Proposte di interventi in materia di processo civile per la famiglia e le imprese

aggiornamento: 5 luglio 2014

Tribunale per la famiglia e per i diritti della persona 

Il dibattito circa la rilevanza giuridica della famiglia e l’assenza nel codice civile, anche solo di una definizione di famiglia, è stato suggestionato per anni dalla convinzione che il legislatore avesse volutamente rinunciato a definire alcuni istituti consapevole della natura pregiuridica degli stessi, in quanto sorti prima che il diritto li isolasse da altri concetti affini, e della conseguente impossibilità di dominarli, ma al più di regolamentarne solo certi aspetti.

Suggestiva a tal riguardo è la immagine di Jemolo della famiglia “come un’isola che il mare del diritto può solo lambire”.
E, tuttavia, la realtà ha dimostrato che il legislatore ha inciso profondamente sulla famiglia modificandone la struttura e la funzione rispetto all’originario modello codicistico. Basti solo pensare all’introduzione del divorzio che ha definitivamente chiuso ogni possibilità di concepire la famiglia in chiave istituzionale, quale organismo cioè portatore di interessi di natura superindividuale. Da quel momento importanti normative di settore sono state introdotte per governare lo svilupparsi di esperienze familiari alternative al matrimonio, da ultimo con la riforma della filiazione, iniziata con la l. n.219/2012 e completata con il d.lgs. n.154/2013.

E’ nota a tutti la frammentazione delle competenze in materia di famiglia e minori distribuite tra giudice ordinario, giudice minorile e giudice tutelare. Tale frammentazione è nella verifica quotidiana foriera di incertezze e contrasti interpretativi se possibile ancora più gravi in considerazione della delicatezza degli interessi giuridici coinvolti.

La legge n. 219/2012 ha indubbiamente rappresentato una vera rivoluzione nei procedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio.
In relazione a questi ultimi, dal punto di vista processuale, il sistema originario del 1942 era organizzato secondo un fondamentale riparto delle competenze: i provvedimenti in materia di affidamento erano riservati al tribunale per i minorenni, in virtù del richiamo all’art. 317-bis c.c. contenuto nell’art. 38, comma 1, disp. att. c.c., mentre il contenzioso di natura economica rimaneva di competenza del tribunale ordinario, non essendo stata la norma di riferimento - l’art. 148 c.c.- richiamata dall’art. 38, comma 1, disp. att. c.c.

Tale sistema dualistico, sebbene sin dalle sue prime applicazioni sia stato oggetto di aspre critiche per la evidente frammentazione delle tutele, è stato confermato dalla Consulta come scelta di politica del diritto non contrastante con i principi e le garanzie costituzionali (Corte cost. 30 luglio 1980, n. 135).

L’entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso aveva fatto sperare nel superamento della divisione delle competenze con un procedimento finalmente unitario anche per i figli nati da coppie non sposate. L’interpretazione della norma ha, però, dato adito a notevoli contrasti circa l’individuazione dell’organo giudiziario da considerarsi competente, ritenendo, una parte degli interpreti, che le nuove norme avessero operato il trasferimento di tutti i procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio in capo al giudice ordinario; altra parte aveva invece ritenuto immutata la competenza del tribunale minorile sull’affidamento, estendendovi anche le decisioni in ordine ai profili economici.

Il contrasto tra le due tesi ha dato origine in sede applicativa a un regolamento necessario di competenza, deciso dalla Cassazione con la nota ordinanza 3 aprile 2007, n. 8362, successivamente più volte ribadita. La concentrazione delle tutele per i figli nati fuori dal matrimonio in capo al giudice minorile, sebbene abbia riportato ad unità la prassi dei diversi tribunali, ha lasciato aperto il varco a critiche che, nella duplicità di competenze, continuano a vedere un’iniqua disparità di trattamento tra figli nati all’interno ovvero fuori del matrimonio.

La Corte di Cassazione torna sul tema tanto discusso, a seguito di regolamento di competenza, con ordinanza n. 20354 del 5 ottobre 2011 contestando l’errato presupposto di considerare la competenza all’adozione di provvedimenti opportuni in caso di situazioni pregiudizievoli per i minori esclusivamente attribuita al Tribunale specializzato, quindi precludendosi tale possibilità al giudice ordinario. Con la pronuncia citata la Corte ha statuito l’incompetenza funzionale del Tribunale per i minorenni ad adottare provvedimenti circa l’interesse del minore ed il suo affidamento quando sia pendente un procedimento di separazione o di altro tipo, previsto dalla legge del 1970.

Negli anni, dunque, in riferimento alle controversie riguardanti minori in pendenza di separazione o divorzio, la Corte è partita da una necessità di assicurare la materia minorile esclusivamente al giudice specializzato, considerando inscindibile la questione dell’ esercizio della responsabilità da quella dell’affidamento ed è passata a considerare la competenza attribuita al Tribunale per i Minorenni nei soli casi in cui, come causa della revisione delle condizioni di affidamento, si chieda un intervento limitativo o ablativo della responsabilità ex artt. 330 e 333 c.c.

La l. 219 del 2012 ha compiuto un ulteriore passaggio significativo sulla questione, formalizzando il concetto esaminato prevedendo un riordino della ripartizione delle competenze.
L’attribuzione delle competenze, tuttavia, continua a fondarsi sull’art. 38 disp. att. c.c., il quale individua una serie di provvedimenti riservati al giudice minorile (attraverso un’elencazione per la quale si fatica a individuare quale sia la comune ratio), mentre la competenza del tribunale ordinario è individuata de residuo.

L’art. 38 att. c.p.c. il quale dalla sua formulazione è stato innumerevoli volte alla base di conflitti positivi e negativi di competenza, è norma chiaramente nata a fini ordinamentali, sicuramente inidonea ad apprestare una adeguata normativa processuale nella materia che disciplina.

Sotto il profilo processuale sono, infatti, già emersi numerosi problemi interpretativi sulla legge in materia di filiazione.
In ossequio alla ratio della legge che ha voluto l’unificazione dello status di figlio a prescindere che lo stesso sia nato o meno all’interno del matrimonio, la competenza per i procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio è passata al tribunale ordinario, in quanto nell’art. 38 disp. att. c.c. è stato espunto – tra i procedimenti riservati alla competenza del giudice minorile – ogni riferimento agli artt. 316 e 317-bis c.c. (quest’ultima norma aveva originariamente ad oggetto l’esercizio della responsabilità dei genitori. Il d.lgs. n. 154 del 2013, ha totalmente mutato l’oggetto dell’art. 317-bis c.c., che oggi regolamenta i “Rapporti con gli ascendenti”, ed ha attribuito la competenza al Tribunale dei Minorenni. La norma come riformulata è stata già tacciata di illegittimità costituzionale dal Tribunale del Minorenni di Bologna con ordinanza 2 - 5 maggio 2014 proprio con riferimento al profilo della competenza).

La norma nulla dice sulla competenza per territorio, lasciando all’interprete due possibilità: l’applicazione del foro generale di residenza del genitore convenuto (ai sensi dell’art. 18 c.p.c.), ovvero l’applicazione del foro di residenza effettiva e abituale del minore (secondo le indicazioni provenienti dall’art. 8 Reg.to CE 2201/2003).

La legge prevede inoltre che il tribunale ordinario abbia altresì il potere di emanare i provvedimenti di cui all’art. 333 c.c. (cioè provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale in caso di condotte pregiudizievoli per il minore) quando sia in corso “giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile”. (Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316, del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario).

Sebbene la ratio della norma sia evidente – realizzare, nelle ipotesi in cui sia in corso un giudizio comunque volto a statuire sull’affidamento del figlio, la concentrazione delle tutele attribuendo al giudice competente il potere di emanare ogni provvedimento nell’interesse del minore – non altrettanto felice è la formulazione della disciplina processuale.

La norma facendo riferimento a tutta la durata del processo non permette di individuare con certezza se tale dizione coincida con la sola pendenza del processo in primo grado o si estenda anche al giudizio concluso ma ancora in termini per impugnare, alla litispendenza attenuata, al giudizio pendente in appello, al procedimento di modifica o di revisione in corso.
La norma richiede inoltre la identità soggettiva: stesse parti.

L’attrazione della competenza dei provvedimenti de potestate si verifica, infatti, unicamente quando i procedimenti siano pendenti tra le stesse parti.
Ciò sembrerebbe escludere le ipotesi in cui la richiesta di provvedimenti de potestate sia fatta valere dai soggetti legittimati a tal fine dall’art. 336 c.c. Si pensi all’ipotesi del procedimento instaurato avanti al giudice minorile dal pubblico ministero, organo dotato ai sensi dell’art. 336 c.c. di legittimazione ad agire o dai nonni del minore.

Ma l’aspetto che maggiormente solleva dubbi interpretativi è la avvenuta attrazione della competenza al Giudice ordinario anche dei provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale (ex art. 330 c.p.c) o se questi siano comunque riservati alla competenza del Tribunale dei Minori e ciò nonostante la dizione letterale della norma.

I principi che hanno ispirato la vis attrattiva al giudice ordinario delle competenze in materie di figli nati fuori dal matrimonio - economia processuale, concentrazione e effettività della tutela - impone che l’insieme delle statuizioni che l’autorità giudiziaria è chiamata ad assumere relativamente a uno stesso minore sia coerente ed uniforme. Ed impone che gli strumenti processuali siano idonei a fornire tale tutela delle medesime forme e garanzie.

La norma introdotta dal nuovo art. 38 att. c. c. si è, tuttavia, limitata a un generale richiamo agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, lasciando all’interprete di costruire in concreto il rito da applicare, ed in particolare di come gestire l’istruttoria, sulla base di una incongruenza di fondo: l’esistenza di un modello processuale diverso rispetto alle analoghe situazioni relative a figli di genitori coniugati la cui tutela giudiziale è affidata a un rito (quello della separazione e del divorzio) certamente dotato di maggiori garanzie formali e sulla giustificabilità di tale trattamento differenziato.
Rimane inoltre come un ulteriore nodo irrisolto, l’individuazione di un giudice unitariamente competente anche per l’esecuzione forzata.

L’evoluzione e le criticità descritte evidenziano la progressiva erosione delle competenze del Tribunale dei Minorenni, attribuite al Giudice ordinario, e la necessità di istituire nuovi organi dotati di specifica preparazione e competenza, che possano applicare, per tutti i procedimenti in materia di famiglie e minori, un rito effettivamente adeguato e dotato delle necessarie garanzie dei diritti da tutelare.
Le grandi trasformazioni degli ultimi anni che hanno riguardato l’intera società e il complesso delle famiglie italiane così come l’affermazione sempre più ampia dei diritti fondamentali dei minori attraverso le convenzioni e i trattati internazionali e l’evoluzione della giurisprudenza in materia, hanno reso urgente rivedere il sistema di protezione giudiziaria del minore e di superare la frammentarietà delle competenze tra i vari uffici giudiziari che si occupano di minori e di famiglia, a favore di un organo effettivamente specializzato e con competenza esclusiva in materia.

Occorre quindi procedere ad una definitiva unificazione delle competenze in materia di famiglia, di minori, adozioni, separazioni separazione e divorzi in un'unica struttura organizzativa (Tribunale per famiglia e per i diritti della persona), nella quale far confluire anche le professionalità che si sono formate nell’esperienza del Tribunale dei Minorenni, una risorsa da non disperdere ma da valorizzare.
Quello che oggi è frammentato tra Tribunale dei minorenni, giudice ordinario e giudice tutelare verrebbe così unificato con innumerevoli vantaggi: eviterebbe inutili duplicazioni di giudizi e rischi di contrasti interpretativi, permetterebbe una migliore razionalizzazione delle risorse, creerebbe una specifica competenza in materia di diritto di famiglia, renderebbe un servizio di modernità al cittadino (giacché è pesantissima la valutazione delle associazioni di cittadini coinvolti in procedimenti di giustizia in ambito familiare).

il Tribunale della famiglia e per i diritti della persona sarebbe anche la struttura più idonea ad accogliere e trattare i procedimenti relativi alla protezione internazionale di soggetti in fuga dalla terra d’origine perché perseguitati o bisognosi di protezione politico-umanitaria. Tale specifica categoria di soggetti è destinataria di un sistema di tutela giuridica multilivello, che si articola in quella costituzionale, quella internazionale e quella dell’Unione europea, in virtù della molteplicità degli ordinamenti interessati e della mole ormai assunta dal fenomeno. Questo contenzioso estremamente complesso anche con riferimento alle sopravvenienze da gestire, sul piano procedurale è disciplinato dal d.lgs. n. 25/2008 che regola unitariamente le procedure relative a tutte le forme di protezione.

Il sistema, in linea del tutto generale, è bifasico e si articola in una prima fase, di natura amministrativa, che si svolge innanzi alle Commissioni territoriali, e in una seconda fase che si svolge, ai sensi dell’art. 35, innanzi al giudice ordinario.

Il procedimento innanzi al G.O., dapprima camerale, è oggi, in virtù del decreto legislativo n. 150/2011, quello sommario di cognizione ordinaria ex art. 702 bis e ss., caratterizzato da un’istruzione deformalizzata che si conclude con un’ordinanza impugnabile innanzi alla Corte d’appello. Il processo pone dei problemi non indifferenti sia in considerazione della imprevedibilità dei flussi migratori, sia del regime relativo all’onere della prova in ordine ai presupposti legittimanti i diversi status e sia in ordine alla urgenza del provvedere.

Tali procedimenti, che richiedono delle competenze specialistiche, con riferimento alla cd “intervista” al richiedente asilo e alla conoscenza delle criticità dei paesi di origine del richiedente e che coinvolgono anche la credibilità dello Stato nei confronti della comunità internazionale, è attualmente gestito all’interno delle varie sezioni civile del Tribunale secondo le scelte organizzative del dirigenti; in considerazione della tutela da apprestare, attinente a diritti personalissimi e fondamentali dell’essere umano e degli interessi in gioco potrebbero trovare nel Tribunale della famiglia e dei diritti delle persone la loro più adeguata collocazione.

Quanto all’ambito territoriale, il Tribunale per la famiglia e per i diritti delle persone manterrebbe le sue articolazioni periferiche all’interno dei vari tribunali del distretto, in cui la competenza si radicherebbe secondo le norme vigenti con riferimento ai provvedimenti del Giudice tutelare, ai provvedimenti in materia di separazione e divorzio e sui minori e concentrerebbe nella sola sede distrettuale le materie relative alle adozioni, ai minori stranieri non accompagnati e ai richiedenti protezione internazionale.

Tribunale delle imprese

Il Decreto Legge n. 1/2012, convertito con Legge n. 27/2012, ha introdotto nel nostro sistema giudiziario le Sezioni Specializzate in materia di Impresa, comunemente dette Tribunali delle Imprese.
Le “vecchie” Sezioni specializzate erano in numero di dodici in tutto il territorio nazionale; le “nuove” Sezioni specializzate in materia di Impresa, invece, sono in numero di ventuno e disegnano una competenza “per territorio” concentrata, tendenzialmente, su base regionale.

Dal punto di vista della geografia giudiziaria, la soluzione adottata dal Legislatore sembra aver realizzato un giusto compromesso tra l’esigenza di concentrare in pochi uffici giudiziari le controversie “con elevato grado di tecnicismo ed elevata rilevanza economica” (così la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 168/2003) e che, quindi, richiedono conoscenze particolari, non soltanto di natura giuridica, l’esigenza di una più rapida ed efficace definizione di tale tipo di procedimenti, e l’esigenza di avere una sufficientemente diffusa presenza del giudice naturale sul territorio per rendere più facilmente accessibile il servizio giustizia.

Tale soluzione va mantenuta, perché non disattende nella sostanza quanto voluto dall’Unione Europea, che aveva richiesto agli Stati membri di designare un numero possibilmente ridotto di tribunali competenti per la trattazione di materie quali la tutela del marchio comunitario, dei disegni e dei modelli comunitari (art. 91 Reg. n. 40/94/CE), proprio per le ragioni che abbiamo prima ricordato: specializzazione dei giudici, qualità e rapidità delle loro decisioni, che possono avere rilevanti conseguenze economiche sulle imprese coinvolte nel contenzioso.

Occorre rimanere nell’ottica della tante volte auspicata razionalizzazione del sistema giudiziario italiano, nella quale si è mosso il Legislatore con i Decreti Legislativi n. 155/2012 e n. 156/2012, volti alla riduzione del numero dei Tribunali e delle Procure della Repubblica, sopprimendo alcuni uffici giudiziari che avevano carichi di lavoro modesti, che non giustificavano il loro mantenimento in vita e quindi le esigenze di rispetto dei parametri di spending review imposte dall’inserimento nella Costituzione italiana dell’obbligo di pareggio di bilancio (art. 81 Cost.).

Altra scelta fortemente innovativa operata dal Legislatore con l’istituzione del Tribunale delle Imprese riguarda la competenza “per materia” delle “nuove” Sezioni Specializzate in materia di Impresa, che si fonda essenzialmente su pochi gruppi di materie: la proprietà industriale ed intellettuale, la concorrenza, la materia societaria e gli appalti pubblici di rilevanza comunitaria.
Sono, infatti, devolute alla competenza delle Sezioni Specializzate in materia di Impresa:

  • le controversie in materia di proprietà industriale (marchi e brevetti d’invenzione) e di concorrenza sleale c.d. interferente;
  • le controversie in materia di diritto d’autore (creazione e sfruttamento delle opere dell’ingegno, ad esempio, film, opere teatrali, opere letterarie, musica, canzoni, fotografie artistiche);
  • le controversie relative alla violazione della normativa antitrust nazionale (art. 33, secondo comma, Legge 10 ottobre 1990 n. 287), che tutela la concorrenza ed il mercato, e sanziona le intese, l’abuso di posizione dominante e le operazioni di concentrazione tra imprese, quando determinano un’alterazione del funzionamento del mercato che nuoce all’economia ed agli interessi dei consumatori (costretti, ad esempio, ad acquistare beni o servizi a prezzi superiori);
  • le controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione europea (artt. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea; si tratta delle violazioni che interessano l’intero territorio della Comunità Europea e non il territorio del singolo Stato membro);
  • le controversie relative a contratti pubblici di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una società di capitali, laddove sussista la giurisdizione del giudice ordinario (si tratta di appalti di lavori, fornitura di beni e servizi di rilevante valore economico).

La materia “societaria”, per tale intendendosi non solo le “cause” ma anche i “procedimenti” e quindi tutta l’area dei procedimenti di volontaria giurisdizione non indicati nell’originaria formulazione del decreto legge, relativa alle società per azioni, alle società in accomandita per azioni, ma anche alle società a responsabilità limitata, alle società cooperative ed alle società europee (art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 come modificato dalla legge 24 marzo 2012, n. 27).

Restano, invece, escluse dalla competenza delle Sezioni Specializzate (a meno che non vi sia "attrazione" ai sensi dell'art. 2 comma 2 D.Lgs. n. 2003/168 come modificato dalla Legge n. 27/2012), le controversie relative alle società di persone, salvo il caso che queste “esercitino o siano sottoposte a direzione e coordinamento” di - o da parte di - società di capitali e cooperative.

La scelta dell’attribuzione di competenze non per blocchi di materie omogenei e tendenzialmente completi è stata criticata da molti commentatori perché, per alcuni aspetti appare incoerente, e perché ritenuta foriera di molteplici questioni relative all’esatta individuazione del giudice competente, questioni che certamente non favoriscono la celerità dell’intervento giudiziario.
Vanno individuati i possibili interventi modificativi ed integrativi, per eliminare o quantomeno ridurre le criticità riscontrabili e riscontrate nella concreta applicazione delle nuove disposizioni normative, implementando, ove necessario, il testo normativo vigente, dando maggiore organicità alla competenza per materia delle Sezioni specializzate, anche per meglio definire il ruolo del Tribunale delle Imprese nel sistema della giustizia civile italiana.

In buona sostanza, si tratta di “consolidare” i positivi risultati raggiunti, dapprima, con il Decreto Legislativo n. 168/2003, che ha istituito, presso i Tribunali e le Corti d’Appello, le Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale – la cui competenza, ai sensi dell’art. 134 del Decreto Legislativo n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale), era limitata alle controversie in materia di proprietà industriale (marchi e brevetti) e di diritto d’autore, nonché in materia di concorrenza sleale, nei casi di atti di concorrenza sleale interferenti con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale – e poi con il Decreto Legge n. 1/2012, convertito con Legge n. 27/2012, che ha introdotto nel nostro sistema le Sezioni Specializzate in materia di Impresa.

E’ da escludere qualsiasi ampliamento delle competenze che possa comportare il rischio di despecializzazione dei giudici delle Sezioni Specializzate, rischio al quale hanno fatto riferimento quanti già hanno espresso critiche all’ampliamento di competenza operato dal Legislatore rispetto alle “vecchie” Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale.
Va escluso, altresì, qualsiasi intervento che possa far apparire la competenza del Tribunale delle Imprese come una “giurisdizione” costruita su base puramente soggettiva, in quanto tale, discriminatoria rispetto alle istanze di giustizia provenienti dai comuni cittadini.

Del tutto impraticabile appare, quindi, una generalizzata devoluzione ai Tribunali delle Imprese di tutte le cause in cui, una delle parti, sia una società.

Quello che deve contare, nel disegno della competenza delle Sezioni specializzate, è la natura del rapporto dedotto in giudizio e quindi l’elevato tasso tecnico delle relative controversie, e la potenziale rilevanza delle questioni per l’economia del Paese, caratteristiche senz’altro riscontrabili nei rapporti che attengono alla proprietà industriale, nei rapporti che attengono alla proprietà intellettuale, in quelli che attengono alla concorrenza, anche per i riflessi che possono produrre le distorsioni del mercato sugli interessi dei consumatori (costretti, per fare un esempio, ad acquistare beni o servizi a prezzi superiori), nei rapporti che attengono alle regole interne di funzionamento delle società, che sono le protagoniste delle dinamiche del mercato, stante il ruolo ormai marginale dell’impresa individuale, con esclusione della troppo ampia messe dei rapporti tra società e terzi, esclusione ampiamente condivisibile per le ragioni innanzi esposte.

Invece si possono e si devono affrontare singole questioni, per così dire tecniche, poste dal testo normativo vigente.
Rientrano nella competenza per materia delle Sezioni Specializzate in materia di Impresa, le fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale e, con qualche sforzo interpretativo, si possono far rientrare anche quelle interferenti con la proprietà intellettuale, materia che, per inciso, trova ancora la sua fondamentale disciplina nella Legge n. 633/1941.
Si propone di devolvere alle neocostituite Sezioni Specializzate, tutte le controversie in materia di concorrenza sleale (“pura” e “non pura”) e dunque anche quelle che non interferiscono, neppure indirettamente, con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale (cfr. art. 134, comma 1, C.P.I.) e quelle concernenti la pubblicità ingannevole e comparativa di cui al D.lgs. n. 145/2007 (art. 8) nella quali è preminente il profilo della tutela delle imprese.

Il legislatore delegato coglierà l’occasione per risolvere i dubbi interpretativi sorti in ordine alla portata della devoluzione alle Sezioni Specializzate delle cause connesse, essendosi largamente discusso sul significato da dare all’espressione “materie che presentano ragioni di connessione, anche impropria, con quelle di competenza delle sezioni specializzate”, contenuta nell’art. 134, comma 1, C.P.I., e sul paventato rischio che la forza attrattiva della competenza per materia incrementi il carico di contenzioso, con ricadute negative sulle finalità acceleratorie della riforma (preoccupazione, francamente, eccessiva).

Per quanto concerne la materia Antitrust, la devoluzione alle Sezioni Specializzate delle controversie relative alla violazione della normativa antitrust sia nazionale, che dell’Unione europea, attuata con la Legge n. 27/2012, soddisfa l’esigenza di riordino della materia, in precedenza divisa tra la competenza in unico grado della Corte di Appello (quella nazionale), la competenza del Tribunale e del Giudice di Pace, a seconda del valore della controversia, con doppio grado di giurisdizione (quella europea).

Contro i provvedimenti amministrativi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica, può essere proposto ricorso giudiziario, per il quale è competente esclusivamente il Tar Lazio, mentre per le azioni di nullità e di risarcimento danni, ivi comprese quelle promosse dai consumatori danneggiati dall’illecito anticoncorrenziale, nonché per i ricorsi diretti all’adozione di provvedimenti d’urgenza, sono competenti i Tribunali delle Imprese.

L’interesse dell’Unione europea sul private enforcement è sottolineato dalla proposta di direttiva 2013/0185 dell’11-6-2013, sul risarcimento del danno a seguito delle violazioni antitrust, e dei suoi effetti di “deterrenza”, esigenze delle quali è pure opportuno tenere conto.

Vengono rimesse alla competenza delle sezioni specializzate le azioni di classe ex art. 140-bis del Codice del Consumo per le violazioni delle norme antitrust nazionali ed europee, a tutela di consumatori ed utenti, per il pregiudizio derivante da pratiche scorrette o comportamenti anticoncorrenziali, che restano devolute al Tribunale ordinario del capoluogo della Regione, salvo alcuni accorpamenti, in cui ha sede l’impresa (comma 4).

Tale competenza, in sede di conversione del D.L. n. 1/201, è stata espunta dalle materie da attribuire alle neocostituite Sezioni Specializzate.
Non appare del resto corretta la contrapposizione tra interessi delle imprese ed interessi dei consumatori, rispetto a vicende che possono riguardare pratiche commerciali scorrette o condotte anticompetitive, confusorie o ingannevoli nell’uso dei marchi, atteso che le relative tutele ben possono trovare collocazione in interventi legislativi finalizzati a promuovere le condizioni di virtuoso sviluppo delle attività delle imprese ed il corretto funzionamento del mercato: “La legge antitrust non è la legge degli imprenditori ma è le legge dei soggetti del mercato”.

In ordine alla competenza delle Sezioni Specializzate in materia di Impresa, nella materia societaria, il richiamo ai soli “patti parasociali, anche diversi da quelli di cui all’art. 2341 bis del codice civile”, e non anche agli “accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti dell’accordo”, di cui all’art. 2341-bis, ultimo comma, c.c., deve essere oggetto di rimeditazione, in ragione dei possibili profili anticoncorrenziali di tale tipo di pattuizioni.

Va disposta la riunificazione, davanti al medesimo giudice, delle controversie in materia di società di persone, visto che sono state ricomprese – alla fine – anche quelle relative alle società a responsabilità limitata, inizialmente escluse, sul rilievo che le società per azioni italiane sono in numero piuttosto limitato e che la scelta tra l’uno e l’altro modello tipologico non è dovuta soltanto alle dimensioni, più o meno grandi, dell’attività economica da espletare.

Un capitolo a sé merita la previsione della competenza per le controversie in materia di appalti pubblici di rilevanza comunitaria, allorché stipulati da una delle società rientranti nelle tipologie previste dal medesimo art. 3 D.Lgs. n. 168/2003, modificato dall’art. 2 Legge n. 27/2012, e fermo restando il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario; materia che all’evidenza esula da quella concernente i rapporti endosocietari ed è assai lontana da quella industrialistica, il che ha determinato le aspre critiche di quanti paventano un rischio di despecializzazione dei giudici delle neocostituite Sezioni Specializzate.

La scelta operata dal legislatore cadeva in un periodo nel quale era stato introdotto un divieto di arbitrato, che poi è venuto meno (art. 3, commi 19 e 20 Legge n. 224/2007), ed oggi l’art. 241 del Codice dei contratti pubblici apre alla possibilità di una risoluzione alternativa delle controversie (c.d. A.D.R.) in materia di appalti pubblici, disposizione in linea con le più recenti iniziative politiche dell’Unione europea (cfr. le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15/16-10-1999, il Libro Verde della Commissione CE relativo ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale del 19-4-2002, la direttiva 2008/52/CE sulla mediazione in materia civile e commerciale).

Ultima annotazione, di natura processuale, circa il “rito” applicabile alle controversie trattate dalle Sezioni Specializzate in materia di Impresa, considerato che le “vecchie sezioni” prevedevano espressamente la riserva di collegialità per tutte le cause.

La riserva di collegialità è un’importante caratteristica del Tribunale delle Imprese, perché con il Decreto Legislativo n. 51/1998, modificando il Codice di Procedura Civile, il Legislatore ha stabilito che i Tribunali, che costituiscono i giudici di primo grado, decidono, salvo che in alcune materie particolarmente delicate (art. 50-bis c.p.c.), in composizione monocratica, sicché si può dire che il sistema giudiziario italiano oggi si basa sulla figura del Giudice Unico (prima della riforma del 1998, il Pretore era già una apprezzata figura di Giudice Unico).

Ciò detto, il processo destinato a risolvere i conflitti in tema di proprietà industriale, cioè la violazione dei diritti di privativa (contraffazione e usurpazione) ovvero la contestazione della validità dei titoli dai quali i diritti discendono (nullità e decadenza), è oggi il giudizio civile a rito ordinario, e non più il c.d. rito societario (D.Lgs. n. 5/2003), che l’art. 134 del Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. n. 30/2005), nella sua precedente versione, aveva esteso alle controversie trattata dalle sezioni specializzate, in quanto la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170/2007, ha giudicato costituzionalmente illegittima tale estensione delle regole del processo societario, rilevando che l’art. 134, il quale appunto quelle regole richiamava, fosse andato oltre i limiti della delega concessa al Governo.

Di conseguenza, il rito ordinario regola tutte le controversie di diritto industriale, e della proprietà intellettuale, così come tutte le altre controversie devolute alla competenza delle Sezioni Specializzate in materia di Impresa, ivi compresa la fase cautelare, quest’ultima, attraverso il procedimento cautelare uniforme, che ha dato indiscutibili risultati in termini di rapidità ed efficacia (artt. 669-bis ss.gg. c.p.c.).
Ne discende, che la soluzione delle criticità che riguardano l’ordinario giudizio di cognizione, non potranno che avere un effetto benefico anche sul processo che si svolge dinanzi alle Sezioni Specializzate in materia di Impresa.