Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 giugno 2013 - Ricorso n. 5968/09- Anghel c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita da Lucia Lazzeri, funzionario linguistico. Revisione a cura di Martina Scantamburlo.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA ANGHEL c. ITALIA

(Ricorso n. 5968/09)

SENTENZA

STRASBURGO

25 giugno 2013

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Anghel c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 giugno 2013,
Pronuncia la seguente sentenza adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 5968/09) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino rumeno, il sig. Aurelian Anghel (“il ricorrente”), ha adito la Corte il 24 gennaio 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2.  Il ricorrente era rappresentato dall’avv. G. Klein Kiriţescu del foro di Bucarest. Il governo italiano (“il Governo”) era rappresentato dal suo co-agente, P. Accardo.

3.  Il ricorrente sosteneva che la procedura esperita ai sensi della Convenzione dell’Aja in relazione a suo figlio non era stata equa e che il tribunale che aveva esaminato il caso non aveva tenuto conto dell’interesse superiore del minore. Inoltre, lamentava che gli era stato negato l’accesso a un mezzo di impugnazione avverso la decisione di primo grado. Riteneva che vi fosse stata violazione degli articoli 6 e 8 della Convenzione.

4.  Il 14 dicembre 2011 il ricorso veniva comunicato al Governo. Ai sensi dell’articolo 29 § 1 veniva deciso che la camera si sarebbe contestualmente pronunciata sulla ricevibilità e sul merito della causa.

5.  Il governo della Romania, informato dal cancelliere del suo diritto di intervenire nel procedimento (articolo 48 (b) della Convenzione e articolo 33 § 3 (b)), non ha manifestato l’intenzione di avvalersene.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6.  Il ricorrente è nato nel 1961 e attualmente vive in Qatar. È stato sposato con M., con la quale ha avuto un figlio, A., nato nel mese di marzo del 2003 a Bucarest, in Romania.

A. Il contesto della causa

7.  Dopo la nascita di A., M. lavorava occasionalmente in Italia per brevi periodi, allo scopo di garantire il sostentamento della famiglia. Nel 2005, quando M. trovava un lavoro regolare, il ricorrente consentiva a suo figlio di recarsi in Italia con la madre. Dall’atto notarile formale del 26 aprile 2005, presentato alla Corte, emerge che il sig. Anghel Aurelian, residente a Bucarest, prestava il suo consenso a che suo figlio minore, Anghel A., nato nel mese di marzo del 2003 e residente all’indirizzo ivi specificato, si recasse nella Repubblica Moldova e in Italia nel corso del 2005, assieme a sua madre Anghel M. Il ricorrente dichiarava che questo permesso era stato accordato solo per un periodo limitato, al fine di garantire la continuità del rapporto con M. Dal fascicolo si evince che M. contestava tale dichiarazione, sostenendo di avere portato il figlio con sé a causa dell’impatto negativo che la convivenza con il padre aveva sullo sviluppo di A.

8.  Nel gennaio del 2006 il ricorrente si recava in Italia al fine di ricondurre A. in Romania. Denunciava di avere trovato il figlio in pessime condizioni. M. si era opposta alle richieste del ricorrente di ricondurre il minore in Romania o, in alternativa, di trasferirsi tutti in Qatar, dove egli aveva trovato lavoro.

9.  Una volta fatto ritorno in Romania, il ricorrente presentava una denuncia penale ai sensi dell’articolo 301 del codice penale rumeno, asserendo che sua moglie stava trattenendo A. in Italia senza il suo consenso.

10.  In data non specificata, il ricorrente si trasferiva in Qatar. Il 6 dicembre 2006 si recava in Italia per fare visita a suo figlio. Sosteneva che le condizioni sociali e di salute di A. erano peggiorate. Il 13 dicembre 2006 padre e figlio si recavano assieme in Romania, dove in data 8 gennaio 2007 venivano raggiunti da M. Il 15 gennaio 2007 si recavano tutti in Moldova a far visita alla famiglia di M. Il 20 gennaio 2007, M. e A. “sparivano”. Il ricorrente, alla fine, scopriva che avevano fatto ritorno in Italia.

11.  Il 9 febbraio 2007, la procura generale rumena decideva di non promuovere un procedimento penale a carico di M., dal momento che non sussistevano sufficienti elementi di prova per ritenere che fosse stato commesso un reato. Il ricorrente impugnava questa decisione il 28 dicembre 2007. A quanto sembra, il 31 marzo 2008 la sua impugnazione veniva respinta dal tribunale distrettuale perché infondata. Il ricorrente presentava impugnazione dinanzi all’organo giudiziario di grado superiore. Non sono state fornite ulteriori informazioni  riguardo all’esito di questo procedimento.

B.  La domanda di ritorno del minore ai sensi della Convenzione dell’Aja e la decisione del tribunale per i minorenni di Bologna

12.  Il 2 aprile 2007 il ricorrente si rivolgeva al Ministro della Giustizia, designato dalla Romania come Autorità Centrale responsabile dell’adempimento degli obblighi imposti alla Romania dalla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (“la Convenzione dell’Aja”). Chiedeva al Ministro assistenza nel garantire il ritorno di suo figlio, che la madre, così asseriva, aveva illecitamente trasferito in Italia il 20 gennaio 2007.

13.  A seguito delle misure adottate dalle autorità rumene e italiane conformemente alle disposizioni  della Convenzione dell’Aja, la procura della repubblica di Bologna avviava dinanzi al tribunale per i minorenni di Bologna la procedura diretta a ottenere il ritorno del minore.

14.  Il 18 giugno 2007 aveva luogo un’udienza in presenza del ricorrente.
I fatti di seguito esposti sono desunti dal verbale manoscritto presentato dal Governo.
Sentite le dichiarazioni del ricorrente e di M., il presidente del tribunale prendeva atto che in Romania era pendente una causa di divorzio, presentata da M., con richiesta di affidamento del minore (cui il ricorrente si opponeva). Il presidente osservava altresì che durante la convivenza della coppia dal 2004 fino alla fine del 2006, nell’ultimo anno il ricorrente era stato spesso assente, dal momento che lavorava in Qatar.
M. faceva notare che fino alla fine del 2006 erano stati d’accordo sul luogo in cui il loro figlio dovesse vivere, in particolare, avevano tenuto conto del fatto che M. lavorava in Italia, che il minore aveva ottenuto un permesso di soggiorno in questo paese, dove aveva iniziato a frequentare la scuola ed era seguito dai servizi sociali e sanitari. M. sosteneva che, a causa di alcune modifiche del diritto rumeno, non era stato necessario estendere [la validità dell’] atto notarile (sopra menzionato) agli anni seguenti. Affermava che in passato il minore aveva avuto problemi di salute e che suo padre aveva sempre saputo dove si trovavano. M. chiedeva al tribunale di assumere come prova la relazione dello psicologo sulle condizioni del minore e presentava una memoria scritta corroborata da elementi di prova a sostegno della sua richiesta.
Il ricorrente sosteneva che con l’atto notarile tra lui e M. aveva espresso solo il consenso al viaggio in Italia, per motivi di turismo, di A. limitatamente al periodo da maggio a dicembre del 2005 e che, pertanto, non aveva acconsentito al trasferimento del minore al termine di quel periodo. In assenza di una decisione in merito alla custodia, il minore avrebbe potuto vivere con lui in Qatar, anziché in Italia con la madre senza il consenso paterno. Tuttavia, M. non aveva accettato questa ipotesi, anche se il padre avrebbe potuto garantire al minore un tenore di vita superiore. Spiegava che aveva tentato di trovare una risoluzione amichevole, ma che, una volta resosi conto che era impossibile, aveva denunciato M. e che il procedimento era ancora in corso. Solo alla fine del 2006, a seguito di una visita medica che il ricorrente aveva sollecitato e che aveva accertato il cattivo stato di salute del minore, M. aveva finalmente accettato di ricondurre il figlio in Romania.
Il pubblico ministero chiedeva al tribunale di accogliere la domanda di ritorno del minore, rilevando che quest’ultimo probabilmente era rimasto in Italia per oltre un anno, facendo riferimento all’articolo 17 (sic) della Convenzione dell’Aja. Inoltre chiedeva al tribunale di disporre una perizia sulle condizioni psicologiche del minore.

15.  Il 5 luglio 2007 il ricorrente scriveva al Ministro della Giustizia rumeno, informandolo circa lo svolgimento dell’udienza. Il ricorrente spiegava di non avere avuto la possibilità di contestare le dichiarazioni rese dall’avvocato della moglie riguardanti, in particolare: (i) il tempo impiegato dal ricorrente per avviare il procedimento dalla data in cui il minore era stato illecitamente trasferito o trattenuto, che – secondo il ricorrente – corrispondeva al 20 gennaio 2007 e non al 20 gennaio 2006 – come sosteneva il tribunale; avendo preso il tribunale come riferimento quest’ultima data, doveva applicarsi l’articolo 12 della Convenzione dell’Aja che prevede che, trascorso un anno, il ritorno del minore può non essere ordinato, se questi si è integrato nel suo nuovo ambiente; (ii) l’assunto  che i problemi psicologici e di salute del minore fossero riconducibili al tempo trascorso con il padre prima del trasferimento in Italia, conclusione che si basava su documentazione medica alla quale il ricorrente non aveva avuto accesso; (iii) la tesi che M. avesse avuto il consenso del marito fino al 1° gennaio 2007, data in cui tale consenso non era più necessario (essendo la Romania entrata a far parte dell’Unione Europea), ignorando così l’atto notarile in cui era specificato che il permesso era accordato per un periodo limitato; e (iv) il fatto che M. avesse cambiato la residenza del minore senza l’autorizzazione del padre, contrariamente a quanto prescritto dalla legge. Il ricorrente, inoltre, spiegava che il tribunale per i minorenni di Bologna stava esaminando questioni pertinenti all’affidamento, in violazione della sua sfera di competenza ai sensi della Convenzione dell’Aja, in quanto tali questioni erano di competenza esclusiva dei tribunali del paese di domicilio e, segnatamente, della Romania. Per di più, non sarebbe stata adottata alcuna decisione fintantoché i tribunali rumeni non avessero deciso in merito al divorzio e alla custodia. Contestava inoltre la valutazione dei servizi sociali circa i potenziali danni per il minore in caso di rientro in Romania, in quanto avevano considerato esclusivamente il resoconto poco obiettivo della madre del minore, senza valutare direttamente il rapporto padre-figlio  né l’ambiente sociale in cui A. sarebbe vissuto, se avesse fatto ritorno in Romania. Il ricorrente chiedeva al Ministro di inoltrare la sua lettera alle autorità italiane competenti e al tribunale per i minorenni di Bologna.

16.  Con decisione del 6 luglio 2007, depositata nella cancelleria del tribunale il 9 luglio 2007, il tribunale per i minorenni di Bologna respingeva la domanda di ritorno del ricorrente. Rilevava che la causa di divorzio e di affidamento del minore era ancora in corso in Romania, che M. aveva sostenuto di avere vissuto con suo figlio in Italia dal 2006 e che dal mese di giugno del 2006 A. era in cura presso i servizi di Neuropsichiatria Infantile (“NPI”) dell’Azienda Unità Sanitaria Locale (“AUSL”) di Parma. Inoltre prendeva atto che M. sosteneva di avere avuto il necessario permesso da parte del marito per trattenere il minore in Italia, come desumibile dall’atto notarile del 2005, e che il ricorrente aveva contestato questo fatto, affermando di avere espresso il consenso solo al viaggio di A. in Italia per motivi turistici e che, nonostante il suo trasferimento in Qatar nel 2006, desiderava che suo figlio vivesse con lui. Alla luce di queste considerazioni, il tribunale reputava che non sussistessero motivi per ordinare il ritorno di A. e che, in considerazione delle pertinenti norme di diritto internazionale, non era possibile affermare che la madre avesse arbitrariamente sottratto A. al padre quale legittimo affidatario del minore. Il tribunale per i minorenni di Bologna puntualizzava che le autorità rumene non avevano ancora adottato una decisione riguardo alla custodia, che pertanto i genitori avevano l’affidamento condiviso e che, di conseguenza, il ricorrente non aveva un diritto esclusivo di custodia. Oltretutto, il ricorrente aveva acconsentito al trasferimento di A. in Italia e, alla fine, si era stabilito in Qatar. In più, il tribunale per i minorenni di Bologna faceva notare che il minore si trovava in Italia da oltre un anno e che si era integrato nella società italiana, anche se con alcuni problemi. Alla luce di queste considerazioni, il tribunale valutava che il minore, in caso di ritorno, avrebbe subito un danno psicologico. Di conseguenza non era tenuto, ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione dell’Aja, a ordinarne il rientro. D’altro canto, dalla perizia dei servizi sociali disposta dal tribunale emergeva che A. era arrivato nel reparto di NPI accompagnato dalla madre, su consiglio del medico generico e che, da allora, A. era sottoposto a psicoterapia che, tra l’altro, prevedeva colloqui congiunti madre-figlio. Il dottore incaricato della perizia aveva notato che la necessità di sottoporre A. a trattamento psicoterapeutico era ricollegabile ai prolungati periodi di lontananza dai genitori, ai frequenti cambi di residenza e alle continue liti tra i coniugi. Era quindi necessario dare ad A. punti di riferimento e abitudini quotidiane stabili. Nel complesso, la sua condizione psicologica era in via di miglioramento, salvo una preoccupante regressione dopo il suo rientro dalla Romania e dalla Moldova nel gennaio del 2007, dalla quale si era comunque ripreso.
La decisione veniva notificata al pubblico ministero il 13 Agosto 2007.

C.  Le azioni intraprese dal ricorrente per impugnare la decisione

17.  Il 25 luglio 2007 le autorità italiane informavano le autorità rumene della decisione del tribunale per i minorenni di Bologna del 6 luglio 2007, depositata presso la cancelleria del tribunale il 9 luglio 2007.

18.  Il 30 luglio 2007 il Ministero della Giustizia rumeno informava il ricorrente della decisione, avvisandolo altresì di avere richiesto informazioni al Ministero della Giustizia italiano riguardo ai mezzi di impugnazione esperibili.

19.  Con missiva del 6 agosto 2007, il Ministero della Giustizia italiano informava il Ministero della Giustizia rumeno che avverso la decisione era ammesso ricorso, per motivi di diritto, avanti alla Corte di cassazione da presentare entro sessanta giorni dalla data della decisione – se il rifiuto è stato pronunciato nel corso di un’udienza in presenza della parte che ha presentato la domanda (ai sensi della Legge n. 64 del 1994) –  per il tramite di un avvocato ammesso al patrocinio dinanzi a tale corte. In alternativa, poteva proporre domanda ai sensi dell’articolo 11 del regolamento (CE) n. 2201/2003 (“Bruxelles II bis”).

20.  Il giorno seguente, il Ministero della Giustizia rumeno ne informava il ricorrente, comunicandogli altresì di avere chiesto ulteriori indicazioni sulla data ultima per impugnare la decisione in punto di diritto e sulla possibilità di ammettere il ricorrente al gratuito patrocinio.

 21.  Quest’ultimo contattava ripetutamente il Ministero della Giustizia rumeno per ottenere risposta ai quesiti posti, unitamente alla documentazione che gli avrebbe permesso di proporre ricorso.

22.  Il 13 settembre 2007 il Ministero della Giustizia rumeno trasmetteva alla controparte italiana la domanda del ricorrente di essere ammesso al gratuito patrocinio per proporre impugnazione in punto di diritto. L’istanza di gratuito patrocinio veniva depositata il 25 ottobre 2007.

23.  Il 29 ottobre 2007 il consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna ammetteva il ricorrente al gratuito patrocinio al fine di proporre impugnazione, facendo presente che la corte competente era la corte d’appello di Bologna e non la Corte di cassazione. Inoltre, affermava di non  essere certa che potesse essere ancora presentata impugnazione: non sapendo se la decisione era stata notificata, non era in grado di calcolare entro quale termine dovesse essere proposta. Il 30 ottobre 2007 questa decisione veniva trasmessa al Ministero della Giustizia italiano.

24.  Con missiva dell’8 novembre 2007, il ricorrente veniva informato dalle autorità italiane che la sua domanda era stata ricevuta il 16 ottobre 2007 e inoltrata al consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna. Non veniva fatta alcuna menzione della decisione del 29 ottobre 2007.

25.  In base alla documentazione prodotta, il 22 novembre 2007 la decisione che ammetteva il ricorrente al gratuito patrocinio veniva inoltrata al Ministero della Giustizia rumeno, con preghiera di informarne il ricorrente e di trasmettere prova della ricezione della medesima da parte del destinatario. Non è dato sapere se questa informazione sia mai pervenuta al Ministero della Giustizia rumeno, comunque non è mai stata trasmessa al ricorrente.
26.  Il 13 dicembre 2007, avendo il ricorrente lamentato di non avere ricevuto alcuna informazione riguardo alla decisione adottata in merito alla sua domanda, il Ministero della Giustizia rumeno sollecitava una risposta da parte delle autorità italiane.

27.  In assenza di replica, il 3 gennaio 2008 il ricorrente inviava una mail al Consolato rumeno a Roma con preghiera di ottenere informazioni al riguardo. Con missiva del 17 gennaio 2008, la Divisione Generale degli Affari Consolari del Ministero degli Affari Esteri rumeno informava il ricorrente che la sua domanda era stata accolta il 29 ottobre 2007 e che ne era stata data comunicazione al Ministero della Giustizia rumeno il 22 novembre 2007.

28.  Il 27 gennaio il ricorrente scriveva nuovamente al Consolato rumeno, confermando che fino a quel momento non aveva ricevuto copia della decisione e chiedendo di accertare chi l’avesse trasmessa per conto dell’Italia e chi l’avesse ricevuta al Ministero rumeno. Il 28 gennaio 2008 la Divisione Generale degli Affari Consolari inoltrava al ricorrente una copia della corrispondenza relativa al suo caso.

29.  Il 15 febbraio 2008 il Ministero della Giustizia italiano chiedeva al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna di trasmettere, con urgenza, l’elenco degli avvocati abilitati al gratuito patrocinio per presentare impugnazione per conto del ricorrente. Il 19 marzo 2008 l’elenco veniva inviato dalle autorità italiane al Ministero della Giustizia rumeno, che lo inoltrava al ricorrente il 24 aprile 2008. Il 6 maggio 2008 il ricorrente scriveva al Ministero della Giustizia italiano e al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna esprimendo la sua scelta.

30.  Il 16 giugno 2008 l’avvocato nominato a seguito dell’ammissione al gratuito patrocinio (MCA) presentava richiesta alla cancelleria del tribunale per i minorenni di Bologna di visionare gli atti. Con nota del 23 giugno 2008 indirizzata al ricorrente e alle autorità italiane e rumene (a quanto pare inviata via fax alle autorità italiane in data 2 o 8 luglio 2008, ma di cui non è nota la data di ricezione da parte di tutti i destinatari), MCA faceva presente di non essere in grado di rappresentare il ricorrente, dal momento che non era ammessa al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e che, contrariamente a quanto indicato  dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna, l’unico mezzo di impugnazione ammesso ai sensi dell’articolo 7 della Legge n. 64 del 15 gennaio 1994 era il ricorso avanti la Corte di cassazione, da presentare entro sessanta giorni dalla notifica. L’avvocato puntualizzava inoltre che, non avendo il ricorrente ancora ricevuto notifica della decisione da impugnare, il termine per proporre ricorso, in questo caso, sarebbe scaduto dopo un anno e quarantacinque giorni dalla data del deposito della decisione presso la cancelleria del tribunale e che, pertanto, consigliava al ricorrente di nominare al più presto un avvocato ammesso al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione al fine di proporre ricorso.

31.  Il 15 luglio 2008 il ricorrente scriveva al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna chiedendo l’elenco degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione. Il 23 luglio 2008, il ricorrente riceveva l’elenco via mail e rispondeva indicando il nome dell’avvocato che aveva scelto.

32.  Il 12 agosto 2008, il ricorrente scriveva nuovamente al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna chiedendo ulteriori informazioni per contattare l’avvocato che aveva scelto (numeri di telefono e indirizzo e-mail). Sosteneva che le informazioni contenute nell’elenco erano poco precise e che non era stato in grado di mettersi in contatto con l’avvocato. Non riceveva alcuna risposta in merito.

33.  Il ricorrente, alla fine, riusciva ad ottenere le informazioni necessarie il 23 settembre 2008, grazie ad alcuni suoi contatti personali, e quindi scriveva una mail all’avvocato, spiegandole la situazione e chiedendole se era stata informata della nomina. In pari data, l’avvocato rispondeva che non ne era stata informata e chiedeva la documentazione e copia della decisione di ammissione al gratuito patrocinio, affinché potesse prendere una decisione in merito all’assunzione del caso. Il giorno dopo, il ricorrente contattava telefonicamente l’avvocato e rispondeva alla sua mail, fornendole le informazioni e la documentazione richieste.

34.  Il 25 settembre 2008 l’avvocato informava il ricorrente che era scaduto il termine di un anno e quarantacinque giorni per proporre ricorso avverso la decisione del 6 luglio 2007 e che, di conseguenza, non poteva assisterlo.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

A.  Notificazioni e decorrenza dei termini

35.  Ai sensi dell’articolo 7 della Legge n. 64 del 1994, il ricorso avverso il decreto del tribunale per i minorenni in materia di rimpatrio di un minore deve essere proposto dinanzi alla Corte di cassazione.

36.  Ai sensi dell’articolo 325 del codice di procedura civile (“CPC”), nella versione in vigore all’epoca dei fatti, il ricorso dinanzi alla Corte di cassazione doveva essere proposto entro sessanta giorni dalla notifica. Per quanto qui rileva, ai sensi dell’articolo 326 CPC il termine menzionato nell’articolo 325 decorre dalla data in cui la decisione è stata notificata o comunicata al destinatario. Ai sensi dell’articolo 327 CPC, nella versione in vigore all’epoca dei fatti, qualora la decisione non fosse stata notificata o comunicata al destinatario,  l’impugnazione doveva essere proposta entro un anno dal deposito della decisione presso la cancelleria del tribunale competente.

37.  L’articolo 1 della Legge n. 742 del 7 ottobre 1969 sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale ha il seguente tenore:

“Il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative è sospeso di diritto dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun anno e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo.”

38.  Secondo la giurisprudenza italiana (si veda, ad esempio, la sentenza della Corte di cassazione n. 25702 del 9 dicembre 2009), nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale, si verifica un doppio computo della sospensione.
L’articolo 3 della Legge n. 742 del 7 ottobre 1969 recita:

“In materia civile, l'articolo 1 non si applica alle cause ed ai procedimenti indicati nell'articolo 92 dell'ordinamento giudiziario 30 gennaio 1941, n. 12, nonché alle controversie previste dagli articoli 409 (controversie individuali  di lavoro) e 442 (controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie) del codice di procedura civile.”

L’articolo 92 del R.D. n. 12 del 1941 recita:

“Durante il periodo feriale dei magistrati le corti di appello e i tribunali trattano le cause civili relative ad alimenti, in materia di lavoro, ai procedimenti cautelari, ai procedimenti per l’adozione [di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, mancante nel testo, N.d.T.], di interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di sfratto e di opposizione all’esecuzione, nonché quelle relative a[lla dichiarazione ed alla revoca dei, mancante nel testo, N.d.T.] fallimenti, ed in genere quelle rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal presidente in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile, e per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice”.

Secondo le sentenze della Corte di cassazione n. 28 del 5 gennaio 1996 e n. 2946 del 20 marzo 1998, la sospensione dei termini nei periodi feriali si applica sia ai procedimenti per l’adozione che alle azioni di dichiarazione giudiziale della paternità dinanzi al tribunale per i minorenni.

B.  Patrocinio a spese dello Stato

39.  Il patrocinio a spese dello Stato è previsto dal D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002. Gli articoli pertinenti recitano:

Articolo 75 [sic, in realtà Articolo 74, N.d.T.]

“(2) È, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate.”

Articolo 124

“L'istanza [di patrocinio] è presentata esclusivamente dall'interessato o dal difensore, ovvero inviata, a mezzo raccomandata, al consiglio dell'ordine degli avvocati.
     Il consiglio dell'ordine competente è quello del luogo in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il processo, ovvero, se il processo non pende, quello del luogo in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito. Se procede la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, ovvero (…) la Corte dei conti, il consiglio dell'ordine competente è quello del luogo ove ha sede il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato.”

C.  Strumenti internazionali e diritto interno applicabili alle circostanze del caso di specie

40.  Gli articoli della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dalla Romania e dall’Italia, recitano:

Articolo 3

“Il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito:

a) quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati a una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro; e

b) se tali diritti erano effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze.

Il diritto di custodia citato al precedente punto a) può, in particolare, derivare direttamente dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa o da un accordo in vigore in base alla legislazione del predetto Stato.”

Articolo 4

“La Convenzione si applica a ogni minore che aveva la residenza abituale in uno Stato contraente immediatamente prima della violazione dei diritti di affidamento o di visita. L'applicazione della Convenzione cessa allorché il minore compie 16 anni.”

Articolo 6

“Ciascuno Stato contraente designa un'Autorità centrale, che sarà incaricata di adempiere agli obblighi che le vengono imposti dalla Convenzione. [...]”

Articolo 7

Le Autorità centrali devono cooperare reciprocamente e promuovere la collaborazione tra le autorità competenti nei loro rispettivi Stati, al fine di assicurare l'immediato rientro dei minori e conseguire gli altri obiettivi della Convenzione.

In particolare esse dovranno, direttamente o tramite qualsivoglia intermediario, prendere tutti i provvedimenti necessari – [...]

f) per avviare o agevolare l'instaurazione di una procedura giudiziaria o amministrativa, diretta a ottenere il rientro del minore e, se del caso, consentire l'organizzazione o l'esercizio effettivo del diritto di visita; [...]”

Articolo 8

“Ogni persona, istituzione o ente che adduca che un minore è stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamento, può rivolgersi sia all'Autorità centrale della residenza abituale del minore, sia a quella di ogni altro Stato contraente, al fine di ottenere assistenza per assicurare il ritorno del minore. [...].”

Articolo 9

“Se l'Autorità centrale che riceve una domanda ai sensi dell'articolo 8 ha motivo di ritenere che il minore si trovi in un altro Stato contraente, essa trasmette senza indugio la domanda direttamente all'Autorità centrale di questo Stato contraente e ne informa l'Autorità centrale richiedente o, se del caso, il richiedente.”

Articolo 12

“Qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi dell'articolo 3 e, alla data di presentazione dell'istanza presso l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove il minore si trova, sia trascorso meno di un anno dal trasferimento o mancato ritorno del minore, l'autorità adita ordina il suo ritorno immediato.

L'autorità giudiziaria o amministrativa, benché adita dopo la scadenza del periodo di un anno di cui al comma precedente, deve ordinare il ritorno del minore, salvo che sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente.

Se l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto ha motivo di ritenere che il minore sia stato condotto in un altro Stato, essa può sospendere la procedura o respingere la domanda di ritorno del minore.”

Articolo 13

“Nonostante le disposizioni del precedente articolo, l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta a ordinare il ritorno del minore qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno, dimostri:

a) che la persona, l'istituzione o l'ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato rientro; o

b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile.

L'autorità giudiziaria o amministrativa può altresì rifiutarsi di ordinare il ritorno del minore, qualora essa accerti che questi si oppone al ritorno e che  ha raggiunto un'età e un grado di maturità tali da rendere opportuno tener conto del suo parere.

Nel valutare le circostanze di cui al presente articolo, le autorità giudiziarie e amministrative devono tener conto delle informazioni fornite dall'Autorità centrale o da ogni altra autorità competente dello Stato di residenza abituale del minore, riguardo alla sua situazione sociale.”

Articolo 17

“Il solo fatto che una decisione relativa all'affidamento sia stata presa o possa essere riconosciuta nello Stato richiesto non può giustificare il rifiuto del rientro del minore in forza della presente Convenzione; tuttavia, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato richiesto possono prendere in considerazione le motivazioni della decisione ai fini dell’applicazione della Convenzione.”

Articolo 29

“La Convenzione non pregiudica la facoltà per la persona, l'istituzione o l'ente che adduca che vi è stata violazione dei diritti di custodia o di visita, ai sensi dell'articolo 3 o dell'articolo 21, di adire direttamente le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato contraente, in applicazione o meno delle disposizioni della Convenzione.”

41.  Le disposizioni della Convenzione dell’Aja sono state rese esecutive dinanzi ai tribunali italiani con la Legge n. 64 del 15 gennaio 1994.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 E 13 DELLA CONVENZIONE

42.  Il ricorrente lamentava che il suo diritto di impugnare la decisione del tribunale per i minorenni di Bologna fosse stato ostacolato dai ritardi nella procedura di ammissione al gratuito patrocinio, che lo aveva privato di un mezzo di ricorso effettivo, come previsto dall’articolo 13 della Convenzione, che recita:

 “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

43.  Il Governo contestava questo argomento.

44.  La Corte rammenta che il ruolo dell’articolo 6 § 1 in combinato  disposto con l’articolo 13 costituisce una lex specialis, dal momento che i presupposti indicati in quest’ultimo articolo vengono assorbiti da quelli, più rigorosi, dell’articolo 6 § 1 (si veda, ad esempio, Société Anonyme Thaleia Karydi Axte c. Grecia, n. 44769/07, § 29, 5 novembre 2009). Alla luce di ciò, la Corte esaminerà questa doglianza ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nella parte rilevante alla presente causa, recita:

 “Al fine della determinazione dei suoi diritti e de suoi doveri civili ... ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge.”

A.  Sulla ricevibilità

45.  La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e rileva, peraltro, che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

1. Gli argomenti delle parti

46.  Il ricorrente sosteneva di non avere ricevuto, all’epoca dei fatti, informazioni concrete riguardo al luogo di permanenza di suo figlio e di sua moglie e di non avere avuto sufficiente conoscenza del diritto italiano per promuovere il procedimento ai sensi dell’articolo 29 della Convenzione dell’Aja. Per questo motivo si era avvalso della procedura prevista dagli articoli 7-9 della Convenzione dell’Aja, secondo i quali il procedimento poteva essere promosso per il tramite dell’autorità centrale competente. Nell’ambito di tale procedimento rappresentava la parte lesa – anche se era stato il procuratore della repubblica a instaurare il procedimento, come previsto dalla Convenzione dell’Aja. Tuttavia, poiché il sistema di ammissione al gratuito patrocinio è risultato essere lacunoso, egli è stato privato del diritto di impugnare la decisione del tribunale per i minorenni, che si era rifiutato di ordinare il ritorno del figlio.

47.  Il ricorrente sottolineava di essere stato informato dell’ammissione al gratuito patrocinio nel mese di febbraio del 2008, solo grazie all’assistenza della autorità rumene, che rispondevano alle sue incessanti richieste di informazioni. Faceva notare che MCA (inclusa nell’elenco degli avvocati proposti dal Governo), pur avendo ottenuto copia del fascicolo in data 16 giugno 2008, gli aveva comunicato che non era in grado di rappresentarlo, perché non era ammessa al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione, solo il 2 luglio 2008. Pertanto, a causa di ritardi ed errori da parte delle autorità italiane, non aveva potuto, di fatto, nominare un avvocato prima del mese di luglio del 2008. Il ricorrente lamentava altresì di avere ricevuto, dall’inizio alla fine della procedura, informazioni contraddittorie e incomplete, che in definitiva gli avevano negato accesso al giudizio di secondo grado.

48.  Il Governo osservava che il procedimento in esame era stato instaurato dal procuratore della repubblica ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione dell’Aja e non dal ricorrente, il quale avrebbe potuto personalmente promuovere un procedimento ai sensi dell’articolo 29 della Convenzione. Pertanto, la decisione in oggetto era stata notificata unicamente alle parti del procedimento e, segnatamente, al procuratore della repubblica. Dal momento che la decisione non era stata notificata al ricorrente, i termini per proporre impugnazione erano lunghi, vale a dire un anno dalla sua pubblicazione e ulteriori novanta giorni a causa del periodo di sospensione feriale. Alla luce di quanto rappresentato, il Governo confermava che il termine per proporre ricorso avverso  la decisione del 6 luglio 2007, depositata presso la cancelleria del tribunale il 9 luglio 2007, scadeva il 9 ottobre 2008.

49.  Il Governo evidenziava altresì che le autorità rumene erano state tempestivamente informate della decisione del tribunale per i minorenni di Bologna e, segnatamente, in data 25 luglio 2007, come confermato dalle autorità rumene con messaggio fax del 30 luglio 2007 (esibito alla Corte), in cui fanno riferimento alla ricezione di tali informazioni, e con un altro messaggio fax datato 6 agosto 2007. Inoltre, la decisione in merito all’istanza del ricorrente di ammissione al gratuito patrocinio (depositata il 25 ottobre 2007) era stata adottata il 29 ottobre 2007 ed entro la data del 16 giugno 2008 era stata nominata a tale titolo MCA ed era stata presentata richiesta alla cancelleria del tribunale per i minorenni di Bologna di visionare il fascicolo. Il Governo sosteneva che il ricorrente, essendo stato informato tempestivamente, aveva avuto un ampio margine di tempo per nominare un avvocato e che, nonostante le sue difficoltà a individuare il mezzo d’impugnazione esperibile e il tribunale competente, aveva avuto la possibilità di impugnare la decisione in questione. Non poteva quindi affermare di essere stato privato della possibilità di presentare ricorso.

2.  La valutazione della Corte

(a)  Principi generali

50.  La Corte rammenta che l’articolo 6 della Convenzione non obbliga gli Stati contraenti a istituire tribunali di secondo grado. Tuttavia, laddove tali tribunali esistano, devono essere rispettate le condizioni dell’articolo 6, garantendo, ad esempio, alle parti in causa il diritto effettivo di accesso a un tribunale per la determinazione dei loro “diritti e doveri di natura civile”. Il “diritto a un tribunale”, di cui il diritto di accesso è solo uno degli aspetti, non è assoluto; può dare luogo a limitazioni implicitamente ammesse, in particolare quando riguarda le condizioni di ammissibilità dell’impugnazione, giacché esso deve, per sua stessa natura, essere disciplinato dallo Stato, il quale gode di un certo margine di apprezzamento a tale riguardo. Tali limitazioni non possono tuttavia arginare né ridurre l’accesso dell’individuo in modo o in misura tale da ledere il diritto nella sua stessa sostanza (si veda Mikulová c. Slovacchia, n. 64001/00, § 52, 6 dicembre 2005).

51.  Non esiste un obbligo ai sensi della Convenzione di rendere disponibile il gratuito patrocinio per tutte le cause (controversie) in materia civile, giacché esiste una chiara distinzione tra la formulazione dell’articolo 6 § 3 (c), che garantisce il diritto di essere assistito gratuitamente nel procedimento penale se ricorrono determinate condizioni, e quello dell’articolo 6 § 1, che non menziona in alcun modo l’assistenza legale (si veda Del Sol c. Francia, n. 46800/99, § 21, CEDU 2002-II). Tuttavia, nonostante l’assenza di tale clausola per le cause civili, l’articolo 6 § 1 può talvolta obbligare lo Stato ad accordare l’assistenza di un avvocato, laddove tale assistenza si dimostri indispensabile per garantire l’effettivo accesso a un tribunale perché la rappresentanza legale è resa obbligatoria, come richiesto dal diritto nazionale di alcuni Stati contraenti in vari tipi di controversie oppure perché la procedura o la causa sono particolarmente complesse (si veda Airey c. Irlanda, 9 ottobre 1979, § 26, Serie A n. 32). Nel sottrarsi all’obbligo di accordare alle parti il gratuito patrocinio nelle cause civili, laddove ciò sia previsto dal diritto interno, lo Stato deve dare prova di diligenza, assicurando a dette parti il pieno ed effettivo godimento dei diritti tutelati dall’articolo 6 (si vedano, inter alia, Staroszczyk c. Polonia, n. 59519/00, § 129, 22 marzo 2007; Siałkowska c. Polonia, n. 8932/05, § 107, 22 marzo 2007; e Bąkowska c. Polonia, n. 33539/02, § 46, 12 gennaio 2010). Un quadro istituzionale adeguato dovrebbe garantire agli aventi diritto una rappresentanza legale effettiva e un livello sufficiente di tutela dei loro interessi (ibidem § 47). In alcuni casi, laddove siano portati all’attenzione delle autorità competenti problemi di rappresentanza legale, lo Stato dovrebbe attivarsi e non restare passivo. Dipende dalle circostanze del caso specifico se le autorità interessate debbano attivarsi e se, considerando il procedimento nel suo complesso, l’assistenza legale possa essere ritenuta “effettiva e concreta”. L’assegnazione di un avvocato affinché rappresenti una parte nel procedimento non garantisce di per sé che l’assistenza sia effettiva (si veda, ad esempio, Siałkowska, sopra citata, § 100). È altresì essenziale che il sistema del gratuito patrocinio offra all’individuo garanzie sostanziali, allo scopo di tutelare dall’arbitrio coloro che vi fanno ricorso (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 38, CEDU 2000 IX).

52.  Tuttavia, lo Stato non può essere ritenuto responsabile di eventuali inadempienze dell’avvocato (si veda Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 65, Serie A n. 168). Visto che la professione forense non dipende dallo Stato, le modalità con cui una causa viene trattata sono essenzialmente una questione tra rappresentante e rappresentato, a prescindere dal fatto che si tratti di un avvocato nominato a spese dello stato oppure pagato dal privato. Stando così i fatti, non è possibile, salvo in circostanze particolari, fare valere la responsabilità dello Stato ai sensi della Convenzione (si vedano Artico c. Italia, 30 maggio 1980, § 36, Serie A n. 37; Rutkowski c. Polonia (dec.), n. 45995/99, CEDU 2000-XI; e Cuscani c. Regno Unito, n. 32771/96, § 39, 24 settembre 2002).

(b)  Applicazione al caso di specie

53.  La Corte rileva, in primo luogo, che la procedura ai sensi dell’articolo 29 della Convenzione dell’Aja non è oggetto della presente causa per quanto riguarda il ricorrente, il quale, pur essendo libero di sceglierla, ha optato di avvalersi del procedimento ai sensi dell’articolo 7 di tale Convenzione. Nell’ambito di quest’ultimo, promosso dal procuratore della repubblica, il ricorrente aveva il ruolo di parte interessata e aveva diritto d’impugnazione. Quanto alla procedura per impugnare il provvedimento, la Corte sottolinea che, come confermato dal Governo, il mezzo di impugnazione, considerate le circostanze, era il ricorso per cassazione, che nel caso in esame doveva essere proposto entro la data del 9 ottobre 2008 da un avvocato ammesso al patrocinio dinanzi a tale corte.

54.  La Corte rileva altresì che la necessità che il ricorrente fosse rappresentato da un avvocato cassazionista, come nel caso in esame, non può, di per sé, essere considerata contraria all’articolo 6. Tale condizione è chiaramente compatibile con le caratteristiche di una corte suprema, che esamina ricorsi in punto di diritto ed è una caratteristica comune degli ordinamenti giuridici di numerosi Stati membri del Consiglio d’Europa (si vedano, ad esempio, Gillow c. Regno Unito, § 69, 24 novembre 1986, Serie A n. 109; e Vacher c. Francia, §§ 24 e 28, 17 dicembre 1996, Reports 1996 VI). In effetti, nel presente caso, era necessario un avvocato per promuovere il procedimento e, per questo motivo, il ricorrente era stato ammesso al gratuito patrocinio. La Corte, tuttavia, deve accertare se tale ammissione sia stata sufficiente al fine di tutelare il suo diritto di accesso a un tribunale in “maniera concreta ed effettiva” (si vedano, inter alia, Sialkowska, sopra citata § 116, e Korgul c. Polonia, n. 35916/08, § 29, 17 aprile 2012).

55.  Alla luce dei principi generali sopra illustrati, la Corte deve procedere dunque a esaminare se lo Stato abbia dato prova di diligenza nell’assicurare al ricorrente il pieno ed effettivo godimento, in sede civile,   del diritto di proporre impugnazione ai sensi dell’articolo 6 e se gli errori, in conseguenza dei quali il ricorrente non ha proposto ricorso, siano manifesti e imputabili agli avvocati del gratuito patrocinio ed, eventualmente, se  siano stati il risultato di un sistema inadeguato.

56. La Corte fa riferimento ai fatti della causa, come sopra esposti (paragrafi 17-34). Osserva che da essi emergono sostanzialmente due motivi di preoccupazione e segnatamente: i ritardi delle autorità italiane e le informazioni date al ricorrente. Per maggiore chiarezza, la Corte puntualizza che nella presente causa, promossa contro il Governo italiano, le autorità italiane non possono essere ritenute responsabili dei ritardi verificatisi nella trasmissione delle informazioni al ricorrente, che sono attribuibili alle autorità rumene.

57.  Nell’individuare i ritardi imputabili alle autorità italiane, la Corte rileva che queste ultime hanno impiegato più di due settimane per informare le autorità rumene della decisione adottata dal tribunale per i minorenni il 6 luglio 2007. Successivamente hanno impiegato almeno un’altra settimana per trasmettere le informazioni richieste dal Ministero della Giustizia rumeno riguardo al mezzo d’impugnazione esperibile. Una volta ricevute le informazioni sul gratuito patrocinio, le autorità rumene le trasmettevano al ricorrente e l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio veniva inviata alle autorità italiane il 13 settembre 2007 e depositata presso la  cancelleria del tribunale sei settimane più tardi, il 25 ottobre 2007. Di conseguenza, pur avendo adottato tempestivamente la decisione di ammettere il ricorrente al gratuito patrocinio (29 ottobre 2007), tale decisione veniva comunicata  alle autorità rumene solo quattro settimane più tardi e, segnatamente, il 22 novembre 2007. Il ricorrente ne veniva informato solo il  28 gennaio 2008. Quanto a quest’ultimo ritardo, la Corte osserva che la responsabilità è da attribuire alle autorità rumene. Rileva tuttavia che le autorità italiane, che avevano chiesto di essere avvisate dell’avvenuta ricezione di questa informazione da parte del ricorrente, non si attivavano nei due mesi successivi in cui non ricevevano conferma.
Su richiesta del Ministero della Giustizia italiano del 15 febbraio 2008, il consiglio dell’ordine degli avvocati impiegava più di un mese per trasmettere l’elenco dei professionisti ammessi a patrocinare il ricorso. Il ricorrente poi effettuava la scelta il 6 maggio 2008. L’avvocato nominato a seguito dell’ammissione al gratuito patrocinio chiedeva il fascicolo sei settimane più tardi, vale a dire in data 16 giugno 2008, per poi informare il ricorrente che non era competente a trattare il ricorso due settimane dopo. Pertanto, il 15 luglio 2008 il ricorrente chiedeva un altro elenco, che le autorità gli trasmettevano dopo una settimana, il 23 luglio 2008. I dati relativi all’avvocato che il ricorrente aveva scelto non erano però corretti e le sue richieste al Consiglio dell’ordine degli avvocati di fornirgli dati aggiornati rimanevano senza risposta. Il ricorrente riusciva a contattare un nuovo avvocato - solo grazie alla sua iniziativa personale - non prima del 23 settembre 2008, cioè due mesi dopo che gli era stato trasmesso il primo elenco.

58.  Per tornare all’assistenza e alla qualità delle informazioni fornite dalle autorità italiane, la Corte rileva che le informazioni trasmesse dal Ministero della Giustizia in data 6 agosto 2007 non contenevano indicazioni precise sulla decorrenza dei termini. Le informazioni successivamente fornite dal Consiglio dell’ordine degli avvocati in data 29 ottobre 2007 contraddicevano le istruzioni precedentemente date e poiché attribuivano erroneamente la competenza alla corte d’appello, erano inesatte. Inoltre, non davano istruzioni riguardo ai termini per proporre impugnazione. Sotto questo profilo, anche l’elenco degli avvocati trasmesso al ricorrente risultava inadeguato, giacché l’avvocato MCA, scelto dal ricorrente tra quelli disponibili nell’elenco, non assumeva l’incarico,  in quanto non era ammesso al patrocinio dinanzi alla corte di cassazione. Sebbene in quel momento la situazione non fosse ancora critica, MCA comunicava erroneamente al ricorrente che la scadenza del termine era di un anno e quarantacinque giorni dalla data del deposito della decisione. In realtà, come già illustrato, considerate le date pertinenti del caso specifico, il termine di un anno per proporre impugnazione è soggetto all’applicazione di due periodi di sospensione e, pertanto, la scadenza, di fatto, era di un anno e novanta giorni dalla data del deposito della decisione contestata. Infine, quando il ricorrente riusciva a contattare un altro avvocato (abilitato al patrocinio dinanzi alla corte di cassazione), quest’ultimo, dopo avere esaminato il fascicolo, gli comunicava di non poterlo assistere, dal momento che il termine per proporre ricorso era già scaduto. La Corte osserva che, in verità, come già esposto, a quella data il ricorrente aveva ancora due settimane, perché il termine ultimo per proporre impugnazione scadeva il 9 ottobre 2008. Di conseguenza, il rifiuto dell’avvocato era basato su un falso presupposto.

59.  Quanto ai ritardi attribuibili alle autorità italiane, sopra rappresentati, la Corte, pur ritenendo ingiustificabile che per fornire talune informazioni semplici fosse necessario un mese e talvolta anche più, constata che, alla luce del generoso termine applicabile nel caso di specie, non sia possibile affermare che tali ritardi, per quanto spiacevoli, abbiano da soli leso, nella sostanza, il diritto del ricorrente di accesso a un tribunale per proporre impugnazione.

60. Tuttavia, le informazioni fornite dalle autorità e dagli avvocati abilitati al gratuito patrocinio destano grave preoccupazione. In effetti, nel caso in esame, il ricorrente riceveva costantemente informazioni incomplete o fuorvianti sulla procedura da seguire per proporre impugnazione. La Corte ritiene che le informazioni lacunose e contraddittorie date dai due attori del sistema del gratuito patrocinio e, segnatamente, dal Consiglio dell’ordine degli avvocati e dal Ministero della Giustizia, riguardo al mezzo d’impugnazione esperibile e ai tempi per proporlo, abbiano sostanzialmente contribuito al fallimento del tentativo di proporre ricorso da parte del ricorrente.

60.  Quanto alla consulenza data dagli avvocati nominati a seguito dell’ammissione al gratuito patrocinio, la Corte ritiene che la conoscenza di semplici formalità procedurali rientri nell’ambito delle competenze giuridiche di un consulente legale, proprio come la conoscenza di questioni giuridiche sostanziali. Ed è proprio la mancanza di tali conoscenze che rende necessario farsi rappresentare da un avvocato. La Corte ritiene pertanto che tali errori, se determinanti nel negare l’accesso a un tribunale e insanabili in quanto né le autorità né i tribunali vi pongono rimedio, possano dare luogo all’ipotesi della mancata rappresentanza effettiva e concreta, che implica la responsabilità dello Stato ai sensi della Convenzione. Nella presente causa, la consulenza dei due avvocati nominati in virtù del gratuito patrocinio, che hanno dato entrambi informazioni errate sui termini applicabili - uno addirittura informando il ricorrente che non poteva più proporre ricorso - non può non costituire un errore manifesto che, nel caso di specie, si è rivelato fatale per l’esperibilità del mezzo di impugnazione da parte del ricorrente.

61.  La Corte ritiene che quest’ultimo, alla luce della consulenza già ricevuta da MCA, non poteva immaginare che entrambi gli avvocati consultati stessero calcolando in maniera errata il termine per proporre ricorso. Non aveva pertanto motivo di chiedere la consulenza di altri. Per di più, non sembra che nell’ambito del sistema giudiziario italiano egli potesse intraprendere altro per impedire che il suo caso venisse respinto per motivi arbitrari o, ipotizzando la buona fede dell’avvocato, per una consulenza errata. Ne consegue che, a causa di inefficienze del sistema stesso, ossia del modo in cui gli organi competenti informavano il ricorrente e, in particolare, delle inefficienze degli avvocati che aveva nominato, il ricorrente perdeva la possibilità di proporre impugnazione avverso la decisione contestata. Secondo il parere della Corte, tali inefficienze realizzano l’ipotesi della rappresentanza non effettiva in circostanze particolari, che comporta la responsabilità dello Stato ai sensi della Convenzione.

62.  La Corte ricorda che è compito della parte interessata dare prova di particolare diligenza nella difesa dei suoi interessi (si vedano Teuschler c. Germania (dec.), n. 47636/99, 4 ottobre 2001, e Sukhorubchenko c. Russia, n. 69315/01, §§ 41-43, 10 febbraio 2005). A questo proposito puntualizza che, alla luce dei fatti sopra esposti, il ricorrente perseguiva i suoi obiettivi con costanza e contattava le autorità competenti al fine di ottenere le informazioni necessarie. Quando gli veniva chiesto di agire, ad esempio di presentare istanza di ammissione al gratuito patrocinio o di fornire agli avvocati la documentazione pertinente, il tempo da lui  impiegato per espletare tali richieste non appare eccessivo. Ne consegue che nel caso di specie il ricorrente ha dato prova della diligenza richiesta, in quanto ha seguito la pratica coscienziosamente e si è sempre mantenuto effettivamente in contatto con gli avvocati che aveva nominato (si veda, a contrario, Muscat c. Malta, n. 24197/10, § 59, 17 luglio 2012).

63.  Alla luce di quanto esposto, la Corte è dell’opinione che il ricorrente sia stato posto in una situazione che ha determinato il fallimento dei suoi tentativi di esercitare il diritto di accesso a un tribunale in maniera “concreta ed effettiva” per il tramite di un rappresentante legale nominato ai sensi del sistema del gratuito patrocinio. In conclusione, la Corte giudica che, nel caso in esame, il ritardo con cui le autorità italiane fornivano informazioni pertinenti e corrette, associato all’assenza di una rappresentanza effettiva e concreta, ha leso, nella sua stessa sostanza, il diritto del ricorrente di accesso a un tribunale per proporre ricorso avverso la sentenza pronunciata dal tribunale per i minorenni di Bologna.

64.  Pertanto vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 E 8 DELLA CONVENZIONE

65.   Il ricorrente lamentava che il tribunale per i minorenni di Bologna, nell’adottare la decisione, avesse oltrepassato i limiti della competenza attribuitagli dalla Convenzione dell’Aja e che pertanto avesse commesso un’ingerenza nel suo diritto al rispetto della vita privata e familiare –ingerenza che non era né giustificata né necessaria ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Il ricorrente eccepiva altresì una violazione dell’articolo 6, dal momento che non aveva avuto la possibilità di contestare le dichiarazioni rese dall’avvocato di sua moglie all’udienza svoltasi il 18 giugno 2007, né la perizia disposta dal tribunale per i minorenni di Bologna, in quanto i suoi argomenti non erano stati presi in considerazione. Per di più, non aveva potuto partecipare pienamente all’udienza, in quanto la documentazione pertinente era stata messa a disposizione solo il giorno dell’udienza stessa e solo in lingua italiana. L’articolo 8, per quanto qui rileva, recita:

 “1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria ... vita familiare ...

2.  Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”
66.  Il Governo contestava questo argomento.

67.  La Corte ricorda che è libera di qualificare giuridicamente i fatti di causa (si veda Guerra e altri, sopra citata, § 44). Mentre l’articolo 6 offre una tutela procedurale e, segnatamente, il “diritto a un tribunale” nella determinazione dei propri “diritti e doveri di natura civile”, l’articolo 8 ha lo scopo più ampio di garantire il dovuto rispetto, inter alia, della vita familiare. Alla luce di quanto rappresentato, il processo decisionale che ha condotto all’adozione delle misure di ingerenza deve essere equo e assicurare il rispetto degli interessi tutelati dall’articolo 8 (si vedano Iosub Caras c. Romania, n. 7198/04, § 48, 27 luglio 2006, e Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 27, 27 aprile 2010).

68.  Nella presente causa, la Corte ritiene che il motivo di ricorso sollevato dal ricorrente ai sensi dell’articolo 6 sia strettamente connesso al motivo di ricorso ai sensi dell’articolo 8 e che, di conseguenza, possa essere esaminato come parte di quest’ultimo.

A.  Sulla ricevibilità

69.  La Corte osserva che il motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e rileva, peraltro, che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1.  Gli argomenti delle parti

70.  Il ricorrente osservava che la decisione contestata non perseguiva uno scopo legittimo ed era sproporzionata. Inoltre, non era stata adottata nel rispetto della legge, dal momento che il tribunale italiano aveva oltrepassato i limiti della sua competenza ai sensi degli articoli 13-15 della Convenzione dell’Aja, interpretando l’atto notarile ed esprimendo valutazioni riguardo al diritto di affidamento. Rifiutando la sua domanda di ritorno, il tribunale aveva automaticamente riconosciuto a M. il diritto di custodia sul minore, decisione che era di competenza delle autorità rumene. Affermava che la decisione del tribunale non era conforme alla Convenzione dell’Aja, visto che i coniugi avevano il diritto all’affidamento condiviso e che il loro figlio non era autorizzato a lasciare la Romania con uno dei genitori, senza il consenso dell’altro. Nel caso di specie questo consenso non era stato espresso. Il ricorrente rammentava che la sua ex moglie e suo figlio si erano trasferiti in Italia il 20 gennaio 2007 senza il suo consenso. Dopo essersi lamentato più volte presso le autorità locali, si era rivolto alle autorità responsabili in materia di sottrazione internazionale di minori. Pertanto, non si poteva affermare che avesse agito con ritardo e, in ogni caso, anche supponendo che la sottrazione del minore avesse avuto luogo nel 2006, il tribunale nazionale era tenuto ad applicare il secondo paragrafo dell’articolo 12 della Convenzione dell’Aja e a valutare se, nonostante tutto,  corrispondesse all’interesse superiore del minore disporne il ritorno. Alla luce degli argomenti sopra esposti, la decisione del tribunale per i minorenni di Bologna non era conforme alla Convenzione dell’Aja e non aveva minimamente tenuto conto dell’interesse superiore del minore.

71.  In effetti, il tribunale per i minorenni di Bologna non aveva valutato se ai sensi del diritto rumeno il minore fosse stato allontanato e trattenuto né se un eventuale ordine di ritorno in Romania avrebbe arrecato grave pregiudizio al benessere psico-fisico del bambino.

72.  Quanto all’udienza del 18 giugno 2007, il ricorrente lamentava che gli era stato negato il diritto di contro-interrogare i testi e che il tribunale non aveva tenuto conto degli elementi da lui avanzati a sostegno della sua domanda. Pur essendo stato compiuto un contraddittorio in relazione a taluni aspetti connessi al loro divorzio e ai loro diritti di affidamento, al ricorrente non era stato accordato l’accesso alla documentazione medica e agli altri elementi di prova addotti dalla sua ex moglie nel corso del procedimento, né gli era stato permesso di presentare argomenti per confutarli. Le richieste del ricorrente di assumere ulteriori informazioni  erano state respinte dal tribunale, in violazione del principio della parità delle armi. Dal verbale di udienza presentato dal Governo emerge, per di più, che il tribunale non aveva esaminato le ragioni per cui il ricorrente riteneva che il minore dovesse essere rimpatriato né veniva menzionato il fatto che avesse invocato i suoi diritti ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione. Il ricorrente osservava che la situazione era aggravata dal fatto che il pubblico ministero era stato incaricato del caso solo il giorno stesso dell’udienza e che non aveva avuto modo di approfondire i fatti di causa né la Convenzione dell’Aja. Inoltre non aveva contraddetto alcun argomento della sua ex moglie. Secondo il parere del ricorrente, la negligenza del tribunale emergeva dalla stessa decisione adottata, che conteneva errori e omissioni di fatto. Infine, il ricorrente sosteneva che la sua partecipazione era stata ostacolata dalla scarsa qualità della traduzione fornita dall’interprete, che era stato in grado di tradurre solo sommariamente, vista la rapidità con cui si svolgeva il procedimento in lingua italiana.

73.  Il Governo sosteneva che la decisione del tribunale per i minorenni era conforme alla Convenzione dell’Aja. Anche ipotizzando che il consenso del ricorrente al viaggio di A. in Italia fosse stato limitato al 2005 e che, di conseguenza, la presenza di suo figlio in Italia fosse illecita a decorrere dal 1° gennaio 2006, il ricorrente aveva promosso il procedimento troppo tardi in base ai criteri stabiliti dalla Convenzione dell’Aja. In ogni caso, la decisione che intendeva impugnare era stata adottata in base alle richieste presentate al tribunale nel corso dell’udienza del 18 giugno 2007 e il suo scopo era quello di tutelare l’interesse superiore del minore. Oltretutto il ricorrente, presente e assistito da un interprete nel corso dell’udienza che aveva portato all’adozione della decisione, aveva potuto esprimere le sue opinioni liberamente.

2.  La valutazione della Corte

(a)   Principi generali

74.  La Corte osserva anzitutto che il godimento della reciproca compagnia da parte di genitori e figli costituisce un elemento fondamentale della vita familiare ed è tutelato dall’articolo 8 della Convenzione (si vedano Monory c. Romania e Ungheria, n. 71099/01, § 70, 5 aprile 2005, e Iosub Caras, sopra citata, §§ 28-29).

75.  Nel delicato ambito dei rapporti familiari, lo Stato non solo è tenuto ad astenersi dall’adottare misure che potrebbero ostacolare l’effettivo godimento della vita familiare, ma dovrebbe anche intraprendere, tenendo conto delle circostanze di ciascun caso specifico, azioni positive atte a garantire l’effettivo esercizio di tale diritto. Infatti, la Corte ha sempre statuito che l’articolo 8 comprende anche il diritto del genitore di adottare misure dirette a conseguire il ricongiungimento con il minore e l’impegno da parte delle autorità nazionali di intraprendere tali azioni. Tuttavia, l’obbligo delle autorità nazionali di adottare misure idonee a facilitare questa riunione non è assoluto, in quanto il ricongiungimento di un genitore ai figli che hanno vissuto per qualche tempo con l’altro genitore può non essere immediatamente realizzabile e richiedere l’adozione di alcune misure preparatorie (si veda Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000 I).

76.  Quanto agli obblighi positivi, la questione decisiva è stabilire se sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra gli opposti interessi in gioco – l’interesse superiore del minore, quello dei due genitori e quello dell’ordine pubblico –, entro il margine di apprezzamento accordato agli Stati in questa materia (si veda Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 62, 6 dicembre 2007), tenendo presente, comunque, che l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente (si veda Gnahoré, sopra citata, § 59).

77.  Fermo restando il margine di apprezzamento dello Stato, la Corte ha il compito di esaminare se il processo decisionale che ha portato all’ingerenza sia stato equo e se abbia garantito il dovuto rispetto degli interessi tutelati dall’articolo 8 (si vedano Ignaccolo-Zenide, sopra citata, § 99, per ulteriori riferimenti, e Tiemann c. Francia e Germania (dec.), n. 47457/99 e n. 47458/99, CEDU 2000 IV). A tale scopo, la Corte deve accertare se i tribunali nazionali abbiano esaminato adeguatamente, entro un termine ragionevole, le implicazioni concrete dell’eventuale rientro del minore (si veda B. c. Belgio n. 4320/11, § 63, 10 luglio 2012).

78.  Inoltre, gli obblighi degli Stati ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione devono essere interpretati in linea con i principi generali del diritto internazionale e, nel campo della sottrazione internzionale di minori, particolare attenzione deve essere accordata alle norme della Convenzione dell’Aja (si vedano Golder c. Regno Unito, 21 febbraio 1975, § 29, Serie A n. 18, e Karrer c. Romania, n. 16965/10, § 41, 21 febbraio 2012). Il ritorno del minore non può essere disposto automaticamente o meccanicamente quando trova applicazione la Convenzione dell’Aja, come indica la previsione in tale strumento di una serie di eccezioni all’obbligo di ritorno del minore (si vedano, in particolare, gli articoli 12, 13 e 20), che tengono conto di considerazioni riguardanti la persona specifica del minore e il suo ambiente, dimostrando così che è compito del tribunale giudicante adottare un approccio che tenga conto del caso concreto (si veda Maumousseau e Washington, sopra citata, § 72). L’interesse superiore del minore, sotto il profilo del suo sviluppo personale, dipende da una serie di circostanze individuali, in particolare dalla sua età e dal suo livello di maturità, dalla presenza o assenza dei genitori, dall’ambiente e dalle esperienze maturate (si veda Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 138, 6 luglio 2010).

79.  Il compito di valutare l’interesse superiore del minore nel caso specifico spetta innanzi tutto alle autorità nazionali, che spesso hanno il vantaggio di avere un contatto diretto con le persone interessate. A tal fine esse godono di un certo margine di apprezzamento, soggetto comunque alla supervisione europea, attraverso la quale la Corte procede a verificare che le decisioni adottate dalle autorità nell’esercizio del loro potere siano conformi alla Convenzione (si vedano, ad esempio, Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 55, Serie A n. 299 A; Kutzner c. Germania, n. 46544/99, §§ 65-66, CEDU 2002 I; Bianchi c. Svizzera, n. 7548/04, § 92, 22 giugno 2006; e Carlson c. Svizzera, n. 49492/06, § 69, 6 novembre 2008). La Corte è pertanto competente a verificare la procedura seguita dai tribunali nazionali, in particolare ad accertare se, nell’applicare e interpretare le norme della Convenzione dell’Aja, abbiano assicurato le garanzie previste dalla Convenzione e specialmente quelle dell’articolo 8 (si vedano, in tal senso, Bianchi, sopra citata, § 92; Carlson, sopra citata, § 73; e Neulinger e Shuruk, sopra citata, § 141).

b)  Applicazione al caso di specie

i.  Sotto il profilo sostanziale

80.  La Corte ha precedentemente ritenuto che vi è ingerenza quando le misure nazionali ostacolano il godimento della reciproca compagnia di genitori e figli (si vedano, per esempio, Raban c. Romania, n. 25437/08, § 31, 26 ottobre 2010, e Carlson, sopra citata, § 69). Di conseguenza, la decisione del tribunale per i minorenni di Bologna di non ordinare il ritorno di A. costituisce un’ingerenza nel diritto del ricorrente al rispetto della vita familiare.

81.  Quanto alla questione se l’ingerenza lamentata fosse “prevista dalla legge” ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, la Corte osserva che le norme pertinenti della Convenzione dell’Aja erano sufficientemente chiare e che per accertare se l’allontanamento del minore fosse illecito ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione dell’Aja, i tribunali italiani dovevano decidere se fosse stato eseguito in violazione dei diritti di custodia nello Stato in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima di essere trasferito. Per di più, anche qualora il suo trasferimento fosse stato illecito, l’articolo 13 prevede delle eccezioni, in virtù delle quali il tribunale non è tenuto a ordinare il ritorno del minore. Alla luce delle osservazioni presentate dal ricorrente, è opportuno ricordare che non è compito della Corte esaminare errori di fatto o di diritto asseritamente commessi da un tribunale nazionale, salvo essi abbiano leso diritti e libertà tutelati dalla Convenzione (si veda García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999 I). Inoltre, i tribunali nazionali hanno il compito di risolvere problemi inerenti all’interpretazione e applicazione della legislazione nazionale e delle norme del diritto internazionale generale o convenzionale (si veda Maumousseau e Washington, sopra citata, § 79). Ne consegue che, quanto al presupposto della liceità, la Corte è persuasa che la decisione del tribunale per i minorenni di Bologna sia conforme alle norme della Convenzione dell’Aja in combinato disposto con la Legge n. 15 [sic] del 1994.

82.  La Corte statuisce che l’ingerenza perseguiva lo scopo legittimo di tutelare gli interessi di terzi.

83.  La Corte deve comunque determinare se l’ingerenza in questione sia stata “necessaria in una società democratica” ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, interpretato alla luce degli strumenti sopra menzionati e se, nell’operare un bilanciamento tra gli opposti interessi in gioco – quello del minore e quelli dei due genitori – si sia tenuto conto dell’interesse superiore del minore, entro il margine di apprezzamento accordato allo Stato in questa materia (si veda Karrer, sopra citata, § 44).

84.  Come già esposto, il compito di valutare l’interesse superiore del minore nel caso specifico spetta innanzitutto alle autorità nazionali, che hanno il vantaggio di avere un contatto diretto con le persone interessate.

85.  La Corte osserva che, nel caso di specie, il tribunale per i minorenni di Bologna ha giudicato che il minore non era stato trasferito in maniera illecita. La Corte, pur non condividendo l’importanza attribuita al fatto che il ricorrente non era titolare di un diritto di affidamento esclusivo, visto che si applica la stessa procedura anche nel caso di affidamento condiviso (si veda, mutatis mutandis, Monory, sopra citata, § 76), puntualizza che questo fattore non rappresenta l’unico elemento su cui si è basata la decisione di non giudicare illecito il trasferimento. Il tribunale nazionale teneva conto anche del fatto che il ricorrente aveva espresso il suo consenso al trasferimento di A., presumibilmente sulla base della testimonianza di M. e sulla base dell’atto da lei esibito, che il tribunale nazionale reputava più attendibile delle dichiarazioni rese dal ricorrente. La Corte osserva che si tratta essenzialmente di una questione di valutazione di elementi probatori che rientra nella competenza esclusiva delle autorità nazionali. La Corte rileva altresì che il tribunale per i minorenni di Bologna, pur non ritenendo illecito il trasferimento del minore, procedeva comunque a valutare le implicazioni che un eventuale ritorno avrebbe comportato per il minore e prendeva in considerazione il danno psicologico che ne sarebbe derivato, visto che, a parte alcuni problemi, si era integrato nella società italiana.

86.  Tenuto conto del margine di apprezzamento in questo campo e dopo avere considerato il caso nel suo complesso, la Corte riconosce che la decisione del tribunale di Bologna ha trovato un giusto equilibrio tra gli opposti interessi in gioco e prestato la dovuta attenzione all’interesse superiore del minore.

87.  Di conseguenza, la Corte giudica che non vi è stata una violazione sostanziale dell’articolo 8.

ii. Sotto il profilo procedurale

88.   La Corte osserva che il ricorrente lamentava altresì il diniego di accesso alla documentazione medica e ad altri elementi probatori cui faceva riferimento la sua ex moglie nel procedimento e l’impossibilità di proporre argomenti per confutarli, in violazione del principio delle parità delle armi.

89.  Sotto questo profilo, la Corte rammenta che la Convenzione è intesa a “garantire diritti che non sono teorici o illusori, ma effettivi e concreti” (si veda, tra le altre, Airey, sopra citata, § 24). Quanto alle controversie che riguardano interessi privati confliggenti, la parità delle armi implica che a ciascuna delle parti sia ragionevolmente garantita la possibilità di esporre le proprie ragioni – inclusi elementi di prova – in condizioni che non la pongano in situazione di svantaggio sostanziale rispetto alla controparte. È compito delle autorità nazionali garantire, nel caso specifico, che siano rispettati i requisiti di un “equo processo” (Dombo Beheer B.V. c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1993, § 33, Serie A n. 274).

90.   In considerazione di quanto stabilito ai sensi dell’articolo 6 in relazione al procedimento in esame (paragrafi 64-65 supra), la Corte non ritiene necessario esaminare questa parte del ricorso.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE E DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 12 ALLA CONVENZIONE

91.  Il ricorrente lamentava, invocando l’articolo 14 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo n. 12, di avere subito una discriminazione in qualità di padre ad opera del tribunale per i minorenni di Bologna, dal momento che le sue dichiarazioni, i suoi argomenti e le prove addotte non avevano ricevuto la stessa attenzione dedicata a quelli della moglie. Sosteneva che le sue osservazioni e gli elementi di prova a sostegno dei suoi argomenti erano stati totalmente ignorati dal tribunale, contrariamente alle dichiarazioni prive di fondamento rese da M.

92.  Il Governo faceva notare che entrambe le domande, sia quella del ricorrente che quella della madre del minore, erano state prese in considerazione dal tribunale nazionale e che quindi non era stato operato alcun trattamento discriminatorio nei suoi confronti.

93.  Per quanto riguarda il motivo di ricorso presentato ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 12 alla Convenzione, la Corte statuisce che, dal momento che il Protocollo n. 12 è stato firmato, ma non ratificato dallo Stato convenuto, la doglianza del ricorrente sotto questo profilo è incompatibile ratione personae con la Convenzione e pertanto deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Maggio e altri c. Italia, (dec.), nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 8 giugno 2010).

94.  Per quanto riguarda il motivo di ricorso presentato ai sensi dell’articolo 14 in combinato disposto con gli articoli 6 e 8 della Convenzione, nel fascicolo non si ravvisano elementi che consentano alla Corte di statuire che la decisione del tribunale nazionale sia stata motivata da considerazioni discriminatorie (si veda Macready c. Repubblica Ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 70, 22 aprile 2010).

95.  Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere respinto ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 DEL PROTOCOLLO N. 7 ALLA CONVENZIONE

96.   Invocando l’articolo 5 del Protocollo n. 7, il ricorrente lamentava altresì che la decisione contestata aveva conferito a sua moglie, in pratica,   più diritti sul loro figlio. Faceva notare che le osservazioni e gli elementi probatori da lui addotti erano stati totalmente ignorati dai tribunali, diversamente dalle dichiarazioni prive di fondamento rese da M., e che non si era tenuto conto dell’interesse superiore del minore.

97. Il Governo osservava che entrambe le domande, sia quella del ricorrente che quella della madre del minore, erano state prese in considerazione dal tribunale nazionale e che quindi non era stata operata alcuna disparità di trattamento.

98.  La Corte ricorda di avere precedentemente deciso che l’articolo 5 del Protocollo n. 7 impone essenzialmente agli Stati l’obbligo positivo di garantire un sistema giuridico soddisfacente che riconosca ai coniugi eguali diritti e doveri in materia di rapporti con i loro figli (si vedano Cernecki c. Austria, (dec.), n. 31061/96, 11 luglio 2000, e Iosub Caras, sopra citata, § 56).

99.  Nel caso di specie, il ricorrente non contesta il quadro legislativo: la sua doglianza riguarda unicamente la valutazione del tribunale nazionale.

100.  Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato  e deve essere respinto ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

V.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

101.  L’articolo 41 della Convenzione recita:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A.  Danni

102.  Il ricorrente chiede 150.000 euro (EUR) per il danno morale cagionato dalla perdita del diritto di affidamento e dalle conseguenze che ciò ha comportato per suo figlio, nonché dall’ansia e dallo stress  causati dal procedimento nazionale.

103.  Il Governo ritiene che il ricorrente non abbia subito alcun danno morale dal momento che, a suo parere, non è stato vittima di alcuna violazione.

104.  La Corte ritiene che il ricorrente debba avere subito uno stress emotivo in conseguenza della violazione subita. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie e deliberando in via equitativa, la Corte accorda al ricorrente 14.000 EUR per il danno morale.

B.  Spese

105.  Il ricorrente chiede altresì 3.500 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte. Ha presentato l’onorario dell’avvocato pari a EUR 3.000 e varie fatture di importi diversi relative a spese sostenute per fotocopie, traduzioni e spedizioni postali connesse al procedimento dinanzi alla Corte.

106.  Il Governo osserva che non è dovuto alcun rimborso spese, dal momento che, a suo parere, il ricorrente non è stato vittima di alcuna  violazione. Inoltre, rileva che le prove documentali presentate si riferiscono al procedimento in Romania.

107.  La Corte osserva che tutta la documentazione presentata dal ricorrente si riferisce al procedimento dinanzi ad essa, inclusa la fattura del 2012 (in lingua rumena) dell’onorario del suo avvocato che si riferisce chiaramente alla sua rappresentanza dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra illustrati, unitamente al fatto che alcuni motivi di ricorso sono stati respinti, la Corte ritiene ragionevole accordare all’interessato la somma di  3.000 EUR a titolo di rimborso di tutte le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

C.  Interessi moratori

108.  La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
 

  1. Dichiara i motivi di ricorso ai sensi degli articoli 6 e 8 della Convenzione ricevibili e il resto del ricorso irricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione in quanto al ricorrente è stato negato l’accesso a un tribunale per proporre ricorso avverso la decisione del tribunale per i minorenni di Bologna;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’aspetto sostanziale dell’articolo 8 della Convenzione e che non è necessario prendere in esame l’aspetto procedurale dell’articolo 8 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. EUR 14.000 (quattordicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per i danni morali;
      2. EUR 3.000 (tremila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per le spese sostenute dal ricorrente;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine di tre mesi e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in inglese, poi comunicata per iscritto il 25 giugno 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Danutė Jočienė Presidente

Stanley Naismith Cancelliere