Cerimonia per il 40esimo anniversario dell’uccisione di Mario Amato - Roma 23 giugno 2020

aggiornamento: 23 giugno 2020

Cerimonia per il 40esimo anniversario dell’uccisione di Mario Amato - Roma, 23 giugno 2020

 

Intervento del ministro Alfonso Bonafede alla Cerimonia per il 40esimo anniversario dell’uccisione di Mario Amato

Buongiorno a tutti,

sono onorato di partecipare a questa cerimonia e ringrazio per l’invito il Comitato per la Commemorazione del Giudice Mario Amato e i familiari di un magistrato esemplare, ai quali esprimo la mia vicinanza e il mio affetto nel giorno che, quarant’anni fa, ha segnato per sempre la vita di ciascuno di loro.

Saluto il Procuratore Generale, dott. Giovanni Salvi, gli oratori che mi hanno preceduto (Luca Bergamo Vice Sindaco di Roma, Giovanni Caudo, Presidente III Municipio, Marco Damilano, Direttore de L’Espresso) e a tutti i presenti uniti qui oggi nel ricordo.  Rivolgo, infine, un saluto particolare a Paolo Bolognesi, Presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage 2 agosto 1980, con il quale il Ministero che mi onoro di rappresentare sta sviluppando una proficua collaborazione sul tema della digitalizzazione degli atti dei processi di interesse storico.    

Questo luogo, ci riporta simbolicamente indietro nel tempo, e ci ricorda che abbiamo il dovere di non dimenticare mai il sacrificio di chi ha vissuto e lavorato per la giustizia.

Il brutale assassinio di Mario Amato, il 23 giugno 1980, commesso da membri dell'organizzazione eversiva di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari, ha rappresentato un duro colpo per lo Stato, per l’intera magistratura italiana e per tutti i cittadini che, avendo a cuore la tutela dei diritti e delle libertà individuali e collettive, perseguivano l’obiettivo di arrestare l’ondata di violenza criminale, che rischiava di minare le basi della struttura democratica del Paese.

Mario Amato, da Sostituto procuratore della Repubblica di Roma, era in quegli anni impegnato a condurre indagini delicate sul terrorismo politico in Italia, portate avanti con scrupolo, equilibrio e determinazione. Fu tra i primi in grado di comprendere la portata e il significato profondo di un fenomeno criminale articolato come quello dell’estremismo nero, di coglierne relazioni occulte, collegamenti e strategie complessive. Ha pagato con la vita il suo acume, l’abnegazione e lo spirito di servizio dimostrati nello svolgimento della sua funzione.

Si colpiva, quindi, un simbolo dello Stato, la migliore espressione dello Stato.

Si colpiva anche l’uomo, lasciato solo nella sua battaglia di civiltà da uno Stato che non ha saputo proteggerlo.

E si colpiva un magistrato serio e morigerato, indifferente al clamore e a protagonismi di sorta.

Nonostante l’isolamento in cui operava, rivelato in occasione di un’audizione al CSM pochi giorni prima di morire, Mario Amato non venne mai meno ai suoi doveri istituzionali, non arretrando di un passo nel perseguire il suo obiettivo di verità, nonostante la consapevolezza di rischiare la vita per il suo ideale di giustizia.

Le sue doti morali, il contegno deontologicamente irreprensibile sul lavoro e nella vita (lo si legge nei pareri depositati al CSM) e la sua determinazione nello svolgimento della funzione in un clima di forti tensioni sociali, lo consegnano alla storia come un modello di riferimento, quello a cui ogni magistrato dovrebbe ispirarsi.

Un modello etico che oggi risalta ancor di più. Un modello a cui sono certo guarda la stragrande maggioranza dei magistrati, a partire dai più giovani, in un momento in cui pare essersi smarrita la missione ultima che compete a questa categoria, trascinata da una deriva morale che porta alla perdita di fiducia e di credibilità agli occhi dei cittadini.

Il recupero della fiducia nella magistratura, la tutela di quella grande parte di magistrati che lavora ogni giorno lontano dai riflettori e dalla corsa sfrenata al carrierismo e la credibilità della macchina della giustizia sono gli obiettivi finali degli interventi riformatori che si stanno portando avanti, paralleli ma egualmente fondamentali rispetto a quelli di efficienza del processo.

In questo modo, assumendosi la responsabilità di azioni concrete, lo Stato ha la possibilità di onorare degnamente la memoria di un magistrato come Mario Amato, di un uomo che ha lavorato con rara umiltà per la difesa delle Istituzioni, come servitore dello Stato per vocazione costituendo un baluardo dei valori della democrazia e della legalità.

È la memoria la chiave delle azioni del presente, quella che abbiamo il compito di preservare nella sua totalità per offrire a tutti, anche attraverso l’attività di digitalizzazione dei più significativi processi del recente passato, una lettura sistemica degli snodi cruciali della Storia del nostro Paese.

Il premio Nobel perla letteratura Saramago sosteneva che : “Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere.”

Alfonso Bonafede
ministro della Giustizia