Parere sulla sospensione del processo nei confronti di infermo psichiatrico in OPG. Questione di costituzionalità (febbraio 2014)

  • pubblicato nel 2014
  • autore: Roberta Palmisano
  • parere
  • Ufficio Studi, ricerche, legislazione e rapporti internazionali
  • licenza di utilizzo: CC BY-NC-ND

 

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO
Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

1.
Con l’ordinanza in data 29.11.2013 del Tribunale di Roma (VIII Sezione penale) è stata sollevata questione di costituzionalità dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 13, 24 co. 2 e 111 della Costituzione nonché con l’art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nella parte in cui non consente al giudice di celebrare il processo e di definirlo con una sentenza anche quando l’imputato, in situazione di totale infermità di mente permanente e irreversibile, e sottoposto a misura di sicurezza provvisoria detentiva è rappresentato da un curatore speciale che ne surroga l’incapacità ed è in grado di tutelarne in concreto gli interessi.

2.
L’art. 71 c.p.p. prescrive al giudice, tranne che non debba pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, di disporre la sospensione del procedimento quando, a seguito degli accertamenti previsti dal precedente art. 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la sua cosciente partecipazione al procedimento stesso.
Questo principio trae fondamento dall’esigenza di garantire la capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo penale che, come affermò la Corte Costituzionale nel rigettare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 71 c.p.p. (sent. n. 340 del 20.7.1992), costituisce uno dei fondamentali presupposti richiesti dalla legge ai fini della costituzione e dello svolgimento del rapporto processuale ed è la premessa essenziale della possibilità di autodifesa e la garanzia del principio del “giusto processo” che sarebbe violato da una sentenza di condanna di chi non era in condizione di difendersi.
La sospensione del procedimento per incapacità psichica dell’imputato non è destinata a durare a tempo indeterminato perché l’art. 72 c.p.p. dispone che il giudice dopo la sospensione del procedimento deve a scadenze semestrali verificare la permanenza o meno dello stato di infermità, revocando la sospensione non appena risulti che l’imputato può coscientemente partecipare al procedimento.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 71 c.p.p. fu poi posta con riferimento al caso in cui era stato accertato che lo stato mentale dell’imputato per patologie croniche ne impediva in modo permanente e irreversibile la partecipazione al procedimento, con la conseguenza che la sospensione del procedimento avrebbe potuto di fatto protrarsi a tempo indefinito e anche per tutta la durata della vita dell'imputato.
Ma la Corte Costituzionale con la sentenza n. 281 del 28.6.1995 chiarì che la disciplina della sospensione del processo ha un assetto, improntato alla tutela della libertà di autodeterminazione dell’imputato, che consente l’attività di acquisizione probatoria in favore dello stesso imputato (art. 71, comma 4) ma preclude la pronuncia di una sentenza di condanna. Pertanto a tutela del suo diritto di autodifendersi, prevalente su quello di essere giudicato, e preoccupandosi di evitarne la condanna, la Corte dichiarò l’infondatezza della questione perché la prospettata soluzione di consentire la prosecuzione del processo mediante l’autorizzazione al curatore speciale (previsto nel rinnovato secondo comma dell’art. 71) a rappresentare l’imputato, non si profilava come soluzione costituzionalmente obbligata e comunque non era in grado di garantire l’autodifesa soprattutto nell’ambito di quegli atti che richiedono la diretta partecipazione dell’imputato.

La questione sulla legittimità della sospensione del processo per incapacità dell’imputato è stata riproposta con riferimento alla legittimità dell’art. 159, primo comma, cod. pen. nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione anche quando sia accertata l’irreversibilità della condizione di cui al primo comma dell’art. 71 c.p.p.
La Corte Costituzionale con la sentenza 14.2.2013 n. 23 ha ritenuto che, per l’anomalia insita nelle norme concernenti la sospensione della prescrizione estintiva dei reati e la sospensione del processo per incapacità dell’imputato, si verifica l’incongrua situazione di pratica imprescrittibilità del reato a cui né il giudice né l’imputato possono porre rimedio. La Corte ha considerato che l’indefinito protrarsi nel tempo della sospensione del processo – con la conseguenza della tendenziale perennità della condizione di giudicabile dell’imputato dovuta all’effetto, a sua volta sospensivo, della prescrizione – presenta il carattere della irragionevolezza giacché entra in contraddizione con la ratio posta a base rispettivamente della prescrizione dei reati (legata all’affievolimento progressivo dell’interesse della comunità alla punizione del comportamento penalmente illecito) e della sospensione del processo (basata sul diritto di difesa che esige la possibilità di una cosciente partecipazione dell’imputato al procedimento). Tuttavia la Corte ha ritenuto di non potere risolvere questo grave problema perché, come si era segnalato nella sentenza n. 281 del 1995, non è ravvisabile nella fattispecie una conclusione costituzionalmente obbligata mentre sono molteplici le possibilità di intervento normativo, connaturate a valutazioni discrezionali che competono soltanto al legislatore. La stessa Corte ha ipotizzato che nella fattispecie di irreversibilità dell’infermità mentale dell’imputato sia data al giudice la possibilità di dichiarare l’impromovibilità o l’improcedibilità dell’azione qualora, prima della maturazione dei termini prescrizionali, sia messa in dubbio l’irreversibilità dell’incapacità dell’imputato.

Preso atto del giudizio della Corte Costituzionale sull’anomala e incongrua situazione di imprescrittibilità del reato, la quale dà luogo a un processo interminabile, il Tribunale di Milano con ordinanza del 21.3.2013 ha riproposto la stessa questione di illegittimità costituzionale “non risultando prioritaria allo stato nel calendario del legislatore la risoluzione della suddetta problematica”.

3.
Dopo questa ordinanza è stata emessa la segnalata ordinanza del 29.11.2013 del Tribunale di Roma incentrata sul particolare caso di un imputato incapace processuale in modo irreversibile il quale, prima della sospensione del procedimento, era stato sottoposto a misura di sicurezza detentiva in via provvisoria.
Premesso che questa misura quattro anni prima dell’ordinanza era stata applicata ai sensi dell’art. 206 cod. pen. e dell’art. 312 c.p.p., il giudice remittente rilevava che l’accertata persistenza dello stato di pericolosità sociale dell’imputato non ne consentiva la revoca e nel contempo considerava che l’imputato per la sua permanente malattia psichica era incapace in modo irreversibile di partecipare consapevolmente al procedimento sospeso. Lo stesso giudice concludeva che, non essendo consentita dall’ultimo comma dell’art. 425 c.p.p. l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere se dal proscioglimento debba conseguire l’applicazione (o la conferma) di una misura di sicurezza diversa dalla confisca, la misura di sicurezza provvisoria detentiva applicata all’imputato avrebbe potuto perdurare a tempo indeterminato trasformando un soggetto non imputabile in un soggetto eternamente giudicabile. Una misura di sicurezza provvisoria diventava così una surrettizia forma di restrizione sine die in quanto, per l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza non sono previsti limiti massimi di durata a causa del periodico e obbligatorio riesame della permanenza della pericolosità sociale che ha giustificato l’applicazione della misura.
L’ordinanza del Tribunale di Roma considerava infine che, non avendo l’imputato alcuna possibilità di autodifendersi e non potendo nei suoi confronti essere celebrato alcun tipo di processo, soltanto il curatore speciale di cui al secondo comma dell’art. 71 c.p.p. potrebbe fungere da suo sostituto e surrogarne l’incapacità nell’esercizio del diritto di difesa personale. In tal modo sarebbe consentito al giudice di celebrare il processo e di definirlo con una sentenza, ivi compresa quella di assoluzione per non imputabilità con eventuale applicazione di misure di sicurezza se fosse accertata la pericolosità attuale. Il curatore speciale infatti, a tutela dell’imputato, si fa integralmente carico della valutazione delle esigenze difensive sotto il profilo sostanziale, affiancando quelle processuali del difensore, così garantendo il diritto di autodifesa.

4.
Prima di esaminare la questione relativa alla sospensione del procedimento nei confronti di un imputato non solo totalmente e irreversibilmente infermo di mente ma anche sottoposto a misura di sicurezza provvisoria detentiva, è necessario fare un cenno alla più generale questione della preclusione dello svolgimento del procedimento nei confronti di un imputato totalmente e irreversibilmente infermo di mente ma non sottoposto a misura di sicurezza provvisoria detentiva.
Questa seconda questione in cui la sospensione del processo potenzialmente sine die consegue alla natura irreversibile della malattia mentale è stata sempre dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale la quale, con la sentenza n. 23 del 2013, in un caso in cui è stata eccepita anche l’illegittimità della sospensione del corso della prescrizione che si accompagna alla sospensione del procedimento, nel confermare la non ravvisabilità nella fattispecie di una conclusione costituzionalmente obbligata, ha sollecitato l’intervento del legislatore a cui competono “valutazioni discrezionali, inerenti al rapporto fra mezzi e fine, che non competono alla Corte”.

Adottando i rimedi suggeriti dalla Corte Costituzionale, ad avviso di questo ufficio si potrebbe: modificare l’art. 159 cod. pen. nel senso di escludere la sospensione del corso della prescrizione se sia accertata l’irreversibilità dell’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo e aggiungere nell’art. 71 c.p.p. la previsione che, quando dopo due (o quattro) accertamenti ai sensi del secondo comma dell’art. 72 c.p.p. risulti con certezza che a causa dell’infermità mentale dell’imputato è irreversibile la sua incapacità di partecipare in modo cosciente al procedimento, il giudice può dichiarare l’impromovibilità o improcedibilità dell’azione penale, con possibilità di revoca nel caso in cui prima della maturazione dei termini prescrizionali non sia più certa la prognosi della irreversibilità dell’infermità mentale.

5.
L’altra questione, per la quale è stato chiesto a questo ufficio di formulare qualche osservazione, riguarda un imputato al quale è stata a suo tempo applicata la misura di sicurezza provvisoria del ricovero in ospedale psichiatrico a norma dell’art. 312 c.p.p. e nei cui confronti è stata successivamente pronunciata ordinanza di sospensione del procedimento a causa della sua accertata e irreversibile incapacità di partecipare coscientemente al procedimento stesso.
Il Tribunale di Roma ha ritenuto che nella indicata situazione di irreversibile incapacità processuale di un imputato sottoposto a misura di sicurezza provvisoria detentiva si debba consentire al giudice, previa dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 71 c.p.p., di pervenire a una decisione, ivi compresa la declaratoria di non luogo a procedere per difetto di imputabilità e l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva, in quanto l’imputato è rappresentato da un curatore speciale che ne surroga l’incapacità e ne tutela gli interessi.
È dubbia la legittimità di questa surroga in quanto la Costituzione all'art. 24, secondo comma garantisce il diritto inviolabile all'autodifesa dell'imputato e questi, salve le eccezioni specificatamente previste dalla legge deve avere la possibilità di partecipare personalmente all'accertamento critico della verità nel processo. Il curatore speciale, figura introdotta dal codice di procedura penale del 1988 per effetto di interposizione rappresentativa.
La figura del curatore speciale, introdotta con il codice di procedura penale del 1988 per assicurare all’imputato incapace di autodifendersi in modo adeguato, oltre a avere il potere di chiedere l’assunzione delle prove idonee a condurre al proscioglimento (art. 71 c. 4 c.p.p.), può impugnare l’ordinanza di sospensione (art. 71 c. 3 c.p.p.) e la sentenza (art. 571 c. 2 c.p.p.) e gli unici poteri di impulso che gli sono attribuiti sono quelli in vista di un eventuale provvedimento di revoca dell’ordinanza di sospensione (in caso di segni di miglioramento nello stato mentale dell’imputato può sollecitare il compimento di ulteriori accertamenti peritali così da permettere una tempestiva ripresa del procedimento).
Rimane il divieto posto al giudice dall’ultimo comma dell’art. 425 c.p.p. di pronunciare sentenza di non luogo a provvedere se dal proscioglimento debba conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.

A parere di questo ufficio il problema potrebbe essere adeguatamente risolto dal legislatore all’esito della pronuncia della Corte Costituzionale sulla questione sollevata dal Tribunale di Roma e nel quadro di una sistemazione generale delle misure personali di sicurezza.

 

Roma, 20 febbraio 2014

Il DIRETTORE DELL'UFFICIO
Roberta Palmisano