Inaugurazione anno giudiziario 2019 - Intervento del ministro Alfonso Bonafede alla Corte Suprema di Cassazione

aggiornamento: 25 gennaio 2019

Corte Suprema di Cassazione
25 gennaio 2019

Rivolgo il mio saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione Giovanni Mammone, al Procuratore Generale Riccardo Fuzio, al vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura David Ermini, al Presidente del Consiglio Nazionale Forense Andrea Mascherin, a tutte le Autorità civili, militari e religiose ed ai partecipanti tutti al solenne appuntamento di quest’oggi a cui, per la prima volta, ho l’onore di partecipare come Ministro della Giustizia.

Non posso e non voglio nascondere l’emozione fortissima che provo in questo momento: negli anni passati, prima come avvocato e poi come parlamentare e vice presidente della Commissione Giustizia, attendevo sempre l’inaugurazione dell’anno giudiziario come momento fondamentale per conoscere nuove e possibili prospettive per la giustizia italiana.

E’ la stessa aspettativa che, immagino, hanno adesso magistrati, avvocati, personale amministrativo, giudici onorari, tirocinanti, forze dell’ordine e tutti gli addetti ai lavori, vale a dire tutte le donne e tutti gli uomini che quotidianamente hanno portato avanti in questi anni (e portano avanti, ancora oggi), sulle loro spalle, la macchina della giustizia; donne e uomini che pretendono e rivendicano attenzione da parte dello Stato rispetto ad un settore, quello della giustizia, che rappresenta un pilastro fondamentale della nostra democrazia. Ed è a tutti loro che voglio dire “GRAZIE!”.

Chiarisco che, dal mio punto di vista, oggi ci troviamo ad inaugurare un anno giudiziario che deve necessariamente e improrogabilmente rappresentare una svolta per la Giustizia italiana, sia per quanto concerne alcuni interventi immediati e urgenti, sia per quanto attiene alla realizzazione delle fondamenta per un armonico piano di miglioramento strutturale di tutto il sistema-giustizia; un sistema che, finalmente, deve restituire centralità alle istanze e ai diritti dei cittadini, nei confronti dei quali la giustizia deve recuperare la sua credibilità.

Secondo il rapporto CENSIS 2018, il 30,7% della popolazione adulta (15,6 milioni di persone) negli ultimi due anni ha rinunciato ad intraprendere un’azione giudiziaria volta a far valere un proprio diritto; 7 italiani su 10 pensano che il sistema giudiziario non garantisca la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo.

È un report allarmante e drammatico, addirittura paradossale se consideriamo che la magistratura e l’avvocatura italiana rappresentano vere e proprie eccellenze nel panorama internazionale.
E’ giunto il momento che la politica, nelle sedi istituzionali, si faccia carico di realizzare, nell’interesse dei cittadini, un assetto normativo degno di tali eccellenze; un assetto normativo che non miri semplicemente alla riduzione quantitativa del contenzioso ma al miglioramento qualitativo del servizio giustizia.

C’è tanto da lavorare ma in questi primi otto mesi di governo, sono stati compiuti alcuni primi importanti passi.

Sul versante degli organici, nella legge di bilancio è stato predisposto un piano assunzionale straordinario che prevede dal 2019 il reclutamento di 3000 unità di personale amministrativo giudiziario, l’assunzione dei 360 magistrati vincitori di concorso nonché di ulteriori 600 nuovi magistrati che andranno a incrementare la pianta organica, l’assunzione di 35 dirigenti per gli istituti penitenziari e la creazione di 7 dirigenze speciali per gli istituti penali per minorenni. Ed ancora, l’assunzione di 260 unità civili per il DAP, oltre a 1300 agenti di polizia penitenziaria.

La giustizia, finalmente, rappresenta una priorità di questo Paese: si consideri che il bilancio di previsione per il 2019 nell’area giustizia prevede un aumento rispetto all’anno precedente di oltre 324 milioni.

E’ fondamentale la prosecuzione del percorso di digitalizzazione e telematizzazione dei procedimenti giudiziari, con l’avvio del portale dei servizi telematici, delle notifiche telematiche del Giudice di Pace (entro giugno 2019) e la digitalizzazione in Cassazione (entro l’anno 2019 si raggiungerà la prevalidazione preliminare al deposito delle sentenze e sarà varato il desk del Consigliere).

È poi in corso di aggiudicazione la gara per la telematizzazione del processo penale, con un progetto esecutivo che potrebbe essere pronto già entro giugno 2019.

È evidente, tuttavia, il forte contrasto tra gli avanzamenti tecnologici e lo stato drammatico in cui versano ancora troppi palazzi di giustizia: emblematica è, al riguardo la vicenda di Bari, rispetto alla quale il Ministero, in 5 mesi, è riuscito a trovare una soluzione che, sebbene non definitiva, può considerarsi certamente stabile.

Consentitemi di dedicare un pensiero ad Antonio Montinaro, prossimo al giuramento da avvocato, rimasto coinvolto in un tragico evento nel palazzo di giustizia di Milano e adesso ricoverato presso il policlinico di Milano.

Cospicui sono i fondi dedicati all’edilizia giudiziaria e, anche tramite la riorganizzazione e il rafforzamento degli uffici competenti, sarà possibile dar seguito ad interventi che, con urgenza, potranno adeguare gli standard di sicurezza.

Contemporaneamente, occorre avviare le riforme della procedura penale e della procedura civile, che nel mese di febbraio saranno oggetto di un unico disegno di Legge delega. Tali riforme tenderanno alla costruzione, da un lato, di un procedimento penale improntato a canoni di speditezza, efficienza e snellimento per garantire la piena attuazione dell’art. 111 Cost; dall’altro lato, di un processo civile che miri all’efficienza della giustizia, quale fattore decisivo per la piena tutela dei diritti dei cittadini nonché per la ripresa economica del Paese.

Ma la fiducia dei cittadini nella giustizia deve essere recuperata anche sul piano sostanziale, dando la cifra di un mutamento che sia anche culturale, necessario per recuperare un’educazione alla legalità patrimonio di tutti i cittadini.

Ecco perché, nel bilancio di questi primi mesi di governo, mi preme ricordare l’importante approvazione, il 18 dicembre 2018, della legge Anticorruzione, ovvero la Legge n. 3 del 9 gennaio 2019.

Alla base di tale intervento, vi era e vi è la convinzione che, per contrastare in modo incisivo la piaga della corruzione, occorresse intervenire attraverso una legge organica e strutturata perché, purtroppo, organico e ormai strutturato è il sistema corruttivo.

La corruzione drena risorse alle componenti sane del tessuto economico e produttivo, riduce gli spazi di libera concorrenza per le imprese virtuose, compromette il fisiologico funzionamento della pubblica amministrazione e soprattutto rappresenta una fonte di sostentamento, nonché uno strumento di infiltrazione, per la criminalità organizzata anche di carattere mafioso.

Con questa legge, si afferma così la presenza dello Stato in favore di chi esce dalle zone grigie della collusione e del silenzio; si rivendicano legalità e trasparenza nel valorizzare l’onestà di chi denuncia e nel punire chi inquina il tessuto sociale, imprenditoriale ed economico del Paese anche con misure interdittive volte ad inibire definitivamente la possibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, sempre nel rispetto dell’art. 27 Cost. In tal senso, le forme di riabilitazione speciale concretizzano, in particolare, una nuova articolazione, più specifica e mirata rispetto al passato, della funzione rieducativa della pena.

Altro intervento di forte impatto strutturale è rappresentato dalla rivisitazione dell’istituto della prescrizione, finora vissuto statisticamente come uno strumento di filtro e bilanciamento dell’eccessivo numero di procedimenti pendenti nel settore penale.

Ogni anno, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, arrivava immancabilmente il momento in cui, in maniera legittimamente rassegnata, veniva comunicato il numero dei processi falcidiati dalla prescrizione, rivelando un dispendio di energie e risorse accompagnato dalla sensazione amara di uno Stato che, di fatto, abdicava al proprio dovere di dare una risposta di giustizia.

La scelta di sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, soltanto a partire da gennaio 2020, muove dalla consapevole necessità di fare andare a regime i primi investimenti previsti nella Legge Finanziaria e di provvedere alla sopra richiamata riforma del processo penale.

Al tempo stesso, è sempre necessario rivolgere la massima attenzione alle emergenze sociali, per adeguare la risposta dello Stato alle concrete situazioni che colpiscono la collettività.

A tal riguardo, in data 29 novembre 2018 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge recante “Modifiche al Codice di procedura penale: disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” (cd. “Codice Rosso”).
Il coraggio di denunciare, da parte delle donne vittime di violenza, non deve più rimanere orfano dello Stato.

Sempre nell’ambito della necessità di alzare il livello di sensibilità istituzionale rispetto alle istanze della collettività, mi piace segnalare l’impegno del Ministero in collaborazione con gli enti e gli uffici giudiziari locali sul fronte dell’apertura degli Uffici di Prossimità sul territorio, al fine di garantire, soprattutto, una risposta di giustizia alle fasce deboli della popolazione.

Al tempo stesso, si è rivelato non differibile anche un intervento normativo che incidesse sul tessuto economico: la riforma del diritto fallimentare, approvata il 10 gennaio 2019, rappresenta un cambiamento di prospettiva fondamentale che, da un lato, sarà in grado di recuperare la fiducia del ceto creditorio e, dall’altro lato, di garantire una chance di reinserimento dell’imprenditore in difficoltà che, da ora in poi, non sarà più etichettato con il termine “fallito”.

Il rilancio del Paese, come pensato da questo Governo, volge lo sguardo anche alle novità sul versante internazionale in materia di cooperazione giudiziaria: in tale ambito, vanno considerate le elevate aspettative riposte nella futura attività della istituenda Procura Europea. Nel contempo, particolare impegno è stato profuso nella cura dei rapporti internazionali volti alla stipula di sempre più numerosi accordi bilaterali tesi a garantire l’esecuzione della pena nel Paese di origine di condannati stranieri ristretti negli istituti penitenziari del nostro territorio (Albania, Romania, Marocco).

Passi avanti sono stati effettuati, grazie alla cooperazione internazionale, anche per assicurare alla giustizia i numerosi latitanti che da anni si sottraggono all’esecuzione della pena, come dimostra la recente consegna di Cesare Battisti da parte delle autorità boliviane.

Nell’ambito della grave emergenza in cui versano le nostre strutture penitenziarie – attualmente sono presenti 59.947 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 50.569 – si è deciso di intervenire come segue, sul presupposto che non è accettabile che in uno Stato di diritto, detenuti e agenti di polizia penitenziaria vivano e lavorino in condizioni fortemente sotto la minima soglia della dignità: oltre all’incremento delle risorse umane cui sopra si è già fatto cenno, sono stati destinati all’edilizia penitenziaria numerosi fondi, alcuni dei quali saranno spesi nel corso del 2019, tramite agevolazioni procedurali contenute nell’art. 7 del c.d. Decreto semplificazione, attualmente in fase di conversione; nel c.d. Decreto sicurezza, invece, è stata approvata una norma a tutela dei figli delle mamme detenute che prevede la segnalazione d’ufficio alla Procura presso il Tribunale per i minorenni di tutte le situazioni particolarmente critiche; sono stati stipulati, in accordo con privati ed enti locali (Roma, Milano, Palermo, Napoli,Torino e, prossimamente, Firenze, Venezia, Potenza, Bari, Lecce, Catania e Catanzaro), protocolli per incentivare il lavoro dei detenuti, nella convinzione che il lavoro rappresenti la migliore forma di rieducazione e reinserimento sociale dello stesso detenuto.

“Nuovi Strumenti e antichi fini”, questa la lezione di Bauman per affrontare le grandi sfide della modernità. Sono convinto che, anche nell’ambito della giustizia, in un costante dialogo con tutti gli addetti ai lavori e, in particolare, con il CSM, bisognerà continuare ad immaginare e realizzare soluzioni nuove rimanendo fedeli a valori e principi antichi e consolidati, avere la capacità di innovare senza mai perdere di vista la nostra bussola sociale, civile e giuridica: la Costituzione.