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- Case famiglia protette - Tema per Stati Generali dell'Esecuzione Penale - Tavolo 3 (luglio 2015)

  • pubblicato nel 2015
  • autore: Roberta Palmisano
  • Temi per Stati Generali dell'Esecuzione Penale
  • Ufficio Studi, ricerche, legislazione e rapporti internazionali
  • licenza di utilizzo: CC BY-NC-ND

 

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO
Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

 

Con l’introduzione della legge 21 aprile 2011, n. 62, che offre nuove possibilità di assistere ed accudire il figlio minore fuori dall’istituto di pena inteso in senso stretto, il legislatore ha inteso rafforzare la tutela del rapporto tra i minori e le madri (od il padre, se questa è impossibilitata) che si trovino in stato di privazione della libertà personale, sia perché in custodia cautelare (nuovo art. 285-bis c.p.p.) durante il processo, sia perché condannate in via definitiva ad una pena detentiva da scontarsi in istituto di pena.

Esse devono essere collocate negli istituti a custodia attenuata (ICAM), sul modello di quello che nacque a Milano nel 2007 (attualmente ancora destinato soltanto alle detenute madri con prole inferiore ai tre anni), dotati di caratteristiche strutturali diverse rispetto alle carceri tradizionali ed ispirate a quelle di una casa di civile abitazione. Sono in procinto di aprire nuovi ICAM in Toscana, Lazio e Campania, mentre sono già operativi quelli di Milano, del Veneto (Venezia-Giudecca), del Piemonte e della Sardegna (Senorbì).
In tali strutture è attuato un regime penitenziario di tipo familiare-comunitario incentrato sulla responsabilizzazione al ruolo genitoriale e ratio ispiratrice della nuova normativa è quella di garantire una adeguata tutela della genitorialità e dell’infanzia nel corso dell’esecuzione penale assicurando una crescita armoniosa e senza traumi dei minori.

Per quanto riguarda il luogo degli arresti domiciliari l’art. 284, comma 1 c.p.p. modificato dalla legge 62/2011 menziona, oltre al luogo di abitazione, ai luoghi di privata dimora ed ai luoghi pubblici di cura ed assistenza, anche la nuova e specifica figura della casa-famiglia protetta, ove istituita.
La legge ha poi modificato le ipotesi di detenzione domiciliare (cd per fini umanitari) ex art. 47-ter comma 1 lett. a) della legge 354/75 previste nei confronti di donna incinta, o di madre di prole di età inferiore ai dieci anni con lei convivente per l’espiazione delle pene detentive non superiore a quattro anni (anche se costituenti parte residua di maggior pena. Tra i luoghi di detenzione, oltre all’abitazione o altro luogo di privata dimora o luogo pubblico di cura, assistenza od accoglienza, la legge ha aggiunto specificamente le case-famiglia protette.
Infine la legge ha modificato la disciplina della cd detenzione domiciliare speciale disciplinata dall’art. 47-quinquies della legge n. 354 del 1975 e destinata alle madri con prole non superiore ad anni dieci anche nel caso di esecuzione di pene di lunga durata. La legge ha introdotto infatti la possibilità di espiare la parte di pena prodromica all’ammissione del beneficio (almeno un terzo della pena o 15 anni nel caso di condanna all’ergastolo) presso gli ICAM e, se non vi è pericolo di fuga o di reiterazione del reato, presso il proprio domicilio e, in assenza di quest’ultimo, presso le case famiglia protette, ove istituite.

Tali strutture consentono quindi anche a soggetti sprovvisti di riferimenti familiari e abitativi di accedere alla misura cautelare degli arresti domiciliari e alla misura alternativa della detenzione domiciliare e in questo senso rappresentano uno snodo essenziale per l’attuazione pratica della legge.

Il Ministro della Giustizia, come previsto dall’art. 4 comma 1 della legge, sulla base di un’intesa con la Conferenza Stato-Città ed Autonomie Locali, con decreto 8 marzo 2013 ha individuato le caratteristiche tipologiche delle “case-famiglia protette”.
Esse, tra l’altro, debbono essere collocate in località vicine ai servizi territoriali, devono consentire un modello di vita comunitario, devono avere spazi interni da poter utilizzare per i colloqui con operatori e familiari e per effettuare eventuali visite mediche, devono prevedere servizi igienici e camere riservate agli uomini.
La nuova legge, al comma 2 dello stesso articolo 4, ha previsto che lo stesso Ministro della giustizia possa stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Mentre l’art. 5 della legge prevede una provvista finanziaria su specifici capitoli di bilancio per la realizzazione degli istituti a custodia attenuata ICAM, per quanto riguarda le case-famiglia protette non vi è quindi alcuna previsione di investimento.

In merito va evidenziato che l’art. 47-ter comma 5 della legge 354/75 chiarisce che il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto dalla legge 354/75 e dal relativo regolamento di esecuzione e prevede espressamente che “nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare”.

Al fine di consentire l’attuazione della legge alcune Associazioni in varie Regioni del territorio nazionale si sono attivate per mettere a disposizione strutture aventi i requisiti previsti.
Deve essere segnalato in modo particolare il Progetto Nazionale di Accoglienza delle Donne detenute con figli predisposto dalla Caritas italiana insieme ai Centri diocesani Migrantes e all’Ispettorato dei Cappellani delle carceri italiane (che assicura una rete di strutture di accoglienza disponibili su tutto il territorio nazionale (complessivamente 32) e cura con grande impegno un piano di intervento che, tenendo conto della posizione giuridica delle detenute madri, predispone percorsi personalizzati in grado di garantire il reinserimento nella società.
Va in merito evidenziato che, nonostante l’impegno economico di circa 200.000 euro annui assicuri per due anni il mantenimento di circa 30 donne, le donne attualmente ospitate presso le strutture messe a disposizione dal Progetto su tutto il territorio nazionale sono ancora troppo poche.
Il Dipartimento sta fattivamente collaborando con la rete dei Cappellani diramando presso gli istituti penitenziari e gli uffici giudiziari gli elenchi delle strutture disponibili ad accogliere le detenute madri con prole al seguito.
Sono stati altresì ripetutamente sensibilizzati i Provveditorati regionali ad intraprendere ogni utile iniziativa di impulso e confronto con gli enti locali.

La presenza in carcere di detenute madri con prole al seguito attualmente (al 26.6.2015) è di 32 unità (con 33 figli al seguito).
In alcuni casi le detenute non dichiarano l’esistenza di figli minori, anche in tenera età, e questi, affidati a familiari fuori dal carcere, spesso non vengono neppure condotti al colloquio per la difficoltà di spiegare loro il difficile stato di detenzione (con conseguente compromissione del rapporto genitoriale e gravi danni derivanti dalla separazione forzata).

Ciò considerato, e tenuto conto che il numero di strutture necessarie non è particolarmente elevato, è auspicabile che, con specifica previsione normativa, siano assicurate linee di bilancio con le quali gli enti territoriali possano reperire un numero aggiuntivo di strutture rispetto a quelle già funzionanti e soprattutto possano prenderne in carico la gestione in modo da dare continuità al processo avviato con l’iniziativa del privato sociale ed assicurare ai detenuti un rapporto genitoriale quanto più vicino possibile alla normalità.


Roma, 23 luglio 2015


 

IL DIRETTORE DELL'UFFICIO
Roberta Palmisano