Anno giudiziario 2011 - Intervento del ministro Angelino Alfano presso la Corte Suprema di Cassazione

aggiornamento: 28 gennaio 2011

venerdì 28 gennaio 2011
Inaugurazione anno giudiziario 2011, Corte di Cassazione

Signor Presidente della Repubblica,
Autorità tutte,
Signore e Signori,

Per la terza volta consecutiva ho l’alto onore di prendere la parola in quest’Aula, nella ricorrenza del centenario della sua inaugurazione che simbolicamente coincide con le celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, per esporre brevemente le considerazioni del Guardasigilli sullo stato della giustizia.

Ma prima di far questo desidero, anzitutto, ringraziare nuovamente il Signor Presidente della Repubblica, Capo dello Stato, Presidente del Consiglio Superiore della magistratura e garante dell’unità nazionale per la sua sensibilità istituzionale che, anche in tempi recenti, ha avuto modo di esprimere nell’interesse delle istituzioni rappresentative e del Paese nella sua interezza.

Sono lieto di aver fortemente voluto che la Mostra delle Regioni che si terrà nella prossima primavera, come ha già ricordato il primo Presidente, avrà luogo anche in questo Palazzo rendendolo sicuramente più vicino e fruibile a tutti i cittadini che potranno ammirarne la struttura.

Ho ascoltato con particolare attenzione la relazione del Signor Presidente della Corte, ricca di contenuti e di analisi interessanti, laica e propositiva, nella quale si riconoscono - in questo suo esordio nelle funzioni di primo magistrato d’Italia - le altissime qualità del Magistrato, che tutti gli riconosciamo, ma anche la passione civile dell’uomo e la lucidità dello studioso del sistema giudiziario globalmente inteso.

E lo ringrazio per aver dato pubblicamente atto dell’impegno del Ministero nella riattivazione delle procedure concorsuali a copertura dei vuoti di organico dei magistrati, così come di aver riconosciuto gli aspetti positivi del contratto integrativo sottoscritto nello scorso luglio.

Al riguardo ho già chiarito in Parlamento che considero questo contratto – che pone fine ad un decennio di vane attese – un primo ed importante passo verso la valorizzazione del nostro personale, cui anche in questa sede va il mio incondizionato ringraziamento per l’opera di essenziale supporto che offre all’esercizio della giurisdizione, talvolta in condizioni di estrema difficoltà operativa.

Rivendico di aver previsto con la legge n. 24 del 2010 – proprio per evitare la minacciata desertificazione delle procure - una deroga al divieto di destinare agli uffici requirenti magistrati che non abbiano ancora conseguito la prima valutazione di professionalità; divieto introdotto, come è noto, nella precedente legislatura. Dunque i nuovi magistrati potranno ad aprile prendere servizio nelle sedi cosiddette disagiate.

Ciò premesso non posso che apprezzare la sempre crescente consapevolezza che il sistema giudiziario per essere innovato e diventare più efficiente non ha soltanto bisogno di risorse umane e finanziarie ma deve, prima di tutto, essere riorganizzato con la diffusione di una cultura dell’organizzazione e della misurazione delle performance anche dei singoli magistrati e non soltanto degli uffici giudiziari nel loro complesso.

Si tratta di una nuova cultura che, non senza resistenze e con fatica, sempre più si diffonde anche sulla scia dell’impegno del Ministero nell’attuazione di alcune norme da me fortemente volute e specificatamente mirate al recupero di efficienza e consapevolezza manageriale.

Mi riferisco, in particolare, alle modalità ed alla qualità della formazione degli aspiranti dirigenti degli uffici giudiziari (oltreché di tutti i magistrati) finalizzata alla conoscenza ed alla piena attuazione dei piani gestionali attraverso i quali il Ministero cura l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

E credo che, nell’anno in corso, un profilo di forte innovazione potrà derivare dalle scelte che dovranno essere compiute per il definitivo avvio della Scuola della Magistratura.

Sul punto, nelle prossime settimane assumerò le decisioni di mia competenza ed avrò cura di avviare una forte e necessaria collaborazione proprio con il Consiglio Superiore della Magistratura per dar vita concreta ad un nuovo modello di formazione, fondato su linee programmatiche proposte annualmente dal C.S.M. e dal Ministro della Giustizia.

L’obiettivo finale, come ho più volte sottolineato, è quello di ridurre al minimo le differenze di efficienza che si riscontrano sul territorio adottando per tutti gli uffici le migliori prassi operative nell’ottica di una programmazione che lasci ampi spazi all’innovazione che spesso e virtuosamente proviene dal basso senza perdere di vista la necessità di una cabina di regia che, in rigorosa attuazione di quanto dispone l’art. 110 della Costituzione, assegni al Ministero il compito di impartire le scelte organizzative fondamentali per i servizi giudiziari serventi rispetto alla giurisdizione.

L’anno appena trascorso, che ha coinciso con il giro di boa della legislatura, ha visto il Ministero della Giustizia impegnato proprio sul fronte dell’ammodernamento del sistema giudiziario, sia sotto il profilo dell’innovazione tecnologica e digitale che nella dura battaglia contro l’arretrato che si è accumulato, soprattutto nel settore civile, nell’ultimo trentennio.

Ed ho particolarmente apprezzato, sig. Presidente, la sua osservazione secondo cui, sul tema dell’efficienza della giustizia “nessuno può chiamarsi fuori limitandosi ad additare le colpe altrui”. Constato amarezza che purtroppo, spesso, questa giusta considerazione è rimasta inascoltata per l’incapacità di fare squadra e le resistenze corporative che da più parti ostacolano qualsiasi tentativo di riforma del sistema giudiziario italiano.

Si tratta di un percorso di riforma difficile, perché destinato ad incidere su una realtà molto complessa, su diritti inviolabili dell’uomo e garanzie di sicurezza e di libertà che devono essere comunque assicurate, ma anche su rendite di posizione, su privilegi duri a morire, su posizioni di retroguardia che si limitano ad ostacolare ogni proposta, bollandola a priori come inefficace.

Ma un percorso di riforma necessario per garantire al Paese adeguati livelli di civiltà e competitività.

Ebbene, molti di voi ricorderanno che lo scorso anno in questa stessa aula, nell’illustrare alcune delle riforme approvate nel settore civile, mi ero ripromesso di valutarne l’effetto proprio in occasione della cerimonia di inaugurazione del nuovo anno giudiziario. E allora avevo scommesso sulla efficacia di quegli interventi auspicando una prima inversione di tendenza nell’accumulo dell’arretrato.

Ebbene questa inversione di tendenza vi è stata e si manifesta come ancor più marcata di quella esposta nella relazione del Primo Presidente (ferma alle rilevazioni statistiche del 30 giugno 2010) perché il dato di fine anno, opportunamente comparato,  segnala una diminuzione dei processi civili pendenti di ben 223.824 procedimenti che in percentuale segna un risultato pari a –4% rispetto all’anno precedente. Ciò che importa è che dopo trent’anni di incremento delle pendenze, cioè di segno più dell’arretrato, il segno si è invertito. È stato cioè avviato un percorso virtuoso.

Certo non è il caso di entusiasmarsi più di tanto (vista la mole di arretrato che dobbiamo abbattere) ma lo studio attento dei dati disaggregati consente un certo ottimismo se è vero che l’inversione di tendenza trova la sua spiegazione non in fattori di tipo occasionale ma nella convergenza di almeno tre interventi positivi, introdotti dal Governo:

 

le riforme in materia di processo civile (che peraltro devono ancora esprimere tutte le loro potenzialità e saranno oggetto di una più approfondita valutazione nei prossimi mesi);
la sempre più completa informatizzazione degli Uffici Giudiziari;
le modifiche normative delle spese di giustizia ed in particolar modo della disciplina del contributo unificato che ha abbattuto sensibilmente il numero delle Opposizioni a Sanzioni Amministrative.

A questi virtuosi interventi si è ancora una volta aggiunta la straordinaria capacità di silente e proficuo lavoro dei magistrati italiani addetti al civile.

Ovviamente, ulteriori e sensibili diminuzioni del flusso in entrata della domanda di giustizia ci attendiamo dalla mediazione, il nuovo strumento di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali. Si tratta di un’importante riforma che ha introdotto per la prima volta, nel nostro sistema giuridico, un effettivo strumento generale alternativo alla via giudiziale per risolvere le controversie dei cittadini. È una innovazione che ci ha chiesto l’Europa e che introduce un diverso approccio culturale per la risoluzione delle liti.

Verificheremo il prossimo anno, magari in questa stessa occasione, se questa inversione di tendenza verrà confermata o meno non senza ricordare che è in dirittura di arrivo il piano straordinario per lo smaltimento dell’arretrato civile, destinato a completare il quadro degli interventi in questo settore con finalità deflattive e sono pronto per presentare in Consiglio dei Ministri il Decreto sulla semplificazione dei riti in attuazione della riforma del processo civile mentre l’atto pubblico informatico per i notai è già operativo.

Passando al settore penale l’impegno del Governo, con particolare riguardo all’azione di contrasto alla criminalità organizzata, si è ancora una volta confermato imponente, efficace, coraggioso e innovativo. Il Governo ha messo in campo:

  • il più robusto sistema di norme di contrasto alla criminalità organizzata che ha generato il più alto numero di detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41bis O.P. dalla sua introduzione nel nostro ordinamento giuridico;
  • il più alto numero di provvedimenti ministeriali di riapplicazione del citato regime, dopo l’annullamento disposto in sede giudiziaria dai Tribunali di Sorveglianza;
  • il più basso numero di provvedimenti di revoca del 41bis da parte del Ministro della Giustizia;
  • la gestione del tragico record di presenze nelle carceri senza che si sia ricorso ad indulti o provvedimenti generalizzati di clemenza;
  • il più alto numero di posti di agenti di polizia penitenziaria - ben 1800 - banditi in un solo concorso;
  • il più alto numero di nuovi posti nelle strutture carcerarie: 2000 in due anni, equivalenti al numero di nuovi posti che erano stati istituiti nei 10 anni precedenti.


L’azione di contrasto alla criminalità organizzata è considerata da questo Governo talmente rilevante che si è ritenuto doveroso intervenire con decretazione di urgenza (D.L. n. 10 del 2010) persino per rimediare ad alcune discrasie interpretative in materia di competenza per le ipotesi aggravate del delitto di associazione mafiosa, oggi tutte assegnate al Tribunale. Mi riferisco al decreto cosiddetto antiscarcerazione dei boss.

In questo quadro si inserisce anche l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata. L’Agenzia sta già operando per garantire una migliore amministrazione dei sempre più numerosi beni sottoposti a sequestro e consentirà una più rapida ed efficace allocazione e destinazione dei beni confiscati, devoluti al patrimonio dello Stato.

Con la legge 13 agosto 2010, n. 136 è stato varato il Piano straordinario contro le mafie, contenente la delega al Governo per l’adozione del Codice delle leggi antimafia, delle misure di prevenzione e delle certificazioni antimafia. Si tratta di interventi su cui non occorre soffermarsi visto che sono stati puntualmente affrontati ed apprezzati nella relazione del primo Presidente.

Ma è per me un privilegio annunciare in quest’aula che proprio ieri – d’intesa con il Ministro degli Interni - ho trasmesso alla Presidenza del Consiglio, per la necessaria attività di esame e coordinamento, il testo del codice Antimafia, in adempimento della suddetta delega, dopo mesi di duro lavoro ed in largo anticipo sui tempi previsti.

Mi sia, infine, consentito un semplice accenno al Piano Carceri che, nello scorso anno, ha segnato un decisivo avanzamento delle tre linee d’intervento su cui si articola l’azione del governo in questa delicata materia:

  • la deflazione dei flussi di ingresso nel sistema carcerario e le misure alternative alla detenzione;
  • il piano di interventi di edilizia penitenziaria;
  • la rideterminazione della pianta organica della polizia penitenziaria.


Il 30 giugno 2010 il Comitato Interministeriale da me presieduto ha approvato il piano degli interventi che prevede la realizzazione di 11 nuovi istituti carcerari e di 20 nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti. Sono già state firmate le intese con le Regioni per opere che rappresentano il 70% del piano. Si è dato così avvio ad un intervento straordinario senza precedenti nella storia della Repubblica, vista l’entità degli investimenti (675 milioni di Euro), la tempistica della loro esecuzione (nell’arco di un triennio) e la nuova creazione di 9.150 posti, in esecuzione della sola prima parte del piano.

Ciò posto, prima di avviarmi alle conclusioni, non intendo sottrarmi alle osservazioni in materia di risorse ed informatica che tante polemiche (in molti casi eccessive) hanno provocato nei primi giorni di questo mese.

Il dato di partenza è ben noto agli economisti ed agli analisti di organizzazione: la sola immissione di risorse economiche aggiuntive non risolve alcun profilo di inefficienza di qualsiasi organizzazione complessa.

Questa regola è puntualmente confermata anche dai dati relativi al sistema giudiziario se è vero che dal 1996 al 2007 sono stati spesi complessivamente, nel settore dell’informatica, più di 2 miliardi di euro. Nello stesso periodo l’arretrato sia nel settore civile che in quello penale è aumentato inesorabilmente.

Nel triennio non ancora completato della mia gestione questa voce di spesa è scesa sensibilmente ma una corretta programmazione ed organizzazione dei servizi ha consentito di ottenere migliori risultati rispetto al passato.

E questi risultati positivi sono misurabili oggettivamente con la semplice analisi dello stato di diffusione del Processo Civile Telematico, delle comunicazioni telematiche, dei servizi web di gestione dei registri informatici, alcuni di quali sono già attivi su tutto il territorio nazionale, mentre all’atto del mio insediamento si era ancora all’anno zero, malgrado le somme spese.

Si tratta di una comparazione assai semplice da fare sulla base di dati già ampiamente diffusi senza che sia necessario tediare l’uditorio con la sequela dei numeri in questa sede.

Il complesso di questi sforzi non esaurisce di certo il compito di razionalizzare e ammodernare il servizio giustizia senza perdere di vista l’armonizzazione dei sistemi sull’intero territorio nazionale dopo un periodo di scarsa programmazione che ha consentito derive non accettabili in tempi di risorse limitate.

Ma anche sotto il profilo tecnologico e digitale il cambio di passo e di strategia ha già dato frutti concreti che - pur nelle note  difficoltà di bilancio - rappresenta per l’Italia una positiva ed assoluta novità di cui, magari, poco si parla ma che fa già sentire i suoi effetti nel rilevamento statistico nazionale, in modo più marcato nel settore civile (dove più imponenti sono stati gli interventi).

E so che anche per quanto riguarda sia l’informatica che il CED della Suprema Corte di Cassazione intensa e positiva è la collaborazione con la struttura ministeriale che, nello scorso anno, non ha fatto mancare il suo essenziale contributo.

Con le mie considerazioni ho inteso offrire anche in questa sede il quadro di sintesi dell’impegno del Governo in materia di giustizia che, anche quest’anno, si è tradotto sia in numerose iniziative normative (spesso approvate a larga maggioranza e talvolta all’unanimità) che in una costante opera di amministrazione della macchina giudiziaria, fondata sul lavoro quotidiano a servizio della giurisdizione e nell’interesse dei cittadini.

Un’opera difficile e faticosa, assai poco messa in rilievo dagli organi di informazione  solitamente concentrati su altri temi.

Non avrei potuto illustrare questi positivi risultati se non avessi potuto giovarmi della collaborazione della gran parte dei principali attori del sistema giustizia, in primo luogo avvocati e magistrati.

Questi quasi tre anni di esperienza a contatto con tantissimi magistrati mi confortano nella convinzione che la gran parte dei giudici italiani fa dell’impegno disinteressato, del riserbo, dell’equilibrio, del senso di umanità e della saggezza delle loro decisioni una regola professionale e di vita quotidianamente esercitata.

Ho riferito di leggi approvate e di problemi risolti, ho parlato di decreti attuati e di deleghe parlamentari ossequiate; in ambito informatico ho detto di innovazioni che non fanno più rima con illusioni; di una teoria e cultura dell’efficienza che diventa sempre più prassi nella carne viva e nel corpo del nostro sistema giudiziario. Di carceri che potranno diventare più civili se ci sarà posto per tutti e non scarcerazioni gratis. Ho voluto sottolineare che se i protagonisti della giustizia giocano uniti, giocano insieme, vincono contro la lentezza, contro l’inefficienza, contro la rassegnazione ad esse.

Conclusa la prima parte della legislatura è doveroso chiedersi: “abbiamo fatto tutto?”. La mia risposta è no. Ma abbiamo fatto esattamente tutto quello che era possibile fare. “Abbiamo completato il cammino?”. No, ma abbiamo scelto la strada giusta per incamminarci. E se potremo godere, come io penso, del tempo che la Costituzione assegna alla legislatura, questo cammino sarà percorso sino in fondo. Anche contro il pessimismo degli scettici per professione ma sapendo di potere contare sul sostegno, ragionevole e vigoroso, di tutti coloro, e sono la gran parte, che credono che cambiare si debba e cambiare si possa.

Sorretto da questo convincimento ho voluto riferire non del frastuono dell’albero che cade, del quale tutti si accorgono, ma dell’emozionante silenzio della foresta che cresce e di come questa sia il segno di una speranza che vive.