Relazione tecnica sulla riforma del disciplinare

aggiornamento: 14 agosto 2014

 

La normativa vigente

Le principali norme legislative vigenti nella materia disciplinare per la magistratura del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali, sono enunciate negli artt. 32, 33 e 34 della legge 27 aprile 1982 n. 186.
Le medesime norme trovano applicazione per il procedimento disciplinare per i magistrati della Corte dei conti, in virtù del richiamo operato a tali articoli della l. n.186 del 1982 dall’art.10, co.9, l.13 aprile 1988 n.117.
L’art. 32 reca un generale rinvio «per quanto non espressamente disposto dalla presente legge» alle norme previste per i magistrati ordinari «in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento».
L’art. 32 bis individua le sanzioni applicabili.
L’art. 33 dispone che:

  1. il procedimento è promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Presidente del Consiglio di Stato (per i magistrati contabili invece l’iniziativa spetta al solo Procuratore Generale della Corte dei conti in base all’art.10, co.9, l. n.117 del 1988);
  2. il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e di quella contabile, nel termine di 10 giorni dal ricevimento della richiesta di apertura di procedimento disciplinare, affidano ad una commissione, composta da tre dei suoi componenti, l'incarico di procedere agli accertamenti preliminari da svolgersi entro 30 giorni;
  3. sulla base delle risultanze emerse, il Consiglio di presidenza provvede a contestare i fatti al magistrato con invito a presentare entro 30 giorni le sue giustificazioni, a seguito delle quali, ove non ritenga di archiviare gli atti, incarica la commissione prevista dal secondo comma di procedere alla istruttoria, che deve essere conclusa entro 90 giorni con deposito dei relativi atti presso la segreteria del consiglio di presidenza. Di tali deliberazioni deve essere data immediata comunicazione all'interessato.

A norma dell’art. 34, poi, il Presidente del Consiglio di Stato (o della Corte dei conti per i magistrati contabili), trascorso comunque il termine di cui all'ultimo comma dell'articolo precedente, fissa la data della discussione dinanzi al Consiglio di presidenza con decreto da notificarsi almeno quaranta giorni prima all'interessato, il quale può prendere visione ed estrarre copia degli atti e depositare le sue difese non oltre dieci giorni prima della discussione.
Nella seduta fissata per la trattazione, il componente della commissione di cui al secondo comma dell'articolo precedente, più anziano nella qualifica, svolge la relazione. Il magistrato inquisito ha per ultimo la parola ed ha facoltà di farsi assistere da altro magistrato.
La Corte costituzionale, con sentenza 27 marzo 2009, n. 87 ha dichiarato l'illegittimità dell’art. 34 cit., nella parte in cui esclude che il magistrato amministrativo (o contabile), sottoposto a procedimento disciplinare, possa farsi assistere da un avvocato.
L’intervento della Corte è stato poi interpretato dal Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa in senso favorevole all’istanza dell’inquisito di essere assistito da un magistrato appartenente alla magistratura ordinaria.
Alle dette disposizioni sono da aggiungere gli articoli da 39 a 43 del Regolamento interno per il funzionamento del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, emanato con decreto del Presidente dello stesso in data 6 febbraio 2004 e pubblicato nella G.U., serie generale n. 36 del 18 febbraio 2004, recanti norme sostanzialmente riproduttive degli artt. 32-34 della legge n. 186 del 1982.
Per la magistratura contabile le norme disciplinari sono state dettagliate invece dal Regolamento di disciplina approvato dal Consiglio di Presidenza il 26 luglio 2000 n. 510/CP/2000 e succ.mod.
 

Profili di criticità

E’ da segnalare, in primo luogo, che il rinvio operato dal ricordato art. 32 della legge n. 186 del 1982 (e, a catena, anche per i magistrati contabili, dall’art.10, l. n.117 del 1988) alla normativa vigente per i magistrati ordinari in materia disciplinare non rende comunque applicabile ai magistrati amministrativi e contabili le norme dettate dal d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, che ha interamente riordinato la materia quanto alla magistratura ordinaria, posto che l’art. 30 del detto decreto ne esclude espressamente l’applicazione alla magistratura amministrativa e contabile. Ne consegue che, in disparte l’area delle disposizioni procedimentali ricordate sopra, per la magistratura amministrativa le norme recanti le fattispecie di illecito disciplinare e le relative sanzioni dovrebbero essere sono allo stato da individuare, in forza del detto art. 32, nelle disposizioni da 18 a 38 del r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, e nell’art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, ovvero le norme relative ai magistrati ordinari anteriori alla novella del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (non applicabile a quelli amministrativi e contabili). A tali norme andrebbero poi aggiunte, quali doverose “norme di chiusura” a fronte delle carenze sostanziali e procedurali dell’attuale regime disciplinare dei magistrati amministrativi e contabili, gli art.78-85 del d.P.R. n.3 del 1957 relativi alle condotte passibili di sanzioni per i pubblici dipendenti (non privatizzati).
A questo riguardo, peraltro, non possono essere taciuti i problemi suscitati dall’art. 13, comma 4,della legge n. 186 del 1982, secondo cui: «Ai magistrati di cui alla presente legge si applica l'articolo 5 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054. Il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale è richiesto dal consiglio di presidenza».
La norma, innanzi tutto, rende parziale e ambiguo il ricordato rinvio alle disposizioni sulla magistratura ordinaria, di cui all’art. 32, in quanto recepisce nella legge n. 186/1982, le seguenti disposizioni sancite dal menzionato art. 5: «I presidenti e i consiglieri di Stato…..3° non possono essere sospesi, se non per negligenza nell'adempimento dei loro doveri o per irregolare e censurabile condotta; 4° non possono essere rimossi dall'ufficio, se non quando abbiano ricusato di adempiere ad un dovere del proprio ufficio imposto dalle leggi o dai regolamenti; quando abbiano dato prova di abituale negligenza, ovvero, con fatti gravi, abbiano compromessa la loro reputazione personale o la dignità del collegio al quale appartengono». rendendole applicabili a tutti i magistrati amministrativi e non solo ai consiglieri di Stato, come era in origine. In secondo luogo la norma del t.u. del 1924, sebbene non menzionata nella specifica sedes materiae, incide sul procedimento di cui agli art. 33 e 34 della legge n. 186, in quanto dispone che i suddetti provvedimenti sono adottati «udito il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale e dopo deliberazione del Consiglio dei Ministri».
Ne risulta un quadro normativo confuso e disomogeneo a cui hanno cercato di sopperire, ad oggi, deliberati interni dei Consigli di Presidenza della magistratura amministrativa e contabile con regole procedurali che urtano però con la riserva di legge in materia disciplinare per i magistrati.
Va osservato poi che la norma di cui al 4° alinea dell’art. 5 del t.u. n.1054 del 1924 sopra trascritta, è affetta dalla stessa indeterminatezza della fattispecie punibile che caratterizza l’art. 18 del r.d.l. n. 511 del 1946, oggetto per decenni delle più aspre critiche per l’eccessiva discrezionalità rimessa all’organo titolare del potere disciplinare.
Ma non meno criticabile e anacronistica risulta la previsione, per i magistrati amministrativi, del parere dell’Adunanza generale del C.d.S., chiamata ad interloquire sulla rilevanza disciplinare di comportamenti la cui sanzionabilità non può che essere prerogativa esclusiva dell’organo di autogoverno, come del resto prescritto, con norma valida per tutte le magistrature, dall’art. 105 Cost. E se in epoca storica assai risalente (la originaria disposizione figura nel t.u. delle leggi sul C.d.S. del 1907), poteva aver un qualche senso garantire l’indipendenza del magistrato mediante il giudizio rimesso all’intero corpo di appartenenza, risulta oggettivamente inammissibile che quello stesso organo abbia titolo per esprimersi su una competenza contestualmente rimessa al Consiglio di presidenza, e, per di più, anche sulla responsabilità disciplinare dei giudici del primo grado, estranei all’Adunanza generale.
Ulteriore ed egualmente dirimente profilo di inadeguatezza della vigente disciplina, come emerge dagli artt. 33 e 34 della legge n. 186/1982, sopra ricordati, va individuato nella attribuzione al medesimo organo, ossia al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, delle due funzioni che, per elementari principi di civiltà giuridica, debbono rimanere separate e distinte: la formulazione dell’incolpazione e il giudizio sulla stessa. Tale problema è più attenuato per la Magistratura contabile, ove l’iniziativa spetta al Procuratore Generale presso la Corte dei Conti mentre le funzioni di contestazione dell’addebito e giudicanti spettano al Consiglio di Presidenza.
Va tenuto presente, infatti, che per la magistratura amministrativa, sebbene la promozione del procedimento disciplinare sia rimessa al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Presidente del C.d.S., è poi il Consiglio di presidenza (art. 33, comma 3) a contestare i fatti al magistrato e poi, valutate le prime giustificazioni dell’inquisito, ad apprezzarne l’attendibilità ai fini dell’archiviazione, ovvero decidere che si dia corso all’istruttoria, fino alla discussione dinanzi a sé stesso, ed alla susseguente determinazione di merito. In conclusione l’organo giudicante è privo della doverosa terzietà rispetto a quello che formula l’accusa, in violazione dei principi del giusto processo.
Né può essere equivocata la funzione della commissione di tre membri del C.P. è rimesso, per ogni singolo affare, compiere accertamenti preliminari ovvero l’istruttoria (art. 33), in quanto si tratta di compiti meramente strumentali e di proposta, finalizzati a decisioni da assumersi comunque dal Plenum.
Identiche considerazioni valgono per il cumulo di funzioni accusatorie e decidenti in capo al Consiglio di Presidenza della Corte dei conti.
Potrebbero poi enumerarsi altri aspetti negativi della procedura, in cui si riscontrano fasi inutilmente ripetitive, in assenza di adeguate garanzie di efficienza e speditezza anche sul piano dei termini; ma la natura assorbente dei vizi sopra tratteggiati esime da una più minuta trattazione.
 

La presente proposta

Il quadro sopra delineato impone di ricondurre la normativa sulla disciplina dei magistrati amministrativi all’osservanza di fondamentali canoni di chiarezza, razionalità e compatibilità costituzionale, e tali obiettivi intende perseguire la presente proposta di delega legislativa.
In primo luogo si propone di ovviare alla più vistosa lacuna del sistema vigente, attraverso la diretta estensione ai magistrati amministrativi e contabili degli illeciti e delle sanzioni disciplinari già previsti dal decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 per i magistrati ordinari, ovviamente a esclusione degli illeciti ontologicamente non configurabili in relazione alle specifiche funzioni della giustizia amministrativa e alle caratteristiche del relativo processo.
Quanto agli organi del procedimento disciplinare, si propone una delega legislativa ancorata a principi direttivi che tengono conto, anche in questo caso, delle specificità della giustizia amministrativa e contabile.
In particolare, una volta acquisita la notizia, il Consiglio di presidenza affidi l’istruttoria preliminare a una Commissione di tre propri membri, nominata ad hoc per ciascun procedimento, la quale riferisce gli esiti agli organi titolari dell’azione disciplinare.
Riguardo a questi ultimi, si attribuisce la titolarità in capo al Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato per i magistrati amministrativi (onde salvaguardare la terzietà del Presidente, il quale presiede l’organo di autogoverno) ed al Procuratore Generale della Corte dei conti per i magistrati contabili.
Per allineare la disciplina a quella prevista per i giudici ordinari (per i quali l’azione disciplinare è esercitata dal Procuratore generale della Corte di Cassazione e con un peculiare procedimento dal Ministro della giustizia), si prevede che per i magistrati amministrativi e contabili l’azione disciplinare possa essere esercitata anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con le modalità e i termini con cui la esercita il Ministro della giustizia (art. 14, comma 2, d.lgs. n. 109 del 2006, espressamente richiamato).
Gli organi titolari dell’azione disciplinare possono motivatamente decidere di esercitarla -formulando gli addebiti e dando così ulteriore impulso al procedimento- oppure di proporre (sempre con atto motivato) l’archiviazione dello stesso, con decisione finale attribuita al Plenum del Consiglio.
Una volta intervenuta la formulazione degli addebiti, si propone di affidare la decisione finale a un’apposita Sezione disciplinare costituita all’interno del Consiglio di presidenza, destinata a restare in carica per tutta la consiliatura, al fine di assicurarne la stabilità, terzietà e specifica professionalità, in analogia a quanto già oggi previsto per la magistratura ordinaria. Tale organo -nominato nella prima adunanza del Consiglio di presidenza tra i propri membri, con mandato di durata corrispondente a quella dell’intera consiliatura- assume quindi la funzione, oggi esercitata dal Plenum, di decidere sulla eventuale fondatezza dell’incolpazione e sull’applicazione della sanzione. La composizione della Sezione è fissata in cinque membri effettivi del Consiglio e la presidenza affidata al Vice presidente dello stesso, mentre gli altri componenti saranno scelti uno tra membri “laici”, uno tra i membri eletti dal C.d.S. e due membri eletti dai T.a.r. (per i magistrati contabili uno tra i membri eletti tra i consiglieri e due tra i referendari e/o primi referendari), con votazione a scrutinio segreto, a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio.
Vi sono, poi, alcune disposizioni di coordinamento:

  1. la prima ha lo scopo di adeguare l’elenco delle attribuzioni del Consiglio di presidenza sancito dall’art. 13, l. n. 186 del 1982 alla istituenda Sezione disciplinare, sottraendo la fase deliberativa del procedimento disciplinare alla competenza generale del Consiglio;
  2. la seconda, al fine di rendere più tempestivo, efficiente e credibile il sistema disciplinare della G.A., elimina dal relativo procedimento, l’onere di acquisire, nell’ottica del giudizio dei pari di cui costituisce retaggio storico, il parere dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato ove la sezione disciplinare si determini nel senso della inflizione di una misura espulsiva ovvero della sospensione dal servizio.

Si propone di abrogare l’art. 13, comma 4, della legge n. 186 del 1982, per le ragioni già illustrate, mentre si fa salvo il potere dell’organo di autogoverno, previsto dall’art. 5. t.u. Cons. St., di dispensare il magistrato amministrativo riconosciuto inidoneo allo svolgimento delle funzioni giudiziarie per infermità psico-fisica.
Il terzo comma individua il regime transitorio, relativamente ai procedimenti disciplinari in corso, sancendo l’ultrattività della disciplina attuale in relazione ai procedimenti in cui, alla data di entrata in vigore della nuova legge, siano stati contestati gli addebiti.