Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 12 novembre 2013 - Ricorso n. 14507/07 - Occhetto c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 14507/07

Achille OCCHETTO
contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 12 novembre 2013 in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 31 marzo 2007,
Vista la decisione del 12 febbraio 2013,
Viste le osservazioni proposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1.  Il ricorrente, sig. Achille Occhetto, è un cittadino italiano nato nel 1936 e residente a Roma. Dinanzi alla Corte è rappresentato dall’avv. F. Paola del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

2.  I fatti della causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

A.  Le elezioni al Parlamento europeo del 2004

3.  Il ricorrente si candidò alle elezioni per il Parlamento europeo del 13 e 14 giugno 2004 per la lista «società civile, Di Pietro - Occhetto», nelle circoscrizioni «Nord-Ovest» e «Italia meridionale». In queste due circoscrizioni arrivò primo dei non eletti.

4.  Il 6 luglio 2004 il ricorrente firmò un atto di rinuncia a un seggio parlamentare, in quattro esemplari, sul quale era specificato che tali documenti potevano essere presentati alle autorità competenti in qualsiasi momento. Detta rinuncia era il risultato di un accordo tra il ricorrente e il cofondatore del movimento politico del quale l’interessato faceva parte, il sig. Di Pietro.

5.  Il 7 luglio 2004 Di Pietro depositò presso l’Ufficio elettorale italiano («l’Ufficio elettorale») una della quattro copie dell’atto di rinuncia con il quale il ricorrente dichiarava di «rinunciare definitivamente [a un seggio da parlamentare europeo] nelle circoscrizioni [«Nord-Ovest» e «Italia meridionale»]». Dal momento che Di Pietro aveva scelto di rappresentare la circoscrizione «Italia meridionale», il deposito di questo atto ebbe degli effetti immediati per la circoscrizione «Nord-Ovest». In seguito, sorsero divergenze di opinione tra il ricorrente e Di Pietro.

6.  Il 27 aprile 2006 il ricorrente dichiarò di revocare il suo atto di rinuncia ed espresse la volontà di insediarsi al Parlamento europeo. Il 28 aprile 2006 Di Pietro rinunciò al suo mandato di eurodeputato in quanto era stato eletto deputato al Parlamento italiano.

7.  L’8 maggio 2006 l’Ufficio elettorale dichiarò il ricorrente eletto deputato al Parlamento europeo per la circoscrizione «Italia meridionale». In particolare considerò che la rinuncia del ricorrente poteva essere revocata per questa circoscrizione - nella quale il ricorrente era arrivato primo dei non eletti -, dal momento che aveva prodotto effetti immediati unicamente per la circoscrizione «Nord-Ovest».

B.  Il ricorso amministrativo di Donnici

8.  Donnici, che per numero di voti ottenuti era arrivato secondo nella circoscrizione «Italia meridionale», subito dopo il ricorrente, presentò un ricorso al tribunale amministrativo regionale («TAR») del Lazio per l’annullamento della decisione dell’Ufficio elettorale dell’8 maggio 2006.

9.  Con sentenza del 21 luglio 2006, il TAR respinse il ricorso di Donnici, osservando, in particolare, che la rinuncia del ricorrente verteva unicamente sulla fase della proclamazione degli eletti e non sulla sua candidatura nella lista per la quale si era presentato. Rilevò inoltre che questa rinuncia non aveva effetto né sulla posizione in graduatoria dei candidati, che dipendeva dalla volontà del corpo elettorale, né, prima delle dimissioni di Di Pietro, per la circoscrizione «Italia meridionale» e concluse che il ricorrente poteva benissimo revocare la sua rinuncia.

10.  Peraltro il TAR notò che, in una comunicazione del 12 novembre 2004 inviata al Parlamento europeo, il ricorrente aveva precisato che la sua rinuncia era definitiva e che aveva indicato il nome di Donnici come eventuale primo supplente di Di Pietro per la circoscrizione «Italia meridionale». Tuttavia, il TAR non considerò vincolante questa comunicazione che si intendeva valida rebus sic stantibus.

11.  Donnici impugnò questa sentenza.

12.  Con decisione del 24 ottobre 2006, depositata in cancelleria il 6 dicembre 2006, il Consiglio di Stato annullò la contestata decisione dell’Ufficio elettorale.

13.  L’alta giurisdizione notò innanzitutto che, dopo le elezioni europee del 2004, il ricorrente aveva dichiarato di rinunciare «definitivamente» - e dunque senza possibilità di revoca - a un seggio parlamentare, e che questa rinuncia comportava la cancellazione del nome del ricorrente nella graduatoria dei candidati. Il Consiglio di Stato precisò che la distinzione operata dal TAR tra la rinuncia all’elezione e la rinuncia al posto nella graduatoria dei candidati era illogica dal momento che l’elezione era una conseguenza del posto nella graduatoria dei candidati e che la rinuncia all’elezione era il risultato della rinuncia dell’interessato al suo posto in questa graduatoria, con tutti gli effetti che ne conseguivano. Peraltro, il Consiglio di Stato rilevò che se - come affermava il TAR - la rinuncia non modificava il posto nella graduatoria dei candidati, il ricorrente avrebbe dovuto essere automaticamente dichiarato eletto in surrogazione di Di Pietro senza dover presentare revoche.

14.  Secondo il Consiglio di Stato, il rispetto della volontà popolare non impediva ad un candidato di rinunciare a un seggio o a un mandato. A suo parere, un candidato che rinunciava a un seggo o a un mandato non poteva tuttavia decidere di rientrare in graduatoria a suo libito in contrasto con le aspettative generate dalla sua rinuncia nel corpo elettorale e negli altri candidati. Di conseguenza, il Consiglio di Stato concluse che tale rinuncia diveniva irrevocabile a partire dal momento in cui l’Ufficio elettorale ne aveva preso atto.

C.  La decisione del Parlamento europeo

15.  Il 29 marzo 2007 l’Ufficio elettorale prese atto della sentenza del Consiglio di Stato e proclamò l’elezione di Donnici al Parlamento europeo per la circoscrizione «Italia meridionale», revocando dunque il mandato del ricorrente.

16.  Questa proclamazione fu comunicata al Parlamento europeo che ne prese atto nel verbale della sessione plenaria del 23 aprile 2007 nei seguenti termini:

«Le autorità italiane competenti hanno comunicato che la proclamazione dell'elezione di Achille Occhetto è stata annullata e che il seggio resosi vacante è stato attribuito a Beniamino Donnici. Il Parlamento prende atto di tali decisioni con decorrenza dal 29.03.2007.»

17.  Con lettera del 5 aprile 2007, il ricorrente sollevò una contestazione e chiese al parlamento europeo di confermare la validità del suo mandato e di non convalidare quello di Donnici. Con decisione del 24 maggio 2007, adottata sulla base di un rapporto della commissione giuridica del 22 maggio 2007 (n. A6-0198/2007), il Parlamento europeo dichiarò invalido il mandato di Donnici e confermò la validità del mandato del ricorrente. La decisione del parlamento europeo sulla verifica dei poteri di Donnici (n. 2007/2121(REG)) è così formulata:

«Il Parlamento europeo,

  • visto l’Atto relativo all’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto del 20 settembre 1976,
  • visti gli articoli 3, 4 e 9 nonché l'allegato I del suo regolamento,
  • vista la comunicazione ufficiale della competente autorità nazionale italiana concernente l'elezione dell'on. Beniamino Donnici al Parlamento europeo,
  • vista la contestazione ricevuta dall'on. Achille Occhetto il 25 marzo 2007 in merito alla validità dell'elezione dell'on. Beniamino Donnici al Parlamento europeo,
  • vista la relazione della commissione giuridica (A6-0198/2007),

A. considerando che l'articolo 7, paragrafi 1 e 2, dell'Atto del 20 settembre 1976 precisa le cariche che sono incompatibili con quella di membro del Parlamento europeo,

B. considerando che in base all'articolo 9 e all'allegato I del regolamento i deputati sono tenuti a dichiarare con precisione le attività professionali da loro svolte e qualsiasi altra funzione o attività retribuita,

C. considerando che l'articolo 3, paragrafo 5, del Regolamento del Parlamento europeo prevede che «Qualora la nomina di un deputato risulti dalla rinuncia di candidati figuranti sulla stessa lista, la commissione competente per la verifica dei poteri vigila a che tale rinuncia avvenga conformemente allo spirito e alla lettera dell'Atto del 20 settembre 1976, nonché all'articolo 4, paragrafo 3, del presente regolamento»,

D. considerando che le disposizioni nazionali relative alla procedura elettorale europea devono essere conformi ai principi fondamentali dell'ordinamento comunitario, e in particolare al diritto comunitario primario, nonché allo spirito e alla lettera dell'Atto del 1976; considerando che per tali ragioni le autorità nazionali competenti — legislative, amministrative e giurisdizionali — quando applicano e/o interpretano le loro disposizioni nazionali relative alla procedura elettorale europea non possono non tenere conto di principi di diritto comunitario in materia elettorale,

E. considerando che la conformità della rinuncia all'elezione dell'On. Achille Occhetto alla lettera e allo spirito dell'Atto del 1976 deve essere valutata alla luce dell'articolo 6 di quest'ultimo, che recita: «I membri del Parlamento europeo (...) non possono essere vincolati da istruzioni né ricevere mandato imperativo», e che la libertà e l'indipendenza dei deputati è un vero e proprio principio chiave,

F. considerando che lo Statuto dei deputati (in vigore dal 2009) prevede al suo articolo 2, paragrafo 1, che «I deputati sono liberi e indipendenti». A sua volta, il paragrafo 2, ponendosi come un'evidente emanazione del paragrafo 1, stabilisce che «Qualsiasi accordo sulle dimissioni dal mandato prima della scadenza o al termine della legislatura è nullo»,

G. considerando che tali disposizioni dello Statuto dei deputati rappresentano soltanto un'esplicitazione dei principi di libertà ed indipendenza già contenuti nell'Atto del 1976 e che lo Statuto dei deputati sancisce in maniera esplicita a garanzia del Parlamento europeo e dei suoi componenti,

H. considerando che lo Statuto dei deputati del Parlamento europeo, sebbene entri in vigore solo a partire dalla prossima legislatura che avrà inizio nel 2009, è allo stato attuale dell'ordinamento comunitario un atto legislativo di diritto primario, adottato dal Parlamento europeo con l'approvazione incondizionata del Consiglio e regolarmente pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea,

I. considerando che il Parlamento europeo come pure le autorità nazionali responsabili dell'attuazione e/o dell'interpretazione delle disposizioni nazionali in materia di procedura elettorale europea devono tenere conto dei principi e della disciplina dello Statuto dei deputati e devono comunque astenersi, anche in virtù del principio di leale cooperazione sancito dall'art 10 del trattato CE, dall'adottare misure o provvedimenti in palese contrasto con tale Statuto,

J. considerando che i principi e le norme dello Statuto dei deputati rientrano indiscutibilmente tra i principi di cui all'articolo 6 del trattato UE, principi che sono il fondamento dell'Unione europea (come, in particolare, il principio di democrazia e quello dello stato di diritto) e che quest'ultima rispetta quali principi generali del diritto comunitario,

K. considerando che la portata giuridica dell'articolo 6 dell'Atto del 1976 include nel suo ambito di applicazione anche i candidati che figurano ufficialmente nella graduatoria dei votati, e ciò nell'interesse del Parlamento europeo, poiché tali candidati sono potenzialmente componenti del Parlamento stesso,

L. considerando che la rinuncia all'elezione presentata dall'On. Achille Occhetto è il risultato di una volontà condizionata da un accordo, precedente alla proclamazione degli eletti nelle elezioni europee del 12 e 13 giugno 2004, con l'altra componente della lista "Società civile DI PIETRO-OCCHETTO" e che pertanto tale rinuncia deve ritenersi incompatibile con la lettera e lo spirito dell'Atto del 1976 e quindi nulla,

M. considerando che la nullità della rinuncia all'elezione dell'on. Achille Occhetto fa venir meno l'elemento di fatto e di diritto presupposto alla sussistenza e validità del mandato del suo successore Beniamino Donnici,

N. considerando che il tribunale amministrativo regionale del Lazio (giudice di primo grado), con sua sentenza del 21 luglio 2006, ha ritenuto che la rinuncia, espressa dall'on. Achille Occhetto in vista della proclamazione degli eletti, non costituisce rinuncia alla posizione in graduatoria, perché il rispetto della volontà popolare impone di considerare indisponibili ed immodificabili i risultati elettorali, e non ha effetto in sede di adozione degli eventuali atti di surrogazione in caso di incompatibilità, decadenza, ineleggibilità o rinuncia alla nomina o alla carica da parte degli aventi diritto. Pertanto il candidato, che abbia rinunciato all'elezione, ha diritto, quando si verifichino i presupposti per una surrogazione, a ritirare il proprio atto di rinuncia per subentrare nel seggio da ricoprire per surrogazione,

O. considerando che il Consiglio di Stato, con sentenza definitiva passata in giudicato, ha annullato la proclamazione a componente del Parlamento europeo dell'on. Achille Occhetto,

P. considerando che in base all'articolo 12 dell'Atto del 1976 è il Parlamento europeo — e solo il Parlamento europeo — che verifica i poteri dei suoi membri eletti a suffragio universale; che tale fondamentale prerogativa del Parlamento europeo non può essere inficiata, o ancor meno vanificata, da un provvedimento delle autorità nazionali emesso in palese contrasto con le pertinenti norme e principi del diritto comunitario e ciò anche nel caso in cui tale provvedimento sia stato adottato in via definitiva da un organo giurisdizionale supremo di detto Stato, come nel caso della sentenza del Consiglio di Stato italiano in questione; che la giurisprudenza della Corte di giustizia, a conferma di queste prerogative anche in relazione a sentenze nazionali definitive emesse in violazione del diritto comunitario, ha comunque stabilito la responsabilità dello Stato,

Q. considerando che il Parlamento europeo può legittimamente negare la validità del mandato dell'On. Beniamino Donnici e, al tempo stesso, ignorare la decisione del Consiglio di Stato italiano perché essa contrasta con la lettera e lo spirito dell'Atto del 1976, facendo così salvo il mandato dell'on. Achille Occhetto;

1. dichiara non valido il mandato del deputato al Parlamento europeo dell'On. Beniamino Donnici la cui elezione è stata comunicata dall'autorità nazionale competente;

2. conferma la validità del mandato dell'on. Achille Occhetto;

3. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente decisione all'autorità nazionale competente italiana e agli onorevoli Beniamino Donnici e Achille Occhetto».

D.  I procedimenti dinanzi al Tribunale di primo grado e alla Corte di giustizia delle Comunità europee

18.  Il Governo impugnò la decisione del Parlamento europeo del 24 maggio 2007 sulla verifica dei poteri di Donnici dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee («la CGCE», causa n. c-393/07), mentre Donnici contestò questa stessa decisione dinanzi al Tribunale di primo grado delle Comunità europee («il TPGCE», causa n. T-215/07).

19.  Con ordinanza del 15 novembre 2007 emessa nell’ambito della causa n. T-215/07, il giudice del TPGCE dispose la sospensione dell’esecuzione della suddetta decisione.

20.  Conseguentemente a questa ordinanza, il ricorrente cessò di essere membro del Parlamento europeo.

21.  Con ordinanza del 13 dicembre, il TPGCE (terza sezione) declinò la sua competenza a favore della CGCE.

22.  Con sentenza del 30 aprile 2009, la CGCE (quarta sezione) annullò la decisione del Parlamento europeo in questione. Nelle sue parti pertinenti al caso di specie, la sentenza della CGCE è così redatta:

«39. Il primo motivo solleva la questione della portata dei poteri di cui dispone il Parlamento in merito alla verifica dei mandati dei suoi membri in forza dell’art. 12 dell’atto del 1976. Dunque, al fine di esaminare la validità della decisione impugnata, occorre essenzialmente analizzare l’ampiezza dei poteri che tale disposizione attribuisce al Parlamento. Orbene, l’art.12 di tale atto muove dal presupposto, in ogni caso, che la decisione del Parlamento si fonda su una disposizione di tale atto avverso la quale si può presentare una contestazione. Poiché il Parlamento invoca a tale riguardo principalmente l’art. 6 dell’atto del 1976, occorre determinare, anzitutto, se tale disposizione sia in linea di principio applicabile al caso di specie

Sull’applicabilità dell’art. 6 dell’atto del 1976

40. L’art. 6, n. 1, dell’atto del 1976 stabilisce che i membri del Parlamento votano individualmente e personalmente e non possono essere vincolati da istruzioni né ricevere mandato imperativo.

41. Come emerge dalla lettera di detto articolo, esso fa espressamente riferimento ai «membri del Parlamento» e riguarda l’esercizio del mandato parlamentare. Per di più, lo stesso articolo menziona la prerogativa di voto dei detti membri, prerogativa che, per sua stessa natura, non può essere associata allo status di candidato proclamato ufficialmente nella graduatoria post-elettorale (v. ordinanza Occhetto e Parlamento/Donnici, cit., punto 41

42. Si deve constatare che l’art. 6 dell’atto del 1976, in considerazione della sua chiara formulazione, non si applica ad atti aventi ad oggetto la rinuncia di un candidato eletto, come, nel caso di specie, quella espressa dal sig. Occhetto alla sua posizione di sostituto del sig. Di Pietro.

43. Gli argomenti sollevati a tale proposito dal Parlamento non consentono di discostarsi da tale interpretazione.

44. In particolare, non si può riconoscere al Parlamento una competenza generale per valutare la legittimità delle procedure elettorali degli Stati membri in considerazione dell’insieme dei principi asseritamente sottesi all’art. 6 dell’atto del 1976, come quelli che il Parlamento deduce, segnatamente, dall’art. 3 del protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, interpretando estensivamente detto art. 6 alla luce di tali principi (v., in tal senso, ordinanza Occhetto e Parlamento/Donnici, cit., punto 43).

45. Infatti, siffatta interpretazione di detto art. 6 contrasterebbe con la decisione presa dai suoi autori, in quanto trasformerebbe tale disposizione relativa all’esercizio del mandato, nonostante il suo ambito di applicazione precisamente circoscritto, in una regola di competenza che disciplina la procedura elettorale, atteso che, conformemente all’art. 8 dell’atto del 1976, tale materia è regolata in linea di principio dalle disposizioni nazionali.
(...)

49. Da quanto precede emerge che la rinuncia espressa dal sig. Occhetto alla sua posizione sull’elenco dei sostituti non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 6 dell’atto del 1976, cosicché tale articolo non poteva fungere da fondamento per una contestazione relativa alla verifica dei poteri dei membri del Parlamento ai sensi dell’art. 12 di tale atto e che, pertanto, il Parlamento non poteva fondare la decisione impugnata su una violazione del detto art. 6.

Sulla violazione dell’art. 12 dell’atto del 1976

50. Dopo aver stabilito che l’art. 6 dell’atto del 1976 non poteva costituire il fondamento della decisione impugnata, si rende necessario determinare se tale decisione possa basarsi su una violazione dei principi del suffragio universale e proporzionale sanciti agli artt. 1 e 2 dell’atto del 1976, come sostenuto dal Parlamento. Riferendosi ad una violazione di detti principi, il Parlamento ha riconosciuto a sé stesso il potere di verificare se la proclamazione ufficiale del sig. Donnici come membro del Parlamento sia intervenuta nel rispetto dei detti requisiti. Occorre dunque esaminare se l’art. 12 di tale atto attribuisca al Parlamento siffatta competenza nella verifica dei mandati dei suoi membri.

51. L’art. 12 dell’atto del 1976 prevede che il Parlamento, al fine della verifica dei poteri dei suoi membri, prenda atto dei risultati proclamati ufficialmente dagli Stati membri, e decide sulle contestazioni che potrebbero essere eventualmente presentate in base alle disposizioni di detto atto, fatta eccezione delle disposizioni nazionali cui tale atto rinvia.

52. Dal tenore letterale di tale articolo 12 si desume che il potere di verifica di cui dispone il Parlamento, in forza della prima frase di detto articolo, è soggetto a due limiti importanti illustrati alla seconda frase dello stesso (v., in tal senso, ordinanze 15 novembre 2007, Donnici/Parlamento, cit., punto 71, nonché Occhetto e Parlamento/Donnici, cit., punti 31 e 32).

53. Ai sensi della prima parte della seconda frase dell’art. 12 dell’atto del 1976, il Parlamento «prende atto dei risultati proclamati ufficialmente dagli Stati membri». Inoltre, la particolare competenza del Parlamento a decidere sulle contestazioni presentate, indicata nella seconda parte della seconda frase di detto articolo, è altresì limitata ratione materiae alle sole contestazioni «che potrebbero essere eventualmente presentate in base alle disposizioni [dell’atto del 1976], fatta eccezione delle disposizioni nazionali cui tale atto rinvia».

54. Da un lato, contrariamente a quanto sostenuto dal Parlamento, consegue dalla lettera stessa dell’art. 12 dell’atto del 1976 che tale articolo non conferisce al Parlamento la competenza per decidere sulle contestazioni presentate in base al diritto comunitario nel suo complesso. Secondo il chiaro tenore letterale di detto articolo, esso concerne unicamente le «contestazioni (…) presentate in base alle disposizioni del presente atto» (v., in tal senso, ordinanza Occhetto e Parlamento/Donnici, cit., punto 32).

55. Dall’altro lato, l’esercizio consistente nel «prendere atto dei risultati proclaati ufficialmente» va inteso nel senso che il Parlamento doveva basarsi, al fine della sua decisione per la verifica dei poteri dei suoi membri, sulla proclamazione effettuata il 29 marzo 2007 dall’Ufficio elettorale italiano in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato 6 dicembre 2006. Infatti, tale proclamazione risulta da un iter decisionale conforme alle procedure nazionali, con cui si sono decise definitivamente le questioni giuridiche legate alla detta proclamazione e che costituisce, pertanto, una situazione giuridica preesistente. Orbene, la Corte ha già statuito che l’uso dell’espressione «prendere atto» nel contesto dell’atto del 1976 deve essere interpretato nel senso che esso indica la totale mancanza di potere discrezionale del Parlamento in materia (v., in tal senso, sentenza 7 luglio 2005, causa C 208/03 P, Le Pen/Parlamento, Racc. pag. I–6051, punto 50)

(...)

57. Ne consegue che il Parlamento non può rimettere in discussione la regolarità stessa della proclamazione effettuata dall’Ufficio elettorale nazionale. L’art. 12 dell’atto del 1976 non autorizza il Parlamento neanche a rifiutare di prendere atto di una tale proclamazione, se ritiene di essere in presenza di un’irregolarità (v., in tal senso, ordinanza 15 novembre 2007, Donnici/Parlamento, cit., punto 75).

58. Tale interpretazione dell’art. 12 dell’atto del 1976 è corroborata da una lettura dello stesso alla luce delle pertinenti disposizioni del Trattato CE nonché dal contesto normativo in cui si inserisce il detto articolo.

(...)

63. Peraltro, in assenza di una disciplina comunitaria in tale materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro indicare i giudici competenti e fissare le procedure giurisdizionali destinate a garantire la tutela dei diritti che derivano ai singoli dal diritto comunitario, fermo restando che dette modalità non possono essere né meno favorevoli di quelle relative ai diritti fondati sull’ordinamento nazionale (principio di equivalenza) né tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile, in pratica, l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenza 12 settembre 2006, causa C 300/04, Eman e Sevinger, Racc. pag. I 8055, punto 67).

64. Orbene, il Parlamento non ha fatto valere che le disposizioni procedurali italiane violavano tali principi di equivalenza e effettività. Inoltre, anche volendo supporre un caso del genere, non ne conseguirebbe che il Parlamento sarebbe legittimato a sostituire il proprio giudizio agli atti emanati dalle autorità nazionali competenti.

(...)

66. Tale contesto normativo non lascia emergere che il Parlamento è competente in via generale a valutare la conformità delle procedure elettorali degli Stati membri e la loro applicazione al caso di specie rispetto al diritto comunitario. Ne consegue che la competenza del Parlamento si limita, nell’ambito della verifica dei poteri dei suoi membri, alle prerogative chiaramente definite dalle disposizioni pertinenti dell’atto del 1976 (v., in tal senso, ordinanza Occhetto e Parlamento/Donnici, cit., punto 32).

(...)

75. Emerge da quanto esposto che il Parlamento doveva, in forza dell’art. 12 dell’atto del 1976, prendere atto della proclamazione effettuata dall’Ufficio elettorale italiano senza avere la competenza di discostarsene a causa di presunte irregolarità che potevano viziare tale atto nazionale. La decisione impugnata ha violato l’art. 12 di tale atto in quanto, contrariamente a tale proclamazione, ha dichiarato non valido il mandato del sig. Donnici e ha confermato il mandato del sig. Occhetto.

76. Alla luce di quanto precede, la decisione impugnata deve essere annullata. In tali circostanze, non è necessario che la Corte si pronunci sugli altri motivi invocati dalla Repubblica italiana e dal sig. Donnici a sostegno dei loro ricorsi. Pertanto, le domande del sig. Donnici, formulate in subordine, sono divenute prive di oggetto.

(...)

Per questi motivi, la Corte (quarta sezione) dichiara e statuisce:

  1. La decisione 2007/2121 (REG) del Parlamento europeo, del 24 maggio 2007, sulla verifica dei poteri dell’on. Beniamino Donnici è annullata.
  2. Il Parlamento europeo è condannato a sopportare le spese sostenute dal sig. Donnici nonché quelle sostenute dalla Repubblica italiana in qualità di ricorrente.
  3. La Repubblica italiana in qualità di interveniente, la Repubblica di Lettonia e il sig. Occhetto sopportano le proprie spese.»

MOTIVI DI RICORSO

23.  Invocando l’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, il ricorrente lamenta l’annullamento della decisione dell’Ufficio elettorale dell’8 maggio 2006.

IN DIRITTO

24.  Il ricorrente ritiene che l’annullamento della decisione dell’Ufficio elettorale dell’8 maggio 2006 abbia violato l’articolo 4 del regolamento interno del Parlamento europeo e l’Atto recante elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto del 20 settembre 1976, nonché l’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

Questa ultima disposizione è così formulata:

«Le Alte Parti contraenti si impegnano a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo.»

25.  Il Governo contesta questa tesi.

A.  Argomenti delle parti

1.  Il Governo

26.  Il Governo eccepisce innanzitutto la irricevibilità del ricorso in quanto il ricorrente non può ritenersi «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, dei fatti da lui denunciati. Esso sostiene che la perdita del seggio da parlamentare è ascrivibile al ricorrente stesso in ragione dell’atto di rinuncia che costui ha firmato spontaneamente. Il Governo ritiene che la presente causa non riguardi una rinuncia generale al diritto di essere eletto, ma soltanto la rinuncia a una posizione elettorale a seguito di un determinato scrutinio, e che questa causa attenga dunque ad una precisa situazione nella quale il ricorrente ha esercitato il suo diritto a non essere eletto, fatto che, secondo il Governo, ha comportato conseguenze definitive. Il Governo considera che il ricorrente non può rimproverare alle autorità italiane di aver preso atto della «irrevocabilità» della sua rinuncia e di essere rimasto «vittima della sua stessa decisione».

27.  Per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo il quale la possibilità di rinunciare definitivamente a una posizione ottenuta a seguito di elezione sarebbe contraria all’articolo 3 del Protocollo n. 1 e secondo il quale le autorità non avrebbero dovuto tenerne conto, il Governo, facendo riferimento alla sentenza della Corte Namat Aliyev c. Azerbaijan (n. 18705/06, § 81, 8 aprile 2010), sostiene che la possibilità di sottoporre le elezioni a un controllo giurisdizionale è una delle garanzie di elezioni democratiche. Ritiene dunque legittimo che un organo giurisdizionale abbia l’ultima parola sull’attribuzione di un seggio parlamentare.

28.  Il Governo aggiunge che le affermazioni dell’interessato, secondo le quali la sua rinuncia non sarebbe stata libera e sarebbe stato il frutto di un accordo illecito, non sono sostenute da alcun elemento di prova.

29.  Peraltro, il Governo ammette che un sistema di accordi conclusi prima delle elezioni e che prevedono rinunce a cascata potrebbero in alcuni casi ingannare l’elettore, il quale potrebbe voler dare il suo voto alle prime persone che figurano sulla lista mentre gli unici candidati reali sarebbero gli ultimi a figurarvi. Esso rileva che, nella presente causa, vi è una sola rinuncia - quella del ricorrente - e che quest’ultima ha prodotto effetti soltanto dopo le elezioni. Il Governo considera che, in ogni sistema democratico, gli elettori possono aspettarsi che dei candidati puntualmente si ritirino e aggiunge che non sarebbe invece così per i ritiri a cascata, che in questo caso non si sono verificati.

30.  Il Governo prende anche nota dell’affermazione del ricorrente secondo la quale l’unico momento in cui una rinuncia definitiva potrebbe essere accettata è quello che precede immediatamente la proclamazione dei risultati da parte dell’Ufficio elettorale. Il Governo ritiene questa tesi priva di qualsiasi fondamento, dal momento che un eletto potrebbe rinunciare al suo posto anche dopo la sua entrata in carica e che i potenziali condizionamenti dell’elettorato (ad esempio sotto forma di promesse) sono intrinsechi alla vita politica. Sottolinea che la nozione stessa di «condizionamento», che a suo parere attiene piuttosto alla psicologia o alla sociologia, è un concetto vago e soggettivo sul quale non è possibile basare un diritto, qualunque esso sia. Il Governo ritiene peraltro che il ricorrente avrebbe eventualmente dovuto specificare la natura delle pressioni illegali alle quali era stato sottoposto.

31.  Inoltre, il Governo sostiene che un sistema elettorale che consente la rinuncia di un candidato dopo le elezioni non può essere considerato in contrasto con la Convenzione. Aggiunge che, in tutte le democrazie, un deputato è libero di rinunciare al suo mandato, senza dare giustificazioni, e che si tratta di un corollario della libertà del candidato che a maggior ragione vale per un candidato designato ma non ancora proclamato eletto, quale il ricorrente. Conclude che il rispetto della volontà popolare non può arrivare fino al punto di impedire ad una persona di ritirarsi da una funzione pubblica, ad esempio in caso di malattia grave.

32.  Il Governo fa notare che il ricorrente era già membro del Senato italiano e che, in virtù dell’articolo 3 c. 2 della legge n. 78 del 2004, i mandati di parlamentare europeo e di senatore o deputato italiano sono incompatibili. Sottolinea pertanto che gli elettori dovevano aspettarsi che il ricorrente rinunciasse al seggio al Parlamento europeo.

33.  In via sussidiaria, il Governo chiede alla Corte di dichiarare il ricorso irricevibile in quanto, a suo parere, il ricorrente non ha subìto alcun pregiudizio importante ai sensi dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione.

2.  Il ricorrente

34.  Per quanto attiene all’eccezione del Governo basata sulla mancata qualità di vittima del ricorrente, quest’ultimo sottolinea che la sua rinuncia a un seggio da parlamentare europeo era giustificata dal fatto che era arrivato primo dei candidati non eletti e che aveva già un seggio al Senato italiano, e dunque aveva fatto un corretto uso politico del suo diritto di presentarsi alle elezioni. Afferma di aver scelto di revocare la sua rinuncia nel momento in cui Di Pietro aveva deciso di rinunciare al suo seggio al Parlamento europeo e lui stesso non era più senatore in Italia. Ritiene che era «naturale» per lui fare questa scelta, dal momento che la situazione politica era profondamente cambiata a seguito dello scioglimento del movimento politico «società civile, Di Pietro - Occhetto».

35.  Secondo il ricorrente, il «diritto di essere eletto in funzione della posizione in graduatoria ottenuta» alle elezioni è un diritto politico di cui si può disporre, ma di cui non è possibile privarsi indefinitamente, dal momento che sarebbe in gioco il rispetto della volontà degli elettori. Il ricorrente ritiene che è nel contempo essenziale che un candidato, quando deve pronunciarsi in favore o in sfavore della proclamazione che lo riguarda, possa esprimersi in totale libertà, senza essere vincolato da atti o da accordi di rinuncia preesistenti. Secondo lui, questi atti o accordi possono essere l’espressione della volontà del candidato nel momento in cui sono firmati, ma non lo possono vincolare per il futuro; di conseguenza, nella presente causa, la rinuncia controversa non potrebbe privarlo della qualità di «vittima».

36.  Per quanto riguarda il merito del motivo di ricorso, il ricorrente sottolinea che la sua rinuncia era il risultato di un accordo elettorale concluso con Di Pietro volto ad alterare la graduatoria dei candidati, e dunque la volontà degli elettori, e che, in tali condizioni, detto accordo avrebbe dovuto essere considerato illecito e, pertanto, nullo e non concluso. Egli sostiene che l’elezione di Donnici è stata decisa dal Consiglio di Stato e non dal corpo elettorale. A questo titolo egli critica in particolare la conclusione dell’alta giurisdizione amministrativa italiana secondo la quale la rinuncia ad un seggio parlamentare è irrevocabile prima dell’apertura della procedura di proclamazione degli eletti, e ritiene che tale conclusione discenda da un ragionamento illogico e poco rispettoso della volontà popolare. Al riguardo il ricorrente nota che la rinuncia di un candidato relativamente alla proclamazione degli eletti non dovrebbe far sorgere aspettative per il corpo elettorale, ma indurre piuttosto «amarezza o delusione». Inoltre, egli sostiene che non vi sarebbe alcun rischio che tale candidato possa ritornare spontaneamente nella graduatoria dei candidati perché, se questo candidato non si pronunciasse a tempo debito in favore della proclamazione che lo riguarda, sarebbe allora surrogato dal candidato che viene dopo di lui. Infine, il ricorrente precisa che, nella presente causa era in eccellente posizione sulla lista «società civile, Di Pietro - Occhetto» per le due circoscrizioni interessate, che la sua rinuncia ha prodotto effetti immediati unicamente per la circoscrizione «Nord-Ovest» e che aveva così mantenuto le sue possibilità per la circoscrizione «Italia meridionale».

B.  Valutazione della Corte

1.  Sulla questione di stabilire se il ricorrente possa considerarsi «vittima» dei fatti da lui denunciati

37.  La Corte rammenta che, per poter proporre un ricorso in virtù dell’articolo 34 della Convenzione, una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di persone deve potersi considerare vittima di una violazione dei diritti riconosciuti nella Convenzione. Per potersi considerare vittima di una violazione di questo tipo un individuo deve aver subìto direttamente gli effetti della misura controversa (Tănase c. Moldavia [GC], n. 7/08, § 104, CEDU 2010). Di conseguenza, l’esistenza di una vittima personalmente toccata dalla dedotta violazione di un diritto garantito dalla Convenzione è una condizione indispensabile per l’attuazione del meccanismo di protezione della Convenzione, anche se questo criterio non deve essere applicato in maniera rigida e inflessibile (Bidenc c. Slovenia (dec.), n. 32963/02, 18 marzo 2008). La questione di stabilire se un ricorrente possa o meno ritenersi vittima della mancanza denunciata si pone in qualsiasi fase della procedura avviata per violazione della Convenzione (Bourdov c. Russia, n. 59498/00, § 30, CEDU 2002 III).

38.  La Corte rammenta inoltre che essa interpreta il concetto di vittima in maniera autonoma, indipendentemente dalle nozioni interne come quelle di interesse o di qualità per agire (Sanles Sanles c. Spagna (dec.), n. 48335/99, CEDU 2000-XI), anche se deve tener conto del fatto che il ricorrente è stato parte alla procedura interna (Aksu c. Turchia [GC], nn. 4149/04 e 41029/04, § 52, CEDU 2012, e Micallef c. Malta [GC], nn. 17056/06, § 48, CEDU 2009).

39.  La Corte rammenta anche che, in una causa proposta contro la Turchia, ha dichiarato irricevibile un motivo di ricorso basato sul mancato adempimento da parte dello Stato convenuto dell’obbligo positivo di proteggere la vita di uno dei ricorrenti, per il motivo che quest’ultimo, che occupava il municipio di un villaggio, non aveva portato all’attenzione delle autorità militari i motivi di ricorso che sollevava dinanzi alla Corte e aveva adottato un comportamento irresponsabile (Paşa e Erkan Erol c. Turchia, n. 51358/99, §§ 19-22, 12 dicembre 2006).

40.  La Corte ritiene che considerazioni simili potrebbero applicarsi al caso di specie. Essa nota che il ricorrente, che si era candidato alle elezioni al Parlamento europeo, aveva spontaneamente firmato un atto di rinuncia a un seggio parlamentare. Questa rinuncia era il risultato di un accordo che era stato liberamente concluso dal ricorrente con il cofondatore del movimento politico al quale apparteneva (paragrafi 3 e 4 supra) e che, de facto, privava di qualsiasi effetto utile i voti che gli elettori avevano dato all’interessato. Ne consegue che si potrebbe ritenere che il ricorrente abbia, in larga misura, contribuito a creare la situazione che lamenta dinanzi alla Corte, ossia l’annullamento della proclamazione della sua elezione al Parlamento europeo. Peraltro, la Corte rileva che, nelle sue osservazioni, il ricorrente ha precisato che le autorità italiane avrebbero dovuto dichiarare illecito il suo accordo con Di Pietro (paragrafo 36 supra) e che egli rivendica in sostanza il diritto all’annullamento dei suoi stessi atti (si veda mutatis mutandis, Giuliani e Gaggio c. Italia [GC], n. 23458/02, § 319 in fine, CEDU 2011).

41.  La Corte ritiene tuttavia che la questione di stabilire se il ricorrente possa ritenersi «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, dei fatti che denuncia possa rimanere aperta. Lo stesso si può dire per quanto riguarda la sussistenza o meno di un «pregiudizio importante» per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione (questa questione è oggetto dell’eccezione sollevata dal Governo al paragrafo 33 supra). In effetti, il ricorso è comunque manifestamente infondato per le ragioni esposte qui di seguito.

2. Sugli altri motivi di irricevibilità

42.  La Corte richiama innanzitutto la sua giurisprudenza secondo la quale il Parlamento europeo è sufficientemente associato al processo legislativo, nonché al controllo democratico generale delle attività dell’Unione europea, perché si possa considerare che esso costituisce, ai sensi dell’articolo 3 del Protocollo n. 1, una parte del «corpo legislativo» degli Stati membri che la compongono (si veda, mutatis mutandis, Matthews c. Regno Unito [GC], n. 24833/94, §§ 45-54, CEDU 1999-I). Questa disposizione è dunque applicabile al caso di specie. La Corte nota per di più che il ricorrente contesta soprattutto la decisione con la quale il Consiglio di Stato ha annullato la decisione dell’Ufficio elettorale dell’8 maggio 2006 (paragrafi 12-14 supra). La Corte si limiterà dunque ad esaminare la compatibilità di questa decisione del Consiglio di Stato con l’articolo 3 del Protocollo n. 1, dato che, tenuto conto della sentenza della CGCE del 30 aprile 2009, è stata proprio questa decisione a creare la situazione di cui il ricorrente si ritiene vittima.

43.  La Corte rammenta poi che questa disposizione differisce dalle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli che garantiscono dei diritti in quanto enuncia l’obbligo per le Alte Parti contraenti di organizzare le elezioni in condizioni che assicurino la libera espressione dell’opinione del popolo e non un diritto o una libertà in particolare. Tuttavia, tenuto conto dei lavori preparatori di questo articolo e dell’interpretazione che viene data di questa clausola nel quadro della Convenzione nel suo complesso, la Corte ha stabilito che questa disposizione implica anche dei diritti soggettivi, fra cui il diritto di voto e quello di candidarsi alle elezioni (Mathieu-Mohin e Clerfayt c. Belgio, 2 marzo 1987, §§ 46-51, serie A n. 113).

44.  I diritti garantiti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 sono fondamentali per stabilire e mantenere le basi di una vera democrazia regolata dalla preminenza del diritto. Tuttavia, questi diritti non sono assoluti. Vi è spazio per alcune «limitazioni implicite», e agli Stati contraenti deve essere accordato un margine di apprezzamento in materia. La Corte riafferma che il margine di apprezzamento in questo campo è ampio (Mathieu-Mohin e Clerfayt, sopra citata, § 52, Matthews, sopra citata, § 63, e Podkolzina c. Lettonia, n. 46726/99, § 33, CEDU 2002-II). Esistono molti modi di organizzare e far funzionare i sistemi elettorali e molte diversità in seno all’Europa (Ždanoka c. Lettonia [GC], n. 58278/00, § 103, CEDU 2006 IV, e Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], n. 74025/01, § 61, CEDU 2005-IX).

45.  Le norme da applicare per stabilire la conformità all’articolo 3 del Protocollo n. 1 devono essere considerate meno rigorose di quelle che sono applicate sul terreno degli articoli da 8 a 11 della Convenzione. Dal momento che l’articolo 3 del Protocollo n. 1 non è limitato da un elenco preciso di «scopi legittimi», come quelli enumerati agli articoli da 8 a 11 della Convenzione, gli Stati contraenti possono dunque liberamente basarsi su uno scopo che non rientra in questo elenco per giustificare una restrizione, con riserva che la compatibilità di questo scopo con il principio di preminenza del diritto e con gli obiettivi generali della Convenzione sia dimostrata nelle circostanze particolari di un determinato caso. La Corte non applica dunque i criteri tradizionali di «necessità» o di «bisogno sociale imperioso» che sono utilizzati nell’ambito degli articoli da 8 a 11 della Convenzione. Quando la Corte deve esaminare questioni di conformità all’articolo 3 del Protocollo n. 1, si basa essenzialmente su due criteri: verifica, da una parte, se vi sia stato arbitrio o mancanza di proporzionalità, e, dall’altra parte, se la restrizione abbia leso la libera espressione dell’opinione del popolo (Ždanoka, sopra citata, § 115 a), b) e c)).

46.  Spetta alla Corte decidere in ultima istanza sull’osservanza delle esigenze dell’articolo 3 del Protocollo n. 1; essa deve assicurarsi che le condizioni alle quali sono subordinati i diritti di voto o di candidarsi alle elezioni non limitino i diritti in questione al punto di violarli nella loro stessa sostanza e di privarli della loro effettività, che esse perseguano uno scopo legittimo e che i mezzi utilizzati non si rivelino sproporzionati (Mathieu-Mohin e Clerfayt, sopra citata, § 52). In particolare, nessuna delle condizioni eventualmente imposte deve ostacolare la libera espressione del popolo sulla scelta del corpo legislativo - in altre parole, queste condizioni devono riflettere, o non contrastare, la preoccupazione di mantenere l’integrità e l’effettività di una procedura elettorale volta a determinare la volontà del popolo tramite il suffragio universale (Ždanoka, sopra citata, § 104, e Hirst, sopra citata, § 62).

47.  Il diritto di presentarsi alle elezioni legislative può essere inquadrato da esigenze più severe del diritto di voto. Infatti, mentre il criterio relativo all’aspetto «attivo» dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 implica di norma una valutazione più ampia della proporzionalità delle disposizioni legali che privano una persona o un gruppo di persone del diritto di voto, la prassi adottata dalla Corte per quanto riguarda l’aspetto «passivo» di questa disposizione si limita essenzialmente a verificare l’assenza di arbitrio nelle procedure interne che portano a privare una persona dell’eleggibilità (Ždanoka, sopra citata, §115 e), e Melnitchenko c. Ucraina, n. 17707/02, § 57, CEDU 2004-X).

48.  La Corte, applicando questi principi al caso di specie, rileva che il ricorrente rimprovera essenzialmente al Consiglio di Stato di aver ritenuto che la sua rinuncia a un seggio da parlamentare fosse irrevocabile. La Corte non scorge in ciò nulla di arbitrario. In effetti numerosi atti attraverso i quali un individuo dispone liberamente dei suoi diritti possono comportare conseguenze permanenti, senza per questo che vi sia violazione dei principi garantiti dalla Convenzione.

49.  La Corte è del parere che il rifiuto di accettare la revoca della sua rinuncia da parte del ricorrente perseguisse degli scopi legittimi, ossia la garanzia della certezza del diritto nel quadro del processo elettorale e la protezione dei diritti altrui, soprattutto della persona - ossia di Donnici - che era stata proclamata eletta al posto che avrebbe potuto essere occupato dall’interessato. Se un candidato poteva benissimo presentare una rinuncia a un mandato parlamentare e in seguito revocare tale rinuncia in qualsiasi momento, vi sarebbe stata incertezza per quanto attiene alla composizione del corpo legislativo.

50.  Peraltro, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia subito conseguenze arbitrarie. Avendo firmato spontaneamente un atto di rinuncia, egli sapeva o avrebbe dovuto sapere che questa decisione poteva comportare l’impossibilità di sedere al Parlamento europeo, e questo anche in caso di rinuncia da parte di Di Pietro al suo mandato parlamentare.

51.  Per quanto riguarda la questione di stabilire si vi sia stata violazione della libera espressione dell’opinione del popolo, la Corte nota innanzitutto che l’eventuale delusione provata dagli elettori che avevano votato per il ricorrente non possa essere direttamente imputata alle autorità italiane, ma piuttosto all’interessato e a Di Pietro in ragione dell’accordo concluso tra loro al fine di privare i voti di questi elettori di qualsiasi effetto utile. Allo stesso tempo, la Corte rileva che, a seguito di elezioni, un candidato può ottenere il diritto di sedere in seno al corpo legislativo, ma che per questo non ne ha l’obbligo. In effetti ogni candidato può rinunciare, per ragioni politiche o personali, al mandato che ha ricevuto, e la decisione di prendere atto di una rinuncia di questo tipo non può essere ritenuta contraria al principio del suffragio universale. Nel caso di specie, la Corte osserva che la volontà del ricorrente era stata espressa per iscritto e con termini non equivoci, e che, in una comunicazione del 12 novembre 2004 indirizzata al Parlamento europeo, l’interessato aveva precisato che la sua rinuncia era definitiva (paragrafo 10 supra).

52.  Occorre anche notare che, nella sentenza del 30 aprile 2009, la CGCE ha affermato che spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare le giurisdizioni competenti e regolare le modalità procedurali dei ricorsi giudiziari volti ad assicurare la salvaguardia dei diritti riconosciuti agli interessati dal diritto comunitario (si veda, in particolare, il punto 63 della sentenza della CGCE, citata al paragrafo 22 supra). Nella fattispecie, l’ordinamento giuridico italiano indicava che queste giurisdizioni erano il TAR e il Consiglio di Stato. La procedura vertente sugli effetti e sulla natura della rinuncia del ricorrente si è svolta dinanzi a questi organi giudiziari con piena giurisdizione, e il ricorrente ha potuto presentare gli argomenti che riteneva utili per la sua difesa nell’ambito di questa procedura.

53.  Tenuto conto di quanto esposto precedentemente e soprattutto dell’ampio margine di apprezzamento accordato agli Stati quando è in gioco l’aspetto «passivo» dei diritti garantiti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1, la Corte non constata alcuna violazione di questa disposizione.

54.  Infine, per quanto il ricorrente invochi l’articolo 4 del regolamento interno del Parlamento europeo e l’Atto recante l’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto del 20 settembre 1976, la Corte rammenta che la sua missione si limita all’applicazione della Convenzione e che non è competente per l’applicazione di altri trattati internazionali in quanto tali o per vigilare sull’osservanza degli stessi (si vedano, mutatis mutandis, Di Giovine c. Portogallo (dec.), n. 39912/98, 31 agosto 1999, e Hermida Paz c. Spagna (dec.), n. 4160/02, 28 gennaio 2003).

55.  Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il resto del ricorso irricevibile.

Stanley Naismith Cancelliere

Işıl Karakaş Presidente