Schema di D.Lgs. - Disciplina dell'impresa sociale, a norma della L. 118/2005 - Relazione

Schema di decreto legislativo recante: "Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118"

Articolato

La legge 13 giugno 2005, n. 118, si è proposta di temperare la rigida dicotomia, attualmente prevista dal codice civile, fra gli enti di cui al libro I e quelli del libro V a riguardo della possibilità di esercitare attività commerciali in forma imprenditoriale. In particolare, com'è noto, l'articolo 2249 c.c. individua un numerus clausus di forme societarie per l'esercizio di un'attività commerciale, rinviando tassativamente ai tipi regolati nei Capi III e seguenti del Titolo V. In realtà, nel corso degli anni, alcune disposizioni, in particolare di natura fiscale, hanno consentito anche ad associazioni e fondazioni l'esercizio di attività commerciali, sia pure entro precisi limiti quanto ai destinatari e quanto al volume delle attività in relazione a quelle complessive del soggetto. Ci si riferisce, in particolare, alle nozioni di marginalità delle attività economiche, richiesta per le organizzazioni di volontariato dalla legge 11 agosto 1991, n. 266, o a quelle di occasionalità, complementarità, svantaggio, diretta connessione, richieste invece per gli enti non commerciali e le ONLUS dal d. lgs.4 dicembre 1997, n. 460.
È peraltro noto che il terzo settore - che ha trovato rinnovato impulso anche grazie alla organica inserzione di esso nella società per la realizzazione di interessi generali esplicitata dal principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'articolo 118 della Costituzione - abbia assunto nel tempo una rilevanza, anche quantitativa, particolarmente imponente: i beni e i servizi da esso prodotti e scambiati sono connotati da forte innovatività, alto livello qualitativo, fluidità delle forme gestionali; d'altra parte, le forme organizzative si sono evolute in favore di strutturazioni complesse, per l'appunto imprenditoriali. La legge delega 13 giugno 2005, n. 118, si inserisce, perciò, in un ampio dibattito sul rafforzamento degli strumenti operativi attraverso i quali operano gli enti e i soggetti del terzo settore.
Ancora, la massiccia presenza del terzo settore in ambiti delicati quali quelli dei servizi alla persona (come l'assistenza sociale e sanitaria, l'educazione nella sua declinazione di istruzione e formazione, la tutela dell'ambiente e del patrimonio, etc.) impone l'adozione di una normativa che possa tutelare anche i destinatari delle attività ed i creditori, attraverso l'obbligo di procedure organizzative e gestionali, e, più in generale, di comportamenti propri degli imprenditori commerciali.
Infine, l'impresa sociale, per come emerge anche nella letteratura che del fenomeno si è occupata, sembra essere il locus naturale per l'affermazione di comportamenti socialmente responsabili, che si declinano, ad esempio, in una particolare cura che l'imprenditore - datore di lavoro deve assumere nei confronti dei lavoratori dell'impresa, dei destinatari dei beni e dei fruitori dei servizi, della società in generale; in tal senso, in attuazione di precisi principi e criteri direttivi della legge delega, nel decreto sono stati individuati la redazione di un bilancio sociale, la corresponsione di trattamenti economici e normativi non inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, la previsione di forme di partecipazione dei lavoratori e dei destinatari (i c.d. multistakeholders).

Il provvedimento è stato deliberato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri in data 2 dicembre 2005.
Il 9 febbraio 2006 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ha espresso parere negativo.
In data 15 febbraio 2006 le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno reso i loro pareri, le cui condizioni e osservazioni sono state recepite. Peraltro, per quanto riguarda la richiesta di aggiungere all'articolo 17 il comma 1-bis, si fa presente che la disposizione non è stata inserita, dal momento che il principio di delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), numero 5), della legge n. 118 del 2005 (obbligo di devoluzione del patrimonio residuo, in caso di cessazione dell'impresa, ad altra impresa sociale ovvero ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni e comitati) trova già una sua declinazione nel comma 3 dell'articolo 13 del decreto delegato. Si ritiene, dunque, non necessario integrare l'articolato perché lo stesso risulti coerente con la delega legislativa. Sotto altro profilo, l'applicabilità della disposizione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 460 del 1997, quando peraltro beneficiaria della devoluzione sia una impresa sociale dotata altresì dei connotati propri delle Onlus, discende in modo piano, in virtù di effetto interpretativo, già dal tenore del comma 1 dell'articolo 17 del decreto delegato, il quale stabilisce che una impresa sociale, dotata altresì dei requisiti propri delle Onlus, possa avvalersi dell'intero impianto normativo proprio di queste ultime, e, quindi, anche della regola del conseguimento, per devoluzione, del patrimonio di una Onlus, in caso di cessazione di attività.

In data 16 febbraio 2006 la V Commissione Bilancio della Camera dei deputati ha formulato un rilievo alla II Commissione, recepito con l'inserimento dell'articolo 18.

Si esaminano ora nello specifico le disposizioni contenute nel decreto.

Articolo 1. La nozione di impresa sociale è stata ripresa testualmente dalla legge delega, rimarcando la volontarietà dell'accesso alla disciplina del decreto. In aderenza ad alcune indicazioni della legge delega, si è ritenuto di optare per la qualificazione di impresa sociale quale una nozione, piuttosto che come un tipo. Sono stati fatti rientrare nella caratterizzazione della fattispecie i requisiti fissati dagli articoli 2, 3 e 4, che riguardano gli ambiti di operatività dell'impresa, il requisito della non lucratività, ed i vincoli alla struttura proprietaria. È stato esplicitato al comma 2 che le amministrazioni pubbliche e le organizzazione che limitano le attività in favore dei soli soci associati sono escluse dal novero della impresa sociale. Il comma 3, in recezione di una specifica indicazione della delega, individua una disciplina ad hoc per gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese. Lo strumento del regolamento - non ignoto al nostro ordinamento, che già ne ha fatto uso nel d. lgs. n. 460 del 1997 - è quello più adatto per salvaguardare le specificità proprie di questo tipo di enti: con esso, infatti, sono individuate le attività qualificate come impresa sociale, all'interno di quelle più ampie perseguite dagli enti, e l'insieme delle risorse organizzative e umane ad esse destinate.
Come chiesto dalle competenti Commissioni parlamentari, al comma 1 è stato precisato che possono acquisire la qualifica di impresa sociale anche gli enti di cui al libero V del codice civile.

Articolo 2. L'individuazione delle materie di particolare rilievo sociale è stata condotta alla luce di un'indagine sui settori all'interno dei quali è più consistente la presenza di operatori del terzo settore. In riferimento al settore dell'inserimento lavorativo, già menzionato nella legge 8 novembre 1991, n. 381, il riferimento ai soggetti beneficiari è stato aggiornato alla luce della normativa comunitaria in materia di aiuti di stato all'occupazione. Sono stati, infine, fissati dei parametrici numerico-quantitativi per la determinazione della nozione di attività principale.

Articolo 3. La nozione di non lucratività è stata definita in positivo, secondo le indicazioni della più accorta dottrina sul punto. Sono state indicate alcune operazioni ritenute vietate, con presunzione legale passibile di prova contraria. La prova contraria, ammessa ma con alcune limitazioni, è dipesa dalla osservazione che in alcune realtà del terzo settore ed in alcune regioni d'Italia è particolarmente difficile reperire alcune professionalità: in tal senso, è parso opportuno salvaguardare la possibilità di rendere più appetibile l'impiego nelle imprese sociali quando si palesano oggettive insufficienze del mercato del lavoro.
Articolo 4. Alla disciplina dei gruppi di imprese sociali viene estesa la normativa codicistica, peraltro recentemente novellata, in materia di direzione e controllo, e di gruppo cooperativo paritetico, al fine di preservare i diritti di coloro che subiscono le decisioni del gruppo. Al gruppo è esteso l'obbligo di redazione e pubblicizzazione del bilancio sociale. È ribadito che, ove anche un'amministrazione pubblica o un ente for profit partecipi ad un'impresa sociale non può detenere il controllo o la direzione, sterilizzando l'eventuale violazione del divieto, con la sanzione della annullabilità dell'atto e la legittimazione straordinaria del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Articolo 5. Quanto alla costituzione, si rinvia alle norme cui è assoggettato il tipo nella cui forma è esercitata l'impresa sociale, salva la specificazione della solennità dell'atto, e la richiesta della esplicitazione degli elementi caratterizzanti la fattispecie. È previsto l'obbligo di iscrizione, che ha natura costitutiva ai fini dell'acquisizione della qualifica, in apposita sezione del registro delle imprese e in forma telematica. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha accesso al registro delle imprese per l'esercizio dei compiti di monitoraggio e ricerca di cui all'art. 16. Gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese sono evidentemente tenuti al deposito del solo regolamento. È, infine, previsto che un decreto interministeriale specifichi le procedure, nonché gli atti ed i fatti soggetti a obbligo di iscrizione.

Articolo 6. In aderenza ad un preciso criterio della delega, è prevista una limitazione della responsabilità al solo patrimonio per quegli enti e associazioni, per i quali non sia già previsto dalla disciplina generale una limitazione di responsabilità. A fini di garanzia dei creditori e dei destinatari delle attività, è previsto un patrimonio minimo per godere del beneficio (fissato in analogia al capitale minimo delle s.r.l. e al patrimonio normalmente richiesto in sede di acquisizione della personalità da parte di associazioni e fondazioni), ed un meccanismo sanzionatorio di estensione della responsabilità per gli amministratori, quando il patrimonio diminuisca oltre una certa soglia. La limitazione di responsabilità - come suggerisce anche la dizione impiegata che si riferisce alle "organizzazioni che esercitano un'impresa sociale" - non si applica agli enti di cui all'articolo 1, comma 3, non essendo stata prevista una norma ad hoc e mancando in quel caso una distinzione (se non meramente contabile) tra i beni destinati all'esercizio dell'impresa sociale e quelli dell'ente che la esercita.

Articolo 7. Le norme sulla denominazione, per quanto normae imperfectae, rispondono a esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi. Non si applicano agli enti di cui all'articolo 1, co. 3 visto che per questi non c'è distinzione fra l'ente che esercita l'impresa sociale, sia pure limitatamente ad un "ramo d'azienda", e l'ente ecclesiastico o religioso.

Articolo 8. La disciplina delle cariche sociali, per ricoprire le quali sono richiesti specifici requisiti a garanzia della socialità dell'impresa, è regolata in modo da rispettare la tendenziale democraticità delle strutture, salve la natura e la specifica disciplina dell'organizzazione. In riferimento alla "natura dell'organizzazione", ci si riferisce ad esempio agli enti confessionali; il richiamo alla sua "specifica disciplina" vale a tener conto, ad esempio, delle norme che si applicano al soggetto giuridico sottostante ad una impresa sociale (ad esempio, le norme sul voto degli azionisti). È stata prevista una specifica ipotesi di incompatibilità, per rispettare il divieto di direzione e controllo da parte delle amministrazioni pubbliche e delle imprese for profit.

Articolo 9. Eventuali provvedimenti di ammissione ed esclusione devono essere non lesivi del principio di non discriminazione, e deve essere sempre garantito nello statuto la possibilità di beneficiare di una decisione dell'assemblea dei soci al riguardo.

Articolo 10. Fatta salva la disciplina specifica ed ulteriore, è obbligo delle organizzazioni che esercitano l'impresa sociale di tenere e pubblicizzare il libro giornale, il libro degli inventari, secondo le norme codicistiche, ed un documento contabile sulla situazione economica e patrimoniale. Rispetto a quest'ultimo, non è stato fatto semplicemente rinvio alle norme del codice civile in materia di bilancio, visto che alcune voci di esso non sarebbero compatibili per alcune forme giuridiche (in particolare, associazioni e fondazioni). Per la redazione del bilancio sociale si rinvia ad un atto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentita l'Agenzia per le ONLUS. Per gli enti di cui all'articolo 1, co. 3, gli obblighi si intendono riferiti al solo svolgimento delle attività indicate nel regolamento.

Articolo 11. Superate determinate soglie dimensionali, è previsto l'obbligo di controllo contabile e sull'osservanza delle finalità sociali da parte di uno o più sindaci, dei quali vengono indicati compiti e poteri. Nel caso in cui l'impresa superi determinati limiti quantitativi, è obbligatorio anche il controllo da parte di revisori contabili. È, in ogni caso, fatta salva la disciplina ulteriore prevista per ciascun tipo giuridico adottato dalla organizzazione che esercita l'impresa sociale.

Articolo 12. È previsto l'obbligo di coinvolgimento dei multistakehoders; la nozione di coinvolgimento è stata desunta in conformità alla recente produzione normativa comunitaria in materia, ed è stata funzionalizzata alle materie rispetto alle quali lavoratori e destinatari abbiano interesse.

Articolo 13. Per le vicende che riguardano l'impresa, è posto l'obbligo di preservare l'assenza di scopo di lucro ed il perseguimento delle finalità di interesse generale dei soggetti coinvolti negli atti posti in essere. Per tenere conto della varietà dei comportamenti che si possano porre in essere a fini elusivi, si è rinviato ad un successivo atto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita l'agenzia per le ONLUS. Conformemente all'assenza dello scopo di lucro, è prevista la possibilità di devoluzione del patrimonio solo in favore di determinati soggetti, salvo che per gli enti di cui all'articolo 1, co. 3, rispetto ai quali non si pongono le stesse ragioni di tutela. A fini di precettività della norma, è stato pensato un meccanismo sanzionatorio particolarmente efficace, che consiste nella necessaria autorizzazione all'atto (che si acquisisce anche con il meccanismo del silenzio - assenso), e la conseguente inefficacia degli atti non autorizzati. La norma non si applica quando il beneficiario dell'atto è altra organizzazione che eserciti un'impresa sociale, difettando in questo caso le ragioni della tutela.

Articolo 14. È imposto l'obbligo del rispetto dei contratti collettivi. È ammessa la prestazione di lavoro volontario, fermi restando alcuni diritti concessi al lavoratore dalla legge n. 266 del 1991. È, infine, specificato in senso soggettivo l'ambito di applicazione dei diritti di coinvolgimento dei lavoratori, del cui esito deve essere fatta menzione nel bilancio sociale.

Articolo 15. Per ragioni di coerenza sistematica, si assoggettano le organizzazioni che esercitano un'impresa sociale alla liquidazione coatta amministrativa, salvi gli obblighi di destinazione dell'eventuale patrimonio residuo. La norma non si applica evidentemente agli enti confessionali di cui all'articolo 1, comma 3, che saranno responsabili delle obbligazioni assunte anche con il patrimonio dell'ente secondo le specifiche disposizioni applicabili. Si richiama quanto già detto sub articolo 6.

Articolo 16. Secondo le indicazioni della legge delega, è attribuita al Ministero del lavoro e delle politiche sociali una funzione di raccordo degli enti e delle amministrazioni interessate, al fine di esercitare le attività di monitoraggio e ricerca. Allo scopo, il Ministero esercita, attraverso le proprie strutture territoriali, funzioni ispettive ed irroga le sanzioni, che tendono ad avere carattere dissuasivo e progressivo. Nell'esercizio dei propri compiti è richiesto il parere obbligatorio non vincolante della Agenzia per le ONLUS.

Articolo 17. Sono previste alcune norme di raccordo con le ONLUS, in modo da evitare distorsioni applicative. La possibilità per le fondazioni di origine bancaria di erogare finanziamenti è estesa anche in favore delle imprese sociali. Si prevede, infine, per le cooperative l'applicazione della propria normativa specifica.

Come richiesto dalla V Commissione Bilancio della Camera dei deputati è stato aggiunto l'articolo 18, che precisa che all'attuazione del decreto le amministrazioni competenti provvedono avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

L'articolo 1, comma 3, della legge delega stabilisce che dall'attuazione dei principi e dei criteri direttivi non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, per cui non viene redatta la relazione tecnica.