Anno giudiziario 2010 - Intervento del ministro Angelino Alfano presso la Corte Suprema di Cassazione

aggiornamento: 29 gennaio 2010

Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente del Senato,
Signor Presidente della Camera,
Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri,
Signor Presidente della Corte Costituzionale,
Sig. Presidente emerito della Repubblica,
Sua Eminenza Cardinal Vallini,
Sig. Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura,
Rappresentanti delle Istituzioni Civili e Religiose,
Sig. Presidente della Suprema Corte di Cassazione,
Sig. Procuratore Generale,
Sig. Presidente del Consiglio Nazionale Forense,
Magistrati tutti,
Signori Avvocati,
Dirigenti e dipendenti tutti del Ministero della Giustizia,
Signore e Signori

Per il secondo anno ho l’alto onore di prendere la parola in quest’Aula, ove si afferma e si custodisce simbolicamente il diritto vivente, che rende concreta la legge e garantisce a tutti l’eguaglianza e la certezza della giustizia amministrata in nome del popolo.

Siamo qui per inaugurare l’anno giudiziario: una celebrazione che si svolge per tutti i cittadini.

Questa giornata è per loro e non per noi, che siamo qui chiamati a rendere conto del nostro operato; chiamati a  dire pubblicamente ciò che abbiamo fatto e ciò che intendiamo fare.

Desidero, anzitutto, ringraziare il Presidente della Repubblica, Capo dello Stato, Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e garante dell’unità nazionale, per la saggezza che, anche nello scorso anno ed in tempi recenti, ha avuto modo di trasmetterci pronunciando, in materia di giustizia, parole sempre decisive per il mantenimento dei necessari equilibri istituzionali.

Ringrazio, inoltre, il Presidente del Consiglio dei Ministri per il sostegno politico offerto all’azione riformatrice del Governo, soprattutto in materia di antimafia e giustizia civile, e per l’incoraggiamento personale che mai mi ha fatto mancare in questi venti mesi difficili ed entusiasmanti al tempo stesso.

Ho ascoltato con particolare attenzione la relazione del Presidente della Corte, densa di contenuti e di analisi interessanti, ma anche caratterizzata da un respiro internazionale che ha l’indubbio merito di evidenziare i processi di progressiva globalizzazione del diritto, sempre più influenzato da fonti sovranazionali che reclamano una maggiore omogeneità con il diritto interno.

Si tratta di un percorso che ormai va ben oltre i confini dell’Europa Unita e che impone di coinvolgere anche i Paesi dell’area del mediterraneo, ove all’Italia compete un ruolo da protagonista.

Ciò in coerenza con l’intenso impegno internazionale del Governo Berlusconi che anche in materia di giustizia si è tradotto in numerose azioni concrete di cui mi limito a richiamare:
a) la Presidenza italiana del G8, evento di rilevanza mondiale sui temi della lotta alla criminalità organizzata e sulle strategie internazionali nella lotta al terrorismo;
b) il G8 Giustizia-Affari Interni che ha avuto luogo a Roma il 29 e 30 maggio scorso, il cui più significativo risultato è stato la Dichiarazione Finale sottoscritta da tutti i Ministri, che ha adottato il modello di legislazione italiana in materia di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati.

Quanto ai dati relativi all’andamento generale del sistema giudiziario italiano non posso che confermare l’analisi del Presidente Carbone che abbiamo appena ascoltato.

Infatti, il quadro delle inefficienze e dei ritardi del sistema giudiziario, pur se con qualche timido segnale di miglioramento nel settore penale, rimane seriamente preoccupante.

Ma oggi emerge una rilevante novità: dopo un anno di intenso impegno del Ministero della Giustizia posso dire che si sta finalmente diffondendo una nuova cultura dell’organizzazione, attraverso la quale si prende consapevolezza che il sistema giudiziario deve, anzitutto, essere riorganizzato, con una attenta analisi dei flussi e delle procedure, con una capillare diffusione delle buone pratiche e con la oggettiva misurabilità delle performance del singolo ufficio.

Ed è per me motivo di soddisfazione ascoltare dall’autorevole voce del Primo Magistrato d’Italia che gli interventi normativi già realizzati o in corso di approvazione (dal filtro in Cassazione alla digitalizzazione, dalla riforma del processo penale alla razionalizzazione degli effetti della c.d. Legge Pinto, etc;), così come le misure amministrative adottate, si manifestano come positive innovazioni.

Dissi lo scorso anno in quest’aula che dovevamo battere il nemico della giustizia italiana e cioè la lentezza, ma che avremmo dovuto combattere anche contro un nemico ancora più insidioso: la rassegnazione.

Oggi, sono qui a dire che non ci siamo rassegnati e che abbiamo in mente un progetto chiaro per vincere la lentezza. Ovviamente si tratta di un percorso irto di ostacoli che non prevede che da un giorno all’altro come d’incanto tutto si risolva.

La bacchetta magica appartiene al mondo delle fiabe.

Questo mondo e questo nostro tempo ci consegnano il dovere dell’impegno, del sudore, dei sacrifici e della tenacia nel perseguire i nostri obiettivi. Ci impongono l’ossequio al principio che dovrebbe ispirare ogni buon governante: il principio di realtà, il principio secondo cui bisogna fare i conti con le cose così come sono e non come noi vorremmo che fossero.

Tutto deve essere governato sapendo quali sono gli obiettivi che si intendono perseguire e quali i mezzi - anche economici - di cui si dispone.

Ecco perché riforme legislative e qualità dell’organizzazione devono camminare insieme. Investire risorse in un sistema che non funziona significa sprecarle. Mettere in efficienza il sistema vuol dire risparmiare denaro dei contribuenti e migliorare il servizio per i cittadini.

L’unica strada, dunque, è quella di creare efficienza liberando risorse da reinvestire nel sistema giustizia che – ricordiamolo sempre – è, prima di ogni cosa, un servizio la cui qualità si misura sulla pelle dei cittadini.

E sia chiaro: una migliore organizzazione è possibile. Non lo dico io ma i dati oggettivi che ci impongono anche un’altra riflessione: la variabile umana – come sempre accade nelle organizzazioni complesse – è decisiva.

I bravi capi degli Uffici producono ottimi risultati.

Come spiegare altrimenti che il sistema si muove a macchia di leopardo, determinando forti disarmonie di trattamento.

La giustizia oggi, a seconda della sede, offre risposte differenti che a legislazione invariata e a parità di risorse fornisce ottimi livelli di efficienza così come ritardi e disservizi inaccettabili.

Le differenze - come ho già riferito in Parlamento - possono essere clamorose, come in due Tribunali del Nord Italia, distanti soltanto 70 km, dove il primo raggiunge un indice di smaltimento del 148% dell’arretrato, dimezzando la pendenza dell’ultimo quinquennio, mentre il secondo, nello stesso periodo, vede esplodere il numero dei procedimenti arretrati. (E potrei continuare con decine di esempi analoghi).

Tali divergenze dipendono da deficit di tipo organizzativo e, talvolta, da una scarsa capacità manageriale e di leadership dei capi degli uffici.

Oggi la temporaneità degli incarichi direttivi e la verifica richiesta dalla legge dopo il primo quadriennio di dirigenza, offrono una prima importante opportunità al C.S.M. per una efficace selezione dei capi degli uffici, che speriamo non sia condizionata da logiche correntizie.

Ma ciò non può bastare, poiché per restituire efficienza al sistema giudiziario era ed è necessario operare scelte di forte innovazione tecnologica, amministrativa, organizzativa ed ordinamentale.

Ed in tal senso abbiamo costruito un disegno armonico di interventi da cui ci aspettiamo in tempi brevi quello che possiamo definire il progressivo livellamento verso l’alto, cioè verso i migliori, del sistema giudiziario nel suo complesso.
Operano in tal senso il Piano Nazionale di diffusione delle Best Practices (che, ormai, coinvolge un centinaio di Uffici giudiziari) ed il “modello di autoanalisi e miglioramento del servizio giustizia” c.d. Common Assessment Framework (C.A.F.), che proprio in quest’Aula ed alla presenza del Primo Presidente è stato ufficialmente presentato e consegnato il 25 novembre 2009.

Sempre con tale intento vogliamo introdurre, in sede di conversione del decreto riguardante la funzionalità del sistema giudiziario, l’obbligo di una formazione specifica per i magistrati che aspirano al conferimento degli incarichi direttivi, attraverso corsi mirati allo studio dei criteri di gestione delle organizzazioni complesse, e con l’obbligo per il magistrato dirigente di vigilare sul rispetto dei programmi per l’informatizzazione predisposti dal Ministero.

Si è poi previsto che il concerto espresso al C.S.M. dal Ministro per il conferimento degli incarichi direttivi debba essere motivato con riferimento alle capacità organizzative e che tale specifica valutazione sia estesa alla conferma delle funzioni di direzione degli uffici giudiziari, dopo il primo quadriennio.

Le nostre sono scelte di modernizzazione convinti come siamo che, partendo da presupposti di buona fede reciproca e facendo ciascuno la propria parte, il Governo e il C.S.M. insieme possono migliorare il servizio nel pieno rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.

Sempre verso il recupero dell’efficienza si muovono i due decreti legge emanati per risolvere l’annoso problema delle sedi vacanti per mancanza di domande da parte dei magistrati, a conferma dell’impegno del Governo in materia.

Non è certo questa l’occasione per soffermarsi ad illustrarne i contenuti, peraltro ben noti a chi mi ascolta, ma desidero ricordare che si tratta di una questione che affligge da sempre il sistema giudiziario e che verrà definitivamente superata con la modifica ordinamentale prevista dal Governo.

Le polemiche su questo argomento sono state talvolta poco rispettose dell’autonomia del Parlamento, unico potere legittimato a selezionare tra le possibili soluzioni normative quella ritenuta più utile al Paese.

Intendo ribadire il nostro rispetto per l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati: un recinto, quello della giurisdizione, che riteniamo sacro.

I giudici sono soggetti soltanto alla legge e la legge la fa il Parlamento, libero, democratico, sovrano, espressione del popolo italiano. Quello stesso popolo italiano in nome del quale i giudici pronunciano le loro sentenze.

Detto questo, desidero ricordare che nello stesso decreto sono contenute importanti disposizioni sulla digitalizzazione della giustizia e sul processo telematico che applica l’informatica a tutti gli atti del processo, sia civile che penale. In particolare, si rendono immediatamente applicabili le comunicazioni e le notificazioni telematiche tra uffici giudiziari e avvocati mediante posta elettronica certificata.

Sempre in materia di recupero dell’efficienza del sistema voglio ricordare che sono già confluiti nel Fondo Unico Giustizia. oltre 1.59 miliardi di euro.

Vorrei sottolineare la cifra etica della scelta del governo: i beni della mafia usati contro la mafia: i soldi della criminalità organizzata usati contro la criminalità organizzata.

Ben può dirsi, dunque, che quella del FUG - more solito accolta con grande scetticismo ai suoi esordi - è una scommessa vinta.

Desidero, inoltre, ricordare che il 16 dicembre scorso - dopo dieci anni di attesa - è stato sottoscritto un’importante accordo-stralcio contenente un nuovo schema di ordinamento professionale per il personale amministrativo che consentirà una migliore utilizzazione delle risorse umane.

Si tratta di una prima tappa per il raggiungimento dell’obiettivo dell’efficienza della macchina giudiziaria perseguito anche attraverso la valorizzazione del personale dell’Amministrazione giudiziaria, a cui, anche in questa solenne occasione, intendo rivolgere il mio sentito ringraziamento.

Ciò premesso ho l’orgoglio di ricordare in quest’aula che molte della cose annunciate lo scorso anno sono già state realizzate o sono ormai prossime all’avvio.

La riforma del processo civile è legge dello Stato e la delega conferita al Governo per la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione ha già trovato attuazione mediante l’approvazione in  Consiglio dei Ministri del relativo decreto e si attende il parere delle competenti Commissioni parlamentari per procedere alla sua approvazione definitiva.

La qualità dell’uditorio mi esime dal sottolineare la valenza strategica di tale istituto per una effettiva deflazione dei processi civili sopravvenuti.

Le cifre ci dicono con chiarezza che il sistema processuale civile  è in grado annualmente di reggere l’urto delle sopravvenienze generando soltanto un modesto deficit.

Nell’ultimo anno a fronte di una sopravvenienza di 4.800.000 procedimenti civili ne sono stati smaltiti 4.600.000.

Contiamo di assorbire questo lieve accumulo con le innovazioni legislative (mediazione e riforma del processo civile) e con le innovazioni tecnologiche e organizzative (notifiche on line, etc.).

Ma, ciò che – strutturalmente - inceppa la macchina fino al rischio della paralisi è l’arretrato.

Il vero problema è, dunque, quello di liberarci da questo insopportabile zaino di piombo che somma oggi 5.600.000 pendenze civili, accumulatesi negli ultimi decenni.

Nessuna riforma è in grado di smaltire questo spaventoso arretrato e nessuna riforma può funzionare pienamente se l’arretrato non è già smaltito.

Ecco perché siamo consapevoli di dover considerare lo stato della giustizia civile una vera e propria emergenza nazionale.

Ci vuole allora un piano ad hoc.

Un piano  straordinario di smaltimento delle pendenze.

Faccio mia, dunque, l’indicazione del Primo Presidente sull’urgenza di un intervento eccezionale sull’arretrato civile e rendo noto - come ho fatto nella relazione al Parlamento - che sono in fase avanzata di studio soluzioni innovative che verranno presentate in tempi brevi al Consiglio dei Ministri.

Il Governo ha mantenuto i suoi impegni anche in materia penale, con imponenti interventi normativi in materia di sicurezza e di contrasto alla criminalità organizzata che hanno trovato immediata e positiva applicazione.

Dalla nuova fattispecie di reato di “atti persecutori” (c.d. “stalking”), al nuovo sistema di aggravanti per delitti commessi in danno delle categorie più deboli (portatori di minorazione fisica, psichica o sensoriale, minorenni e anziani).

Nel contrasto alla criminalità di stampo mafioso, il Governo Berlusconi ha varato nei primi venti mesi il più efficace e rilevante pacchetto di norme antimafia dai tempi successivi alle stragi di Capaci e di via D’Amelio, sia con riferimento al diritto penale sostanziale, che nella specifica materia delle misure di prevenzione antimafia personali e patrimoniali.

Non meno rilevanti le innovazioni introdotte dalla legge n. 94 del 15.7.2009 al regime detentivo di cui all’art. 41 bis O.P..

Si è infatti resa ancora più impermeabile la possibilità di contatto tra il mafioso detenuto e gli associati in libertà, allo scopo di stroncare ogni possibile forma di comunicazione sia interna che esterna.

Ma l’impegno del Governo assume, ancora una volta, i caratteri della straordinarietà con riferimento agli interventi previsti in favore del sistema carcerario.

La situazione carceraria nel nostro Paese mi ha spinto, infatti, il 13 gennaio scorso a chiedere il pronunciamento da parte del Consiglio dei Ministri dello Stato di Emergenza Carcerario fino a tutto il 2010.

Il Piano Carceri che scaturirà dagli atti conseguenti alla dichiarazione di emergenza - già dotato di un finanziamento pari a 600 milioni di euro - consentirà imponenti interventi di edilizia penitenziaria, nonché l’assunzione di 2000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria.

Tanto, dunque, è stato fatto nel corso del 2009 ed il lavoro dovrà proseguire in questo 2010 che si preannuncia denso di impegni rilevanti.

E’ di ieri la presentazione nel Consiglio dei Ministri tenutosi a Reggio Calabria di un nuovo piano antimafia che prevede, tra l’altro, l’adozione di un vero e proprio codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione; la costituzione di una Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali; così come sostanziali interventi in materia di certificazione antimafia, di tracciabilità dei flussi finanziari, per prevenire le infiltrazioni criminali nel settore degli appalti pubblici; nonché la tutela assicurativa statale per gli imprenditori vittime di estorsioni che denunciano i fatti all’autorità giudiziaria.

A tale intervento che ha già preso corpo, seguiranno la riforma dell’Avvocatura e della Magistratura Onoraria, la riforma del processo penale, gli interventi in materia di tribunale della famiglia e le innovazioni del codice civile in materia di contratto di fiducia, contratto informatico e riforma degli enti giuridici.

Si tratta, come si vede, di un’azione organica che solo un Governo autorevole, forte e di legislatura, come il Governo Berlusconi, è in grado di affrontare per restituire al Paese un sistema giudiziario equilibrato ed efficiente.

Ma tutto questo è ancora insufficiente poiché appare anche necessario procedere alla riscrittura di alcune fondamentali e strategiche regole costituzionali che, ferma l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, attribuiscano al Giudice il ruolo centrale nell’esercizio della giurisdizione e garantiscano ad un separato ordine dell’accusa piena autonomia nell’esercizio dell’azione penale nonché nello svolgimento delle indagini sulle notizie di reato che ad esso pervengano.

Occorre rifondare la legittimazione della magistratura per affermare il binomio potere/responsabilità anche nell’esercizio della giurisdizione, senza intenti punitivi ma fuori da ogni logica corporativa.

Lo scorso anno avevo qui formulato il sincero auspicio di procedere ad una riforma della giustizia il più possibile condivisa, ma il dibattito politico e istituzionale non sempre si è indirizzato in tal senso.

Ma, con tutta l’ostinazione di cui sono capace, con lo stesso sentimento che caratterizza gli uomini del fare, gli uomini di buona volontà,  intendo ribadire che il Paese non merita questa resa e che noi non intendiamo acquietarci alla logica della conservazione.

Riformare la giustizia è un dovere verso i cittadini-utenti, verso il sistema economico, ma anche verso i nostri figli cui dobbiamo garantire una giustizia equilibrata, efficiente e serena.

Riformare la giustizia serve all’Italia intera e serve farlo adesso, senza indugi e senza tentennamenti.

Il Governo non intende sottrarsi a questo dovere e a questa responsabilità.

Vi ringrazio.