273/08, 8 febbraio 2011; Lenz c. Germania (dec.), n. 40862/98, CEDU 2001 X; e Janković, sopra citata). Tuttavia l’analisi del giusto equilibrio non può essere basata in astratto unicamente sull’importo o sulla percentuale della riduzione subita. In tutte queste cause, e in altre cause simili, la Corte tenta di valutare tutti gli elementi pertinenti della causa relativi a un contesto specifico (si vedano, come altri esempi, tra altre, Kuna c. Germania (dec.), n. 52449/99, CEDU 2001 V (estratti) concernente la riduzione dei diritti pensionistici del ricorrente in base a un regime pensionistico aggiuntivo, e Da Conceição Mateus e Santos Januário c. Portogallo (dec.), nn. 62235/12 e 57725/12 concernente l’impatto della riduzione di alcuni sussidi sulla situazione economica e sulle condizioni di vita dei ricorrenti). Procedendo in questo modo la Corte ha concluso che perfino una riduzione del 65%, per quanto possa essere considerevole, non ha, nelle specifiche circostanze della causa, sconvolto il suddetto giusto equilibrio nell’eccezionalissimo contesto della pena di un agente di polizia condannato e licenziato (si veda Banfield c. Regno Unito. (dec.), n. 6223/04, CEDU 2005 XI concernente la confisca di parte della pensione del ricorrente dopo il suo licenziamento dalle forze di polizia a seguito di condanna).

60. Tornando al caso di specie e alle sue specifiche circostanze, la Corte ritiene che una riduzione di due terzi della pensione di una persona (e non solamente di una prestazione collegata alla pensione) sia incontrovertibilmente, di per sé, una notevole diminuzione che deve incidere gravemente sul tenore di vita di una persona. Tuttavia si deve tener conto anche della loro contribuzione in termini assoluti. Tale perdita deve essere esaminata alla luce di tutti i fattori pertinenti.

61. I due fattori già considerati nella causa Maggio e altri (sopra citata) sono di particolare importanza. In primo luogo, da un lato, che i ricorrenti hanno versato dei contributi inferiori, in termini percentuali, in Svizzera di quanto avrebbero versato in Italia, ma dall’altro lato hanno dovuto versare, in termini assoluti, contributi di importo considerevole nel corso dei loro lunghi periodi contributivi della loro intera vita attiva in Svizzera. Secondariamente, che la riduzione era finalizzata, senza averne l’effetto, a uniformare una situazione ed evitare vantaggi ingiustificati (derivanti dalla decisione di andare in pensione in Italia) a persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti (si vedano i paragrafi 42-43 supra).

62. La Corte osserva tuttavia che, secondo i dati statistici raccolti dall’INPS per l’anno 2010[2], in Italia, la pensione di vecchiaia media corrispondeva per quell’anno a EUR 15.015 vale a dire EUR 1.251 mensili. Informazioni accessibili al pubblico indicano inoltre che la pensione minima ammontava per quell’anno a EUR 5.993, vale a dire, EUR 461 al mese. La Corte osserva inoltre che secondo il Comitato europeo dei diritti sociali l’importo della pensione minima nel 2011 si attestava a EUR 6.246,89 (EUR 520 al mese). Il suddetto Comitato osservava che il livello della pensione minima era inferiore al 40% del reddito equivalente mediano (Eurostat) e la riteneva pertanto inadeguata (si veda il paragrafo 27 supra)

63. La Corte osserva che, nel caso di specie, come emerge dall’allegata tabella, i ricorrenti percepiscono come pensione di vecchiaia delle somme che variano da EUR 714 (la più bassa è quella del Sig. Rodelli) a EUR 1.820 (la più elevata è quella del Sig. Andreola) (si veda la tabella allegata per i dettagli relativi a ciascun ricorrente). Invero, a eccezione del Sig. Rodelli, tutti i ricorrenti percepiscono meno della pensione mensile media italiana, e sei ricorrenti su otto percepiscono meno di EUR 1.000 al mese. La differenza delle somme percepite dai ricorrenti riflette la loro categoria lavorativa nonché i diversi periodi trascorsi in Svizzera e conseguentemente gli effettivi contributi da essi versati. A tale riguardo la Corte sottolinea che il caso di specie concerne delle prestazioni contributive, e se è vero che la Corte non fa più distinzioni tra prestazioni contributive e prestazioni non contributive ai fini dell’applicabilità della disposizione (si veda Stec e altri c. Regno Unito (dec.) [GC], nn. 65731/01 e 65900/01, § 53, CEDU 2005 X), quando valuta una riduzione dei versamenti dei contributi previdenziali, è certamente significativo che tali pensioni fossero basate sui contributi effettivi versati dai ricorrenti (trasferiti alla pertinente autorità erogatrice), benché inferiori a quelli versati dagli altri, e che pertanto non erano un sussidio assistenziale gratuito finanziato unicamente dal contribuente in generale.

64. La Corte osserva inoltre che il Governo non ha fornito informazioni sulla qualità della vita che ci si poteva aspettare di avere in base all’importo delle pensioni percepite dai ricorrenti. Alla luce di ciò la Corte  non può che fare riferimento alle conclusioni del Comitato europeo dei diritti sociali e ritiene pertanto che la somma di EUR 461 sia inadeguata come pensione minima, la maggioranza delle somme in questione, che non superano EUR 1.000 al mese, deve essere ritenuta provvedere solo ai generi di prima necessità. Pertanto le riduzioni hanno indubbiamente inciso sullo stile di vita dei ricorrenti e ne hanno ostacolato il godimento in modo sostanziale. Lo stesso si può dire anche delle pensioni più elevate, nonostante il fatto che esse consentano una vita più  agiata.

65. Inoltre nel caso di specie la Corte non può perdere di vista il fatto che i ricorrenti hanno deciso consapevolmente di tornare in Italia in un momento in cui avevano la legittima aspettativa di poter percepire delle pensioni più elevate, e pertanto un tenore di vita più agiato. Tuttavia in conseguenza del calcolo applicato dall’INPS e infine dell’azione legislativa contestata, essi si sono trovati non solo in una situazione economica più difficile ma hanno inoltre dovuto intraprendere delle azioni legali per recuperare ciò che ritenevano fosse dovuto – procedimenti che sono stati frustrati dalle azioni del Governo in violazione della Convenzione. Mediante queste azioni il corpo legislativo italiano ha arbitrariamente privato i ricorrenti del loro diritto all’importo della pensione che potevano legittimamente aspettarsi che fosse determinata in conformità alla  giurisprudenza decisa dai più elevati organi giudiziari del paese (si veda il paragrafo 42 supra), elemento che non può essere ignorato al fine di determinare la proporzionalità della misura contestata (si vedano Maurice c. France, Draon c. France; e Kuznetsova c. Russia, tutti sopra citati, §§ 90 -91, §§ 82-83 e § 51, rispettivamente). Malgrado la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, non esistevano impellenti motivi di interesse generale che giustificassero l’applicazione retroattiva della Legge n. 296/2006, che non era un’interpretazione autentica dell’originaria legge ed era pertanto imprevedibile (si comparino e si mettano a confronto i paragrafi 26 e 42).

66. In conclusione la Corte ritiene che, dopo aver versato contributi  per tutta la vita, perdendo il 67% delle loro pensioni i ricorrenti non hanno subito delle riduzioni proporzionate ma sono stati di fatto costretti a sopportare un onere eccessivo. Perciò, nonostante le ragioni che erano alla base delle misure contestate, nelle presenti cause la Corte non può concludere che sia stato trovato un giusto equilibrio.
67.  Ne consegue che è stato violato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 considerato singolarmente.
(b)  La doglianza ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione

68.  La Corte non può accogliere l’argomentazione dei ricorrenti secondo cui la misura era discriminatoria. Con riferimento alla loro argomentazione al riguardo, la Corte osserva che nella decisione di parziale ricevibilità nella causa Maggio ((dec.) nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 8 giugno 2010) la Corte concludeva che la doglianza secondo la quale la misura costituiva una discriminazione nei confronti di persone come i ricorrenti che, diversamente dalla maggior parte degli italiani, avevano scelto di lasciare l’Italia per finalità lavorative, era manifestamene infondata dato che i ricorrenti non potevano essere paragonati, ai fini dell’articolo 14, agli italiani residenti che avevano lavorato in Italia per l’intera vita. La Corte non vede motivo per ritenere diversamente in relazione a persone che si erano trasferite in Svizzera. Inoltre, nella sentenza Maggio (§ 73), la Corte ha anche ritenuto che la contestata data limite derivante dalla Legge  n. 296/2006 fosse ragionevolmente e obiettivamente giustificata dato che la Legge n. 296/2006 era intesa a livellare qualsiasi trattamento di favore derivante dalla precedente interpretazione della normativa in vigore, la quale aveva garantito un vantaggio ingiustificato alle persone che si trovavano nella situazione dei ricorrenti, tenendo presente le esigenze del sistema di sicurezza sociale in Italia.

69. Pertanto la doglianza ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 in combinato disposto con l’articolo 14 deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV.  L’APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

70. L'articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A.  Danno

71.  I ricorrenti hanno chiesto le somme elencate infra per il danno patrimoniale, tali somme rappresentano la differenza tra l’importo della pensione pagabile ai ricorrenti e quello che è stato effettivamente liquidato loro dall’INPS, in relazione al periodo compreso tra la data del pensionamento e l’aspettativa media di vita, tenendo presente che nei casi dei Sigg. Stefanetti, Rodelli, Curti, Del Maffeo e Negri le prestazioni pensionistiche pagate dall’INPS sfiorano la soglia di povertà. Essi chiedono inoltre 40.000 euro (EUR) ciascuno per il danno morale.

Le somme richieste per il danno patrimoniale sono le seguenti:

  • EUR 435.549 Sig. Stefanetti
  • EUR 394.309 Sig. Rodelli
  • EUR 391.462 Sig. Negri
  • EUR 452.878 Sig. Della Nave
  • EUR 423.348 Sig. Del Maffeo
  • EUR 565.282 Sig. Cotta
  • EUR 375.771 Sig. Curti
  • EUR 873.683 Sig. Andreola.

72. Il Governo riteneva che le richieste fossero infondate dato che nella causa Maggio (sopra citata) la Corte aveva riscontrato solo una violazione  dell’articolo 6 § 1, e nessuna violazione in relazione agli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 14 della Convenzione. Esso riteneva inoltre che fosse dovuta ai ricorrenti solo la perdita di opportunità, che a suo giudizio doveva essere limitata al periodo precedente all’entrata in vigore della legge.

73. Date le circostanze della causa, la Corte ritiene che la questione del risarcimento del danno patrimoniale non sia matura per la decisione. Tale questione deve essere conseguentemente riservata e deve essere fissata la successiva procedura tenendo conto di qualsiasi accordo eventualmente raggiunto tra lo Stato convenuto e i ricorrenti (articolo 75 § 1 del Regolamento della Corte).

74. D’altra parte, la Corte ritiene che i ricorrenti debbano aver subito un danno morale in considerazione delle violazioni che essa ha riscontrato dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, derivanti dall’intervento legislativo che ha inciso sui procedimenti  pendenti concernenti gli importi dovuti ai ricorrenti a titolo di pensione. Deliberando in via equitativa, la Corte accorda a ciascun ricorrente EUR 12.000 (dodicimila euro) per il danno morale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta. 

B.  Spese

75. I ricorrenti chiedevano inoltre che fosse accordata una somma in via equitativa per le spese sostenute.

76. Il Governo non ha commentato.

77. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie i ricorrenti non hanno quantificato né provato le loro richieste. La Corte pertanto non accorda nulla a questo titolo.

C. Interessi moratori

78. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Decide, all’unanimità, di riunire i ricorsi;
  2. Dichiara, all’unanimità ricevibili le doglianze relative all’articolo 6 § 1 e all’articolo 1 del Protocollo n. 1, e irricevibili il resto dei ricorsi;
  3. Ritiene, all’unanimità che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Ritiene, con cinque voti contro due, che vi sia stata violazione dell’articolo 1 Protocollo n.1 alla Convenzione;
  5. Ritiene, con cinque voti contro due, che, per quanto riguarda l’importo da accordare ai ricorrenti per il danno patrimoniale derivante dalle violazioni riscontrate nel caso di specie, la questione relativa all’applicazione dell’articolo 41 non sia matura per la decisione e conseguentemente,
    1. la riserva per intero;
    2. invita il Governo e i ricorrenti a presentare, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le loro osservazioni scritte sulla questione e, in particolare, a notificare alla Corte qualsiasi accordo cui essi potranno giungere;
    3. riserva la procedura successiva e incarica il Presidente della Sezione di fissarla, all’occorrenza;
  6. Ritiene, con cinque voti contro due,
    1. che lo Stato convenuto debba versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, EUR 12.000 (dodicimila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
    2. che a decorrere da detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  7. Rigetta, all’unanimità, la richiesta di equa soddisfazione dei ricorrenti per il resto;

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto il 15 aprile 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Işıl Karakaş
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere

È allegata alla presente sentenza, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del Regolamento della Corte, l’opinione parzialmente dissenziente del Giudice Raimondi, cui si associa il Giudice  Lorenzen.

A.I.K.
S.H.N.

APPENDICE
Ricorso n. Presentato in data Nominativo
data di nascita
luogo di residenza
del ricorrente
 
Anni di lavoro
in Svizzera

Pensione totale percepita
nel 2010 in EUR
(somma mensile appross.)

Pensione che avrebbe
dovuto essere percepita in EUR
21838/10 14/04/2010 Emilio STEFANETTI
21/10/1940
Dubino
1959-1996 9.898

(825)
29.696
21849/10 14/04/2010 Giovacchino RODELLI
18/03/1942
Talamona
1962-1973
1977-1996
8.571

(714)
25.715
21852/10 14/04/2010 Roberto NEGRI
11/01/1937
Castione Eevenno
1954-1957
1965-1973
1975-1997
11.513

(960)
34.540
21855/10 13/04/2010 Luigi DELLA NAVE
28/03/1933
Morbegno
1962-1989 11.321

(943)
33.965
21860/10 13/04/2010 Gottardo DEL MAFFEO
20/10/1938
Spriana
1959-1996 10.583

(882)
31.751
21863/10 13/04/2010 Rinaldo COTTA
14/08/1944
San Martino Val Masino
1962-1987 14.132

(1.178)
42.396
21869/10 13/04/2010 Fausto CURTI
28/05/1942
Verceia
1962-1976
1978-1997
10.473

(872)
31.419
21870/10 13/04/2010 Luigi ANDREOLA
22/10/1944
Tirano
1967-1977 21.842

(1.820)
65.526


O
PINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE RAIMONDI CUI SI ASSOCIA IL GIUDICE LORENZEN

1.Con rammarico, non posso associarmi al giudizio dei miei colleghi della maggioranza secondo i quali nel presente caso è stato violato l’articolo 1 del Protocollo aggiuntivo.

2. Nella causa Maggio e altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 31 maggio 2011) il fatto che il ricorrente avesse perso notevolmente meno della metà della sua pensione, fatto che costituiva pertanto una riduzione ragionevole e  proporzionata, ha avuto innegabilmente un certo peso nella conclusione che la disposizione non era stata violata. Data la riduzione più consistente nel caso di specie, concordo con la maggioranza che la Corte doveva vagliare la riduzione più attentamente nel contesto della causa.

3.È probabile che la privazione dell’intera pensione violi la suddetta disposizione (si vedano, per esempio, Kjartan Ásmundsson, sopra citata, e Apostolakis c. Grecia, n. 39574/07, 22 ottobre 2009); invece è probabile che delle riduzioni minime di una pensione o delle prestazioni connesse non lo facciano (si vedano, tra molti altri precedenti, Valkov e altri sopra citato; Arras e altri c. Italia, n. 17972/07, 14 febbraio 2012; Poulain c. Francia (dec.), n. 52273/08, 8 febbraio 2011; Lenz c. Germania (dec.), n. 40862/98, CEDU 2001 X; e Janković c. Croazia (dec.), n. 43440/98, CEDU 2000-X).

4. Tuttavia l’analisi del giusto equilibrio non può essere basata unicamente sull’importo o sulla percentuale della riduzione, in astratto. In tutti questi casi, e in altri casi simili, la Corte ha tentato di valutare tutti i pertinenti elementi della causa relativi a un contesto specifico (come altro esempio si veda, tra altri precedenti, Kuna c. Germania (dec.), n. 52449/99, CEDU 2001 V (estratti)). Procedendo in questo modo, la Corte ha concluso che anche una riduzione del 65%, per quanto possa essere considerevole, non ha, nelle specifiche circostanze della causa, sconvolto il suddetto giusto equilibrio (si veda Banfield c. Regno Unito (dec.), n. 6223/04, CEDU 2005 XI).

5. Ammetto che una riduzione di due terzi della pensione di una persona (e non solamente di una prestazione connessa alla pensione) è incontrovertibilmente, di per sé, una notevole diminuzione che deve incidere gravemente sul tenore di vita di una persona. Tale perdita deve essere esaminata alla luce di tutti i fattori pertinenti.

6. I due fattori già considerati nella causa Maggio e altri (sopra citata) sono di particolare importanza. In primo luogo, da un lato, che i ricorrenti hanno versato dei contributi inferiori in Svizzera di quanto avrebbero versato in Italia, e hanno beneficiato di guadagni più consistenti al momento pertinente. Secondariamente, che la riduzione era finalizzata, avendone l’effetto, a uniformare una situazione ed evitare vantaggi ingiustificati (derivanti dalla decisione di andare in pensione in Italia) a persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti (si vedano i paragrafi 42-43 supra).

7. Secondo i dati statistici raccolti dall’INPS per l’anno 2010[3] , in Italia,il 14.4% dei pensionati percepiva pensioni inferiori a EUR 500; il 31% dei pensionati percepiva pensioni comprese tra EUR 500 ed EUR 1.000; il 23.5% dei pensionati percepiva pensioni comprese tra EUR 1.000 ed EUR 1.500, mentre il 31.1% dei pensionati percepiva pensioni di importo superiore a EUR 1500. Tali somme prendono in considerazione tutti i tipi di pensione percepiti, quali le pensioni di vecchiaia, di invalidità, le pensioni di guerra ecc. Pertanto nel caso di specie nessuno dei ricorrenti si attesta nella fascia pensionistica più bassa. Tuttavia, anche se vi si attestassero, dato che circa il 15% dei pensionati percepisce circa EUR 500 al mese, o meno, non si può affermare che le pensioni relative a questa fascia più bassa, e ancora meno le pensioni di vecchiaia effettivamente percepite dai ricorrenti (che sono comprese nelle fasce più vantaggiose) si trovino a un livello tanto basso da privare i ricorrenti dei mezzi di sussistenza essenziali (si vedano, mutatis mutandis, Fiedler c. Germania e Mann c. Germany, nn. 24116/94 e 24077/94, Decisioni della Commissione del 15 maggio 1996, entrambe non riportate; si vedano anche, più recentemente, Koufaki e Adedy c. Greece (dec.), nn. 57665/12 e 57657/12, §§ 45-46, 7 maggio 2013). Tali dati dimostrano inoltre la notevole e ingiustificata disparità che ci sarebbe stata, a vantaggio dei ricorrenti, se il sistema non fosse stato modificato. A tale riguardo non si può perdere di vista l’importanza del mantenimento di un quadro pensionistico sano e sostenibile per il bene della società in generale. L’eliminazione delle disposizioni discriminatorie e il controllo della spesa pubblica da parte dello Stato sono fini legittimi finalizzati a garantire la giustizia sociale e tutelare il benessere economico dello Stato, e nell’attuare delle politiche sociali ed economiche il margine di discrezionalità di cui le autorità godono nel valutare cosa corrisponda all’interesse generale della comunità è ampio (si veda Hoogendijk c. Paesi Bassi, (dec.) n. 58641/00, 6 gennaio 2005).

8. In conclusione, nonostante il fatto che la riduzione fosse notevole, essa comunque non privava i ricorrenti totalmente delle loro pensioni. Tenendo presente l’ampio margine di discrezionalità dello Stato nel disciplinare il sistema pensionistico e tutti i fattori menzionati precedentemente, e ribadendo le conclusioni della Corte nella causa Maggio, sopra citata, concludo che i ricorrenti non hanno dovuto sopportare un onere individuale eccessivo.

9. Ne consegue che, a mio giudizio, l’articolo 1 del Protocollo n. 1 non è stato violato nel caso di specie.

1)Il rapporto integrale può essere reperito al seguente indirizzo http://www.coe.int/T/DGHL/Monitoring/SocialCharter/Conclusions/State/Italy2013_en.pdf
Ultima visita nel febbraio 2014.

2)http://www.inps.it/docallegati/Mig/Doc/sas_stat/BeneficiariPensioni/Trattamenti_pensionistici_e_beneficiari_-_26_apr_2012_-_Testo_integrale.pdf (ultimo accesso nel febbraio 2014)

3)http://www.inps.it/docallegati/Mig/Doc/sas_stat/BeneficiariPensioni/Trattamenti_pensionistici_e_beneficiari_-_26_apr_2012_-_Testo_integrale.pdf (ultimo accesso il 19 novembre 2013