Misure cautelari personali emesse nel 2016 - Relazione al Parlamento ex L. 16 aprile 2015, n. 47 - (febbraio 2017)

Dipartimento per gli Affari di Giustizia
Direzione generale della giustizia penale
Ufficio I - Reparto Dati Statistici e Monitoraggio

Misure Cautelari Personali
emesse nell’anno 2016
(Relazione al Parlamento ex L. 16 aprile 2015, n. 47)

INDICE

  • INTRODUZIONE
  • METODOLOGIA DEL MONITORAGGIO
  • PRESENTAZIONE DEI DATI
    1. Analisi generale delle misure cautelari emesse nel 2016
    2. Analisi dei procedimenti “cautelati” con condanna non definitiva
    3. Procedimenti “cautelati” conclusi con condanna definitiva
    4. Procedimenti “cautelati” definiti con sentenze assolutorie
    5. Analisi nel dettaglio del Tribunale di Milano
    6. Procedimenti con condanna non definitiva
    7. Procedimenti con condanna definitiva
    8. Analisi nel dettaglio del Tribunale di Roma
    9. Procedimenti con condanna non definitiva
    10. Procedimenti con condanna definitiva
    11. Analisi nel dettaglio del Tribunale di Napoli
    12. Procedimenti con condanna non definitiva
    13. Procedimenti con condanna non definitiva
    14. Comparazione dati per il Tribunale di Napoli
  • CONCLUSIONI

Allegati

  • Tabella 1, Riepilogo nazionale
  • Tabella 2, Tribunale di Milano
  • Tabella 3, Tribunale di Roma
  • Tabella 4, Tribunale di Napoli
  • Tabella 5, Elenco Tribunali che hanno risposto all’indagine

INTRODUZIONE

La legge n. 47 del 2015 ha introdotto significative modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. La legge ha approfondito la linea riformatrice diretta a conferire effettività all’uso residuale della custodia cautelare in carcere, incidendo sulle condizioni edittali di applicabilità della misura e sui criteri di scelta della stessa.
Tra i recenti interventi meritano di essere segnalati:

  • l’innalzamento a cinque anni del limite che consente l’applicazione della misura custodiale in carcere (art. 280 c.p.p., riformato dall’art. 1 del D.L. 1 luglio 2013, n. 78, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 94);
  • la preclusione della più afflittiva misura cautelare se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni (art. 275 c. 2bis c.p.p., così modificato dall’art. 8, comma 1, del D.L. 26 giugno 2014, n. 92 convertito dalla L. 11 agosto 2014, n. 117);
  • l’incoraggiamento della prescrizione di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di controllo, operata al fine di ampliare il ricorso agli arresti domiciliari in luogo della più afflittiva misura intramuraria (art. 275 bis c.p.p., modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10).

La nuova legge è intervenuta, da un lato, a risolvere aporie determinate dai più recenti interventi di riforma [per esempio, raccordando i testi degli artt. 274, lettera c e 280 c.p.p. in tema di sottrazione del delitto di finanziamento illecito dei partiti alla nuova soglia edittale prevista per l’applicazione della misura cautelare carceraria]; dall’altro, superando la prospettiva della pura de-carcerizzazione, ha rivisitato i presupposti funzionali della limitazione di libertà ante iudicium, gli oneri motivazionali del giudice e la natura del rimedio impugnatorio de libertate.

Il catalogo dei pericula libertatis si è arricchito di un requisito di attualità che oggi deve connotare non soltanto la prognosi di inquinamento probatorio e di fuga, ma anche il pericolo di recidiva, in un contesto che esplicitamente vieta di fondare la valutazione di quest’ultimo sulla sola gravità astratta del delitto indiziato (vedi la nuova formulazione dell’art. 274, lettera c del c.p.p.).

Il repertorio delle alternative al “carcere cautelare” si è ampliato, attraverso la previsione della possibilità di applicare, anche in fase genetica, un cumulo di misure coercitive non detentive ovvero di misure coercitive e interdittive, possibilità in precedenza confinata ai casi di trasgressione delle prescrizioni (art. 276 c.p.p.) e di scarcerazione per decorrenza dei termini (art. 307, c. 1-bis c.p.p.).

Sulla stessa linea di intervento, si è riformato il regime applicativo delle misure interdittive, agendo sui due aspetti che il legislatore ha individuato come quelli maggiormente responsabili della loro scarsa applicazione:

  • l’interrogatorio preventivo previsto per la misura della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.), del quale la nuova legge delimita l’applicazione al solo caso nel quale la misura interdittiva sia stata richiesta dal P.M., escludendola invece quando sia il giudice a ritenere di applicare l’interdizione in luogo del presidio più invasivo richiesto dall’organo requirente;
  • la durata, non più determinata entro i ristretti confini previsti dalla normativa precedente, ma ampliata, per tutte le misure interdittive e per qualsiasi delitto presupposto, fino a un massimo di dodici mesi, rinnovabili per la stessa durata in caso di emersione di esigenze di tutela della prova.

E’ stato significativamente inciso anche il sistema della valutazione del quadro indiziario, dei pericula libertatis e degli elementi di interesse difensivo, attraverso la previsione di un canone di autonoma valutazione giurisdizionale (art. 292, c. 2, lett. c) e c-bis), c.p.p., sanzionato con la previsione di un correlato potere di annullamento da parte del Tribunale del riesame (novellato art. 309, c. 9, c.p.p.).

La previsione, assecondando una linea recentemente emersa nella giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass., VI, n. 12032/14, Cass., VI, n. 25631/12; Cass., II, n. 25513/12), tende a conferire maggiore effettività a un vizio motivazionale che, per il passato, poteva ritenersi ovviabile dal Tribunale del riesame, attraverso l’esercizio dei poteri di integrazione conferiti dallo stesso art. 309, c. 9.

Per altro verso, la funzione garantistica della motivazione del provvedimento restrittivo, in punto di extrema ratio, è esaltata dall’espressa previsione dell’onere di dar conto della scelta compiuta in favore della più afflittiva misura custodiale, in luogo di quella degli arresti domiciliari “con braccialetto elettronico” (art, 275, c. 3-bis c.p.p.) e attraverso l’abolizione di alcuni automatismi che rischiavano di penalizzare la dimensione concreta della valutazione di necessità del presidio cautelare.

In tal senso deve leggersi, non soltanto la ricezione legislativa delle numerose pronunce della Corte costituzionale che hanno progressivamente ridotto gli spazi applicativi della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia carceraria (circoscritta dalla legge n. 47/2015 alle sole fattispecie di cui agli artt. 416-bis, 270 e 270-bis c.p.); ma anche l’intervento operato sulle norme dedicate all’inasprimento delle misure in caso di trasgressione (art. 276, c. 1-ter e 284, c. 5, c.p.p.), dove si è restituito al giudice il potere di valutare l’entità della trasgressione che, laddove risulti lieve, potrà non comportare la sostituzione degli arresti domiciliari con la misura carceraria.

Non meno rilevanti sono gli interventi diretti a contemperare, nel contesto della disciplina delle impugnazioni cautelari, l’esigenza di certezza e speditezza dei tempi di definizione del riesame con la necessità di un controllo effettivo del provvedimento genetico, controllo che l’ossequio dei termini procedurali fissati a pena d’inefficacia della misura potrebbe non garantire, almeno quando si tratti di misure, particolarmente complesse per il numero dei soggetti interessati o per la quantità e la qualità delle contestazioni formulate.

La nuova disciplina combina pertanto la previsione di termini perentori per il deposito della motivazione dell’ordinanza del Tribunale investito in sede di riesame (30 giorni prorogabili fino a 45), con il conferimento all’indiziato, “se vi siano giustificati motivi”, del potere di chiedere il differimento dell’udienza e dei termini per la decisione (art. 309, c. 9-bis c.p.p.).