DDL di conversione il legge del DL 69/2013 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - Relazione

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 15 giugno 2013

Disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante: "Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia"

Articolato

 La cornice di riferimento per il presente provvedimento è costituita dalle raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro del semestre europeo 2013, presentate dalla Commissione europea il 29 maggio 2013.
Il decreto-legge, in linea con la raccomandazione di «sostenere il flusso del credito alle attività produttive» anche promuovendo «maggiormente lo sviluppo dei mercati dei capitali al fine di diversificare l'accesso delle imprese ai finanziamenti», prevede interventi per la semplificazione dell'accesso al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (PMI) (articolo 1), per il finanziamento a tasso agevolato di nuovi macchinari ed impianti ad uso produttivo (articolo 2), nonché misure di sostegno a grandi progetti di ricerca e innovazione industriale (articolo 3).
      In materia di liberalizzazioni, le misure per ampliare la concorrenza nel mercato del gas naturale e dei carburanti (articolo 4) e dell'energia elettrica (articolo 5), si collocano nel quadro della raccomandazione di «assicurare la corretta attuazione delle misure volte all'apertura del mercato nel settore dei servizi».
      Le misure relative alle concessioni stradali e ferroviarie, corrispondono all'indicazione di «portare avanti l'attivazione delle misure adottate per migliorare le condizioni di accesso al mercato delle industrie di rete». Le diverse misure di accelerazione del finanziamento e dell'esecuzione di opere infrastrutturali e di miglioramento della rete ferroviaria, stradale e portuale (previste dagli articoli 18 e seguenti) sono in linea con la raccomandazione di «potenziare la capacità infrastrutturale concentrandosi ... sul trasporto intermodale».
      In materia di maggiore efficienza delle amministrazioni, le disposizioni relative all'accelerazione nell'utilizzazione dei fondi comunitari (articolo 9) sono coerenti con la richiesta di «adottare misure strutturali per migliorare la gestione dei fondi dell'UE nelle regioni del mezzogiorno, in vista del periodo di programmazione 2014-2020».
      Il presente decreto-legge reca, poi, disposizioni di semplificazione delle procedure amministrative (Titolo II) che rispondono alla raccomandazione di «semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese». Si prevedono, tra l'altro, l'indennizzo per il ritardo nella conclusione dei procedimenti da parte delle pubbliche amministrazioni (articolo 28), semplificazioni nel settore dell'edilizia (articolo 30), in quello paesaggistico (articolo 39) ambientale (articolo 41) e nella gestione dei rapporti di lavoro (articolo 32). Ulteriori semplificazioni sono previste in materia fiscale, come le agevolazioni relative alla rateizzazione delle riscossioni (articolo 52).
      Le misure volte a rivedere il finanziamento del sistema universitario (articolo 60), a sostenere gli studenti meritevoli (articolo 59) e a facilitare il reclutamento del personale docente (articolo 58), nonché quelle relative alla ristrutturazione degli edifici scolastici, sono volte al potenziamento del sistema educativo rispondendo alla raccomandazione di «intensificare gli sforzi per scongiurare l'abbandono scolastico e migliorare qualità e risultati della scuola».
      Rispondono alla raccomandazione di «abbreviare la durata dei procedimenti civili e ridurre l'alto livello del contenzioso civile, anche promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie» le misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile previste dal titolo III che contiene, tra l'altro, specifiche disposizioni in materia di giustizia civile e di ripristino della mediazione civile obbligatoria (articolo 83). 

      Il provvedimento è suddiviso in tre Titoli recanti, rispettivamente, misure per la crescita; misure in materia di semplificazione e misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile. 

      Nel Titolo I, sono previsti interventi per il sostegno alle imprese (Capo I); misure per il potenziamento dell'agenda digitale italiana (Capo II) e misure per il rilancio delle infrastrutture (Capo III).

Capo I: Misure per il sostegno alle imprese. 

      Articolo 1 (Rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese). L'articolo è finalizzato al rafforzamento e alla razionalizzazione degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Sono stabiliti i princìpi e i criteri cui deve conformarsi la predetta opera di rafforzamento del Fondo, demandando la sua attuazione a successivi decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
      Il primo obiettivo perseguito dalla norma è rappresentato dalla introduzione di elementi di flessibilità nella gestione dello strumento, che consentano di calibrare i criteri di valutazione economico-finanziaria previsti per l'accesso alla garanzia in funzione dell'andamento generale dell'economia e del mercato finanziario e creditizio.
      Nell'ottica di assicurare un più ampio accesso al credito per le piccole e medie imprese, è infatti importante poter procedere a un costante adeguamento dei criteri e delle soglie minime previste per il rilascio della garanzia ai mutamenti del contesto economico, evitando, soprattutto, che possano verificarsi situazioni – come insegnato dalla recente esperienza – in cui la morsa della recessione economica e/o della stretta creditizia, riverberandosi inevitabilmente sui dati di bilancio delle imprese, possano pregiudicare l'accesso al Fondo da parte di aziende che, pur scontando inevitabili difficoltà, restano comunque sane.
      Da una analisi condotta in collaborazione con tecnici della Banca d'Italia, risulta infatti che, con riferimento ad alcuni particolari indici utilizzati per la valutazione delle imprese che richiedono la garanzia del Fondo, solamente una quota minoritaria di imprese soddisfa, oggi, i valori economico-finanziari di riferimento considerati per l'accesso al Fondo.
      Da tale analisi, elaborata sulla base dei dati medi dei bilanci 2011 delle imprese presenti nella centrale Cerved, emerge, ad esempio, che solo il 13,7 per cento delle piccole imprese manifatturiere presentano un rapporto «Mol / Fatturato» maggiore o uguale al valore di riferimento (15 per cento) assunto per la valutazione delle richieste di garanzia o, ancora, che il 96,1 per cento delle predette imprese ha registrato, nel 2011 rispetto al precedente esercizio, un calo del fatturato maggiore o uguale al valore di riferimento (-40 per cento) di un altro indice applicato per il Fondo di garanzia.
      Soprattutto in questa fase, è dunque urgente procedere a un aggiornamento – nel rispetto del principio della sana e prudente gestione delle risorse pubbliche – delle soglie di accesso al Fondo di garanzia, al fine di consentire un più ampio accesso alla garanzia, anche per quelle imprese che, pur alle prese con contingenti e inevitabili difficoltà, restano comunque vitali e con reali prospettive di sviluppo.
      Sempre al fine di rafforzare l'intervento del Fondo, la norma innalza, dal 70 all'80 per cento, su tutto il territorio nazionale, la percentuale massima di copertura delle «operazioni finanziarie di anticipazione di credito senza cessione dello stesso verso imprese che vantano crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni» e delle «operazioni finanziarie con durata non inferiore a 36 mesi», già individuate, rispettivamente, agli articoli 4 e 5 del decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 26 giugno 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 193 del 20 agosto 2012.
      L'opera di potenziamento del Fondo prevede, in ultimo, la semplificazione delle procedure e delle modalità di accesso allo strumento – da perseguire anche e soprattutto attraverso una maggiore valorizzazione delle opzioni offerte dalle tecnologie digitali – e l'introduzione di misure volte a garantire e a rendere maggiormente evidente l'effettivo trasferimento dei vantaggi della garanzia pubblica alle piccole e medie imprese beneficiarie dell'intervento.
      Altro importante obiettivo che la norma intende perseguire è la focalizzazione dell'intervento del Fondo in favore di imprese che, effettivamente, abbiano bisogno di un sostegno pubblico per poter accedere al credito bancario. In una situazione difficile per la finanza pubblica del Paese, ciò che si vuole assolutamente evitare è che le risorse del Fondo possano essere utilizzate per garantire imprese non razionate sul fronte del «credito», concentrando, viceversa, ogni possibile sforzo per supportare quelle aziende che, seppur dinamiche e con prospettive di sviluppo, incontrano difficoltà contingenti di accesso al finanziamento bancario. In questo senso, è previsto che il Fondo possa intervenire garantendo solo finanziamenti non ancora concessi alle piccole e medie imprese, con esplicita esclusione di accesso alla garanzia per i finanziamenti già deliberati dai soggetti finanziatori, per i quali la garanzia pubblica sarebbe, con tutta evidenza, del tutto superflua e inutile per l'impresa.
      Con gli ultimi commi della disposizione vengono, infine, abrogate norme, di recente introduzione, che si sono rilevate poco opportune e difficilmente applicabili dal punto di vista pratico-gestionale (articolo 11, comma 3, del decreto-legge n. 185 del 2008 e articolo 39, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011) o non compatibili con la normativa comunitaria di riferimento del Fondo di garanzia (comma 10-sexies dell'articolo 36 del decreto-legge n. 179 del 2012). 

      Articolo 2 (Finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese). La disposizione è volta ad introdurre strumenti di sostegno agli investimenti delle piccole e medie imprese, facilitando l'accesso al credito per l'acquisto di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo nuovi di fabbrica e riducendo i costi dell'investimento.
      L'intervento, che opera indipendentemente da programmi complessivi di investimento delle imprese, è caratterizzato dalla sua funzione anticiclica, tenuto conto della tendenza alla contrazione degli investimenti fissi lordi nazionali che è dato registrare nelle congiunture economiche negative.
      I dati dell'ultimo biennio sugli investimenti fissi delle imprese italiane, la cui componente principale è la voce macchinari, confermano, infatti, un andamento in forte calo. Nel 2011, a livello nazionale, secondo il rapporto ISTAT su imprese industriali e servizi 2011, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti in termini reali del 2,6 per cento rispetto al 2010. La fase di contrazione degli investimenti in attrezzature e macchinari, ma anche di beni immateriali, in atto dalla fine del 2007, si è riflessa in un ridimensionamento del potenziale produttivo. Indicazioni in tal senso sono emerse anche dal sondaggio condotto tra settembre e ottobre 2012 dalla Banca d'Italia, in cui un terzo delle aziende intervistate ha riportato una forte riduzione della capacità produttiva tecnica rispetto al picco più recente della propria attività, in larga parte dovuta alla debolezza della domanda e a fattori di natura finanziaria. Secondo gli ultimi dati ISTAT, nel primo trimestre dell'anno gli investimenti fissi lordi sono diminuiti del 3,3 per cento.
      In relazione al settore dei beni strumentali, che conta circa 3.300 imprese e 141.000 addetti, per un fatturato complessivo pari a 28 miliardi di euro, i primi dati 2013 mostrano una forte debolezza del mercato interno, con una contrazione delle consegne previsionalmente pari al 5,8 per cento rispetto al 2012, che si aggiunge alla contrazione complessivamente pari al 25,4 per cento registrata nei due anni precedenti (fonte: Centro studi UCIMU-Sistemi per produrre).
      Nel primo trimestre 2013, infine, l'indice degli ordini interni di macchine utensili registra una contrazione del 35,9 per cento rispetto al primo trimestre del 2012; il valore assoluto, pari a 44,4, risulta il più basso mai registrato (fonte: Centro studi UCIMU-Sistemi per produrre).
      Alla luce dei dati esposti, emerge come necessaria e urgente l'introduzione di una misura per l'acquisto di beni strumentali che, oltre a favorire il sistema produttivo nel suo complesso, costituisca anche uno strumento di forte sostegno al settore delle macchine utensili, che presenta, nel nostro Paese, nicchie di eccellenza.
      A tali fini, la norma prevede l'associazione a finanziamenti erogati alle PMI dal sistema bancario di un contributo concesso dal Ministero dello sviluppo economico, rapportato agli interessi calcolati sui predetti finanziamenti.
      In particolare, i finanziamenti bancari saranno erogati attraverso i meccanismi previsti dall'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, che consentono l'utilizzo delle risorse rivenienti dal risparmio postale e attribuite a Cassa depositi e prestiti S.p.A. per iniziative a favore delle piccole e medie imprese attraverso l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio del credito. È, pertanto, stabilita l'istituzione presso Cassa depositi e prestiti S.p.A. di un plafond di 2,5 miliardi di euro – eventualmente incrementabile fino a 5 miliardi di euro sulla base del monitoraggio sull'andamento dei finanziamenti e nei limiti delle risorse disponibili o delle necessarie coperture – che sarà utilizzato dalla medesima Cassa per fornire, fino al 31 dicembre 2016, provvista dalle banche aderenti per la concessione dei finanziamenti alle imprese (comma 2).
      La norma indica i caratteri essenziali dei finanziamenti bancari, precisando che essi avranno durata non superiore a cinque anni e saranno erogati fino ad un massimo di 2 milioni di euro per impresa, anche frazionato in più iniziative. Si prevede, inoltre, la possibilità che il finanziamento copra l'intero costo dell'investimento (comma 3).
      Le imprese che accedono al finanziamento beneficeranno di un contributo statale, calcolato in base al costo ammissibile dell'acquisto e, comunque, nella misura determinata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, decreto con il quale saranno, altresì, definite le condizioni di accesso e le modalità di funzionamento degli strumenti introdotti dalla norma (commi 4 e 5).
      Aspetto di particolare interesse e che rafforza la capacità di accesso al credito delle imprese destinatarie della norma è costituito dalla possibilità di ammissione dei finanziamenti, fino all'80 per cento del loro ammontare, alla garanzia del Fondo centrale di garanzia. L'accesso avverrà secondo modalità semplificate, da stabilire con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (comma 6).
      Fermi restando i sopra richiamati limiti, stabiliti dalla norma, la disciplina di dettaglio, per quanto attiene, in particolare, alle modalità operative per la concessione dei finanziamenti agevolati, è rimessa ad uno o più convenzioni, da stipulare tra il Ministero dello sviluppo economico (sentito il Ministero dell'economia e delle finanze), Cassa depositi e prestiti S.p.A. e ABI, secondo modalità particolarmente agili (comma 7). 

      Articolo 3 (Rifinanziamento dei contratti di sviluppo). L'articolo è volto a rifinanziare lo strumento dei contratti di sviluppo in relazione ai programmi afferenti ai settori industria e agroindustria, riguardanti territori regionali attualmente privi di copertura finanziaria.
      Allo stato attuale, infatti, risultano assegnate ai contratti di sviluppo, nell'ambito del Programma operativo nazionale ricerca e competitività 2007-2013 (PON R&C), del Piano di azione coesione (PAC) e delle risorse liberate del PON Sviluppo imprenditoriale locale 2000-2006 (PON SIL) ex decreto ministeriale 28 settembre 2012, risorse finalizzate al finanziamento di programmi di sviluppo localizzati nelle sole regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, mentre risultano prive di copertura finanziaria tutte le altre regioni. A queste ultime, pertanto, la norma in commento ha inteso assegnare risorse, per un ammontare pari a 150 milioni di euro, a valere sul Fondo per la crescita sostenibile di cui all'articolo 23 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
      Le risorse assegnate dalla norma ai contratti di sviluppo operano esclusivamente attraverso la concessione di agevolazioni sotto forma di finanziamento agevolato nel limite massimo del 50 per cento rispetto agli investimenti ammissibili.
      La parte di agevolazione concedibile sotto forma di contributo in conto capitale è a carico di eventuali cofinanziamenti regionali, in conformità con quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, del decreto interministeriale del 24 settembre 2010 istitutivo dei contratti di sviluppo.
      La norma contiene, infine, disposizioni volte ad accelerare le procedure per la concessione delle agevolazioni e a favorire la rapida realizzazione dei programmi di sviluppo oggetto dei contratti finanziabili. A tal fine è previsto che il Ministro provveda a ridefinire le modalità e i criteri per la concessione delle agevolazioni, stabilendo, inoltre, specifiche priorità in favore dei programmi che ricadono nei territori oggetto di accordi stipulati dal Ministero dello sviluppo economico e la riconversione di aree interessate dalla crisi di specifici comparti produttivi o di rilevanti complessi aziendali. 

      Articolo 4 (Norme in materia di concorrenza nel mercato del gas naturale e nei carburanti). L'articolo consente, al comma 1, di ampliare l'apertura del mercato del gas naturale dal lato della domanda prevedendo la limitazione del cosiddetto mercato tutelato ai soli clienti domestici. Essa consentirà di favorire il passaggio al mercato libero dei clienti non domestici connessi alle reti di distribuzione, con la possibilità di stipulare contratti a prezzi inferiori agli attuali. Di tale possibilità potranno avvalersi anche le utenze gas delle amministrazioni pubbliche centrali e locali connesse a teli reti, con potenziali benefìci per le relative spese per l'acquisto di forniture.
      Con i commi da 2 a 6 si rendono vincolanti i termini del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico n. 226 del 2011 per l'effettuazione delle gare di distribuzione del gas naturale che ai sensi di legge dovranno effettuarsi per ambito sovracomunale, definendo meglio i poteri di intervento della regione nel caso di inerzia da parte degli enti locali nella individuazione della stazione appaltante e prevedendo, in caso di inerzia da parte della regione, l'intervento del Ministero dello sviluppo economico per tale individuazione. Le regioni e il Ministero svolgeranno tali competenze, solo in caso di inadempienza da parte degli enti locali, e comunque nell'ambito delle esistenti dotazioni di risorse strumentali, finanziarie e di personale.
      Le entrate complessive derivanti agli enti locali dall'effettuazione delle gare sono stimate da circa 250 a circa 300 milioni di euro (circa il doppio rispetto alle entrate attuali), oltre le entrate per circa 20 milioni di euro derivanti da TOSAP/COSAP, così articolate:

          20 milioni di euro per rimborso attività di controllo;

          128 milioni di euro per la remunerazione del capitale investito per reti di proprietà dei comuni con tasso di remunerazione del 7,6 per cento stabilito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (11 per cento degli impianti);

          100 milioni di euro come percentuale del costo annuo di località a favore di tutti i comuni dell'ambito;

          fino a circa 50 milioni di euro come titoli di efficienza energetica ai comuni per interventi addizionali offerti, con vantaggi indiretti (per i cittadini e artigiani locali) per interventi di riduzioni dei consumi energetici nell'ambito.

      Viene inoltre stabilito che, in caso di inerzia degli stessi enti locali, una parte dei futuri corrispettivi ad essi versati dal concessionario subentrante sia destinata alla riduzione delle tariffe di distribuzione, in modo da conseguire effettivamente per i cittadini i benefici che deriveranno dal recupero di efficienza dovuto agli esiti della gara stessa (ammontare pari a circa 20 milioni di euro nell'ipotesi che tutti gli enti locali italiani non riescano ad avviare le gare entro i tempi previsti). Tale previsione non comporta perciò minori entrate agli enti locali ma solo la destinazione diretta di parte di esse alla specifica finalità di riduzione delle tariffe di distribuzione pagate dai cittadini.
      Al fine di facilitare le gare, viene prevista infine la possibilità per il Ministero dello sviluppo economico di emanare linee guida per la valutazione del valore del rimborso da corrispondere al gestore uscente. Tale disposizione consentirà di ridurre i costi dei comuni per effettuare tale valutazione, riducendo il tempo necessario e la necessità di consulenze specifiche.
      Al comma 7, al fine di riutilizzare convenientemente le aree dei punti vendita di carburanti liquidi tradizionali e di favorire lo sviluppo delle auto a metano, con benefìci sia in termini ambientali che energetici che di impatto sulla mobilità sostenibile dei cittadini, favorendo la ripresa dei consumi e quindi dell'economia a causa del basso costo di tale combustibile, si estende l'attuale sistema di incentivazione alla chiusura degli impianti di distribuzione carburanti anche alla loro trasformazione in impianti di distribuzione di metano per autotrazione, in particolare nelle aree oggi meno servite da tali impianti.
      La norma non ha effetti sulla finanza pubblica in quanto viene semplicemente estesa ad ulteriori fattispecie la applicabilità degli incentivi gravanti su un fondo già esistente presso la Cassa conguaglio GPL, la cui alimentazione, a carico delle imprese petrolifere e dei gestori di impianti di distribuzione carburanti, è stata già disposta con precedenti normative. 

      Articolo 5 (Disposizioni per la riduzione dei prezzi dell'energia elettrica). Tenuto conto della perdita di competitività dell'industria italiana anche a causa dei prezzi elevati dell'energia elettrica, le norme dell'articolo 5 intendono intervenire su questo fattore indubbiamente negativo, intervenendo su specifici settori oggi destinatari di extra profitti e contribuendo in tal modo alla riduzione generale dei prezzi, a vantaggio delle famiglie e delle imprese e a sostegno della ripresa delle attività produttive.
      Il comma 1 modifica la specifica tassazione del reddito delle società operanti nel settore dell'energia, attraverso la revisione dei parametri relativi ai ricavi e al reddito minimi previsti dalla legislazione vigente. In particolare si amplia la platea di soggetti a cui si applica l'addizionale IRES riducendo i limiti da 10 a 3 milioni di euro per i ricavi e da 1 milione a 300.000 euro per il reddito imponibile. Ciò consentirà di generare un maggior gettito di 150 milioni di euro nel 2015 e 75 milioni di euro a decorrere dal 2016.
      Il comma 2 prevede che le maggiori entrate generate dalle disposizioni di cui al comma 1 sono destinate, al netto della copertura finanziaria dell'articolo 61, alla riduzione della componente A2 della tariffa elettrica deliberata dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas con modalità da individuare con decreto interministeriale.
      I commi 3 e 4 comportano l'adeguamento, per l'anno 2013, delle modalità di determinazione del costo evitato di combustibile, con la finalità di effettuare il necessario allineamento della remunerazione dell'energia prodotta dagli impianti in convenzione CIP 6/92 ai valori effettivi espressi dal mercato del gas naturale, e ridurre in tal modo gli extra-margini e il costo sulle tariffe dell'energia. La tariffa CIP 6/92 prevede infatti una remunerazione incentivata per i primi otto anni di esercizio degli impianti, a recupero dell'investimento effettuato, e una tariffa per gli anni successivi di esercizio a valori di mercato, calcolata sul cosiddetto «costo evitato». Secondo questo allineamento alle condizioni del mercato, la maggiorazione tariffaria – in quanto proporzionata agli extracosti e limitata ai soli primi otto anni di esercizio – non fu all'epoca considerata come «aiuto di Stato» dalle autorità comunitarie.
      Il «costo evitato», considerata la struttura del parco di produzione elettrico nazionale e l'uso prevalente di gas naturale, è da intendersi riferito al costo di produzione del kWh a gas naturale, sinteticamente evidenziabile dai valori espressi oggi dal mercato all'ingrosso dell'energia elettrica. L'attuale norma di determinazione del «costo evitato», contenuta nella legge n. 99 del 2009, fa invece ancora riferimento ad un paniere di prodotti olio-gas (paniere non più attuale), portando a valori tariffari per l'energia CIP 6/92 che sono ancora oggi di molto superiori ai reali costi evitati: il valore del kWh scambiato sulla Borsa elettrica è ormai stabilmente inferiore a 60 euro/MWh, contro un valore della tariffa CIP 6/92 di quasi 100 euro/MWh. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nel dicembre 2012, ha proposto un adeguamento della tariffa ai valori di mercato del gas naturale.
      È definito un regime di gradualità per l'anno 2013, in cui continua ad essere utilizzato il paniere di riferimento di prodotti gas-petrolio ma con una riduzione in ogni trimestre del peso dei prodotti petroliferi e, dunque, con una progressione verso il prezzo all'ingrosso del gas naturale cui si approderà a partire dal 1o gennaio 2014.
      Il comma 5 stabilisce una norma speciale, in deroga ai commi 3 e 4, di determinazione del costo evitato di combustibile per gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti in convenzione CIP 6/92 che si trovino oggi nei primi otto anni dell'esercizio in convenzione, dunque siano ancora nella prima fase di recupero dell'investimento effettuato. In considerazione della particolare utilità sociale di tali impianti, dal 1o gennaio 2014 e fino al completamento dei primi otto anni di esercizio restano valide le modalità di determinazione del costo evitato di combustibile attraverso un paniere di riferimento in cui il peso dei prodotti petroliferi è pari al 60 per cento. La disposizione interessa sette termovalorizzatori, alcuni dei quali collegati alla risoluzione di emergenze regionali e ammessi al CIP 6 in virtù di tali emergenze.
      Il comma 6 prevede l'abrogazione delle norme dell'articolo 30, comma 15, della legge n. 99 del 2009 incompatibili con le disposizioni dettate ai commi da 3 a 5.
      Il comma 7 abroga la norma introdotta dalla legge di stabilità 2013, che prevede una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi entro un limite massimo di ore annue di funzionamento, che dovrebbe essere definito con decreto ministeriale. La maggiorazione degli incentivi comporterebbe un aumento degli oneri effettivi sulle tariffe che, assumendo un limite massimo di ore annue di funzionamento di circa 5000 ore, assommerebbe a oltre 300 milioni di euro all'anno, che gli operatori beneficiari del maggior incentivo impiegherebbero in larghissima misura per l'importazione del biocombustibile, con marginali effetti sull'occupazione.
      L'abrogazione si ritiene possibile senza effetti negativi sull'andamento della produzione, considerando che l'andamento del prezzo della materia prima – dopo un effettivo e brusco rialzo conosciuto negli anni scorsi – adesso è ritornato a valori compatibili con la ripresa delle attività. Non sono dunque ipotizzabili riduzioni di gettito fiscale per attività d'impresa. Il comma 8 prevede che le disposizioni siano attuate in modo tale da comportare una riduzione effettiva degli oneri generali del sistema elettrico e dei prezzi dell'energia. 

      Articolo 6 (Gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra). Attualmente al gasolio utilizzato per il riscaldamento delle serre si applica la stessa accisa prevista per tutti i prodotti petroliferi destinati agli usi agricoli, pari al 22 per cento dell'accisa ordinaria, a condizione che i richiedenti siano imprenditori agricoli iscritti nel registro delle imprese.
      Tale trattamento si è determinato a seguito del venir meno delle disposizioni che prevedevano l'esenzione dall'accisa per il gasolio destinato alle serre con conseguenze negative per il settore florovivaistico ed orticolo in termini di contrazioni delle esportazioni e di perdita di competitività.
      Del resto, i continui aumenti dei prezzi dei carburanti continuano a colpire le imprese agricole sotto l'aspetto dei costi di produzione legati all'approvvigionamento del gasolio con aggravi insostenibili che hanno portato alla cessazione dell'attività da parte di molte aziende ovvero alla riconversione colturale.
      La presente disposizione è finalizzata ad introdurre un livello di imposizione esclusivamente per la serricoltura conforme alla normativa comunitaria sulla tassazione dei prodotti energetici, definito dalla direttiva 2003/96/CE in 21 euro per mille litri, a condizione che le imprese beneficiarie si obblighino a ridurre il consumo di gasolio per finalità di tutela ambientale. Si tratta, peraltro, di una misura già utilizzata, ad esempio per i prodotti energetici impiegati dalle Forze armate nazionali.
      In ogni caso, al fine di ridurre l'incidenza dell'onere finanziario richiesto, la presente disposizione aumenta la misura dell'accisa a 25 euro per mille litri. Al riguardo, tenendo conto dei dati relativi all'approvvigionamento di gasolio forniti dall'Agenzia delle dogane, l'applicazione di tale livello richiede una adeguata copertura finanziaria, in risposta ad appositi atti di indirizzo parlamentare riferiti alla misura minima prevista dalla direttiva 2003/96/CE.
      La norma proposta circoscrive il predetto intervento ai serricoltori per i quali l'attività imprenditoriale agricola costituisce l'esclusivo o comunque il prevalente fattore produttivo, individuati nei coltivatori diretti e negli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale.
      Inoltre, considerando la costante diminuzione dell'utilizzo di gasolio agricolo, l'onere derivante per coprire la minore entrata ammonta a 34,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. 

      Articolo 7 (Imprese miste per lo sviluppo). L'articolo prevede finanziamenti agevolati alle imprese italiane che investono nei Paesi in via di sviluppo per favorire l'internazionalizzazione delle PMI rilanciando la connessione tra cooperazione e commercio estero in un quadro di partenariato pubblico – privato.
      Con le modifiche che si introducono all'articolo 7 della legge n. 49 del 1987, si intende rendere maggiormente fruibili i finanziamenti alle imprese italiane che investono nei Paesi in via di sviluppo per favorire l'internazionalizzazione delle PMI rilanciando la connessione tra cooperazione e commercio estero in un quadro di partenariato pubblico – privato. Tale proposta deriva dagli esiti del seminario del 21 gennaio 2013 sulle modalità ibride di finanziamento nel rapporto tra cooperazione internazionale e internazionalizzazione delle piccole e medie imprese in Italia con particolare riguardo all'articolo 7 della legge 26 febbraio 1987, n. 49, che ha riunito i principali interessati del settore pubblico e privato.

      Articolo 8 (Partenariati). La disposizione introduce uno strumento operativo fondamentale che consente alla cooperazione italiana di «fare sistema» in modo efficace, trasparente e moderno con le imprese e con i privati in generale. Nel contempo, si aggiornano le modalità di collaborazione nell'ambito dello sviluppo con l'Unione europea e con le organizzazioni internazionali. La disposizione mette in condizione la cooperazione italiana di servirsi di uno strumento che è da tempo utilizzato dalle agenzie di cooperazione allo sviluppo dei principali Paesi partner dell'Italia. Essa, oltre a dare compiuta attuazione alla previsione dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 49 del 1987 (che ricomprende espressamente nell'attività di cooperazione tutte le iniziative «pubbliche e private» che rispondano alle finalità della legge), risponde anche alla necessità – da tempo fortemente sostenuta dall'Italia nelle sedi internazionali competenti (Nazioni Unite, Unione europea, OCSE, G8) – che l'aiuto allo sviluppo risponda ad un approccio sistemico (cosiddetto «whole of country approach»), che inquadri l'aiuto pubblico e privato allo sviluppo in una logica complessiva, volta a massimizzare l'efficacia e la coerenza degli aiuti.
      Il comma 1 prevede che le iniziative comuni con privati o enti o organismi pubblici sovranazionali siano svolte previa stipula di uno specifico accordo, nel quale saranno precisati obiettivi, azioni e strumenti necessari per la realizzazione del programma per il quale si instaura il partenariato. In virtù della collocazione della nuova disposizione nell'ambito della legge n. 49 del 1987, i programmi, progetti o interventi oggetto degli accordi in questione dovranno rientrare nell'ambito di applicazione della legge stessa e rispettare quindi le finalità proprie dell'attività di cooperazione allo sviluppo (articolo 1 della legge n. 49 del 1987). Resta pertanto escluso il finanziamento diretto o indiretto di attività di carattere militare.
      Il comma 2 stabilisce i princìpi fondamentali per la rendicontazione, dando una disciplina unitaria e coerente sia per gli interventi cofinanziati da organismi sovranazionali (quali l'Unione europea) che per quelli cofinanziati da privati. Si chiarisce che vi è l'obbligo di rispettare le ordinarie regole generali e specifiche che regolano la rendicontazione dei fondi con i quali l'iniziativa, intervento o progetto sono stati finanziati. Ne consegue che, in particolare, l'impiego di stanziamenti assegnati alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera a), dovrà essere rendicontato secondo le regole normalmente vigenti per la rendicontazione degli stanziamenti stessi. Oltre alle norme generali di cui al regio decreto n. 2440 del 1923, saranno quindi applicabili le disposizioni specifiche previste per l'Amministrazione degli affari esteri, tra cui il decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, dalla legge n. 15 del 1985, dalla legge n. 49 del 1987, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 1988, dal decreto-legge n. 35 del 2005 (modificato dalla legge n. 149 del 2010) e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 54 del 2010. La disciplina di dettaglio per la rendicontazione di fondi attuativi degli accordi di programma oggetto della nuova disposizione è peraltro rimandata ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro degli affari esteri, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze. Tale decreto dovrà comunque prevedere uno schema per la rendicontazione, che dia conto delle entrate e delle spese sostenute per ogni intervento, nonché della provenienza dei fondi, dei soggetti beneficiari e della tipologia di spesa. Viene inoltre ribadita la sottoposizione ai controlli di ragioneria, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 123 del 2011.
      Il comma 3, in aderenza ai princìpi generali ed alle regole specificamente previste per i progetti, programmi e interventi della cooperazione italiana, prevede il versamento all'entrata delle somme non utilizzate alla fine dell'intervento. Per le somme non statali si prevede la restituzione ai soggetti che le avevano inizialmente conferite. 

      Articolo 9 (Accelerazione nell'utilizzazione dei fondi europei). Malgrado i progressi realizzatisi nell'ultimo anno, il ritardo nella spesa dei fondi comunitari sta raggiungendo livelli preoccupanti nella programmazione 2007-2013.
      La Commissione europea, peraltro, ha proposto una raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea per un rafforzamento dei poteri delle strutture centrali dello Stato al fine di realizzare un'efficace e tempestiva utilizzazione dei fondi suddetti e una concreta attuazione dei programmi di sviluppo che l'utilizzazione di quei fondi dovrebbe concorrere a realizzare.
      Da qui la necessità di un intervento normativo volto a evitare il rischio di ritardi nella spendita delle risorse comunitarie.
      In particolare, la disposizione, al comma 1, introduce un principio che sancisce l'obbligo in capo alle amministrazioni statali di dare precedenza, nella trattazione degli affari di propria competenza, ai procedimenti, provvedimenti e atti anche non aventi natura provvedimentale relativi alle attività in qualsiasi modo connesse all'utilizzazione dei fondi strutturali europei.
      Nei successivi commi è disciplinato un meccanismo diretto esclusivamente a evitare i ritardi nell'utilizzazione dei fondi relativi alla programmazione 2007-2013 (che vede scattare la mannaia della sanzione comunitaria del de-finanziamento). Tale meccanismo, che si svolgerà nel rispetto del principio di leale collaborazione, non solo produrrà i suoi effetti nel limitato periodo che va dall'entrata in vigore del presente decreto-legge sino al 31 dicembre 2015, ma sarà diretto e giustificato dalla necessità di non incorrere nelle sanzioni suddette.
      Con riferimento al comma 2, si introduce la possibilità che lo Stato, per la parte relativa alla propria competenza, e allo stesso modo le regioni riguardo all'inadempienza degli enti territoriali minori, ove accertino ritardi ingiustificati nell'adozione di atti di competenza degli enti territoriali, possano intervenire in via di sussidiarietà, sostituendosi all'ente inadempiente. Inoltre, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste dall'ordinamento europeo per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti, relativamente alla programmazione 2007-2013, le amministrazioni statali e regionali sono autorizzate a convocare una conferenza di servizi, cui possono seguire atti adottati in sussidiarietà, sentite, per lo Stato, le regioni interessate.
      La disposizione di cui al comma 5 serve a superare i dubbi interpretativi e applicativi, sorti in talune sedi di controllo preventivo di legittimità, in ordine al soggetto giuridico legittimato a gestire, destinare ed erogare le risorse economiche rinvenienti dal Fondo di solidarietà dell'Unione europea per gli interventi di emergenza connessi ad eventi tellurici, alluvionali e simili. Tale soggetto giuridico è la regione interessata.
      Tuttavia, i detti dubbi hanno comportato il blocco di parte delle risorse economiche messe a disposizione dall'Unione europea, stante la mancata registrazione di provvedimenti assunti dalla regione Lombardia motivata dalla ritenuta competenza del Dipartimento della protezione civile. 

      Articolo 10 (Liberalizzazione dell'allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica). Il pieno utilizzo delle potenzialità offerte dalla «rete» costituisce ormai un tratto fondamentale delle politiche volte a favorire lo sviluppo di nuovi servizi ed attività imprenditoriali ed a favorire una maggiore e più consapevole capacità di azione dei cittadini ed in particolare dei «consumatori». In tale ambito parallelamente allo sviluppo ed alla diffusione degli apparati portatili (note book, tablet, cellulari) e la progressiva infrastrutturazione del territorio anche mediante reti wireless, impongono, da un lato, di facilitare l'istallazione delle relative apparecchiature e, dall'altro, di rendere libera la possibilità di accesso degli utenti alle reti wireless di volta in volta disponibili, senza adempimenti formali non utili ai fini della sicurezza delle comunicazioni e della tutela dell'ordine pubblico.
      Il decreto-legge, cosiddetto «milleproroghe», 29 dicembre 2010, n. 225, ha già modificato il comma 1 e ha già abrogato i commi 4 e 5 dell'articolo 7 del «decreto Pisanu» del 2005, riguardanti le attività che offrono l'accesso a internet al pubblico, facendo venire meno l'obbligo di richiesta di autorizzazione alla questura e di identificazione dei soggetti ai quali si fornisce il servizio. Quindi dal 1o gennaio 2011 l'avvio del predetto servizio è libero. Restano peraltro dubbi ed incertezze circa la responsabilità civile e penale del gestore, che inoltre deve ottenere una licenza generale da parte del Ministero dello sviluppo economico oppure avvalersi di operatori muniti di tale licenza.
      La norma interviene quindi per rendere libero l'accesso ad internet tramite rete wi-fi, nella consapevolezza che la necessaria sicurezza è già garantita dal tracciamento di tutte le sessioni di navigazione con l'identificativo (automatico) del portatile, del tablet o del cellulare utilizzati (MAC address). Il gestore del servizio wireless dovrà garantire la tracciabilità del collegamento. La registrazione, effettuata sul luogo o in remoto tramite altri operatori, ove non associata all'identità dell'utilizzatore non costituirà, peraltro, trattamento di dati personali e, pertanto, non richiederà particolari adempimenti giuridici.
      La nuova disciplina si applica indifferentemente ai soggetti privati (associazioni e circoli privati, negozi, bar, alberghi, etc.) e pubblici (enti locali, scuole ed università, nodi e servizi di trasporto pubblici, biblioteche di enti pubblici etc.). Contestualmente si precisa che i soggetti che offrano connettività in ambito pubblico, senza che tale attività costituisca il proprio business prevalente, non sono tenuti né a dotarsi della prevista licenza ministeriale né ad ottenere l'autorizzazione generale prevista dal «decreto Pisanu».
      Per le medesime ragioni è infine eliminato l'obbligo per gli utenti delle reti di comunicazione elettronica di affidare solo a imprese abilitate i lavori che realizzano l'allacciamento dei terminali di telecomunicazione all'interfaccia della rete pubblica, trattandosi di opere tecnicamente riconducibili a tutti gli altri interventi che possono già svolgere gli installatori in conformità alla vigente disciplina di sicurezza negli edifici. 

      Articolo 11 (Proroga del credito d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico). La proposta mira a prorogare per il periodo d'imposta 2014, la disciplina del tax credit, la cui scadenza è fissata dal decreto-legge n. 225 del 2010, convertito dalla legge n. 10 del 2011, al 31 dicembre 2013. Ciò per dare al settore cinematografico, la cui attività è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza, utili e significative certezze, nel presente difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno che ha dato, in questi primi tre anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano.

     Articolo 12 (Ricapitalizzazione delle società di gestione del risparmio). La disposizione, mediante una novella all'articolo 33, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, recante disposizioni in materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare, aumenta il capitale della Società del risparmio S.p.A., costituita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 marzo 2013, aggiungendo all'importo, già previsto, di 3 milioni di euro, altri 3 milioni di euro a valere sulla riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 139, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, relativa al fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari.

CAPO II - Misure per il potenziamento dell'agenda digitale italiana.

      Articolo 13 (Governance dell'Agenda digitale italiana). Con la presente norma si intende ridefinire la governance dell'Agenda digitale italiana prevedendo, in particolare:

          al comma 1: la riorganizzazione della cabina di regia per l'attuazione dell'agenda digitale italiana, che sarà presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un suo delegato composta dal Ministro dello sviluppo economico, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dal Ministro per la coesione territoriale, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal Ministro dell'economia e delle finanze nonché da un presidente di regione e da un sindaco designati dalla Conferenza unificata;
 l'istituzione di un Tavolo permanente per l'innovazione e l'agenda digitale italiana, organismo consultivo permanente composto da esperti in materia di innovazione tecnologica e da esponenti delle imprese private e delle università, presieduto dal Commissario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale posto a capo di una struttura di missione appositamente istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;

          al comma 2: la riallocazione delle competenze in materia di vigilanza sull'Agenzia per l'Italia digitale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. La norma, in particolare, interviene semplificando quanto previsto dal titolo II del decreto-legge 22 giugno 2012, n.83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per l'agenda digitale e la trasparenza nella pubblica amministrazione, in tema di vigilanza e funzionamento dell'Agenzia per l'Italia digitale, apportando le seguenti modifiche alla normativa vigente:

          a) con la modifica all'articolo 19, comma 1, la vigilanza dell'Agenzia per l'Italia digitale è attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero al Ministro da lui delegato;

          b) con la modifica di cui all'articolo 20, comma 2, vengono eliminati i limiti attualmente previsti alle funzioni dell'Agenzia in tema di innovazione digitale nel settore della scuola;

          c) con la modifica dell'articolo 21, comma 2, si semplifica la procedura di nomina del direttore generale dell'Agenzia, attribuendo la relativa competenza al solo Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero al Ministro da lui delegato;

          d) con la modifica all'articolo 21, comma 4, si semplifica la procedura di approvazione dello statuto dell'Agenzia;

          e) con la modifica dell'articolo 22, comma 6, sono semplificate le modalità di definizione della dotazione organica dell'Agenzia, riportate alla competenza del solo Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero al Ministro da lui delegato e ne è diminuito il numero massimo a 130 unità.

      Articolo 14 (Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale). Con la presente norma si intende favorire la procedura di digitalizzazione delle comunicazioni tra pubbliche amministrazioni e cittadini, incentivando l'attuazione di quanto sancito, in materia di domicilio digitale del cittadino, dall'articolo 3-bis del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, introdotto dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.
      In particolare, si introduce la possibilità, per il cittadino, di richiedere e di attivare, quale proprio domicilio digitale, una casella di posta elettronica certificata governativa (rilasciata gratuitamente ai sensi dell'articolo 16-bis, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2) contestualmente alla fase di richiesta di rilascio gratuito del documento digitale unificato.
      Si tratta di una proposta di semplificazione dell’iter previsto per l'attivazione del domicilio digitale; attualmente il cittadino, infatti, deve prima richiedere on line l'assegnazione di una casella di posta elettronica certificata governativa, quindi recarsi di persona presso uno sportello abilitato di Poste italiane Spa (attuale concessionario del servizio di posta elettronica certificata governativa) per il riconoscimento de visu e, solo successivamente, eleggere la propria casella di posta elettronica certificata a domicilio digitale mediante procedura on line.
      Con la modifica proposta al cittadino è offerta la possibilità di attivare il proprio domicilio digitale contestualmente alla richiesta del documento unificato. Dato che il riconoscimento fisico è effettuato direttamente dal comune, nessun altro onere è posto sul cittadino, il quale riceverà le credenziali per poter utilizzare il proprio domicilio digitale insieme al predetto documento.

      Articolo 15 (Disposizioni in materia di sistema pubblico di connettività). L'articolo modifica il comma 2 dell'articolo 80 del codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, che indicava esplicitamente il presidente di DigitPA quale componente di diritto e presidente della Commissione. Con l'entrata in vigore del decreto-legge n.83 del 2012, DigitPA è stato soppresso e le sue funzioni sono state parzialmente attribuite alla Agenzia per l'Italia digitale, istituita ai sensi del medesimo decreto-legge.
      La norma istitutiva dell'Agenzia introduce quali organi il direttore generale e un comitato di indirizzo le cui funzioni e attribuzioni sono demandate a un successivo statuto adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. In considerazione della non ancora intervenuta adozione dello statuto dell'Agenzia si pone il problema interpretativo sulla legittimità a presiedere la Commissione di coordinamento del sistema pubblico di connettività da parte del direttore generale.
      L'articolo individua il presidente della Commissione nella figura del Commissario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale o, su sua delega, del direttore dell'Agenzia digitale.
      Inoltre, data la complessità delle procedure di nomina, l'articolo estende la durata del Presidente e dei sedici componenti da due a tre anni prevedendo la possibilità di rinnovo.

      Articolo 16 (Razionalizzazione dei CED - Modifiche al decreto-legge 18 agosto 2012, n. 179). L'articolo è volto ad accelerare l'attuazione di quanto previsto dall'articolo 33-septies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, in materia di razionalizzazione e consolidamento delle infrastrutture digitali del Paese.
      In particolare, con il nuovo comma 4-bis si dettagliano i contenuti del piano triennale di razionalizzazione dei CED della pubblica amministrazione già previsto dal comma 1, precisando che tale piano dovrà sia individuare i livelli minimi che i CED dovranno garantire in termini di sicurezza, capacità elaborativa e risparmio energetico, sia rendere esplicite le modalità di consolidamento e razionalizzazione degli stessi CED.
      A tal fine, la norma prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere all'utilizzo dei CED di imprese pubbliche e private, fermo restando il rispetto della normativa vigente in tema di contratti pubblici. 

      Articolo 17 [(Misure per favorire realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico (FSE)]. Con l'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012 è stato istituito il fascicolo sanitario elettronico (FSE) e affidata alle regioni e alle province autonome la relativa realizzazione, sulla base di criteri da definire con decreto del Ministro della salute e del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dell'economia e delle finanze.
      Con la presente disposizione si intende accelerare l'attuazione di quanto disposto dal citato articolo 12, attraverso:

          a) l'indicazione di un tempo massimo per l'attivazione del FSE (31 dicembre 2014), anche al fine di evitare una frammentazione sul territorio dei servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale (SSN);

          b) l'attribuzione all'Agenzia per l'Italia digitale e al Ministero della salute di un ruolo attivo per la valutazione dei progetti regionali per la realizzazione del FSE e per il monitoraggio degli stessi;

          c) la messa a disposizione, da parte dell'Agenzia per l'Italia digitale, di un'infrastruttura centrale di FSE che possa essere utilizzata dalle regioni e dalle province autonome, in modalità cloud computing, quale alternativa allo sviluppo di proprie infrastrutture, in un'ottica di ottimizzazione degli investimenti in ICT e di razionalizzazione delle infrastrutture nazionali, nonché al fine di consentire a tutte le regioni di rispettare la scadenza temporale introdotta per la messa a disposizione del FSE ai cittadini.

      Per la realizzazione dell'infrastruttura centrale di FSE è previsto uno stanziamento massimo di 10 milioni di euro per il 2014 e di 5 milioni di euro a decorrere dal 2015 (la quantificazione è stata definita in base a interlocuzione tecnica con Sogei Spa). L'ammontare effettivo del finanziamento annuale sarà definito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, su proposta dell'Agenzia per l'Italia digitale, in base all'effettiva domanda di utilizzo dell'infrastruttura centrale da parte delle regioni.
      A tale proposito, occorre osservare che, attualmente, circa dieci regioni hanno già realizzato ovvero hanno dato avvio a progetti di realizzazione di infrastrutture di FSE e che, ai sensi di quanto previsto dalla vigente normativa, le altre regioni potranno conseguire il medesimo obiettivo mediante definizione di appositi accordi di collaborazione per la realizzazione di infrastrutture condivise a livello sovra-regionale, ovvero avvalersi, anche mediante riuso, delle infrastrutture a tale fine già realizzate da altre regioni o dei servizi da queste erogate. L'ammontare effettivo del finanziamento per la realizzazione dell'infrastruttura centrale di FSE sarà pertanto definito, dall'anno 2014, sulla base dei piani di progetto che dovranno essere presentati dalle regioni e dalle province autonome entro il 31 dicembre 2013.
      Con la presente disposizione sono infine apportate, al comma 6 del testo vigente del citato articolo 12, modifiche atte ad evitare confusioni interpretative.

CAPO III – Misure per il rilancio delle infrastrutture.

      Articolo 18 (Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondo piccoli comuni). Al fine di consentire, nell'attuale situazione economica, di avviare tempestivamente opere, si prevede l'istituzione di un fondo con dotazione complessiva di 2.069 milioni di euro, ripartiti negli anni dal 2013 al 2017, per finanziare specifici interventi cantierati e cantierabili.
      Gli interventi che saranno individuati con uno o più decreti ministeriali, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, riguardano interventi rispondenti alle seguenti finalità:

          potenziamento dei nodi;

          standard di interoperabilità dei corridoi europei e miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari;

          collegamento ferroviario tra il Piemonte e la Valle d'Aosta;

          superamento di criticità nelle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie;

          asse di collegamento tra la strada statale 640 e l'autostrada A19 Agrigento-Caltanissetta;

          assi autostradali pedemontana veneta e tangenziale est di Milano.

      A valere sulle disponibilità del fondo possono, altresì, essere finanziati, con delibera del CIPE da adottare entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, l'asse viario quadrilatero Umbria-Marche, la tratta Colosseo-piazza Venezia della linea metropolitana C di Roma, la linea M4 della metropolitana di Milano, il collegamento Milano-Venezia secondo lotto Rho-Monza, nonché, qualora non risultino attivabili altre fonti di finanziamento, la linea 1 della metropolitana di Napoli, l'asse autostradale Ragusa-Catania e la tratta Cancello-Frasso Telesina.
      Sempre a valere sul predetto fondo sono stanziati direttamente 90,7 milioni di euro alla società concessionaria della tratta autostradale A24 e A25 Strada dei parchi.
      Ulteriore importante novità è lo stanziamento, fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, finalizzato ad un piano di riqualificazione degli immobili destinati all'edilizia scolastica, per innalzare il livello di sicurezza dei predetti immobili.
      Si prevede, inoltre, uno stanziamento di 100 milioni di euro, per l'anno 2014, al programma «6.000 Campanili», concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio.
      È infine previsto che con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia approvato un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione all'ANAS Spa, che soffre di un significativo debito manutentorio e che richiede, in particolare, interventi di messa in sicurezza e ripristino delle opere (ponti, viadotti, gallerie) anche in considerazione del tempo trascorso dalla costruzione che, in numerosi casi, supera la durata della «vita utile» prevista progettualmente. Gli interventi del piano, che saranno diffusi sull'intero territorio nazionale e rapidamente avviabili, potranno costituire, al tempo stesso, un importante contributo alla ripresa economica in generale e del settore delle costruzioni in particolare. Il programma sarà oggetto di una Convenzione che verrà sottoscritta da parte dell'ANAS Spa e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

      Articolo 19 (Disposizioni in materia di concessioni e defiscalizzazione). La disposizione di cui al comma 1 è finalizzata a prevenire le interruzioni di interventi in partenariato pubblico-privato, spesso determinate dall'indisponibilità della documentazione che le diverse amministrazioni pubbliche, coinvolte a vario titolo nell'intervento, devono fornire al fine di avviare o proseguire l'intervento stesso. La responsabilizzazione diretta del concedente rende più facilmente raggiungibile il closing finanziario [comma 1, lettera a) numero 1)].
      La disposizione è inoltre finalizzata ad evitare che il rischio di instabilità normativa scoraggi l'investitore privato tutelando maggiormente la bancabilità delle concessioni [comma 1, lettera a), nn. 2) e 3)].
      Le ulteriori disposizioni del comma 1 sono volte ad assicurare che gli atti di gara garantiscano adeguate condizioni di bancabilità dei progetti delle opere da realizzare in partenariato pubblico-privato (declinando il principio di massima già inserito all'articolo 144, comma 3-bis, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, di seguito «codice», dal decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012). A tal fine, si prevede la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici (la facoltà deve essere prevista nel bando) di effettuare una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati alla procedura ristretta per l'affidamento della concessione sugli atti posti a base di gara, analogamente a quanto previsto per gli appalti superiori ai 20 milioni di euro dall'articolo 112-bis del codice, ma con specifico riferimento agli aspetti relativi alla bancabilità del progetto posto a base di gara. Si intende in tal modo superare le frequenti problematiche dovute alla presenza, negli schemi di convenzione e nei piani economico-finanziari posti a base di gara, di elementi che minano la bancabilità dei medesimi. È precisato che non può costituire oggetto di consultazione l'importo delle misure di defiscalizzazione previste dalla normativa vigente né l'importo dei contributi pubblici, ove previsti.
      Si favorisce, inoltre, il coinvolgimento del sistema finanziario nell'operazione di partenariato pubblico-privato a partire dalla fase di gara per l'individuazione del concessionario, prevedendo che nel bando l'amministrazione può chiedere che l'offerta sia corredata di una manifestazione di interesse da parte di un istituto finanziario a finanziare l'operazione; infatti, l'intervento solo ex post del sistema finanziario, non consentendo di prevenire eventuali problematiche relative alla bancabilità del progetto, non evita i ritardi dovuti alla necessità di definire soluzioni tardive. Inoltre nel bando deve essere prevista una clausola risolutiva del rapporto concessorio in caso di mancata sottoscrizione del finanziamento, ovvero della sottoscrizione o collocamento delle obbligazioni di progetto di cui all'articolo 157 del codice, entro un congruo termine, comunque non superiore a dodici mesi dall'approvazione del progetto definitivo, fissato dal bando medesimo. Sono poi effettuate le opportune modifiche di coordinamento con gli articoli 153, 174 e 175 del codice, relativi alle concessioni in finanza di progetto e alle concessioni in finanza di progetto per l'affidamento di opere di interesse strategico.
      Il comma 2 contiene una disposizione di carattere transitorio volta a prevedere che le disposizioni introdotte dal comma 1, lettere da b) ad e), per le opere in project financing si applicano solo a quelle con bando già pubblicato alla data di entrata in vigore del decreto.
      Al comma 3 si interviene sulla disposizione dell'articolo 33 del decreto-legge n.179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, che ha introdotto, per le nuove opere infrastrutturali di importo minimo di 500 milioni di euro da realizzare mediante contratti di partenariato pubblico-privato, per le quali non sono previsti contributi pubblici a fondo perduto e risulta la non sostenibilità del piano economico-finanziario (la cui progettazione definitiva sia approvata entro il 31 dicembre 2015), una misura di defiscalizzazione consistente nel riconoscimento al soggetto titolare del contratto di partenariato pubblico privato di un credito di imposta a valere sull'IRES e sull'IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell'opera. Il credito di imposta, che è posto a base di gara per l'individuazione  dell'affidatario, può riguardare, oltre alla fase della costruzione anche parte della gestione dell'opera, limitatamente al tempo necessario a raggiungere l'equilibrio del piano economico finanziario, e non può superare il limite massimo del 50 per cento del costo dell'investimento. Al ricorrere dei medesimi presupposti, ma senza limitazioni temporali relative all'approvazione del progetto definitivo, è prevista la possibilità di riconoscere – anche in via cumulativa alle misure di defiscalizzazione a valere su IRES e IRAP – l'esenzione dal pagamento del canone di concessione, sempre nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico-finanziario e comunque nel limite complessivo del 50 per cento del costo dell'investimento.
      La disposizione di cui al comma 3, nell'ottica di favorire ulteriormente l'apporto di capitale privato nella realizzazione di opere pubbliche, riduce da 500 a 200 milioni di euro la soglia di importo al fine di ampliare la platea delle opere infrastrutturali che possono rientrare nel campo di applicazione della misura. Inoltre differisce il limite temporale per l'approvazione del progetto definitivo dall'attuale 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2016. È inoltre modificata la procedura per il riconoscimento della misura di defiscalizzazione, demandata al CIPE, il quale individua anche l'elenco delle opere che beneficiano della misura e ne stabilisce l'importo massimo complessivo.
      Le disposizioni di cui al comma 4 intervengono sull'articolo 18 della legge n. 183 del 2011, che disciplina le misure di defiscalizzazione in sostituzione del contributo pubblico a fondo perduto, eliminando la previsione che subordina l'efficacia delle misure all'emanazione del decreto previsto dall'articolo 104, comma 4, del testo unico sulle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986.
      Le disposizioni di cui al comma 5 rendono strutturali le agevolazioni fiscali introdotte in materia di project bond dal decreto-legge n. 83 del 2012, ad eccezione dell'agevolazione relativa al regime fiscale sugli interessi consistente nell'equiparazione a quello sui titoli di Stato. 

      Articolo 20 (Riprogrammazione interventi del Piano nazionale della sicurezza stradale). La disposizione mira a recuperare i fondi stanziati e non impiegati per gli interventi previsti dal Piano nazionale per la sicurezza stradale, che verranno destinati, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, a tre importanti esigenze di sicurezza stradale.
      La prima è connessa con l'attivazione di un programma di interventi cofinanziati dagli enti territoriali e a tal fine si prevede che le regioni dovranno presentare al Ministero le proposte di intervento mirate a risolvere criticità ben documentate.
      Una seconda quota di risorse recuperate potrà essere destinata alla prosecuzione del monitoraggio dei programmi di attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale tenuto conto della necessità, più volte sollecitata nelle stesse delibere del CIPE di approvazione dei programmi, di un continuo e costante monitoraggio e valutazione degli interventi.
      La restante quota di risorse verrà destinata all'implementazione e al miglioramento del sistema di raccolta dati di incidentalità stradale.
      Le disposizioni non introducono ulteriori oneri amministrativi.

      Articolo 21 (Differimento operatività garanzia globale di esecuzione). Si prevede l'ulteriore differimento al 30 giugno 2014 del termine di entrata in operatività del sistema di garanzia globale, obbligatorio per gli appalti di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori di importo superiore a 75 milioni di euro e per gli affidamenti a contraente generale di qualunque importo, la cui disciplina attuativa è prevista nel regolamento generale di attuazione del codice. La garanzia è tesa ad associare alla semplice garanzia fidejussoria di buon adempimento (che comporta, per il garante, un onere di pagare le previste somme richieste dal committente che si duole per il mancato o inesatto adempimento dell'esecutore) una più vasta garanzia di fare, che obbliga il garante a far conseguire alla stazione appaltante non già il recupero degli oneri per il mancato od inesatto adempimento, ma l'oggetto stesso della prestazione contrattuale, attraverso l'istituto del subentro, in caso di risoluzione del contratto nonché di fallimento, liquidazione coatta amministrativa o concordato preventivo dell'appaltatore.
      Tale sistema di garanzia, finora non presente nel nostro ordinamento, richiede l'assunzione di un rischio più ampio per il garante e anche un impegno dello stesso sul piano tecnico.
      Il sistema di garanzia è divenuto operativo dall'8 giugno 2013, a seguito dello scadere della proroga di un anno già disposta, dal decreto-legge n. 73 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2012, a causa delle difficoltà da parte degli operatori del settore (banche e imprese) di porre in essere un tale sistema di garanzia, soprattutto nell'attuale momento di crisi economica. Stante il perdurare delle condizioni critiche e delle difficoltà degli operatori, è proposto l'ulteriore differimento per evitare una situazione di stallo che bloccherebbe di fatto l'appalto di grandi opere.
      La proroga non comporta una riduzione del livello di garanzia della pubblica amministrazione negli appalti, considerato che si mantiene comunque lo stesso livello attuale di tutela della pubblica amministrazione, attraverso le forme di garanzia già previste dal codice (cauzione definitiva, garanzia a copertura dei rischi di esecuzione e polizza decennale). 

      Articolo 22 (Misure per l'aumento della produttività nei porti) – Semplificazione in materia di dragaggi (comma 1): la norma è finalizzata a semplificare la normativa recentemente adottata in tema di dragaggi.
      Si interviene al fine di semplificare le procedure amministrative necessarie ad ottenere le autorizzazioni al dragaggio dei porti, evitando la sottoposizione al parere della Commissione di valutazione di impatto ambientale nell'ipotesi in cui debbano realizzarsi interventi già previsti nei piani regolatori portuali vigenti. Si evita, dunque, che si reiteri una valutazione della Commissione anche per compiere delle opere la cui realizzazione sia già stata programmata e valutata, snellendo così il procedimento, rendendo più competitivi gli scali nazionali rispetto a quelli concorrenti e favorendo un incremento della loro capacità di generare ricchezza.
      Modulazione delle tasse portuali e di ancoraggio (comma 2): si interviene al fine di rafforzare l'autonomia delle autorità portuali in ordine all'aumento o alla riduzione delle tasse portuali sulle merci e per l'ancoraggio, consentendo una più efficace risposta alla concorrenza degli altri porti ed evitando la fuga degli operatori verso altri Paesi più «compiacenti» in termini di costi operativi e di «corrispettivi» per l'uso delle infrastrutture.
      Si tratta di una misura positivamente sperimentata a seguito dell'applicazione da parte delle autorità portuali, negli anni 2010, 2011 e 2012, dell'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, che consente loro di abbattere le tasse portuali e, in particolare, la tassa di ancoraggio (che non ha un tributo corrispondente nei porti nord-africani competitori).
      Il legislatore, consapevole del perdurare di tale necessità, ha confermato fino al 30 giugno 2013 la possibilità di riduzione delle anzidette tasse, con disposizioni che risultano in corso di applicazione da parte delle autorità portuali interessate. Considerando il permanere dell'agguerrita concorrenza dei porti nord-africani nelle operazioni di trasbordo da nave a nave e l'incremento delle tasse derivante dall'applicazione del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009, si rende opportuno confermare e rendere, anzi, generalizzata e soprattutto strutturale l'autonomia delle autorità portuali in ordine all'aumento o alla riduzione delle tasse sulle merci e per ancoraggio, prevedendone meccanismi di concreta applicabilità, in tal modo adeguando, tra l'altro, la nostra legislazione a quanto previsto dalla recente proposta di regolamento dell'Unione europea sui porti. Va ricordato in proposito che la disposizione ufficializza e rende omogenea a livello europeo una facoltà già sostanzialmente esercitata dalla maggioranza delle autorità portuali dei vari Paesi dell'Unione. È in questo contesto, pertanto, che la norma prevede in via permanente l'esercizio di tale facoltà, stabilendo che le autorità portuali possano compensare il minor gettito conseguente ad eventuali riduzioni di dette tasse con riduzioni di spese correnti adeguatamente esposte nelle relazioni del bilancio di previsione e nel rendiconto generale.
      Nel caso della riduzione della tassa di ancoraggio in una misura superiore al 70 per cento, al fine di evitare ricadute distorsive della predetta facoltà di rimodulazione delle tasse in questione con riferimento ai vari scali nazionali, la norma proposta esclude la facoltà di pagare la tassa di ancoraggio in abbonamento, in quanto il ricorso, ordinariamente consentito, a tale modalità di pagamento trasformerebbe nel caso di specie la predetta opportunità competitiva per il singolo scalo in un indebito vantaggio per i vettori e in una perdita di gettito per eventuali altri porti nazionali scalati dalla nave oggetto del beneficio, con effetti negativi, appunto, sulle relazioni competitive fra i porti del nostro Paese. La disposizione consentirà di evitare la fuga degli operatori verso porti di altri Paesi più «compiacenti» in termini di costi operativi e di «corrispettivi» per l'uso delle infrastrutture, consolidando la presenza nei nostri scali marittimi – e in special modo in quelli di transhipment – degli operatori armatoriali e terminalisti che abbiano optato per i porti nazionali come punto di riferimento delle loro attività. Sono tali soggetti imprenditoriali a portare traffici nei porti del nostro Paese cercando di contrastare la forte concorrenza di settore. La presenza di tali operatori genera, com’è noto, crescita economica per i singoli porti e per l'intera economia nazionale, ma anche notevoli opportunità sotto il profilo occupazionale.
      Autonomia finanziaria delle autorità portuali (comma 3): la norma dispone la modifica del comma 1 dell'articolo 18-bis della legge 28 gennaio 1984, n. 94. In particolare, si interviene al fine di ampliare il bacino finanziario delle risorse del Fondo per il finanziamento degli interventi di adeguamento dei porti di cui alla stessa legge, innalzando a 90 milioni di euro annui il limite di 70 milioni di euro ad oggi previsto, alimentandolo su base annua, in misura pari all'uno per cento dell'IVA dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale, per effetto del volume dei traffici commerciali di ciascun porto.
      La disposizione è intesa ad assicurare, pur con gradualità, il processo di completamento dell'autonomia finanziaria delle autorità portuali avviato dall'articolo 1, comma 982, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), in conformità con l'indicazione legislativa già contenuta nel comma 990 dello stesso articolo, mediante un richiamo diretto agli adempimenti che le autorità portuali sono istituzionalmente chiamate a porre in essere con specifico riferimento alla sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione delle infrastrutture portuali a esse affidate.
      La finalizzazione diretta ai compiti istituzionali delle autorità portuali consentirà dunque ad esse di destinare le maggiori risorse che saranno rese disponibili per garantire l'ottimale fruibilità degli scali nazionali, incrementando di conseguenza la loro competitività nei traffici mercantili internazionali.
      Quanto all'autonomia finanziaria, le autorità portuali hanno entrate proprie costituite dalle tasse portuali (corrispettivo dei servizi generali prestati all'utenza), nonché dai canoni dovuti dalle imprese per le autorizzazioni e le concessioni demaniali loro rilasciate. 

      Articolo 23 (Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico). La norma introduce due misure volte al rilancio della nautica da diporto, intese a concorrere a dare un forte impulso al settore, colpito da un momento di grave crisi che ha comportato negli ultimi anni la perdita di 18.000 posti di lavoro, secondo dati delle associazioni di settore.
      Noleggio occasionale delle imbarcazioni da diporto (comma 1): la modifica proposta riguarda la disciplina del noleggio occasionale di cui all'articolo 49-bis del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171, introdotto dall'articolo 59-ter del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012.
      In particolare, si prevede che i proventi derivanti dall'attività di tale tipologia di noleggio siano assoggettati, secondo quanto già previsto al comma 5 del citato articolo 49-bis, a un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali nella misura del 20 per cento, qualora richiesto del percipiente, a condizione che la durata del noleggio non superi in previsione i quaranta giorni annui, invece dei 30.000 euro annui com’è invece previsto nella disposizione vigente.
      Detto noleggio occasionale, per espressa previsione della norma, non configura un'attività professionale e non beneficia di alcun tipo di agevolazione prevista, invece, per le unità destinate in via esclusiva all'attività commerciale, quindi tende ad eliminare diverse problematiche ad oggi sorte quali quelle in merito all'uso da parte del proprietario delle quote della società che possiede l'unità adibita a noleggio commerciale.
      Attualmente l'uso da parte del cosiddetto «beneficial owner» è possibile se effettuato in forza di un regolare contratto di noleggio, stipulato a prezzi di mercato, sempre che l'utilizzo da parte di terzi non riconducibili alla proprietà della società titolare dell'unità risulti maggioritario sia in termini di giornate di impiego sia in termini di fatturato.
      Questo insieme di valutazioni è però soggetto alle variazioni di mercato, il cui andamento in questi ultimi anni è stato assolutamente negativo. Ciò conduce a un effetto distorsivo del mercato legato al fatto che queste unità, qualora rimangano non noleggiate («sfitte»), non possano neanche essere utilizzate (sia pure a pagamento) dagli stessi azionisti, incorrendo altrimenti nel rischio di una contestazione di elusione fiscale. Il mancato utilizzo fa mancare il prezioso indotto economico generato dall'uso e dalla manutenzione delle unità.
      La soluzione proposta equipara quindi la messa sul mercato della barca a quello di una sorta di «seconda casa», diventando un volano di rilancio della filiera nautica. Inoltre il limite temporale di quaranta giorni annui consente di mantenere il carattere di occasionalità rispetto ai 365 giorni di un anno.
      Tassa di possesso, revisione e fasce (comma 2): l'articolo 16 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, come modificato dall'articolo 60-bis del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, ha specificato gli importi della tassa di possesso delle imbarcazioni e navi da diporto. Sulla base di calcoli elaborati in relazione alla flotta immatricolata con bandiera italiana presenti nel Conto nazionale delle infrastrutture e dei trasporti (CNIT) e con riferimento alle medie ponderate calcolate dall'Osservatorio nautico nazionale sulle dimensioni dei posti barca – che quindi non riguardano le sole bandiere italiane, ma tutte le unità che, se di proprietà di cittadini italiani, sono soggette alla tassa (calcoli effettuati sulla base dei dati provenienti da UCINA, ASSONAT – Associazione nazionale approdi turistici, ASSOMARINAS, Marine Partners – gestioni portuali) – risulta che il gettito complessivo derivante dalla tassa di possesso in esame per il 2012 è pari a circa 25 milioni di euro.
      La norma mira al rilancio della nautica attraverso la soppressione della tassa di possesso per le unità da diporto di ridotte dimensioni (fasce a e b), mentre ne prevede il dimezzamento per quelle intermedie (c e d), lasciando inalterate le misure impositive per le unità maggiori (dai 20 metri ed oltre).
      La modifica potrebbe quindi invogliare all'acquisto e all'utilizzo di un sempre maggior numero di unità da diporto di piccole e medie dimensioni che già oggi rappresentano da sole circa il 75 per cento della unità complessivamente immatricolate nel nostro Paese. 

      Articolo 24 (Modifiche al decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, ed alla legge 3 luglio 2009, n. 99) – Modifiche al decreto legislativo n. 188 del 2003 in materia di accesso equo e non discriminatorio all'infrastruttura ferroviaria (commi da 1 e 2): la modifica proposta vuole garantire appieno il principio dell'accesso equo e non discriminatorio all'infrastruttura ferroviaria, prevedendo che sia il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con proprio decreto, a disciplinare il quadro per l'accesso all'infrastruttura, i princìpi e le procedure per l'assegnazione della capacità di cui all'articolo 27 dello stesso decreto legislativo (ossia la potenzialità di utilizzo di determinati segmenti di infrastruttura ferroviaria), per il calcolo del canone ai fini dell'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e per i corrispettivi dei servizi di cui all'articolo 20 del medesimo decreto legislativo, non compresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso all'infrastruttura, nonché le regole in materia di servizi di cui al citato articolo 20.
      Pertanto, pur sussistendo una piena autonomia decisionale del Gestore nella definizione del canone per l'accesso all'infrastruttura, spetta al Ministero verificare la conformità della proposta del Gestore con i princìpi di determinazione del canone stesso, mediante un decreto di approvazione.
      Per la medesima motivazione si è ritenuto necessario sostituire alla previgente previsione normativa – che contemplava un'intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sullo schema di decreto – un procedimento di consultazione della stessa Conferenza, rendendo in tal modo l'intero iter amministrativo più conforme alle prescrizioni comunitarie.
      Il comma 2, invece, è finalizzato a dare riscontro ad alcuni rilievi esposti dalla Commissione europea nell’ex pilot 2465/11/MOVE, ora procedura di infrazione 2012/2213. La direttiva europea esplicita che le imprese ferroviarie debbano operare una separazione contabile fra le varie attività (soprattutto tra il settore merci e passeggeri). La normativa italiana ha recepito tale vincolo, ma non la parte relativa all'ulteriore separazione contabile dei bilanci e dei conti profitti e perdite connessi alle singole attività, ovvero quelle oggetto di contribuzione pubblica e quelle a mercato, ritenendo sufficiente l'adozione di una contabilità regolatoria ricostruita ex post sulla base dei dati di contabilità industriale. Si è quindi provveduto all'inserimento, nel testo del decreto legislativo n. 188 del 2003, di tale ulteriore condizione, a chiarimento degli obblighi a carico delle imprese.
      Modifiche alla legge n. 99 del 2009 sul cabotaggio per i servizi internazionali a media-lunga percorrenza (comma 3): la norma è volta a dare soluzione ad alcuni problemi applicativi riscontrati per l'attuazione della legge n. 99 del 2009.
      La direttiva europea 2007/58/CE, che procedeva ad un'ulteriore liberalizzazione del segmento passeggeri, prevedendo la possibilità del cabotaggio sui servizi internazionali, è stata in Italia recepita in due fasi.
      In un primo momento, con la legge n. 99 del 2009 (per la parte accesso) e in un secondo momento con il decreto legislativo n. 15 del 2010 (per la parte capacità).
      Nell'ambito di tale processo è stato necessario prevedere il rilascio di una licenza nazionale quale titolo abilitativo all'effettuazione di servizi aventi ad oggetto l'origine e la destinazione esclusivamente nell'ambito del territorio nazionale.
      La legge n. 99 del 2009, come indicato dalla direttiva 2007/58/CE, introduce la possibilità di limitare servizi ferroviari che interferiscano, compromettendone l'equilibrio economico, con i servizi a committenza pubblica, oggetto di appositi contratti di servizio, ma estende la possibilità di effettuare servizi dal semplice cabotaggio nell'ambito di percorsi internazionali, a quelli comunque svolti in ambito nazionale.
      Tale estensione, però, non è risultata particolarmente efficace, in quanto l'obbligo di una valutazione preventiva d'impatto finisce per appesantire il procedimento, e ha creato alcuni recenti e pressanti problemi applicativi (vedi caso accesso DB/Nord Milano sulla linea del Brennero per servizi turistici e il caso Arenaway per le fermate tra Torino e Milano).
      Le proposte di modifica non stravolgono lo spirito di liberalizzazione introdotto con la direttiva 2007/58/CE, ma offrono possibili soluzioni di compensazioni alle autorità che hanno in carico i contratti di servizio e comunque permettono che un certo ambito di mercato libero sia garantito, anche su quelle linee che sono già impegnate dai servizi di pubblica utilità. Ciò, in particolare, laddove il modello di esercizio (fermate distanti tra loro più di 100 chilometri) e la struttura tariffaria possono far ritenere che non si tratta di servizi equivalenti a quelli a committenza pubblica, per i quali appare opportuno verificare l'eventuale compromissione dell'equilibrio economico, stanti i riflessi sulla finanza pubblica nel suo complesso. 

      Articolo 25 (Misure urgenti di settore in materia di infrastrutture e trasporti). Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 sono volte a consentire l'espletamento da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, senza soluzione di continuità, delle attività di vigilanza sulle concessionari autostradali, transitate al Ministero a decorrere dal 1o ottobre 2012, unitamente alle altre competenze individuate dall'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, in esito alla soppressione dell'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali per effetto dell'articolo 11, comma 5, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14. La continuità della predetta attività di vigilanza sarebbe infatti assicurata dall'introduzione della disposizione in esame che regolamenta idonee modalità di trasferimento al Ministero delle necessarie risorse umane finanziarie e strumentali. Si prevede, pertanto, l'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'individuazione delle unità di personale trasferito con definizione delle tabelle di corrispondenza tra il personale trasferito e quello appartenente al comparto Ministeri. La disposizione prevede, altresì, la garanzia che per il personale trasferito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia mantenuta la posizione assicurativa già costituita nell'assicurazione generale obbligatoria, ovvero nelle forme sostitutive o esclusive della predetta assicurazione. Sotto il profilo finanziario il decreto dovrà parimenti individuare le risorse da destinare alle nuove competenze assunte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; le stesse sono reperite sulle risorse derivanti dai canoni di sub concessione, già dovuti al concedente ai sensi delle convenzioni - allo stato quantificati in 21,7 milioni di euro come da bilancio dell'ANAS Spa del 2011 e previsti per il 2013 nell'ordine di 17 milioni di euro - nonché, ove necessario, sulla quota parte delle risorse, di competenza dell'ANAS Spa, previste dall'articolo 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006 a titolo di canoni di concessione. Per i canoni relativi all'anno 2012 versati interamente all'ANAS Spa è previsto che la stessa ANAS Spa provveda a versare al bilancio dello Stato, ai fini della successiva riassegnazione, la relativa quota di spettanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (relativa al periodo ottobre-dicembre 2012). A partire dal 2013, i concessionari versano i canoni direttamente al bilancio dello Stato e con cadenza mensile nella misura pari al 90 per cento dei versamenti del corrispondente periodo dell'anno precedente, tranne che per l'anno in corso per il quale è previsto, in via transitoria, che le prime sei rate siano versate entro il 31 luglio 2013. È inoltre prevista una disposizione volta a chiarire che il trasferimento delle competenze al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a far data dal 1o ottobre 2012 non incide sulla legittimazione processuale attiva e passiva che resta in capo all'ANAS Spa per i contenziosi instaurati in data antecedente al 1o ottobre 2012; tale disposizione tiene conto del fatto che le risorse per far fronte a detti contenziosi sono nella disponibilità dell'ANAS Spa. L'urgenza della misura afferisce alla necessità di consentire, attraverso la compiuta definizione del processo di trasferimento dall'ANAS Spa al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti delle necessarie risorse umane e finanziarie, il corretto espletamento da parte dello stesso Ministero delle funzioni di concedente della rete autostradale di interesse nazionale.
      La disposizione di cui al comma 5 nasce dalla necessità di sbloccare urgentemente i contratti di programma e di servizio tra lo Stato e l'ENAV Spa, relativi ai periodi 2010-2012 e 2013-2015, assicurando le risorse necessarie allo scopo. Infatti, a fronte dei 90 milioni di euro complessivi, necessari a coprire il triennio 2010-2012, si dispone allo stato di 72,2 milioni di euro, sufficienti a coprire due intere annualità e solo quota parte della terza. La norma consente di reperire le risorse mancanti pari a 17,8 milioni di euro a valere sulle disponibilità residue di capitolo di spesa del Ministero dell'economia e delle finanze - imputato alle erogazioni in favore dell'ENAV Spa per i servizi resi in condizione di non remunerabilità diretta dei costi - assicurando in tal modo la definizione del contratto di programma 2010-1012. Conseguentemente sarà possibile procedere anche a definire le procedure relative al contratto 2013-2015, le cui risorse risultano già disponibili.
      La disposizione di cui al comma 6 interviene in tema di dighe per consentire l'incremento del personale addetto alla vigilanza e al controllo sulla sicurezza delle dighe sbloccando l'assunzione, presso la competente struttura organizzativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di 32 ingegneri già disposta dal decreto-legge liberalizzazioni (articolo 55, comma 1-ter, del decreto-legge n. 1 del 2012). L'urgenza afferisce alla necessità di scongiurare la paralisi, per carenza di personale tecnico qualificato, dell'attività, posta in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di verifica e programmazione di interventi indefettibili per garantire la sicurezza del sistema italiano delle dighe. In particolare - a seguito del passaggio in via ordinaria delle competenze relative alle grandi dighe senza concessionario, precedentemente svolta da Commissari straordinari non più rinnovabili - la definizione dell'ipotesi prospettata dal Dipartimento della protezione civile circa l'individuazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti quale soggetto competente agli interventi di messa in sicurezza determinerebbe una situazione di vero e proprio collasso organizzativo della competente struttura organizzativa dello stesso Ministero.
      I commi 7 e 8 apportano alcune modifiche all'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011, che prevedeva il trasferimento dall'ANAS Spa all'Agenzia per le infrastrutture stradali delle funzioni di concedente della rete autostradale, tese ad adeguare la disposizione all'intervenuta soppressione dell'Agenzia e al conseguente subentro del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nelle funzioni di concedente della rete autostradale. È inoltre differito il termine per l'adozione del nuovo statuto dell'ANAS Spa in ragione delle rilevanti modifiche della configurazione della stessa ANAS Spa a seguito del riparto delle funzioni tra concedente (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) e concessionario (ANAS Spa) della rete.
      Le disposizioni di cui ai commi da 9 a 11 sono volte a trasferire alla Regione siciliana la vigilanza sulle attività previste nella Convenzione per l'esercizio dei servizi di collegamento marittimo con isole minori siciliane, sottoscritta in data 30 luglio 2012. La suddetta Convenzione ha dato adempimento a uno specifico obbligo europeo in materia di cabotaggio marittimo, sancendo la privatizzazione delle società dell'ex gruppo Fintecna ossia della società Tirrenia nonché delle Società Siremar, Caremar, Saremar e Toremar, nello specifico già intestatarie di convenzioni per l'espletamento dei servizi di collegamento marittimo fra il continente e, rispettivamente, le regioni Sicilia, Campania, Sardegna e Toscana. Al fine di pervenire al processo di liberalizzazione è stato, altresì, previsto il trasferimento a titolo gratuito alle regioni Campania, Sardegna e Toscana delle compagnie di rispettivo riferimento, onde espletare le relative procedure di evidenza pubblica per la cessione a privati dei compendi navali e per la gestione dei relativi servizi di collegamento.
      Per la privatizzazione, invece, delle compagnie Tirrenia e Siremar, nel frattempo sottoposte a regime di amministrazione straordinaria a causa del dissesto economico-finanziario, la procedura di gara è stata espletata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
      Pertanto, mentre nei casi relativi alle regioni Sardegna, Campania e Toscana si prevedeva che la vigilanza sui servizi resi in ragione delle convenzioni stipulate, in regime di sovvenzionamento pubblico, fosse devoluta alle regioni competenti, non così per la regione Sicilia per la quale, nonostante il regime di particolare autonomia, fu previsto che la vigilanza sui predetti servizi, una volta conclusa la privatizzazione, fosse esercitata congiuntamente dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministero dell'economia e delle finanze.
      Sotto tale profilo, l'esperienza maturata in circa un anno di vigilanza condotta a livello di Stato centrale ha messo in luce le difficoltà derivanti da un sistema di vigilanza siffatto che, peraltro, non trova corrispondenza nelle analoghe ipotesi di privatizzazione regionale (Toscana, Campania, Sardegna e Lazio).
      La proposta normativa interviene su tale aspetto, trasferendo la vigilanza alla Regione siciliana, consentendo, così, un'ottimizzazione dei servizi resi.
      La disposizione recepisce, nell'ottica sopra illustrata e per ovvia conseguente congruenza, l'opportunità che le successive modifiche o integrazioni della Convenzione stipulata siano demandate alla competenza del presidente della Regione siciliana.
      Le disposizioni dell'articolo non introducono ulteriori oneri amministrativi. 

      Articolo 26 (Proroghe in materia di appalti pubblici). Comma 1. L'articolo 1, comma 32, della legge n. 190 del 2012, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», prevede alcuni adempimenti volti ad assicurare livelli essenziali di trasparenza negli appalti. In particolare, è previsto, a regime, che tutte le amministrazioni pubblichino sul proprio sito istituzionale, entro il 31 gennaio di ogni anno, le informazioni di sintesi riguardanti i procedimenti di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, servizi e forniture, relative all'anno precedente. Tali informazioni devono altresì essere trasmesse all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) che ha anche il compito di definirne i contenuti e le modalità tecniche di trasmissione e di segnalare alla Corte dei conti, entro il 30 aprile di ogni anno, l'elenco delle amministrazioni inadempienti.
      L'articolo 1, comma 418, della legge n. 228 del 2012 ha prorogato, in sede di prima applicazione, il citato termine dal 30 aprile al 30 giugno 2013.
      L'AVCP, solamente in data 26 maggio 2013, con deliberazione n. 26, ha reso le disposizioni tecniche per l'assolvimento degli adempimenti, prevedendo peraltro il termine perentorio del 15 giugno 2013 per la pubblicazione delle informazioni da parte delle amministrazioni.
      In ragione delle difficoltà che le amministrazioni hanno nel reperire le informazioni richieste e nel pubblicare le stesse su apposite sezioni internet dedicate (portale trasparenza) nei termini richiesti, in considerazione del fatto che le istruzioni sono state fornite dall'AVCP a ridosso della scadenza prevista per gli adempimenti, e comunque nella consapevolezza dell'aggravio di oneri in capo alle pubbliche amministrazioni che detto adempimento comporta, anche in relazione al rischio delle sanzioni previste per le stesse, si prevede che per i dati relativi all'anno 2012 gli adempimenti siano assolti congiuntamente a quelli relativi all'anno successivo.
      Comma 2, lettera a) – Si prevede la prosecuzione fino al 2015 del regime transitorio agevolato per la dimostrazione dei requisiti speciali per ottenere la qualificazione da parte delle SOA (migliori 5 anni dei 10 precedenti anziché ultimi 5 anni).
      Comma 2, lettera b) – Si prevede la prosecuzione fino al 2015 del regime transitorio agevolato per la dimostrazione dei requisiti dei progettisti per l'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura (migliori 5 anni dei 10 precedenti anziché ultimi 5 anni).
      Comma 2, lettera c) – A seguito delle modifiche apportate al codice dei contratti pubblici dal cosiddetto terzo decreto correttivo (decreto legislativo n. 152 del 2008), l'esercizio della facoltà per le amministrazioni di ricorrere all'esclusione automatica delle offerte anomale è stata limitata agli appalti di importo pari o inferiore a un milione di euro (articolo 122, comma 9). L'introduzione generalizzata della valutazione dell'anomalia anche per appalti di importo contenuto, tuttavia, è risultata di difficile applicazione concreta, considerato che le amministrazioni, soprattutto se di piccole dimensioni, possono non essere sufficientemente strutturate per l'espletamento di tale valutazione. A questo proposito, quindi, il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito dalla legge n. 106 del 2011, ha introdotto una norma transitoria che consente alle amministrazioni di utilizzare l'esclusione automatica fino al 31 dicembre 2013, per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria.
      La fase di crisi economica che da anni sta attraversando il Paese rende indispensabile il permanere di misure di semplificazione e accelerazione delle procedure di affidamento dei lavori pubblici, al fine di consentire una rapida cantierizzazione degli interventi nonché di conseguire, quanto più celermente possibile, gli effetti anticiclici a essi connessi. In tale ottica, si ritiene quindi opportuno confermare, per gli appalti di rilevanza nazionale, il procedimento di esclusione automatica delle offerte anomale, che consente un indubbio risparmio di tempo rispetto al procedimento ordinario di valutazione della congruità dell'offerta. A tal fine, si prevede che le stazioni appaltanti possano ricorrere fino al 31 dicembre 2015 all'esclusione automatica delle offerte anomale per gli appalti di rilevanza nazionale.
      Le disposizioni del presente articolo non introducono ulteriori oneri amministrativi. 

      Articolo 27 (Semplificazione in materia di procedura CIPE e concessioni autostradali). L'intervento modificativo del comma 5 dell'articolo 21 del decreto-legge n. 355 del 2003, convertito dalla legge n. 47 del 2004, è volto ad armonizzare le disposizioni in tema di adeguamento annuale delle tariffe autostradali al mutato assetto delle competenze istituzionali, a seguito del trasferimento dall'ANAS al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti delle funzioni di concedente della rete autostradale. In particolare, si prevede che, a seguito della proposta di variazione tariffaria formulata entro il 15 ottobre di ogni anno dal concessionario al Ministero concedente, sia adottato, entro il 15 dicembre, il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di approvazione o reiezione delle variazioni proposte (comma 1).
      Il comma 2 è volto ad accelerare la nuova procedura di approvazione unica del progetto preliminare da parte del CIPE, prevista dall'articolo 169-bis del codice dei contratti pubblici (introdotto dall'articolo 41, comma 2, del decreto legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 213 del 2011), attraverso la previsione di un termine per il pronunciamento da parte del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri (fissato in sessanta giorni), decorso il quale il provvedimento di approvazione può essere comunque adottato.
È altresì previsto che in caso di criticità che non consentono di pervenire al pronunciamento delle singole amministrazioni interessate nel termine di trenta giorni, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti riferisca al Consiglio dei ministri per le conseguenti determinazioni.
      Le disposizioni del presente articolo non introducono ulteriori oneri amministrativi.

TITOLO II – SEMPLIFICAZIONI

Capo I – Misure per la semplificazione amministrativa

      Articolo 28 (Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento). L'articolo, facendo salve le disposizioni che già oggi consentono la risarcibilità del danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, prevede un indennizzo in favore della parte istante quale misura idonea a conseguire un più vasto rispetto dei termini di conclusione del procedimento da parte della pubblica amministrazione o dei soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative.
      Essa si applica ai soli procedimenti a istanza di parte per i quali è prevista la conclusione mediante l'adozione di un provvedimento espresso, esclusi i pubblici concorsi già in altri casi considerati secondo regole di specialità. Sono quindi escluse anche le ipotesi di silenzio qualificato (assenso o rigetto).
      Allo scadere del termine di conclusione del procedimento, come già prevede l'articolo 2 della legge n. 241 del 1990, l'interessato, con l'onere di rivolgersi al titolare del potere sostitutivo entro sette giorni dalla scadenza del termine del procedimento, ha diritto di vedere indennizzato il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo che lo riguarda nella misura di 30 euro al giorno, con un tetto massimo di 2.000 euro. Il diritto all'indennizzo decorre dalla data di scadenza del termine del procedimento.
      Ove il titolare del potere sostitutivo non emani il provvedimento nel termine dimidiato a lui assegnato o non liquidi l'indennizzo, l'interessato può proporre tale domanda al tribunale amministrativo regionale con ricorso avverso il silenzio o con ricorso per decreto ingiuntivo.
      Allo scopo di evitare speculazioni o sviamenti nell'utilizzo della norma, si prevede che, in caso di domande inammissibili o manifestamente infondate sul piano procedimentale o processuale, il giudice adìto condanni l'istante al pagamento di una somma da due a quattro volte il contributo unificato.
      La condanna nei confronti della pubblica amministrazione è comunicata, oltre che al titolare dell'azione disciplinare, al giudice contabile ai fini del controllo di gestione e al procuratore regionale della Corte dei conti per le valutazioni di competenza.
      Considerato il particolare momento di crisi economica, la norma - che costituisce una significativa leva per il rispetto dei termini procedimentali e che comunque si applica solo ai procedimenti successivi alla sua entrata in vigore - riguarda in prima applicazione i ritardi sulle istanze formulate relativamente all'attività d'impresa. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, il Governo, sentita la Conferenza unificata, stabilirà se la norma debba continuare a trovare applicazione, essere rimodulata o cessare, nonché l'eventuale termine per la sua estensione anche ad altri procedimenti, espressamente individuando quelli eventualmente esclusi.

      Articolo 29 (Data unica di efficacia degli obblighi). L'articolo istituisce il meccanismo della data unica di efficacia delle disposizioni di legge o di regolamenti che introducono oneri amministrativi sulle imprese e sui cittadini.
      Si tratta di una pratica già utilizzata in altri ordinamenti giuridici europei (Regno Unito, Francia, Olanda) e dall'Unione europea con specifico riferimento alle piccole e medie imprese e indicata nella bozza di conclusioni del prossimo Consiglio di competitività come uno degli strumenti di semplificazione da incentivare. È evidente che si tratta di una strategia di semplificazione a costo zero che combatte il fenomeno della moltiplicazione e frammentazione normativa migliorando la stabilità e la prevedibilità del quadro regolatorio, rendendo più trasparenti e facilmente conoscibili gli oneri che gravano sulle imprese e sui cittadini e aumentando, in tal modo, anche la probabilità di ottemperanza delle stesse.
      La conoscibilità delle disposizioni che introducono oneri amministrativi è ulteriormente assicurata dall'obbligo di comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica, che le pubblicherà in apposite pagine web.
      Ovviamente la norma presenta delle criticità tra cui la derogabilità da parte di norme successive.
      Il dispositivo prevede comunque l'obbligo di pubblicare e comunicare anche le date fissate in deroga. 

      Articolo 30 (Semplificazioni in materia edilizia). Il comma 1 dell'articolo reca modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
      Le lettere a), c) ed e), modificano, rispettivamente, gli articoli 3, comma 1, lettera d), 10, comma 1, lettera c), e 22, comma 2, del testo unico. Al fine di favorire la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ed evitare ulteriore consumo del territorio, si agevolano gli interventi di ristrutturazione edilizia volti a ricostruire un edificio con il medesimo volume dell'edificio demolito, ma anche con sagoma diversa dal precedente, e si ricomprendono tra gli interventi di demolizione e ricostruzione classificati come interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
      Sono attualmente classificati come «interventi di ristrutturazione edilizia» anche gli interventi che consistono «nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica». Tale inquadramento subordina l'intervento a presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) edilizia.
      La proposta, tramite l'eliminazione delle parole «e sagoma», prevede che possano essere inquadrati come interventi di ristrutturazione edilizia, subordinati a SCIA, gli interventi volti a ricostruire un edificio con il medesimo volume dell'edificio demolito, ma anche con sagoma diversa dal precedente (mentre attualmente le modifiche alla sagoma comportano l'inquadramento dell'intervento come ristrutturazione edilizia soggetta al rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera c), del testo unico, o alla denuncia di inizio attività (DIA) alternativa al permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 22, comma 3, lettera a), del medesimo testo unico.
      Restano impregiudicate le prerogative dei soggetti preposti alla tutela dei vincoli in quanto l'articolo 22, comma 6, del testo unico già dispone che la realizzazione degli interventi assoggettati a SCIA o a DIA alternativa al permesso di costruire che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative, rientrando, nell'ambito delle norme di tutela, in particolare, le disposizioni di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004). In ogni caso, all'alinea del comma 1, si stabilisce espressamente che resta fermo quanto previsto dalla citata disposizione del testo unico.
      Inoltre, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, resta, comunque, fermo che gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti rientrano tra gli interventi di ristrutturazione edilizia (assoggettati a SCIA) soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente. Per tali immobili, nel caso di modifiche della sagoma, permane la necessità di presentare la domanda di rilascio del permesso di costruire o la DIA alternativa al permesso di costruire.
      La lettera b) del comma 1 dell'articolo in esame, modifica l'articolo 6, comma 4, del testo unico, in materia di attività edilizia libera. In particolare, nei casi di attività assoggettata a mera comunicazione di inizio lavori, relativamente agli interventi di manutenzione straordinaria e di modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, ovvero modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa, si prevede l'eliminazione dell'obbligo di avvalersi di un tecnico che non abbia rapporti di dipendenza né con l'impresa né con il committente.
      La lettera d), interviene modificando l'articolo 20 del testo unico, recante il procedimento per il rilascio del permesso di costruire.
      La disciplina vigente prevede che, qualora l'intervento sia sottoposto a un vincolo ambientale, paesaggistico o culturale, nel caso in cui uno dei relativi atti di assenso necessari non sia favorevole, al termine dei trenta giorni dalla proposta di provvedimento previsti per l'adozione del provvedimento finale, si viene a formare il silenzio rifiuto. La nuova norma prevede che nell'ipotesi in cui venga rilasciato l'atto di assenso dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, il comune sia tenuto a concludere il procedimento di rilascio del permesso di costruire con un provvedimento espresso e motivato e che trovi applicazione l'articolo 2 della legge n. 241 del 1990. Ove, invece, l'atto di assenso venga negato, decorso il termine per il rilascio del permesso di costruire, questo si intenderà respinto. Tale soluzione offre maggiori garanzie al cittadino rispetto al mero silenzio-inadempimento, atteso che il provvedimento conclusivo del procedimento di rilascio del permesso di costruire in questo caso non potrebbe che essere negativo, in quanto l'atto di assenso dell'autorità preposta alla tutela del vincolo ne costituisce un presupposto di legittimità. Il cittadino, pertanto, è meglio tutelato dalla previsione del silenzio-diniego, immediatamente impugnabile, peraltro associata alla previsione dell'obbligo per il responsabile del procedimento di comunicare tempestivamente sia il diniego dell'atto di assenso, sia l'autorità alla quale ricorrere e i relativi termini.
      Con specifico riferimento agli immobili soggetti a vincolo paesaggistico, in caso di inerzia dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, è fatto salvo quanto previsto in materia di autorizzazione paesaggistica dall'articolo 146, comma 9, del codice dei beni culturali e del paesaggio, ove si prevede che l'inerzia del soprintendente nell'emissione del proprio parere è sempre superabile dal comune o dalla diversa autorità preposta al rilascio del provvedimento finale, poiché, decorso il termine previsto normativamente, l'amministrazione competente è tenuta a provvedere sulla domanda, prescindendo dal predetto parere.
      La lettera f) del comma in esame introduce l'articolo 23-bis del testo unico.
      Al fine di omogeneizzare le disposizioni in materia di sportello unico per l'edilizia, alla luce dei recenti interventi legislativi riguardanti la SCIA e la comunicazione dell'inizio dei lavori (CIL), si prevede che in tali casi l'interessato può richiedere allo sportello unico di acquisire gli atti di assenso necessari per l'intervento edilizio oppure presentare istanza di acquisizione dei medesimi atti contestualmente alla SCIA o alla CIL. Lo sportello unico comunica tempestivamente all'interessato l'avvenuta acquisizione degli atti di assenso. Si applica la disciplina della conferenza di servizi prevista per il rilascio del permesso di costruire. In caso di presentazione contestuale della SCIA o della CIL e dell'istanza di acquisizione degli atti di assenso, l'interessato può dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello unico dell'avvenuta acquisizione degli atti di assenso o dell'esito positivo della conferenza di servizi. 
     Si prevede, altresì, che all'interno delle zone omogenee A (le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale) di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e in quelle equipollenti secondo l'eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali, per gli interventi o le varianti a permessi di costruire ai quali è applicabile la SCIA comportanti modifiche della sagoma rispetto all'edificio preesistente o già assentito (si tratta di interventi sugli immobili non assoggettati a vincolo ai sensi del al codice dei beni culturali e del paesaggio), i lavori non possono in ogni caso avere inizio prima che siano decorsi venti giorni dalla data di presentazione della segnalazione.
      La lettera g) del comma in esame, modifica l'articolo 24 del testo unico, prevedendo che il certificato di agibilità possa essere richiesto anche per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché siano funzionalmente autonomi, siano state realizzate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate le parti comuni, nonché per singole unità immobiliari, purché siano completati le opere strutturali, gli impianti, le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria. Il certificato di agibilità parziale è prorogato per una sola volta di tre anni prima della scadenza del termine di completamento dell'opera.
      La lettera h) del comma in esame modifica l'articolo 25 del testo unico. In particolare, si stabilisce che ove non proponga domanda di rilascio del certificato di agibilità, l'interessato presenti la dichiarazione del direttore dei lavori o di un professionista abilitato con la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, unitamente alla documentazione prescritta.
      Il comma 2 dell'articolo in esame modifica la legge n. 122 del 1989 (cosiddetta «legge Tognoli»), ampliando l'ambito di applicazione della norma, introdotta dal decreto-legge n. 5 del 2012, convertito dalla legge n. 35 del 2012, che consente il trasferimento dei parcheggi pertinenziali costruiti ai sensi della medesima legge n. 122 del 1989, chiarendo che il trasferimento può riguardare anche il solo vincolo pertinenziale, ipotesi frequente nella pratica.
      Quanto ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo in esame, si ricorda che il testo unico dell'edilizia attualmente dispone che i lavori autorizzati con permesso di costruire debbano essere avviati entro un anno dal rilascio del permesso, mentre, per ultimare l'opera, il termine è fissato a tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, dietro richiesta del titolare del permesso, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare.
      I lavori avviati dopo la presentazione di DIA o SCIA edilizia devono essere anch'essi ultimati entro tre anni (articolo 23 del testo unico).
      L'intervento in esame prevede, ferma restando la diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, la proroga di due anni per i termini di inizio e ultimazione dei lavori autorizzati con permesso di costruire, DIA o SCIA, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
      Il comma 6 dispone, infine, che le disposizioni dell'articolo in esame si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
      In relazione all'articolo in esame, alla presente relazione sono allegate le tabelle relative agli oneri informativi introdotti o eliminati e alla stima dei corrispondenti costi amministrativi. 

      Articolo 31 (Semplificazioni in materia di DURC). L'articolo introduce disposizioni di semplificazione in materia di documento unico di regolarità contributiva (DURC).
      In primo luogo (comma 1), si interviene sull'articolo 13-bis del decreto-legge n. 52 del 2012, convertito dalla legge n. 94 del 2012, eliminando al comma 5 il riferimento all'articolo 1, comma 1175, della legge n. 296 del 2006; in tal modo, si consente l'applicazione della procedura compensativa, prevista dallo stesso articolo 13-bis, anche ai fini del rilascio del DURC nell'ambito delle procedure di appalto pubblico e nell'ambito degli appalti privati in edilizia.
      Viene previsto, poi (comma 4), che le stazioni appaltanti acquisiscano attraverso strumenti informatici il DURC in corso di validità, mentre attualmente l'articolo 6, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 prevede che il DURC venga acquisito «anche» attraverso strumenti informatici.
      Si prevede, inoltre (comma 5), che il DURC abbia validità di centottanta giorni dalla data di emissione e si limita la richiesta del predetto documento solo ai momenti fondamentali della fase di affidamento e di gestione del contratto (selezione del contraente e pagamento delle prestazioni), riducendo da cinque a due le fasi procedurali in cui è richiesto.
      In particolare, si stabilisce che le stazioni appaltanti utilizzino il DURC in corso di validità - acquisito per la verifica della sussistenza del requisito consistente nel non aver commesso violazioni gravi in materia di contributi previdenziali e assistenziali - anche per le successive due fasi dell'aggiudicazione e della stipula del contratto.
      Si stabilisce altresì che, dopo la stipula del contratto, le stazioni appaltanti acquisiscano il DURC ogni centottanta giorni e lo utilizzino sia per la fase relativa al pagamento degli stati avanzamento lavori o delle prestazioni relative a servizi e forniture, sia per il rilascio del certificato di collaudo, del certificato di regolare esecuzione, del certificato di verifica di conformità, sia per l'attestazione di regolare esecuzione; la sola eccezione concerne il pagamento del saldo finale, per il quale è in ogni caso necessaria l'acquisizione di un nuovo DURC. Analogamente si dispone (comma 6), in un'ottica di semplificazione, un accorpamento di fasi nell'acquisizione da parte delle stazioni appaltanti del DURC relativo ai subappaltatori.
      Si prevede poi (comma 7) che, ai fini della verifica amministrativo-contabile, i titoli di pagamento debbano essere corredati dal DURC anche in formato elettronico.
      Si apportano, infine (comma 8), modifiche all'istituto della regolarizzazione delle inadempienze ai fini del rilascio del DURC, precisando, in chiave di semplificazione, che l'invito alla regolarizzazione delle inadempienze è trasmesso mediante posta elettronica certificata all'interessato, o, con lo stesso mezzo, per il tramite del consulente del lavoro nonché degli altri professionisti di cui all'articolo 1 della legge n. 12 del 1979. 

      Articolo 32 (Semplificazione di adempimenti formali in materia di lavoro). L'articolo in esame prevede numerosi interventi al fine di semplificare adempimenti formali in materia di lavoro.
      In particolare, si prevedono alcune semplificazioni con riferimento alla documentazione relativa agli adempimenti in tema di salute e sicurezza sul lavoro per quanto concerne il documento unico di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI). Al riguardo, si rappresenta che la cooperazione e il coordinamento tra committente, appaltatori e subappaltatori, ai fini della prevenzione dei rischi da interferenze di lavorazione (articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008), possono essere attuati, limitatamente ai settori di attività a basso rischio infortunistico, con l'individuazione di un incaricato, in possesso di adeguati requisiti, che sovrintenda alle attività di cooperazione e di coordinamento. L'individuazione dei settori di attività a basso rischio infortunistico è demandata a un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro della salute, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni), sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici di settore dell'INAIL. La tipologia di lavori o servizi per i quali non è obbligatoria la redazione del DUVRI si estende ai lavori o servizi la cui durata non sia superiore a dieci uomini giorno, intendendo per uomini giorno l'entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie al completamento delle attività considerato con riferimento all'arco temporale di un anno dall'inizio dei lavori [(comma 1, lettere a) e b)].
      Vi sono poi norme finalizzate a evitare la duplicazione di corsi di formazione e aggiornamento, rispettivamente per i responsabili e gli addetti del servizio protezione e sicurezza e per i dirigenti, i preposti, i lavoratori e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, prevedendo che nelle ipotesi in cui vi sia sovrapposizione, in tutto o in parte, tra i contenuti di differenti corsi, sia riconosciuto un credito formativo per il contenuto e la durata della formazione e dell'aggiornamento corrispondenti già erogati [(comma 1, lettere c) e d)].
      Si dispone, inoltre, che la comunicazione agli organi di vigilanza degli elementi informativi relativi ai nuovi insediamenti produttivi – oggi regolamentata dall'articolo 67 del decreto legislativo n. 81 del 2008 – possa essere effettuata nell'ambito delle istanze, delle segnalazioni o delle attestazioni presentate allo sportello unico per le attività produttive. Le informazioni da trasmettere sono individuate con decreto dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali e per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentita la Conferenza Stato-regioni [(comma 1, lettera e)].
      Si introducono, altresì, disposizioni in materia di verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro (articolo 71 del decreto legislativo n. 81 del 2008) al fine di agevolare lo svolgimento delle stesse da parte delle imprese. A questo proposito è stato ridotto da sessanta a quarantacinque giorni il termine entro cui l'INAIL è tenuto a effettuare la prima verifica. Viene, inoltre, previsto l'obbligo per i soggetti pubblici tenuti alle verifiche – INAIL, ASL, ARPA – di comunicare al datore di lavoro, entro quindici giorni dalla richiesta, l'eventuale impossibilità a effettuare le verifiche di propria competenza; in tal caso il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati alle verifiche. Per l'effettuazione delle verifiche l'INAIL, le ASL o l'ARPA possono avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati. Le spese per l'effettuazione delle predette verifiche sono poste a carico del datore di lavoro [(comma 1, lettera f)].
      Si prevedono poi una serie di semplificazioni degli adempimenti nei cantieri. In particolare, si dispone l'esclusione dei piccoli lavori, la cui durata presunta non è superiore ai dieci uomini giorno, finalizzati alla realizzazione o manutenzione delle infrastrutture per servizi, dall'applicazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008 previste per i cantieri temporanei e mobili (articolo 88 del predetto decreto). Si demanda a un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Commissione consultiva e la Conferenza Stato-regioni) l'individuazione di modelli semplificati per la redazione di alcuni documenti relativi ai cantieri (piano operativo di sicurezza, piano di sicurezza e coordinamento, fascicolo dell'opera) [(comma 1, lettere g) e h)].
      Si dispone che alcune comunicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro possano essere effettuate in via telematica, anche per mezzo di organismi paritetici o organizzazioni sindacali dei datori di lavoro [(comma 1, lettere i), l), m), n)].
      Si demanda a un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Commissione consultiva e la Conferenza Stato-regioni) l'individuazione di modelli semplificati per la redazione del piano di sicurezza sostitutivo del piano di sicurezza e coordinamento richiamato all'articolo 131 dei contratti pubblici (comma 4).
      Si prevedono, infine, misure di semplificazione in materia di comunicazioni e notifiche, che riguardano, tra l'altro, la denuncia degli infortuni sul lavoro da parte del datore di lavoro. In particolare, viene abrogato l'articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, che dispone l'obbligo a carico del datore di lavoro di denunciare all'autorità locale di pubblica sicurezza ogni infortunio sul lavoro che abbia per conseguenza la morte o l'inabilità al lavoro per più di tre giorni, ed è modificato l'articolo 56 del medesimo decreto, stabilendo che le autorità di pubblica sicurezza, le autorità portuali e consolari e le direzione territoriali del lavoro acquisiscano dall'INAIL, mediante accesso telematico, i dati relativi alle denunce di infortuni sul lavoro mortali e di quelli con prognosi superiore ai trenta giorni. Analogamente, i servizi ispettivi della direzione territoriale del lavoro competente prendono visione dei dati relativi alle denunce di infortuni mediante accesso alla banca dati INAIL (comma 6).
      In relazione all'articolo in esame, alla presente relazione sono allegate le tabelle relative agli oneri informativi introdotti o eliminati e alla stima dei corrispondenti costi amministrativi. 

      Articolo 33 (Semplificazione del procedimento per l'acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia). L'articolo 33 introduce misure di semplificazione degli adempimenti procedurali relativi all'acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero nato in Italia.
      Si tratta di recepire un orientamento consolidato da parte della giurisprudenza (recentemente: Corte di appello di Napoli, sentenza n. 1486 del 13 aprile 2012; Tribunale di Imperia, decreto n. 1295 del 11 settembre 2012; Tribunale di Reggio Emilia – I sezione civile, decreto 31 gennaio 2013; Tribunale di Lecce – II sezione civile, sentenza del 11 marzo 2013; Tribunale di Firenze – I sezione civile, decreto del 5 aprile 2013), che riconosce al figlio nato in Italia da genitori stranieri il diritto di acquisire la cittadinanza al compimento della maggiore età, nei casi in cui ci siano inadempimenti di natura amministrativa, a lui non imputabili, da parte dei genitori o degli ufficiali di stato civile o di altri soggetti. In tal modo, la giurisprudenza ha considerato rilevante la sussistenza in concreto dei requisiti per ottenere la cittadinanza da parte del neo maggiorenne nato in Italia da genitori stranieri, documentabili, tra l'altro, con certificazioni scolastiche o mediche attestanti la sua presenza in Italia fin dalla nascita e il suo inserimento nel tessuto socio-culturale.
      In particolare, il comma 1 prevede pertanto che, ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana, all'interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione, e che egli possa dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione.
      Con riferimento, inoltre, al comma 2 dell'articolo 4 della legge n. 91 del 1992, che prevede che l'interessato debba effettuare, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, una dichiarazione per l'acquisto della cittadinanza italiana, si prevede, al comma 2 del presente articolo, che gli ufficiali di stato civile debbano comunicare all'interessato, al compimento del diciottesimo anno di età, presso la sede di residenza che risulta all'ufficio, la possibilità di esercitare il predetto diritto entro il diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto potrà essere esercitato anche oltre il termine fissato dalla legge.

      Articolo 34 (Disposizioni in materia di trasmissione in via telematica del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza). Si introducono modifiche all'articolo 21 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, volte alla semplificazione delle modalità di presentazione del certificato medico di gravidanza, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza da parte della lavoratrice all'INPS per l'erogazione delle prestazioni di maternità.
      Attualmente, infatti, i predetti certificati devono essere consegnati dalla lavoratrice in modalità cartacea presso le sedi dell'INPS territorialmente competenti allo sportello ovvero tramite lettera raccomandata.
      La norma pone quindi a carico dei medici, o comunque delle strutture sanitarie pubbliche o private convenzionate, l'obbligo di trasmettere, in via esclusivamente telematica, i predetti certificati esonerando la lavoratrice dai relativi adempimenti amministrativi e consentendo una gestione semplificata dell'intero iter amministrativo.
      Inoltre, potrà così essere sviluppata anche la possibilità per i datori di lavoro di accedere direttamente alle suddette certificazioni sanitarie telematiche, in modo da esonerare la lavoratrice dagli adempimenti attualmente previsti nei confronti dei datori di lavoro (open data).
      La telematizzazione dell'intero iter amministrativo della maternità comporta effetti di semplificazione che direttamente coinvolgono anche le prestazioni legate ai congedi parentali, con un effetto di semplificazione e di maggior controllo sull'erogazione delle relative indennità. Si potrà, così, agevolare l'interoperabilità dei dati in possesso di diverse amministrazioni pubbliche (Agenzia delle entrate, datori di lavoro pubblici, direzioni territoriali del lavoro, ASL e così via) funzionale a una più rapida e completa definizione dei processi amministrativi. 

      Articolo 35 (Misure di semplificazione per le prestazioni lavorative di breve durata). L'articolo prevede l'individuazione di procedure semplificate che consentano l'effettivo adempimento degli obblighi di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria anche quando la permanenza del lavoratore in azienda non sia superiore alle cinquanta giornate di lavoro nel corso dell'anno solare, in maniera tale da tenere conto degli obblighi assolti da uno o più datori di lavoro nei confronti dello medesimo lavoratore nel corso dell'anno solare.
      In relazione all'articolo in esame, alla presente relazione sono allegate le tabelle relative agli oneri informativi introdotti o eliminati e alla stima dei corrispondenti costi amministrativi.

      Articolo 36 (Proroga di consiglio di indirizzo e vigilanza di INPS e INAIL). L'articolo intende assicurare continuità di funzionamento ai due organismi collegiali dell'INPS e dell'INAIL, in corso di rinnovo, fermo restando il termine ultimo della proroga dei rispettivi componenti fino al 30 settembre 2013. Il processo di ricostituzione di tali organi, infatti, non è al momento completato, in quanto alcune significative parti sociali non hanno ancora provveduto a designare i loro rappresentanti in seno ai predetti organi.

      Articolo 37 (Zone a burocrazia zero). L'articolo pone le basi per una valorizzazione delle informazioni sulle semplificazioni introdotte grazie alla sperimentazione delle cosiddette zone a burocrazia zero previste dalla normativa vigente, informazioni che devono essere rese pubbliche attraverso i siti istituzionali delle amministrazioni coinvolte e che devono consentire di arrivare a condividere un'unica piattaforma informatica che semplifichi per le imprese l'individuazione delle specifiche procedure semplificate in base alla legge richiamata.
      Al Ministero dello sviluppo economico, d'intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, è poi affidato il ruolo di raccordare e accompagnare le singole iniziative attraverso un periodico monitoraggio.
      L'articolo infine esclude alcune parti dell'azione amministrativa a tutela di interessi di natura generale che meritano particolare salvaguardia.

      Articolo 38 (Disposizioni in materia di prevenzione incendi). L'intervento si rende necessario, sulla base di esigenze rappresentate dal mondo delle imprese nel periodo intercorso dalla vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011 (regolamento di semplificazione in materia di prevenzione incendi), ed è volta sia a semplificare gli adempimenti di prevenzione incendi, con conseguente riduzione degli oneri amministrativi, per le imprese, sia a rendere sostenibili i tempi di assolvimento degli adempimenti stessi.
     L'intervento riguarda le imprese rientranti nel campo di applicazione della norma di cui all'articolo 11, comma 4, del citato regolamento che, operanti alla data di pubblicazione del regolamento medesimo, sono state assoggettate agli obblighi di prevenzione incendi di cui all'Allegato I del medesimo regolamento.
      Pertanto, il comma 1 dell'articolo in esame introduce un'importante semplificazione e specificazione degli adempimenti amministrativi in materia di prevenzione incendi, consentendo agli enti e privati di cui all'articolo 11, comma 4, del citato regolamento di essere esentati dall'obbligo di cui all'articolo 3 del medesimo regolamento qualora siano in possesso di titoli abilitativi riguardanti la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. In tal modo si consente agli interessati di ridurre gli oneri amministrativi, in quanto viene meno la fase relativa alla presentazione dell'istanza volta alla valutazione dei progetti, evitando una duplicazione di adempimenti con effetti favorevoli anche sui costi che i suddetti enti debbono sostenere.
      Il comma 2, tenuto conto delle esigenze rappresentate dal mondo imprenditoriale, differisce di un anno il termine previsto dal medesimo regolamento, in scadenza il prossimo 7 ottobre, per la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 4 del regolamento, ivi compresa, esclusivamente per le fattispecie diverse da quelle previste al comma 1 dell'articolo in esame, la preliminare presentazione dell'istanza di cui all'articolo 3 del regolamento. La disposizione prevede, quindi, una scansione temporale sostenibile degli adempimenti a carico degli interessati, chiarendo, altresì, che l'istanza volta alla valutazione dei progetti di cui all'articolo 3 è propedeutica alla presentazione dell'istanza, tramite SCIA, ai fini del controllo in materia di prevenzione incendi. 

      Articolo 39 (Disposizioni in materia di beni culturali). Le disposizioni del presente articolo modificano alcune norme del codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare, la lettera a), del comma 1 sostituisce, all'articolo 106, comma 2, del codice, il termine ”soprintendente” con il termine ”Ministero”, in modo da rinviare alla più adeguata sede del regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali la determinazione della competenza al rilascio delle autorizzazioni per la riproduzione di beni culturali e per gli altri usi individuali dei medesimi beni. Al riguardo, deve essere precisato che la modifica ha una funzione di mero – ma quanto mai opportuno – chiarimento del quadro normativo vigente, poiché il regolamento di organizzazione del Ministero (decreto del Presidente della Repubblica n. 233 del 2007), ha già operato, trattandosi di regolamento di delegificazione, l'implicita abrogazione della disposizione dell'articolo 106, comma 2, del codice, mediante la previsione [articolo 17, comma 3, lettera l)] che affida al direttore regionale, invece che al soprintendente, il rilascio delle autorizzazioni di cui si tratta.
      La lettera b), del comma 1 modifica l'articolo 146, commi 4, 5 e 9, del medesimo codice in materia di autorizzazione paesaggistica. In particolare, la modifica al comma 4 estende l'efficacia dell'autorizzazione paesaggistica quinquennale per un ulteriore periodo massimo di dodici mesi, purché i lavori siano iniziati entro il quinquennio dal rilascio dell'autorizzazione medesima.
      La modifica apportata al comma 5 dell'articolo 146 del codice interessa il secondo periodo del suddetto comma, concernente il procedimento di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche nel caso specifico in cui sia stato positivamente verificato l'adeguamento degli strumenti urbanistici alle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici sottoposti a tutela previste dai nuovi piani paesaggistici, adeguati alle previsioni del codice stesso. In tali ipotesi, rimane ferma la previsione in base alla quale il parere reso dal soprintendente all'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione ha carattere obbligatorio e non vincolante.
      Quanto, invece, al termine per l'espressione del parere, originariamente fissato in quarantacinque giorni, esso è stato innalzato a novanta giorni dall'articolo 4, comma 16, lettera e), numero 2), del decreto-legge, n. 70 del 2011, convertito, dalla legge n. 106 del 2011. Il medesimo decreto-legge ha previsto altresì che, decorso il termine per l'espressione del parere obbligatorio, questo si intenda reso favorevolmente (silenzio-assenso). La modifica del comma 5 elimina la previsione del silenzio-assenso e, correlativamente, riporta il termine per l'espressione del parere a quarantacinque giorni. Decorso quindi il suddetto termine, l'amministrazione provvede in ordine alla richiesta di autorizzazione.
      Il comma 9 dell'articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio disciplina il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici alle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici sottoposti a tutela stabilite dai nuovi piani paesaggistici e prevede, in tale fase, il carattere vincolante del parere del soprintendente. La modifica apportata alla disposizione in argomento elimina il ricorso alla conferenza di servizi, in precedenza chiamata a pronunciarsi entro il termine perentorio di quindici giorni, nel caso in cui il soprintendente non abbia reso il proprio parere vincolante entro il termine previsto, che rimane determinato in quarantacinque giorni. Di conseguenza, viene diminuito il termine (da sessanta a quarantacinque giorni) oltre il quale l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione prescindendo dal suddetto parere. 

      Articolo 40 (Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali). L'articolo 2, comma 8, del decreto legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, prevede che: «In deroga a quanto previsto dall'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 maggio 2003, n. 240, al fine di assicurare l'equilibrio finanziario delle Soprintendenze speciali ed autonome, il Ministro per i beni e le attività culturali, con proprio decreto, può disporre trasferimenti di risorse tra le disponibilità depositate sui conti di tesoreria delle Soprintendenze medesime, in relazione alle rispettive esigenze finanziarie, comunque assicurando l'assolvimento degli impegni già presi su dette disponibilità.». La disposizione consente, quindi, nel suo attuale tenore, il riequilibrio finanziario tra i conti di tesoreria delle Soprintendenze dotate di autonomia speciale nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali, previste e disciplinate dall'articolo 15 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 novembre 2007, n. 233.
      La disposizione del presente articolo 40 è finalizzata ad estendere gli effetti del riequilibrio finanziario al bilancio del Ministero per i beni e le attività culturali, attraverso la possibilità del versamento in conto entrata al bilancio dello Stato di risorse non impegnate e disponibili nei conti di tesoreria delle Soprintendenze dotate di autonomia speciale e la loro riassegnazione allo stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali.
      La norma non comporta oneri a carico delle finanze dello Stato e permette di ottimizzare l'utilizzo delle risorse disponibili all'interno dell'amministrazione.

      Articolo 41 (Disposizioni in materia ambientale). Con le disposizioni del presente articolo si intende dettare misure di semplificazione di norme ambientali, suscettibili di ricadute significative per la diminuzione di oneri a carico degli operatori interessati e per accelerare le procedure amministrative relative agli interventi, con positive conseguenze per la crescita delle attività economiche interessate.
      Tali obiettivi sono perseguiti senza diminuire le garanzie di tutela delle risorse ambientali.
      Con la disposizione di cui al comma 1, in particolare, si interviene per operare alcune importanti precisazioni sulla disciplina delle acque emunte nell'ambito delle operazioni di messa in sicurezza e di bonifica di siti contaminati.
      La disposizione riscrive la disciplina relativa alla gestione delle acque di falda nell'ambito del titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativo alla bonifica dei siti contaminati. Secondo la nuova impostazione, l'emungimento (ossia l'estrazione delle acque) con conseguente scarico in un corpo idrico superficiale è ammesso solo ove non sia possibile riutilizzare le acque in un ciclo industriale o per il riciclo delle stesse. Le acque emunte possono essere reimmesse, anche mediante reiterati cicli di emungimento e reimmissione, nel medesimo acquifero ai soli fini della bonifica dello stesso. In tal modo si dettano le condizioni al ricorrere delle quali le acque emunte non possono ricadere nella categoria dei rifiuti liquidi, consentendo quindi di utilizzare ai fini presi in considerazione dalla norma gli impianti di depurazione esistenti, i quali non devono pertanto essere autorizzati come impianti di gestione dei rifiuti, richiedenti spesso l'assoggettamento a valutazione di impatto ambientale, evitando quindi il conseguente aggravio di procedure, ritardi di tempi di intervento e maggiori oneri.
      La norma proposta è coerente con il diritto dell'Unione europea.
      La disposizione di cui al comma 2 è invece volta a semplificare l'utilizzo delle terre e rocce da scavo, chiarendo i casi in cui è necessario il ricorso alle procedure prescritte dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161.
      Le procedure stabilite in detto decreto sono proporzionate ai materiali di scavo prodotti nell'ambito delle cosiddette grandi opere, mentre possono risultare eccessivamente gravose e sproporzionate per quelli prodotti nell'ambito di lavori di entità minore eseguiti in piccoli cantieri. Per questo si è ritenuto di limitare l'applicazione delle predette procedure alle attività o opere soggette a valutazione d'impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale.
      Con la disposizione di cui al comma 3 si interviene per semplificare la disciplina di cui all'articolo 3 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, il quale specifica che cosa si intende per «suolo» in relazione ai materiali esclusi dall'ambito di applicazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati. Attualmente la nozione di «suolo» si interpreta come riferita anche alle matrici materiali di riporto, intese come ”i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all'articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei».
      La disposizione chiarisce la definizione delle matrici materiali di riporto, specificandone la composizione, e prevede inoltre che le stesse siano soggette a test di cessione affinché possano essere considerate come sottoprodotti o rimosse dal luogo di scavo.
      Con le disposizioni di cui al comma 4 si intende invece chiarire meglio la portata di alcune norme applicate in relazione all'attività di collocazione di allestimenti mobili di pernottamento e relativi accessori, temporaneamente ancorati al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno di turisti, in modo da risolvere alcune questioni interpretative sorte nell'applicazione concreta delle stesse, suscettibili di ostacolare l'attività delle strutture ricettive per turisti all'aperto.
      In particolare, facendo riferimento a normative di settore contenute in diverse leggi regionali, con le norme in questione si precisa che la realizzazione di tali allestimenti mobili non necessita di permesso di costruire, laddove detta collocazione sia effettuata in conformità alle leggi regionali applicabili e al progetto già autorizzato con il rilascio del permesso di costruire per le medesime strutture ricettive.
      Con le disposizioni di cui al comma 5 si intende invece accelerare talune procedure di competenza del Commissario di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e  della tutela del territorio e del mare 3 gennaio 2013, nominato per l'emergenza rifiuti nel Lazio, e individuarne meglio e circoscriverne i poteri, al fine di renderne più efficienti gli interventi per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani.
      La norma di cui al comma 6 si propone di fornire uno strumento che consenta l'accelerazione delle procedure di competenza degli enti locali in via ordinaria per la realizzazione e l'avvio della gestione degli impianti di rifiuti nella regione Campania, già previsti e non ancora realizzati. Tale accelerazione è dettata anche dall'esigenza di evitare un'imminente e pressoché certa condanna dell'Italia nella procedura di infrazione n. 2007/2195, che si stima nell'ordine di 8 milioni di euro giornalieri, oltre alla perdita di un ingente finanziamento europeo stanziato per il problema dei rifiuti nella regione Campania.
      Ai fini anzidetti si è previsto pertanto di ricorrere alla nomina di commissari nominati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che effettuino gli interventi necessari in caso di inadempienza degli enti competenti in via ordinaria, al pari di quanto già previsto con le disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 358 al 361, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. La copertura degli oneri connessi all'attività dei commissari anzidetti è disciplinata al comma 7. 

      Articolo 42 (Soppressione certificazioni sanitarie). L'articolo che si propone, in gran parte tratto dal disegno di legge atto Senato n. 1249, della XVI legislatura, recante disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute, di iniziativa governativa del gennaio 2007, concertato con i Ministeri del lavoro e della previdenza sociale, dello sviluppo economico, per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, delle politiche agricole alimentari e forestali, per gli affari regionali e dell'interno, contiene una serie di misure finalizzate a garantire l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, riducendo in modo significativo e concreto le procedure burocratiche ormai ritenute obsolete che incidono negativamente sugli oneri a carico dei cittadini e degli operatori sanitari, come pure sui costi sostenuti dalle stesse amministrazioni coinvolte.
      In particolare, nel presupposto del cammino già avviato sin dagli anni Novanta del passato secolo a favore di una semplificazione procedimentale, anche attraverso un'attività sistematica di delegificazione e di riordino normativo, si provvede a semplificare alcune procedure relative alle certificazioni e alle autorizzazioni ritenute desuete alla luce dell'evidenza scientifica e dell'efficacia delle prestazioni.
      I contenuti di gran parte delle suddette disposizioni costituiscono il risultato delle valutazioni di un gruppo di lavoro a suo tempo istituito presso il Ministero della salute, con il compito di procedere ad una ricognizione della normativa in materia, di rivalutare l'efficacia delle certificazioni a fini di tutela della salute pubblica e di individuare una serie di pratiche sanitarie di certificazione o di autorizzazione che allo stato attuale non hanno più alcuna valenza sanitaria. Giova evidenziare che nella legislazione italiana si sono stratificate nel tempo norme che impongono l'adozione di misure rivolte alla prevenzione di malattie o alla tutela della salute, basate su idee dominanti nella comunità scientifica dell'epoca in cui furono adottare, ma attualmente non più ritenute valide, oppure basate sulla necessità di difesa da pericoli per la salute non più attuali.
      La presenza all'interno della normativa statale di norme e regolamenti stratificatisi nel tempo, da cui derivano procedure, come certificazioni o autorizzazioni, prive di documentata efficacia, genera un uso non ottimale delle risorse, una perdita di credibilità del sistema di prevenzione, senza alcun utile impatto sui problemi di salute. Queste norme, inoltre, generano attività rituali percepite dai cittadini come un inutile aggravio burocratico.
      Negli scorsi anni, alcune regioni hanno provveduto, con proprie leggi, ad abolire ovvero semplificare alcune procedure relative alle certificazioni e alle autorizzazioni, nonché alle idoneità sanitarie. Nei confronti di tali iniziative, il Governo ha sollevato di fronte alla corte costituzionale eccezioni di costituzionalità. La Corte, con sentenza n. 162 del 2004, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate.
      È necessario infatti che le pratiche di prevenzione siano giustificate dall'esistenza di prove che dimostrino la loro efficacia. La comunità scientifica internazionale, dall'inizio degli anni Novanta, come sopra anticipato, è impegnata nella ridefinizione delle basi teoriche delle pratiche sanitarie. Tali basi, tradizionalmente desunte partendo dai meccanismi fisio-patologici e da modelli sperimentati in vitro e su sistemi animali, dovrebbero essere affiancate da prove empiriche che ne dimostrino l'efficacia sull'uomo, prove il cui modello paradigmatico è rappresentato dalla sperimentazione clinica controllata. L'esigenza di dimostrazioni dell'efficacia degli interventi sanitari si sta diffondendo a tutti i livelli del sistema sanitario, con l'elaborazione di linee guida e raccomandazioni per la buona pratica clinica (evidence based medicine).
      Anche nel campo delle misure di prevenzione, sia che esse agiscano a livello del sistema regolatorio, della comunità o del singolo individuo, la valutazione dell'efficacia dell'intervento, basata su prove empiriche, è ritenuta un requisito indispensabile (evidence based public health).
      Tenuto conto di quanto sopra esposto sono state predisposte le norme di questo articolo in materia di certificazioni e autorizzazioni sanitarie, secondo una logica di semplificazione della normativa vigente, alla luce del fatto che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, diverse certificazioni o autorizzazioni sanitarie non hanno più ragione di essere o sembrano, in ogni caso, inefficaci rispetto al conseguimento delle finalità per le quali erano state previste. 

      Articolo 43 (Disposizioni in materia di trapianti). L'intervento in esame riveste carattere di urgenza in quanto è finalizzato a superare le difficoltà attuative connesse alla lacuna normativa del vigente articolo 3 del testo unico di cui al regio decreto n.773 del 1931, come integrato dall'articolo 3, comma 8-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.194, che, come è noto, nel prevedere che anche la carta di identità può contenere l'indicazione del consenso ovvero del diniego della persona, cui si riferisce, a donare i propri organi in caso di morte, non ha previsto le modalità di trasferimento dei relativi dati (consenso o diniego a donare gli organi) dal comune al Sistema informativo dei trapianti.
      Orbene, ferma restando la rilevante portata normativa della citata norma, che sicuramente va vista come un'ulteriore misura volta a favorire e promuovere la donazione degli organi, ai fini della tutela della salute sia personale che pubblica, non può non essere sollevato il problema che si presenta in fase attuativa della medesima, atteso che, non essendo stato disposto anche il necessario e successivo passaggio relativo trasferimento dei relativi dati (consenso o diniego a donare gli organi) dal comune al Sistema informativo trapianti (istituito dall'articolo 7, comma 2, della legge n. 91 del 1999 nell'ambito del Sistema informativo nazionale – SIT) – a cui rimedia la presente proposta – in sostanza viene vanificata la vera valenza della norma stessa, tesa ad incrementare le manifestazioni di volontà a donare gli organi, in caso di morte, da parte dei cittadini.
      Infatti, dal punto di vista del funzionamento del sistema «donazione-trapianto», l'inserimento della dichiarazione di volontà sulla carta di identità – per sortire effetti positivi – deve contestualmente consentire al sistema trapianti (nell'intero arco delle ventiquattro ore) la verifica della volontà o meno della persona a donare gli organi ove ricorrano, per esempio, casi di decessi improvvisi.
      Da ciò scaturisce la necessità che tali dichiarazioni non siano apposte unicamente sulla carta di identità ma siano contestualmente registrate e gestite attraverso il SIT, che può essere consultato dai centri di coordinamento dei trapianti.  Dalla riferita necessità muove l'urgenza della norma in esame, in considerazione del fatto che i dati in questione (consenso o diniego a donare gli organi) sono dati sensibili, e come tali, nel rispetto del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, non possono essere trattati se non vi è una specifica norma a tale fine dedicata, che nel caso in esame consente al comune il successivo trasferimento al SIT.
      Sulla base delle motivazioni di urgenza di cui sopra, ai fini della tutela del diritto alla salute, l'inserimento della dichiarazione di volontà nel sistema informativo diventa, pertanto, la condizione essenziale per consentire l'attuazione della norma, nonché il suo valore aggiunto, garantendo ai centri di coordinamento trapianti la certezza di poter consultare sempre l'ultima aggiornata volontà espressa dal cittadino.
      Sembra utile, ai fini della norma proposta, rappresentare che ad oggi, dai dati presenti nel SIT, i cittadini che hanno manifestato la propria volontà relativamente alla donazione di organi sono circa 1.330.000, di cui circa 115.000 mediante registrazione presso le aziende sanitarie locali, e circa 1.200.000 mediante iscrizione all'AIDO (Associazione italiana donatori di organi), mentre risultano 9.046 persone in lista di attesa. 

      Articolo 44 (Riconoscimento del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni di altri Stati membri e semplificazioni per la certificazione di qualità di materie prime utilizzate per la produzione di medicinali). L'articolo 44, comma 1, apporta una modifica all'articolo 5 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, il quale sancisce che «le amministrazioni pubbliche tenute al rispetto del principio di libera circolazione dei lavoratori, di cui agli articoli 39 del Trattato che istituisce la Comunità europea e 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, salve più favorevoli previsioni, valutano, ai fini giuridici ed economici, l'esperienza professionale e l'anzianità acquisite da cittadini comunitari nell'esercizio di un'attività analoga a quella considerata rilevante e svolta presso pubbliche amministrazioni di un altro Stato membro, anche in periodi antecedenti all'adesione del medesimo all'Unione europea, o presso organismi dell'Unione europea, secondo condizioni di parità rispetto a quelle maturate nell'ambito dell'ordinamento italiano».
      La modifica apportata dall'articolo 44, comma 1, del presente decreto-legge fa seguito alla procedura di infrazione n. 2009/4686, allo stadio di parere motivato ex articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, avviata nei confronti dell'Italia per la ritenuta discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri, derivante della normativa contenuta nei contratti collettivi applicabili all'area della dirigenza medica e veterinaria, i quali prevedono, ai fini dell'ottenimento dell'indennità di esclusività nonché degli altri trattamenti economici e professionali ivi previsti, un'anzianità di servizio di un certo numero di anni, da maturarsi senza soluzione di continuità. Tale clausola di continuità del servizio prestato, pur applicandosi anche ai cittadini italiani, provocherebbe, secondo la Commissione europea, un'indiretta discriminazione nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea che intendano esercitare la propria attività professionale presso strutture sanitarie pubbliche in Italia, in quanto il trasferimento, a tal fine, dal loro Stato di provenienza determina inevitabilmente l'interruzione del rapporto di lavoro.
      Per questi motivi, l'articolo in questione, aggiungendo un secondo periodo alla richiamata norma di cui all'articolo 5 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, sancisce che, relativamente al personale delle aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche, per il quale l'ordinamento italiano richiede, ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l'esperienza professionale e l'anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, tale condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell'interessato da una struttura sanitaria di cui alla legge 10 luglio 1960, n. 735, di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro dell'Unione europea. La legge da ultimo citata disciplina il riconoscimento dell'attività sanitaria prestata all'estero da sanitari italiani, presso le strutture sanitarie individuate dalla medesima legge, ai fini della partecipazione a concorsi pubblici per sanitari banditi in Italia, riconoscendo tale attività come titolo valutabile nei concorsi medesimi.
      Lo scopo è dunque quello di eliminare la discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea.
      Relativamente ai commi 3 e 4, si rappresenta che l'articolo 54, comma 3, primo periodo, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante «Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE», disciplina i requisiti che devono essere posseduti dalle materie prime farmacologicamente attive, utilizzate per la produzione dei medicinali, prevedendo quanto segue: «Per le materie prime anche importate da Stati terzi deve essere disponibile un certificato di conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciato all'officina di produzione dalle Autorità competenti di uno Stato dell'Unione europea».
      Tale disposizione, evidentemente finalizzata a garantire elevati livelli di tutela della salute nell'ambito delle materie prime farmacologicamente attive, non trova, tuttavia, un preciso ancoraggio nella normativa comunitaria di riferimento (direttiva 2001/83/CE), alla cui attuazione è pur finalizzato il predetto decreto legislativo n. 219 del 2006. Ciò è stato rilevato anche dalla Commissione europea, con nota del 5 marzo 2007, secondo cui l'Italia, emanando la richiamata disposizione, sarebbe andata oltre le prescrizioni di cui alla direttiva 2001/83/CE e avrebbe, inoltre, introdotto un concreto rischio di ostacolo alla libera circolazione delle merci in seno al mercato interno.
      Per questi motivi, con il successivo decreto legislativo n. 274 del 2007 (articolo 2, comma 9) si è provveduto ad aggiungere all'articolo 54 del decreto legislativo n. 219 del 2006 il comma 3-bis, disponendo quanto segue: «Il disposto del primo periodo del comma 3 si applica dal 1o gennaio 2009. Fino a tale data le materie prime devono essere corredate di una certificazione di qualità che attesti la conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale che utilizza le materie prime. Resta ferma la possibilità, per l'AIFA, di effettuare ispezioni dirette a verificare la conformità delle materie prime alla certificazione resa».
      Il termine del 1o gennaio 2009 è stato successivamente più volte prorogato, prima con l'articolo 6, comma 4, del decreto-legge n. 194 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, e da ultimo, al 3 luglio 2013, dall'articolo 10, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14.
      Si deve evidenziare che tale ultima proroga era motivata anche dal fatto che, nel frattempo, l'Unione europea ha emanato la direttiva 2011/62/UE, che ha modificato la precedente direttiva 2001/83/CE, dettando, tra le altre, anche norme volte a garantire la tutela della salute nell'ambito dell'importazione delle materie prime farmacologicamente attive.
      Visto l'approssimarsi della scadenza del 3 luglio 2013, e in considerazione del fatto che la delega al Governo per l'emanazione dei decreti legislativi di attuazione della predetta direttiva 2011/83/CE è contenuta nel disegno di legge di delegazione europea, attualmente all'esame del Parlamento, la presente disposizione intende prorogare ulteriormente, fino alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione della predetta direttiva, la disapplicazione  del primo periodo del citato articolo 54, comma 3, del decreto legislativo n. 219 del 2006, mantenendo, fino alla medesima data, la procedura semplificata per l'attestazione della conformità delle materie prime alle norme di buona fabbricazione, già prevista dall'attuale versione dell'articolo 54, comma 3-bis, del predetto decreto legislativo n. 219 del 2006, che viene contestualmente abrogato.
      Si osserva che, ove non si provvedesse a tale proroga e, a decorrere dal 3 luglio 2013, acquisisse efficacia il citato primo periodo dell'articolo 54, comma 3, del decreto legislativo n. 219 del 2006, per le imprese si prospetterebbe la necessità di far fronte ad ulteriori oneri amministrativi, peraltro non previsti dalla normativa europea di riferimento. 

      Articolo 45 (Omologazioni delle macchine agricole). L'accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore quando ricorre e della corrispondenza alle prescrizioni tecniche alle caratteristiche disposte a norma di legge, relativamente alle macchine agricole, come definite dall'articolo 57 del codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992, oggi effettuati per mezzo di una visita e di una prova da parte degli uffici del Dipartimento per i trasporti terrestri, unica autorità competente designata dal nostro Paese. Sono inoltre competenti strutture estere, delegate dalle autorità competenti nei rispettivi Paesi europei; esse hanno articolazioni in Italia, dove rilasciano omologazioni valide ad ogni effetto, nazionale ed europeo, come riconosciuto dal comma 3, dell'articolo 107 del decreto legislativo n. 285 del 1992, a condizione di reciprocità.
      Il ricorso a tali strutture è sempre più frequente, dato il minore tempo con il quale, a parità di garanzie, esse operano rispetto all'unico centro di riferimento italiano; il procedimento, però, è maggiormente oneroso per i richiedenti, comprendendo non solo il costo dell'accertamento, ma anche i costi di missione all'estero. Inoltre, i diritti e le imposte relativi all'omologazione, insieme ai costi accessori, vengono versati ai Ministeri esteri di riferimento.
      Il presente articolo permette di estendere ad altri soggetti, diversi dal Dipartimento per i trasporti terrestri, la competenza all'omologazione delle macchine agricole consentendo, da un lato, il recupero dei diritti e delle imposte che verrebbero versati allo Stato italiano, dall'altro alle aziende italiane costruttrici di conseguire risparmi sulle spese tecniche delle omologazioni. I requisiti che dovranno essere posseduti dai soggetti competenti all'omologazione saranno definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, nel rispetto della normativa europea di cui al regolamento (UE) n. 167/2013 del Parlamento europeo e del consiglio, del 5 febbraio 2013.
      Per comprendere il volume di spesa per l'omologazione delle macchine agricole, si consideri che, per ogni omologazione europea di trattrice agricola, vengono attualmente versati in Italia diritti e imposte di bollo che variano da un minimo circa di euro 230 per singola trattrice agricola ad oltre euro 7.000 per gamma di trattrice e in funzione della complessità. Considerando che l'Italia è il secondo produttore mondiale di macchine agricole, dopo la Germania, appare evidente l'importanza di tali cifre che vanno moltiplicate per l'ampio numero di gamme immesse sul mercato ogni anno.

      Articolo 46 (EXPO Milano 2015). La manifestazione internazionale «Expo Milano 2015» costituisce evento rilevante per il sistema economico nazionale, come anche sancito dalla partecipazione di soggetti istituzionali alla compagine societaria che ha il compito di allestire, organizzare e gestire l'evento (Ministero dell'economia e delle finanze, regione Lombardia, provincia di Milano, comune di Milano, camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Milano).
      Le attività connesse alla piena riuscita dell'evento straordinario ricomprendono l'organizzazione e la partecipazione ad eventi, in Italia e nel mondo, che contribuiranno a determinare l'immagine di Milano e dell'Italia stessa all'estero.
      È pertanto necessario permettere agli enti locali coinvolti nell'organizzazione e nella partecipazione a tali eventi, manifestazioni o altro, di svolgere le attività sopra descritte senza incorrere, per lo stretto limite temporale richiesto dall'evento, in limitazioni straordinarie che impediscano l'utilizzo delle risorse destinate alle spese connesse.
      In particolare, la presente norma, con riguardo alle somme destinate alle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, nonché alle spese per missioni, anche all'estero, consentirebbe una maggiore flessibilità in relazione allo stanziamento disponibile nel pertinente capitolo di bilancio, prevedendo che non si applichi agli enti locali coinvolti nell'evento l'articolo 6, commi 8 e 12, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 

      Articolo 47 (Modifiche alla legge 27 dicembre 2002, n. 289). Con riferimento alla modifica di cui alla lettera a), si tratta di un mero adeguamento per attualizzare il riferimento all'autorità competente ad adottare i criteri in base ai quali dovrà essere gestito il Fondo di garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, istituito presso l'Istituto di credito sportivo (vigilato dall'Autorità di Governo con la delega allo sport), ai sensi dell'articolo 90, comma 13, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come modificato dall'articolo 64, comma 3-ter, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134.
      Il riferimento al «Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport» è stato introdotto con il citato articolo 64, comma 3-ter, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, quando la delega allo sport era attribuita proprio alla predetta autorità di Governo.
      Ora, con l'insediamento del nuovo Governo in data 28 aprile 2013, la delega allo sport è stata conferita al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili mentre non esiste più un'autorità di Governo analoga a quella che aveva, nel precedente esecutivo, la delega congiunta con riferimento agli affari regionali, al turismo e allo sport.
      Anche per evitare problemi per il futuro (nel caso si vogliano aggiornare o modificare i criteri di gestione del Fondo), è preferibile quindi optare per la dizione generica ”Presidente del Consiglio dei Ministri o dall'Autorità di Governo delegata per lo sport, ove nominata,», nel caso in cui la delega allo sport sia poi attribuita ad autorità diverse.
      Alla lettera b), si prevede l'abrogazione espressa dell'articolo 90, comma 15, della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Tale abrogazione si rende opportuna attesa la sua incompatibilità con i commi 12 e 13 del medesimo articolo, così come modificati dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. L'abrogazione era peraltro da ritenersi già implicita posto che il regolamento era previsto nella precedente versione del comma 13 poi modificato, nell'attuale versione, dall'articolo 64, comma 3-ter, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134.
      Il comma 12, a sua volta, prevedeva che la garanzia era «sussidiaria a quella ipotecaria»; la modifica del comma 12 intervenuta con il citato articolo 64, comma 3-ter, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, ha eliminato tale riferimento alla sussidiarietà.

      Articolo 48 (Modifiche al decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66). La norma determina l'inserimento di un articolo nel codice dell'ordinamento militare, recante la disciplina della cooperazione con altri Stati per i materiali di armamenti prodotti dall'industria nazionale.
      In particolare, circa la cooperazione con altri Stati per i materiali di armamenti prodotti dall'industria nazionale, integra il codice dell'ordinamento militare con l'articolo 537-bis, che prevede, al comma 1, la possibilità che il Ministero della difesa, nell'ambito degli accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare stipulati con gli altri Stati, svolga attività contrattuale per l'acquisto da parte dei citati Stati di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale ovvero fornisca il necessario supporto tecnico-amministrativo; il tutto, ovviamente, nel pieno rispetto della normativa in materia di esportazione di materiali d'armamento di cui alla legge n. 185 del 1990. Si tratta di un'attività già svolta da Governi di altri Stati occidentali. La disposizione si pone quale efficace misura a sostegno dell'industria nazionale, in un settore del tutto peculiare quale è quello degli armamenti ed equipaggiamenti militari, caratterizzato da elevata competitività e alta tecnologia, agevolando lo sviluppo di rapporti commerciali a livello internazionale tra il sistema produttivo italiano e i Paesi con i quali sussistono rapporti di collaborazione nel settore della difesa. In sostanza, l'intervento è volto anche a rendere più efficace il rapporto tra lo Stato e le imprese nazionali, al fine di promuoverne l'affermazione in ambito internazionale. È infatti ricorrente la richiesta e la sollecitazione da parte di Stati esteri del tramite statuale quale indispensabile garanzia per l'acquisto di materiale nel settore, in carenza del quale, nella quasi totalità dei casi, essi preferiscono orientare le loro scelte verso realtà industriali di altri Paesi che si possono, invece, avvalere della cooperazione delle strutture statali di riferimento. In sostanza, per diversi Stati esteri trattare con un altro Stato e non con società private è condizione necessaria e indispensabile. In tale contesto, inoltre, la previsione consente che possano essere acquisiti dai predetti Stati anche materiali d'armamento «in uso alle Forze armate». Tale variante, va sottolineato, interviene su un quadro di cessioni a pagamento dei medesimi materiali già in vigore dal 2010, ai sensi dell'articolo 310 del codice dell'ordinamento militare, e, pertanto, determina solo un'integrazione delle fattispecie di materiali alienabili, prima limitato alle sole tipologie obsolete. Sarà così consentita l'alienazione dei materiali che, seppur non obsoleti e non ancora dichiarati «fuori-uso», risultino eccedenti rispetto alle esigenze funzionali della Difesa. La disposizione – del resto – interviene in un momento di riconfigurazione, in termini riduttivi ai sensi della legge n. 244 del 2012, dello strumento militare in cui è ben prevedibile che la contrazione degli attuali assetti determini situazioni di esubero rispetto alla citata tipologia di materiali. La previsione, infine, impatta positivamente anche in funzione anticorruzione, nella misura in cui elimina dalla libera trattativa soggetti intermediari – per definizione interessati anche a proventi personali – diversi dalle società di produzione. Per ultimo, vale la pena sottolineare che tutte le descritte attività trovano un perimetro applicativo assolutamente chiaro ed efficace negli accordi di cooperazione militare, che risultano condizione preesistente e che non possono essere stipulati in difformità da indirizzi di politica internazionale in linea con le responsabili valutazioni da sviluppare in un contesto tanto delicato e sensibile, e che non possono che essere informati ai richiamati princìpi di cui alla legge n. 185 del 1990.
      Il comma 2 prevede l'adozione di disposizioni di attuazione con regolamento adottato su proposta del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri degli affari esteri e dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, comma 1 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
      Il comma 3 prevede che i proventi derivanti dalle citate attività siano versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnati ai fondi di cui all'articolo 619 del codice dell'ordinamento militare. 

      Articolo 49 (Proroga e differimento termini in materia di spending review). L'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 prevede la messa in liquidazione, la privatizzazione ovvero comunque la riduzione di spesa per società pubbliche. In particolare, al comma 1, si prevede che, con riferimento alla società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato di prestazioni di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, si proceda, alternativamente, allo scioglimento delle società entro il 31 dicembre 2013 ovvero all'alienazione entro il 30 giugno 2013, con assegnazione del servizio con gara a decorrere dal 1o gennaio 2014. Con le modifiche al comma 1 si prorogano di sei mesi questi ultimi termini, allineando la data ultima per lo scioglimento con quella relativa all'alienazione.
      All'articolo 9, comma 4, dello stesso decreto-legge n. 95 del 2012 si stabiliva un termine (nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo) per la soppressione di enti, agenzie e organismi non già soppressi, accorpati, riordinati (con riduzione del 20 per centro degli oneri finanziari) da regioni, province e comuni (si tratta di soggetti che esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali dei predetti enti territoriali).
      Con le disposizioni proposte al comma 2, si differisce al 31 dicembre 2013 il predetto termine (già scaduto) e si fanno salvi gli atti compiuti da soggetti che hanno comunque proseguito l'attività.

Capo II: Semplificazione in Materia Fiscale

      Articolo 50 (Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti). La disposizione in esame modifica l'articolo 35, comma 28, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, limitando l'applicazione della previsione legislativa della responsabilità solidale dell'appaltatore per il versamento all'erario delle sole ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e non anche dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto di subappalto. La disposizione in esame non determini effetti finanziari.

      Articolo 51 (Abrogazione del Modello 770 mensile) con la disposizione in commento si abroga l'articolo 44-bis del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, che aveva introdotto l'obbligo di comunicazione mensile in via telematica, direttamente o tramite intermediari abilitati, dei dati retributivi e delle informazioni necessarie per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli, per il calcolo dei contributi, per la rilevazione della misura della retribuzione e dei versamenti eseguiti, per l'implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l'erogazione delle prestazioni, mediante una dichiarazione mensile da presentare entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento. La misura era finalizzata a semplificare gli adempimenti dichiarativi ai fini fiscali e previdenziali a carico del sostituto d'imposta (modello 770 annuale semplificato) con riferimento ai redditi dei propri dipendenti, realizzando in un unico flusso mensile telematico. La norma in oggetto aveva presentato notevoli difficoltà tecniche per la sua attuazione (l'unione dei flussi mensili previdenziali e fiscali è impossibile per le differenze intrinseche tra la disciplina fiscale, impostata sul principio di cassa, e quella previdenziale, ancorata alla competenza).

      Articolo 52 (Disposizioni per la riscossione mediante ruolo). Al fine di migliorare le relazioni con i debitori, anche in ragione dell'impegno assunto dal Governo con la risoluzione in Commissione VI Finanze della Camera, atto n. 7/00014, del 21 maggio 2013 (risoluzione conclusiva atto n. 8/00002 approvata il 22 maggio 2013) la disposizione introduce modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
      In particolare, in conformità alla risoluzione citata ed al fine di riprenderne lo spirito ed attuarne i principi ispiratori:

          a) si prevede che i limiti di pignorabilità di cui all'articolo 515 del codice di procedura civile – di cui già a legislazione vigente beneficiano i professionisti e lavoratori autonomi – si applichino anche ai debitori costituiti in forma societaria, ed in ogni caso se nella attività del debitore risulti una prevalenza del capitale investito sul lavoro, prevedendo, inoltre, la pignorabilità dei beni strumentali solo laddove non sia congruo il valore di presumibile realizzo degli altri beni;
          b) si attribuisce la custodia dei beni pignorati allo stesso debitore evitando l'amotio degli stessi dalla sede in cui si trovano;

          c) si prevede che per il primo incanto deve decorrere un termine di almeno trecento giorni dal pignoramento, consentendo in tale periodo la continuazione della attività al fine di reperire soluzioni e risorse per onorare, anche in forma rateizzata, il debito;

          d) si amplia il numero di rate non pagate a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario;

          e) con separata disposizione (articolo 53) si proroga fino al 31 dicembre 2013 l'attività di riscossione spontanea e coattiva delle entrate patrimoniali dei comuni e delle società da essi partecipate effettuata da parte delle società del gruppo Equitalia;

          f) si prevede la non pignorabilità dell'unico immobile adibito ad uso abitativo nel quale risiede il debitore, escludendo la possibilità che l'agente possa avviare l'espropriazione forzata immobiliare. Nell'ipotesi di espropriazione iniziata da creditori privati, occorre tuttavia riconoscere al creditore pubblico il diritto di intervento secondo i principi generali dell'ordinamento processuale. In tale prospettiva, è stata mantenuta in capo a tale creditore la facoltà di iscrivere ipoteca a scopo di garanzia atteso che altrimenti si violerebbe in danno dell'amministrazione il principio generale della par condicio creditorum, in quanto i creditori privati, anche chirografari ma forniti di titolo esecutivo, avrebbero la possibilità di ottenere un pagamento preferenziale nonché di godere di garanzia reale sul bene immobile iscrivendo ipoteca giudiziale ai sensi dell'articolo 2818 c.c..

      La necessità di contemperare le esigenze di tutela dei contribuenti con quelle di finanza pubblica non ha reso possibile recepire, nella loro completezza, nel presente provvedimento, ulteriori criteri indicati nella risoluzione parlamentare, i quali saranno comunque ripresi ed attuati in prossimi interventi legislativi, anche a carattere di delega.
      Ci si riferisce, in particolare, alla riduzione dell'entità degli interessi di mora in caso di ritardato pagamento: quest'ultima misura comporterebbe infatti una perdita di gettito stimata dalle competenti strutture del Ministero dell'economia e delle finanze, in circa 120 milioni di euro.
      Neppure si è ritenuto opportuno, in questa sede, procedere alla richiesta di rimodulazione della disciplina di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 non solo in ragione delle ingenti perdite di gettito, allo stato non quantificabili, cui il provvedimento darebbe adito, ma anche in ragione della necessità di evitare che tale rimodulazione offra il destro per ricorsi meramente dilatori e strumentali. Si ritiene, quindi, opportuno procedere al predetto intervento rimodulatorio in un quadro più ampio ed organico, anche al fine di introdurre una differenziazione del trattamento sanzionatorio penale, pecuniario amministrativo, in relazione ai diversi presupposti di evasione citati nella risoluzione parlamentare.
      Invece, al fine di attuare la citata risoluzione parlamentare, nella parte in cui pone l'obiettivo di ampliare il numero massimo di rate in cui può essere ripartito il debito tributario, si introduce la regola che consente di elevare fino ad un massimo di centoventi le predette rate nei casi in cui il debitore si trovi in situazione di grave difficoltà per ragioni dipendenti dalla congiuntura economica estranee alla sua responsabilità. 
     Va ancora evidenziato che, in coerenza con la suddetta risoluzione, si dà impulso alla revisione del sistema di remunerazione della riscossione, mediante anticipazione al 30 settembre del termine per l'adozione del decreto ministeriale di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999, come sostituito dall'articolo 10, comma 13-quater, del decreto-legge n. 201 del 2011, attualmente fissato al 31 dicembre 2013. Lo schema di decreto volto a dare attuazione alla norma è attualmente in fase di predisposizione.
      Le modifiche che si introducono con l'articolo in esame, attengono in particolare:
          la lettera a) apporta modifiche all'articolo 19 prevedendo che nei casi in cui il debitore si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, il numero di rate, per ciascuna delle due dilazioni, può essere elevato, fino ad un massimo di centoventi rate mensili. Inoltre la norma estende, a favore dei contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità, ad otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, che determina la decadenza dal beneficio della rateazione, mentre sulla base delle norme precedenti si decadeva dal beneficio dopo il mancato pagamento di due sole rate consecutive;

          la lettera b) introduce due nuovi commi all'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973. La modifica si rende opportuna in quanto il decreto-legge n. 201 del 2011 ha aggiunto al predetto articolo 52 il comma 2-bis, ai sensi del quale il debitore ha facoltà di procedere, in costanza di procedura mobiliare o immobiliare, alla vendita del bene al valore determinato dalla legge per il primo incanto. Tuttavia, tale disposizione non individua fino a quando la vendita possa avvenire. Al fine di evitare incertezze interpretative, con la norma proposta si prevede che la cessione debba avvenire nei cinque giorni antecedenti il primo incanto. Si prevede, del pari, che qualora ciò non abbia luogo e l'agente della riscossione attivatosi per la vendita coattiva abbia necessità di procedere al secondo incanto, il debitore possa comunque esercitare la facoltà di vendita diretta entro il giorno antecedente la data stabilita per il secondo incanto. Per consentire, poi, al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la predetta facoltà di vendita in proprio, si prevede, alla successiva lettera c) di prolungare il termine di efficacia del pignoramento (da centoventi a duecento giorni). Ciò si rende opportuno anche in ragione delle previsioni di cui al comma 2, lettera b), dell'articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, come modificato dal presente decreto, ove si prevede la nomina di ausiliari per la stima del valore del cespite pignorato o per relazionare sulle condizioni e caratteristiche del bene, con conseguente naturale dilatazione dei tempi tecnici necessari;

          la lettera d) interviene in materia di pignoramento dei beni strumentali. Si tratta di una rilevante problematica che assume spesso connotazioni mediatiche particolarmente significative e che può avere conseguenze, sia in termini di tenuta dei livelli occupazionali, che di salvaguardia del tessuto produttivo della nazione. Con la novella in commento si prevede di estendere le limitazioni stabilite dal codice di procedura civile alla pignorabilità dei beni strumentali utilizzati da imprenditori ditte individuali, a imprese che abbiano forma giuridica di società e nei casi di prevalenza del capitale sul lavoro. Con la medesima novella si propone, peraltro, una ulteriore soluzione di contemperamento tra le necessità dell'impresa e quelle di recupero degli importi a ruolo. Si prevede, cioè, che il termine di efficacia del pignoramento dei beni strumentali vada oltre i termini ordinari, che il debitore ne sia obbligatoriamente nominato custode e che il primo incanto sia fissato dopo trecento giorni dal pignoramento (nei successivi sessanta giorni). In tal modo, il debitore potrebbe continuare a mantenere attiva la produzione per un ulteriore congruo periodo di tempo, salvaguardando l'occupazione e cercando risorse per assolvere il debito iscritto a ruolo; 

          con la lettera e) viene apportata una modifica all'articolo 72-bis, stabilendo che l'ordine rivolto al terzo pignorato di pagare il credito direttamente all'agente della riscossione debba essere ottemperato nel termine di sessanta giorni, anziché quindici. Ciò, al fine di consentire al debitore che abbia fondate ragioni da opporre all'iniziativa di riscossione avviata, di attivare, in tempi consoni, le tutele del caso, evitando che, nelle more, il terzo disponga l'accredito delle somme pignorate;

          alla lettera f), tenuto conto che il decreto cosiddetto «Salva Italia» (decreto-legge n. 201 del 2011), ha imposto l'accredito degli emolumenti retributivi e pensionistici superiori a 1000,00 euro sul conto corrente bancario/postale e, considerato che, per costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, le somme di danaro, una volta depositate sul conto, perdono qualsiasi connessione con la eventuale speciale destinazione delle stesse, ovvero con il titolo per il quale sono versate in favore dell'avente diritto, è stata inserita una specifica previsione per evitare che, in ragione di ciò, possano venir meno i limiti alla relativa pignorabilità. In proposito, infatti, non potendo l'agente della riscossione conoscere a priori se i conti interessati siano qualificabili come conti di mero appoggio degli emolumenti in parola, ovvero se, viceversa, si verta in presenza di conti variamente movimentati, è stato inserito un terzo comma all'articolo 72-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, che disciplina i limiti di pignorabilità delle suddette somme in presenza dell'esecuzione esattoriale, con cui è stato stabilito che, in presenza di somme dovute al titolo anzidetto, pensione inclusa, accreditate sul conto corrente intestato al debitore, gli obblighi di legge che gravano sul terzo non possano ricomprendere l'ultimo emolumento accreditato su tale conto, che resta, pertanto, nella piena disponibilità del correntista.

      Con le successive lettere g), i), l), e m), si disciplina specificamente la materia dell'espropriazione immobiliare. In particolare, fatta salva la possibilità, per l'agente della riscossione, di intervenire, sempre e senza alcuna limitazione, nell'esecuzione avviata da altri:

          a) viene inibita la possibilità di procedere ad esecuzione forzata sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti iscritti a ruolo. È fatta eccezione esclusivamente per le case di lusso, così come definite ai sensi del decreto del Ministro per i lavori pubblici del 2 agosto 1969, e comunque per i fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9;

          b) viene elevato a centoventimila euro il limite delle somme iscritte a ruolo necessario per procedere ad esecuzione forzata per le abitazioni non prima casa o di lusso o delle predette categorie catastali A/8 e A/9, salva la possibilità di iscrivere ipoteca anche al di sotto di tali soglie e anche sulle prime case, solo a fini cautelari e per la tutela dei crediti erariali laddove l'esecuzione fosse avviata da terzi;

          c) gli agenti della riscossione, per rendere quanto più proficue le operazioni di vendita, hanno l'obbligo di pubblicizzare la vendita stessa sui siti delle proprie società di riscossione e la possibilità, al pari del debitore, di chiedere al giudice dell'esecuzione che la vendita abbia luogo al valore stimato con l'ausilio di un esperto nominato dal giudice, e si prevede che gli stessi agenti possano richiedere la nomina di un ausiliario per l'identificazione delle caratteristiche del bene o per esigenze di custodia. Viene, inoltre stabilito che, in tali casi, le spese siano anticipate dalla parte richiedente e liquidate dal giudice in prededuzione, nonché che il pignoramento non perda efficacia se, in conseguenza delle nomine disposte, il primo incanto non possa essere effettuato entro il termine di legge, ponendo, in tal caso, in capo all'agente della riscossione l'onere di fissare i nuovi incanti e di notificare debito avviso al soggetto nei confronti del quale si procede. Viene, infine, rideterminato il prezzo di devoluzione dell'immobile invenduto al terzo incanto; ciò, in conseguenza dell'intervento della Corte Costituzionale (sentenza 281/2011) che ha imposto al legislatore di rivedere la misura del prezzo di assegnazione. La Corte ha censurato la norma nella parte in cui prevede quale prezzo di assegnazione il minore tra il prezzo base del terzo incanto e l'importo del credito per il quale si procede, posto che quest'ultimo non ha alcuna relazione con il valore dell'immobile. Ha pertanto suggerito di far riferimento al prezzo del terzo incanto, salvo diversa valutazione del legislatore che però sia in ragionevole rapporto con il valore del bene pignorato. Nella norma proposta si prevede, quindi, che l'assegnazione avvenga al prezzo base del terzo incanto;
          con la lettera h) vengono apportate modifiche al vigente articolo 77, allo scopo di coordinare la norma con le previsioni di cui al nuovo articolo 76, ribadendo le finalità di garanzia dell'istituto, che rendono autonoma l'esperibilità della cautela, non necessariamente preordinata all'esecuzione. Essa, infatti, mira ad impedire, in primo luogo, che siano pregiudicate le ragioni creditorie degli enti impositori per i quali l'agente della riscossione procede, nel caso in cui altri creditori avviino l'espropriazione o impongano altri vincoli reali sul bene gravato dalla cautela. Ha, del pari, la finalità di assicurare il diritto di prelazione sul ricavato della vendita conseguente all'esproprio promosso da altri e, nell'ipotesi di fallimento del debitore, di consentire all'agente della riscossione di soddisfarsi ugualmente con prelazione sul ricavato. L'iscrizione in parola comporta, inoltre, il «diritto di sequela». Il debitore resta, infatti, libero di disporre del bene ipotecato, ma il trasferimento eventualmente disposto nonostante l'iscrizione della cautela non è opponibile all'agente della riscossione, che può soddisfarsi sul bene acquisito da terzi.

          Infine, in aderenza alla prescrizione della citata risoluzione della Commissione finanze sul punto, si dà impulso alla revisione del sistema di remunerazione della riscossione, mediante anticipazione al 30 settembre 2013 del termine per l'adozione del decreto ministeriale di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999, come sostituito dall'articolo 10, comma 13-quater, del decreto-legge n. 201 del 2011, attualmente fissato al 31 dicembre 2013. Lo schema di decreto volto a dare attuazione alla norma è in fase di predisposizione.

      Articolo 53 (Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate). La materia è stata oggetto di recente intervento con l'articolo 10, comma 2-ter del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35, che ha rivisitato la disciplina contenuta nell'articolo 7, comma 2, lettera gg-ter) del decreto-legge 13 maggio 2011, n.70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n.106, per effetto della quale, a decorrere dal 30 giugno 2013, le società del Gruppo Equitalia avrebbero cessato di effettuare la riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie o patrimoniali dei comuni e delle società da essi partecipate, differendo, espressamente per i soli tributi, tale termine al 31 dicembre 2013. Allo scopo di evitare che, in ragione della dizione letterale della norma, le entrate di natura diversa restino ingiustificatamente escluse da tale differimento ed al fine di favorire la complessiva rivisitazione del quadro normativo afferente alla gestione e riscossione delle entrate degli stessi comuni, consentendo, in pari tempo, anche l'istituzione di un Consorzio che possa occuparsi, per loro conto, di tali attività, avvalendosi, in fase di riscossione, del supporto delle società del Gruppo Equitalia, si rende necessario riformulare la disposizione in commento.

      Articolo 54 (Fabbisogni standard: disponibilità dei questionari di cui all'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216). La disposizione in argomento reintroduce la previsione già contenuta nell'articolo 6, comma 2, lettera b), n. 6, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e, successivamente, abrogato dall'articolo 53, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
      L'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, Città metropolitane e Province, attribuisce alla SOSE Spa la possibilità di predisporre appositi questionari funzionali alla raccolta dai Comuni e dalle Province dei rispettivi dati contabili e strutturali, ai fini della predisposizione delle metodologie di elaborazione e della determinazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali nonché della successiva attività di monitoraggio e di aggiornamento delle relative elaborazioni.
      La medesima lettera c) del comma 1 del predetto articolo 5 dispone, altresì, che, ove predisposti e somministrati, i Comuni e le Province restituiscono per via telematica, entro sessanta giorni dal loro ricevimento, i questionari interamente compilati e sottoscritti dal legale rappresentante e dal responsabile economico finanziario, applicandosi, in difetto, la sanzione del blocco – sino all'adempimento dell'obbligo di invio dei questionari – dei trasferimenti a qualunque titolo erogati all'ente locale e la pubblicazione sul sito del Ministero dell'interno dell'ente inadempiente.
      Al fine di garantire il contenimento degli oneri di gestione dell'attività di somministrazione dei predetti questionari e di assicurare, al contempo, la contestualità nella somministrazione e, quindi, certezza in ordine all'individuazione del dies a quo dal quale computare il termine di sessanta giorni per la loro restituzione, l'articolo 6, comma 2, lettera b), n. 6) del citato decreto-legge n. 70 del 2011 aveva previsto, tra l'altro, che detti questionari venissero resi disponibili sul sito internet della SOSE Spa e che di tale disponibilità venisse data, altresì, notizia con provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze (e, segnatamente, con decreto del Direttore generale delle finanze) da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Dalla data di pubblicazione del predetto provvedimento nella Gazzetta Ufficiale sarebbe decorso il termine di sessanta giorni per la restituzione dei questionari medesimi.
      Successivamente, il decreto legislativo n. 33 del 2013, in materia di «riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», ha disposto, all'articolo 53, comma 1, lettera l), l'abrogazione dell'articolo «6, comma 1, lettera b), e comma 2, lettera b), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70» e, con esso, anche della disposizione di cui al numero 6) della lettera b) del comma 2.
      Simile abrogazione espressa ha, quindi, investito una molteplicità di disposizioni, tra le quali anche quella di cui al citato numero 6) della lettera b) del comma 2 dell'articolo 6. Né simile disposizione – che appare di permanente attualità ed utilità, attese anche le finalità dalla stessa perseguite – sembra essere stata riprodotta in altra sede normativa. 

      Articolo 55 (Norma interpretativa in materia di rimborsi IVA alle agenzia di viaggio). L'articolo 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, disciplina il regime speciale delle agenzie di viaggio in materia di imposta sul valore aggiunto. In questo contesto il debito IVA delle agenzie di viaggio è determinato non in termini di «imposta da imposta», vale a dire detraendo dall'imposta applicata sulle vendite di servizi l'imposta assolta sugli acquisti, bensì in termini «base da base».
      Secondo quest'ultimo meccanismo l'imposta assolta sugli acquisti resta indetraibile per l'agenzia di viaggio, mentre il debito d'imposta viene calcolato scorporando la medesima dal margine dell'agenzia, margine a sua volta determinato sottraendo dai corrispettivi il totale dei costi sostenuti per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da terzi a diretto vantaggio dei viaggiatori.
      Il comma 3 del citato articolo 74-ter precisa in particolare che «non è ammessa in detrazione l'imposta relativa ai costi» appena citati.
      L'applicazione di questo comma 3 ha generato nel tempo notevoli incertezze con riferimento all'imposta assolta sui beni e servizi acquistati da agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea e da queste inglobati in pacchetti turistici venduti al pubblico.
      Infatti, secondo un primo indirizzo interpretativo (risoluzione del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze n. 62 del 7 aprile 1999) tale imposta doveva essere riconosciuta in detrazione (e quindi a rimborso) nei confronti di dette agenzie di viaggio, mentre secondo un'opinione espressa in epoca successiva (risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 141 del 26 novembre 2004) il rimborso non poteva essere accordato.
      Considerata l'incertezza interpretativa sopra evidenziata, si rende necessario l'intervento del legislatore che, con una norma di interpretazione autentica, risolva la questione in modo da avere un'applicazione uniforme da parte di tutti gli uffici dell'amministrazione finanziaria.
      In quest'ottica, si rileva che l'interpretazione del comma 3 dell'articolo 74-ter in questione non può prescindere dalla lettura dell'articolo 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, che vieta agli Stati membri di ammettere la detrazione o il rimborso degli «importi dell'IVA imputati all'agenzia di viaggio da altri soggetti passivi per le operazioni (...) effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore».
      Al riguardo, è pacifico che tale imposta non sia detraibile né rimborsabile alle agenzie di viaggio stabilite in Italia o in un altro Stato membro dell'Unione europea, per cui un'interpretazione dell'articolo 74-ter, comma 3, in esame, con la quale si accordasse il rimborso dell'imposta in questione, produrrebbe vantaggi competitivi a favore delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea.
      Ciò sarebbe in aperto contrasto anche con l'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 86/560/CEE del Consiglio, del 17 novembre 1986, in materia di rimborsi ai soggetti stabiliti fuori dell'Unione europea, che prevede che «il rimborso non può essere concesso a condizioni più favorevoli di quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità».
      Pertanto, la norma in esame chiarisce che l'imposta in questione non è rimborsabile nei confronti delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea.
      Tuttavia, in considerazione dell'incertezza interpretativa che ha regnato sulla materia, nel secondo periodo della citata disposizione si precisa che sono fatti salvi gli eventuali rimborsi effettuati sino alla data di entrata in vigore della norma in questione.
      Inoltre, nella seconda parte del secondo periodo è precisato che non si dà luogo alla restituzione delle somme che, eventualmente, siano state in un primo tempo rimborsate alle agenzie di viaggio e successivamente recuperate. 

      Articolo 56 (Proroga termine di versamento dell'imposta sulle transazioni finanziarie). In considerazione della complessità degli adempimenti previsti dalle disposizioni relative all'applicazione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, introdotta con l'articolo 1, commi da 491 a 500 della legge n. 228 del 2012, la modifica in esame rinvia il termine di decorrenza di applicazione dell'imposta per le operazioni di cui al comma 492 e per quelle di cui al comma 495 su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari dal 1o luglio al 1o settembre 2013.
      Sono anche rinviati i termini entro i quali provvedere al primo versamento dell'imposta previsti dall'articolo 1, comma 497, della richiamata legge n. 228 del 2012 e dal successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 21 febbraio 2013. Per i trasferimenti di proprietà di cui al comma 491 e per gli ordini di cui al comma 495 relativi ai predetti trasferimenti di cui al comma 491, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013. Per quanto riguarda le operazioni di cui al comma 492 e per gli ordini di cui al comma 495 su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari effettuati nel mese di settembre, il versamento dell'imposta deve essere effettuato entro il 16 ottobre 2013.
      Con specifico riferimento ai versamenti dovuti dalla Società di gestione accentrata – in forza delle deleghe conferitegli dai responsabili dell'imposta ai sensi dell'articolo 19, comma 5, del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 21 febbraio 2013 – tuttavia, tale termine è ulteriormente procrastinato di un mese e, pertanto, è stabilito al 16 novembre 2013. Ciò in quanto detto decreto, al medesimo comma 5, dispone che la Società di Gestione Accentrata provvede al versamento dell'imposta entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla data dell'operazione eccetto che per le operazioni del mese di novembre per le quali il versamento è effettuato entro il giorno 19 del mese di dicembre.
Capo III: Semplificazioni in materia di istruzione, università e ricerca.

      Articolo 57 (Interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese). Il comma 1 reca una serie di interventi diretti allo sviluppo del sistema Paese all'interno delle possibili azioni di intervento di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. In particolare sono previste misure per il rafforzamento della ricerca fondamentale nelle università e negli enti pubblici di ricerca; la creazione e lo sviluppo di start-up innovative e spin-off universitari; la valorizzazione dei progetti di social innovation per giovani al di sotto dei trenta anni; lo sviluppo di capitale di rischio e crowdfunding; il potenziamento del rapporto tra la ricerca pubblica e le imprese, attraverso l'incentivo alla partecipazione del mondo industriale al finanziamento dei corsi di dottorato e assegni di ricerca post-doc; il potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca, in linea con il programma Horizon 2020; il sostegno agli investimenti in ricerca delle piccole e medie imprese, con particolare riferimento a quelle a partecipazione maggioritaria dei giovani al di sotto dei trentacinque anni; la valorizzazione di grandi progetti o programmi a medio-lungo termine di partenariato tra imprese e mondo pubblico della ricerca, con l'obiettivo di affrontare le grandi sfide sociali; l'incentivazione dei ricercatori che risultino vincitori di grant europei o di progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB; il sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese che partecipano a bandi europei di ricerca.
      Per le finalità della norma è utilizzata la quota destinata a contributi a fondo perduto del FAR.
      Gli interventi a sostegno della ricerca industriale e applicata, di competenza del Ministero, gravano sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) (attualmente confluito nel FIRST), che si compone di una parte destinata al «credito agevolato», quale fondo di rotazione sul conto di tesoreria (C.to 3001) tenuto presso la Banca d'Italia, e di una parte destinata al «contributo alla spesa».
      Il rapporto tra le disponibilità del Fondo, negli ultimi cinque anni (fino al 2011, anno dell'ultimo rifinanziamento della parte destinata al contributo alla spesa), è stato di circa il 12 per cento per il contributo alla spesa e l'88 per cento per la parte di credito agevolato, con un tendenziale allargamento della forbice percentuale a discapito del contributo alla spesa.
      La quota di interessi percepiti, a seguito del rientro di mutui o prestiti, negli ultimi dieci anni fino al 2012, è pari a circa 72 milioni di euro. Tale montante ha costituito un'alimentazione «esterna» (costo del prestito a carico delle imprese beneficiarie) che ha incrementato la dotazione iniziale del Fondo.
      A causa della grave crisi economica di questi ultimi anni le imprese si sono trovate in grandi difficoltà a utilizzare il finanziamento di progetti di ricerca sotto la forma di mutui/prestiti e di credito agevolato, nonostante le condizioni particolarmente favorevoli sia con riferimento al tempo di restituzione (piano di ammortamento in dieci anni) che al tasso molto agevolato accordato (0,5 per cento).
    Tutto ciò rende quindi difficile l'utilizzazione delle risorse disponibili sul Fondo sotto forma di credito agevolato. Si rende pertanto necessario un intervento mirato di sostegno alle imprese anche attraverso l'utilizzo della parte di contributo alla spesa. 

      Articolo 58 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo del sistema universitario e degli enti di ricerca). Il comma 1 aumenta la facoltà assunzionale sia per le università sia per gli enti di ricerca elevando, per l'anno 2014, dal 20 per cento al 50 per cento il limite di spesa, previsto dall'articolo 66, commi 13-bis e 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, rispetto alle cessazioni del precedente anno. Il comma 2 consente di trasferire le somme necessarie per coprire l'aumento delle facoltà assunzionali degli enti e delle università sul Fondo per il funzionamento delle università statali e sul Fondo ordinario degli enti di ricerca, a carico dei quali sono poste le spese per il personale.
      Il comma 3 reca una norma di semplificazione che intende escludere il parere della commissione nominata dal Comitato universitario nazionale nel caso di chiamate dirette per i vincitori di uno dei programmi di ricerca di alta qualificazione. Il parere della predetta commissione non appare necessario, in quanto la valutazione tecnica è stata già fatta in sede di selezione dei programmi, che sono stati individuati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica con decreto 1o luglio del 2011.
      A copertura dei maggiori oneri vengono utilizzate le risorse derivanti da una complessiva razionalizzazione della spesa necessaria per i servizi esternalizzati nelle istituzioni scolastiche. L'importo a base di gara previsto per la convenzione per i servizi esternalizzati è quindi pari alla spesa che si sarebbe sostenuta per assumere tutti i collaboratori scolastici quanti sono i posti accantonati in organico. Ciò senza ridurre i servizi per le scuole, ma operando un efficientamento degli stessi.
      Il comma 6 dell'articolo specifica inoltre che gli ulteriori risparmi di spesa sono destinati al funzionamento delle istituzioni scolastiche e alle supplenze brevi.

      Articolo 59 (Borse di mobilità per il sostegno degli studenti universitari capaci e meritevoli e privi di mezzi). L'articolo reca disposizioni per il finanziamento di borse di studio, cosiddette «borse di mobilità», da destinare a studenti che hanno conseguito risultati scolastici eccellenti e che intendono iscriversi al primo anno di corsi universitari presso università site in regioni diverse da quelle di residenza.
      L'intervento persegue il duplice obiettivo di sostenere il diritto allo studio e di valorizzare le eccellenze negli studi universitari.
      La norma definisce i criteri sulla base dei quali gli studenti fuori sede sono ammessi al beneficio mentre la disciplina di ulteriori aspetti, fra cui la determinazione dell'importo della borsa di studio, è rimessa a un decreto ministeriale, da adottare sentita la Conferenza Stato-Regioni entro il 30 luglio 2013.
      Le somme stanziate, pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e a 7 milioni di euro per l'anno 2015, saranno ripartite tra le regioni che provvederanno all'attribuzione delle risorse sulla base di graduatorie regionali formate dai soggetti aventi i requisiti prescritti, fino all'esaurimento delle risorse stesse.

      Articolo 60 (Semplificazione del sistema di finanziamento delle università e delle procedure di valutazione del sistema universitario) il comma 1 intende rendere il sistema di finanziamento delle università più flessibile e semplificare le procedure di attribuzione delle risorse. A tal fine, è previsto che confluiscano in unico fondo le risorse attualmente destinate al finanziamento ordinario delle università, alla programmazione triennale del sistema universitario, ai dottorati e agli assegni di ricerca.
      Il comma 2 intende sottoporre all'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca la valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca, a fini di semplificazione.

TITOLO III – Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile.

      Il titolo III introduce nell'ordinamento giuridico disposizioni idonee a consentire la riduzione del contenzioso civile pendente, attraverso l'adozione di rimedi specificamente volti a implementare l'efficienza del sistema giudiziario civile.
      Quanto ai presupposti di necessità e urgenza del provvedimento illustrato, è noto che le analisi comparative internazionali svolte dalla Banca mondiale confermano che il sistema della giustizia civile costituisce il «tallone d'Achille» del nostro sistema economico, collocando l'Italia al 158o posto nel ranking «enforcing contracts», con una durata media delle procedure di recupero del credito di 1.210 giorni e un costo pari al 29,9 per cento del credito azionato. A ciò aggiungendo il dato sempre più preoccupante dell'ammontare delle condanne riportate dallo Stato italiano, sia in sede interna sia in ambito europeo, per la violazione del termine di ragionevole durata del processo di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848.
      L'attuale grave contesto economico rende indilazionabile la risoluzione del problema e impone l'adozione di serie misure per giungere a una inversione della tendenza della durata dei procedimenti civili.
      Il costante incremento delle pendenze nel sistema civile ha causato una paralisi del sistema, comportando, oltre all'allungamento dei tempi di risoluzione delle controversie, anche un'ingente immobilizzazione di risorse patrimoniali, e funge da forte disincentivo agli investimenti stranieri. Mediante una significativa accelerazione del sistema giudiziario civile, viceversa, si può trasformare quello che attualmente è un fattore di appesantimento della crisi in un volàno per la crescita economica, costituendo un naturale disincentivo a comportamenti ostruzionistici nelle ordinarie dinamiche contrattuali.
      L'iniziativa del Governo in questa sede mira a incrementare la produttività del sistema giudiziario civile, per un verso mediante l'adozione di rimedi processuali tendenti a una razionalizzazione delle risorse esistenti e, per altro verso, attraverso un apporto temporaneo di energie intellettuali esterne al sistema, che si affiancano a quelle del giudice nella gestione e nella decisione della controversia, anche fornendogli importanti strumenti per una più efficace organizzazione del lavoro.
      Il complesso intervento normativo, che assume carattere di organicità per i diversi settori interessati, introduce i seguenti rimedi destinati a incidere su tutte le fasi del processo sia in termini di organizzazione degli uffici giudiziari, sia sul piano delle regole processuali:

          introduzione della figura del giudice ausiliario, quale misura organizzativa straordinaria per la riduzione del contenzioso civile pendente dinanzi alle corti d'appello;

          previsione che laureati in giurisprudenza qualificati e selezionati con modalità e criteri di accesso definiti assistano e coadiuvino i magistrati degli uffici giudiziari di primo grado e d'appello;

          introduzione della figura dell'assistente di studio a supporto delle sezioni civili della Suprema Corte di cassazione;

          previsione dell'obbligo per il giudice civile (così come già avviene per il giudice del lavoro) di formulare una proposta transattiva o conciliativa, nel corso del processo di primo grado e d'appello; correlativamente, nell'articolo 420 del codice di procedura civile si prevede che la proposta formulata dal giudice possa avere non solo contenuto transattivo ma anche conciliativo;

          riduzione dei casi in cui il procuratore generale deve intervenire e concludere nelle cause davanti alla corte di cassazione, alle sole ipotesi previste espressamente dalla legge, mentre attualmente
il codice prevede l'intervento obbligatorio del pubblico ministero davanti a tutte le cause trattate dalla corte di cassazione, con conseguente modifica anche dell'articolo 76 dell'ordinamento giudiziario;
          nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la previsione che il giudice, quando anticipa la data dell'udienza fissata dall'attore in opposizione, debba stabilire una data non successiva a trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire; inoltre, si prevede che l'esecutorietà del decreto ingiuntivo debba essere concessa, ricorrendone i presupposti, alla prima udienza;

          procedimento volontario di affidamento a notaio delle attività necessarie per lo scioglimento della comunione, quando non sussista controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali;

          modifica della norma che stabilisce il contenuto della motivazione della sentenza civile, prevedendo che questa assuma una veste estremamente semplificata, con possibile riferimento esclusivo a precedenti giurisprudenziali conformi o mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o atti di causa (inclusivi quindi delle decisioni impugnate);

          introduzione di una norma speciale sulla competenza territoriale per la trattazione delle cause riguardanti le società con sede all'estero che non hanno una sede secondaria con rappresentanza stabile in Italia;

          rimodulazione della disciplina del preconcordato (o concordato con riserva), con alcune prescrizioni dirette a evitare abusi da parte del debitore;

          previsione che le commissioni per l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato siano composte, per la componente relativa alla magistratura, di regola da magistrati in pensione ovvero da magistrati in servizio;

          ripristino della cosiddetta mediazione obbligatoria introdotta dal decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, prima della declaratoria d'incostituzionalità, per eccesso di delega, resa dalla Corte costituzionale con sentenza 24 ottobre 2012 n. 272.

Capo I: Giudici ausiliari. 

      Il Capo I reca disposizioni riguardanti i giudici ausiliari.
      A completamento delle misure sull'efficienza del sistema giudiziario e sulla celere definizione delle controversie introdotte dall'articolo 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, è prevista, dal provvedimento illustrato, la nomina di giudici ausiliari, sino a un massimo di quattrocento unità, che consentano la concreta ed effettiva attuazione e finalizzazione dei programmi per la gestione dei procedimenti civili rimessi ai capi degli uffici giudiziari dalla citata disposizione. Con tale supporto di giudici onorari, destinato a operare in chiave di limitata integrazione della composizione dei collegi civili delle corti d'appello, si mira ad aggredire e incidere adeguatamente, in un ragionevole arco di tempo, fissato in cinque anni (prorogabile per non più di ulteriori cinque anni), il grave arretrato civile presso gli uffici del gravame di merito, i cui tempi di definizione dei procedimenti innescano, pressoché inevitabilmente, la violazione del termine di ragionevole durata del processo, dando luogo ai consequenziali giudizi risarcitori, anch'essi gravanti sulle stesse corti d'appello.
      Le tabelle che seguono evidenziano come le pendenze presso gli uffici interessati dalla misura illustrata siano tuttora in aumento, dato che non si registra per gli uffici di primo grado, ove il rapporto tra procedimenti sopravvenuti e definiti importa un decremento delle pendenze.

 

Flussi e pendenze dei procedimenti civili presso le corti d'appello

 

 

2010

 

2011
Sopravvenuti

 

170.680

 

157.249
Definiti

 

149.838

 

148.839
Pendenti

 

443.435

 

448.810

 

Flussi e pendenze dei procedimenti civili presso le corti d'appello per tipologie di procedimenti

  2010 2011
 

 

Iscritti

 

Definiti

 

Pendenti

 

Iscritti

 

Definiti

 

Pendenti
Cognizione ordinaria 49.367 41.235 197.291 25.079 25.602 202.150
Lavoro non pubblico impiego 18.307 20.133 43.914 8.788 9.634 42.520
Lavoro pubblico impiego 7.596 5.973 18.592 5.326 3768 21.714
Previdenza 43.270 37.739 109.783 16.782 21.729 99.358
Equa riparazione 34.235 27.179 49.730 13.277 16.595 52.481
Altro 17.905 17.579 24.125 8.296 9.496 21.283
        Totale 170.680 149.838 443.435 157.249 148.839 448.810

 

Flussi e pendenze dei procedimenti civili presso i tribunali

 

 

2010

 

2011
Sopravvenuti 2.725.225 2.678.548
Definiti 2.742.081 2.702.744
Pendenti 3.486.487 3.452.462
     

      In una visione sistematica dell'intervento normativo in questione, deve essere considerato che la specifica misura dei giudici ausiliari, finalizzata al superamento dell'arretrato accumulato presso le corti d'appello, si armonizza con la più generale regolazione degli stage destinati ai laureati in giurisprudenza presso gli uffici giudiziari di primo grado e d'appello, nonché con l'introduzione della figura del magistrato assistente di studio a supporto delle sezioni civili della Suprema Corte di cassazione. Con ciò realizzandosi un intervento, solo in parte eccezionale e temporaneo, che, nel suo complesso, è destinato a creare le condizioni per il superamento delle criticità evidenziate.

      Articolo 62 (Finalità e ambito di applicazione). L'articolo esplicita che la figura del giudice ausiliario viene introdotta esclusivamente a supporto dell'attività della corte d'appello e per contribuire alla realizzazione del programma annuale per la gestione dei procedimenti civili, previsto dall'articolo 37, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
      Il programma di cui al citato 37 deve prevedere l'ordine di priorità nella trattazione, alla stregua di alcuni criteri oggettivi, tra cui assume primaria importanza la durata della causa; a questo parametro si affiancano quelli ulteriori della natura e del valore della causa. L'intento della norma, cui l'articolo illustrato si riferisce, è con evidenza quello di ridurre i tempi di definizione del processo.
     Il contributo del giudice ausiliario risulta quindi decisivo al fine di consentire al presidente della corte d'appello e ai singoli presidenti di sezione di utilizzare queste risorse aggiuntive per aumentare la produttività dell'ufficio, senza nocumento per la qualità delle decisioni, in considerazione sia dei requisiti soggettivi richiesti per la nomina a giudice ausiliario, sia perché è previsto che sia conservata la natura collegiale del giudice di appello e che del collegio stesso possa far parte un solo giudice ausiliario.
      Dal novero dei procedimenti che possono essere assegnati al giudice ausiliario è previsto che siano esclusi quelli che la corte d'appello tratta in unico grado (equa riparazione per eccessiva durata del processo, controversie elettorali, esecutorietà dei lodi arbitrali, opposizione alla stima eccetera). In questi casi, la mancanza di una sentenza impugnata è apparsa argomento decisivo per escludere l'opportunità di assegnare la causa ad un giudice onorario. 

      Articolo 63 (Giudici ausiliari). La norma fissa, al comma 1, il numero massimo di giudici ausiliari in 400 unità. Questa cifra è idonea ad assicurare la definizione di una considerevole quantità di procedimenti, pari per ogni anno a circa 36.000. A questa conclusione si perviene considerando l'obbligo di definire almeno 90 procedimenti all'anno, stabilito dall'articolo 68, comma 2, del presente decreto. Complessivamente, quindi, la norma stabilisce che, di regola, siano adottati 36.000 provvedimenti a cura dei giudici ausiliari e – tenuto conto della natura del giudizio di appello – gli stessi potranno corrispondere ad un analogo numero di procedimenti definiti.
      È regolato il procedimento di nomina del giudice ausiliario (comma 2), rimettendola ad un decreto del Ministro della giustizia, che provvede previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su proposta del consiglio giudiziario. Per quest'ultimo, è prevista la composizione integrata ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, e quindi con la partecipazione dei componenti designati dal consiglio regionale e dai componenti avvocati e professori, i quali potranno fornire un apporto informativo che è apparso indispensabile, trattandosi di inserire nell'ufficio giudiziario – sia pure a titolo onorario – soggetti che non fanno parte della magistratura. La disposizione è analoga ed in linea con quelle relative alla nomina del giudice onorario di tribunale (articolo 42-ter del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12) e del giudice di pace (articolo 4, comma 2, della legge 21 novembre 1991, n. 374).
      Per gli avvocati e per i notai è prevista l'acquisizione del parere dei rispettivi consigli dell'ordine, anche se il professionista è stato collocato in quiescenza nei cinque anni precedenti la domanda di nomina.
Sono quindi individuate, al comma 3, le seguenti categorie di soggetti che possono essere nominati giudici ausiliari:

          a) magistrati ordinari, contabili e amministrativi e gli avvocati dello Stato, a riposo, per la loro specifica esperienza professionale;

          b) i professori universitari in materie giuridiche di prima e seconda fascia anche a tempo definito o a riposo;

          c) i ricercatori universitari in materie giuridiche;

          d) gli avvocati, anche se a riposo; con preferenza e poi si ricorre alle altre categorie;

          e) i notai, anche se a riposo.

      Articolo 64 (Requisiti per la nomina). La disposizione individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria (comma 1).
      Quanto al requisito anagrafico, si è ritenuto opportuno prevedere che i magistrati e gli avvocati dello Stato a riposo, nonché i professori universitari, non devono aver superato i 75 anni di età. Per gli avvocati e notai, invece, l'età massima è prevista in 60 anni ed è, inoltre, stabilito che detti professionisti siano stati iscritti all'albo per un periodo non inferiore a cinque anni, quale elemento sintomatico di una adeguata esperienza professionale (commi 2 e 3).
      È quindi inserita una previsione che tutela le minoranze linguistiche del circondario di Bolzano, prevedendo il rispetto del rapporto dei tre gruppi linguistici (italiano, tedesco e ladino), secondo la loro consistenza quale risultante nell'ultimo censimento ufficiale della popolazione (comma 4).
      Il comma 5 individua le ipotesi che escludono la nomina a giudice ausiliario, in particolare di coloro che sono parlamentari nazionali ed europei, deputati e consiglieri regionali, membri del Governo, presidenti e componenti delle giunte regionali e provinciali, assessori comunali e provinciali, sindaci, ecclesiastici e ministri di culto e infine di coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici. 

      Articolo 65 (Pianta organica dei giudici ausiliari. Domande per la nomina a giudici ausiliari). La disposizione illustrata stabilisce che – fermo il numero massimo delle nomine – la pianta organica, ad esaurimento, dei giudici ausiliari con l'indicazione consequenziale dei posti assegnati a ciascuna corte d'appello sia determinata con decreto del Ministero della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura (comma 1).
      Allo stesso decreto è rimessa l'individuazione delle modalità e dei termini di presentazione della domanda, nonché i criteri di priorità nella nomina e, quindi, i titoli e i criteri per la loro valutazione (comma 2). In ragione della peculiare professionalità si è optato per indicare il riconoscimento di preferenza agli avvocati iscritti all'albo.
      Con l'intento di assicurare la massima professionalità si è previsto che, a parità di titoli, prevalga chi vanta la maggiore anzianità di servizio o di esercizio della professione. Per quanto riguarda la nomina di magistrati a riposo, è stabilito che questi possono ricoprire un numero massimo di quaranta posti (sul totale di quattrocento) e che in ciascuna corte d'appello sia loro riservata una percentuale non superiore al 10 per cento dei posti previsti nella pianta organica.
      Al consiglio giudiziario è rimesso di indicare una rosa di nomi pari al doppio dei posti previsti in pianta organica in vista della nomina e, allo stesso organo, è dato il compito di redigere la graduatoria, sulla base dei criteri stabiliti col predetto decreto ministeriale (comma 3). Si tratta di disposizioni che si pongono l'obiettivo di accelerare quanto più possibile i tempi di espletamento delle procedure per la nomina dei giudici ausiliari, delegando la maggior parte delle operazioni al consiglio giudiziario.
      Una volta nominati, essi sono assegnati alle diverse sezioni dal presidente della corte d'appello (comma 4).

      Articolo 66 (Presa di possesso). La norma prevede che il giudice ausiliario prenda possesso dell'ufficio entro il termine indicato nel decreto di nomina.

      Articolo 67 (Durata dell'ufficio). L'articolo stabilisce che l'incarico ha durata temporanea, potendosi protrarre per cinque anni, prorogabile per un periodo non superiore ad altri cinque (comma 1). Si tratta di una disposizione che, di riflesso, connota la misura in termini di eccezionalità.
      La decisione sulla proroga (comma 2) è rimessa al Ministro della giustizia, con il medesimo procedimento previsto per la nomina del giudice ausiliario (vale a dire previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura e parere del consiglio giudiziario territorialmente competente, in composizione integrata).
      È stabilito, inoltre, un limite massimo di età, fissato in settantotto anni, oltrepassato il quale il giudice ausiliario cessa di diritto dall'incarico (comma 3).
      È prevista inoltre, nello stesso comma, la cessazione dell'incarico per decadenza, dimissioni, revoca e mancata conferma, secondo quanto disposto dall'articolo 71.

      Articolo 68 (Collegi e provvedimenti. Monitoraggio). La norma dispone che del collegio giudicante d'appello non può far parte più di un giudice ausiliario (comma 1). La finalità è quella di garantire che il giudizio sia reso con il concorso di due giudici togati, superando così, anche sotto questo profilo, l'opzione, in passato adottata con scarso successo, con le cosiddette sezioni stralcio.
      Il comma 2 pone a carico del giudice ausiliario l'obbligo di definire almeno novanta procedimenti per anno. La previsione è volta a garantire un significativo apporto in termini di smaltimento dell'arretrato, ipotizzando che possa essere raggiunto un elevato numero di procedimenti definiti (36.000 all'anno), dando così un consistente contributo alla realizzazione dei programmi di gestione ai sensi dell'articolo 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, nell'arco temporale (quinquennio prorogabile) previsto.
      È previsto, al comma 3, che il ministero della giustizia provveda semestralmente al monitoraggio dell'attività svolta dai giudici ausiliari al fine di verificare il rispetto degli standard produttivi fissati e il conseguimento degli obiettivi perseguiti. 

      Articolo 69 (Incompatibilità e ineleggibilità). L'articolo prevede che al giudice ausiliario si applichi la disciplina delle incompatibilità e ineleggibilità prevista per i magistrati ordinari. Sono quindi disciplinate, a garanzia della terzietà del giudice, specifiche ipotesi di incompatibilità per l'esercizio delle funzioni di giudice ausiliario selezionato tra gli avvocati.

      Articolo 70 (Astensione e ricusazione). Si prevede che sia applicato ai giudici ausiliari il regime di astensione e ricusazione previsto dal codice di rito civile, aggiungendo alle ipotesi previste dall'articolo 51 del codice di procedura civile il caso in cui il giudice ausiliario sia stato associato o comunque collegato, anche mediante il coniuge, i parenti o altre persone, con lo studio professionale di cui ha fatto o fa attualmente parte il difensore di una delle parti (comma 1), nonché quando abbia in precedenza assistito, nella qualità di avvocato, una delle parti in causa o uno dei difensori ovvero abbia svolto attività professionale, nella qualità di notaio, per una delle parti in causa o uno dei difensori (comma 2).

      Articolo 71 (Decadenza, dimissioni, mancata conferma e revoca). Si regolano le ipotesi di cessazione dall'ufficio per i casi di decadenza, dimissioni, mancata conferma e revoca (commi 1, 2 e 3).
      La revoca del giudice ausiliario è motivatamente proposta dal presidente della corte d'appello al consiglio giudiziario, che, sentito l'interessato, formula un parere che trasmette al Consiglio superiore della magistratura che delibera la revoca (commi 3 e 4). Il Ministro della giustizia adotta i provvedimenti di cessazione (comma 5).

      Articolo 72 (Stato giuridico e indennità). L'articolo definisce lo stato giuridico dei giudici ausiliari quali magistrati onorari (comma 1); stabilisce un'indennità onnicomprensiva di duecento euro per ogni provvedimento che definisce il processo anche su alcune domande o rispetto ad alcune delle parti; regola i tempi della corresponsione della predetta indennità (ogni tre mesi); esclude espressamente la spettanza di contributi previdenziali (comma 2); indica un tetto massimo di euro 20.000 annui (comma 3); esplicita la cumulabilità dell'indennità così regolata con la percezione di trattamenti pensionistici o di quiescenza eventualmente spettanti al magistrato onorario.

Capo II: Tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari.

      Articolo 73 (Formazione presso gli uffici giudiziari). Il capo si compone di un articolo suddiviso in più commi.
      Sono fissati i requisiti di età e di merito per l'accesso al periodo di formazione teorico-pratico.
      Si dettano i criteri per la selezione di coloro che hanno presentato domanda e che siano in possesso dei titoli nell'ipotesi in cui nell'ufficio non vi sia un numero sufficiente di magistrati disponibili in relazione al numero delle domande. Si è specificato che a parità di media degli esami e voto di laurea, prevale il candidato con la minore età anagrafica.
      Sono inoltre stabiliti le modalità e i contenuti della domanda di partecipazione. Il candidato può chiedere l'assegnazione a un magistrato incaricato della trattazione di affari in specifiche materie e il capo dell'ufficio deve tener conto di questa indicazione, compatibilmente con le esigenze dell'ufficio.
      Sono delineanti i contenuti dell'attività dei tirocinanti, da svolgersi, nel numero massimo di due, sotto la guida e il controllo del magistrato formatore, e sono dettate le condizioni per garantire il completamento del periodo formativo e per mitigare i riflessi negativi per l'ufficio del turn over. È previsto che il Ministero della giustizia ponga i tirocinanti in condizioni di accedere ai sistemi informatici ministeriali e avere adeguate dotazioni materiali. Si prevede che l'attività di magistrato formatore sia considerata ai fini della valutazione di professionalità di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, nonché ai fini del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi di merito. Al magistrato formatore non spetterà alcun compenso aggiuntivo o rimborso spese per lo svolgimento dell'attività formativa.
      È disciplinato lo svolgimento dell'attività dei tirocinanti, prevedendo che essa non solo si svolga sotto la guida e il controllo del magistrato, ma altresì comporti a loro carico i doveri di riservatezza e riserbo e comprenda la partecipazione ai corsi di formazione decentrata. È espressamente precisato che il tirocinante non possa accedere ai fascicoli relativi ai procedimenti rispetto ai quali versi in conflitto di interessi anche per conto di terzi nonché che l'attività di formazione si esplica anche con la partecipazione a udienze non pubbliche e collegiali e alla camera di consiglio. È inoltre chiarito che l'ammesso allo stage non possa avere accesso ai fascicoli relativi ai procedimenti trattati dall'avvocato presso il quale svolge il tirocinio. Rimane salvo il potere del giudice di non far partecipare il tirocinante alla singola udienza o camera di consiglio.
      È previsto che l'ammissione al periodo di formazione impedisce di svolgere attività professionale presso l'ufficio ove si svolge lo stage, ed è espressamente vietato che il tirocinante eserciti l'attività professionale in favore delle parti dei procedimenti svoltisi innanzi al magistrato formatore.
      È previsto che lo svolgimento del tirocinio non dia diritto ad alcun compenso e non determini il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo né di obblighi previdenziali o assicurativi.
      È previsto – anche, naturalmente, a garanzia del rispetto degli obblighi e delle altre prescrizioni normative – che il rapporto di formazione possa essere interrotto in ogni momento dal capo dell'ufficio per ragioni organizzative o per il venir meno del rapporto fiduciario.
      È previsto che il rapporto di formazione possa svolgersi contestualmente allo svolgimento da parte del laureato tirocinante di altre attività, purché con modalità compatibili con il pieno conseguimento di un'adeguata formazione. È altresì espressamente previsto che a carico dell'avvocato presso il quale svolge il tirocinio professionale non sorga alcuna limitazione di patrocinare innanzi al magistrato formatore.
      È previsto che il magistrato formatore rediga una relazione sull'esito del periodo di formazione.
      L'esito positivo del tirocinio costituisce titolo per l'accesso immediato al concorso per la magistratura ordinaria ed è valutato per il periodo di un anno ai fini del compimento del periodo professionale per l'accesso alle professioni di avvocato o notaio e, agli stessi fini e per il medesimo periodo, per la frequenza dei corsi della scuola di specializzazione delle professioni legali.
      L'esito positivo del tirocinio costituisce inoltre titolo preferenziale per la nomina a giudice e vice procuratore onorario di tribunale, autonomo requisito di accesso all'esercizio delle funzioni di giudice di pace e, da ultimo, titolo di preferenza a parità di merito per i concorsi indetti dall'amministrazione della giustizia nonché titolo di preferenza a parità di merito e di titoli nei concorsi indetti da altre amministrazioni pubbliche.
      Si prevede l'apporto finanziario di terzi mediante convenzioni.
      Si prevede che i capi degli uffici possano stipulare le convenzioni di cui all'articolo 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n, 111, quando le domande presentate a norma del comma 3 siano in numero insufficiente rispetto alla disponibilità manifestata dai magistrati dell'ufficio.
      Peculiare e coordinata disciplina è dettata per il periodo formativo presso gli uffici di giustizia amministrativa.
      È stabilito che le domande per l'ammissione allo stage formativo possano essere presentate non prima che sia decorso il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Capo III: Magistrati assistenti di studio della Corte di Cassazione.

      Articolo 74 (Magistrati assistenti di studio della Corte di cassazione). L'articolo ha la finalità di fornire alle sezioni civili della Corte di cassazione un supporto ai fini della celere definizione dell'arretrato. Si dispone pertanto che venga temporaneamente modificata la consistenza della pianta organica della Corte inserendo, al pari di quanto avviene per l'ufficio del massimario e del ruolo, magistrati in numero pari a trenta che abbiano effettivamente svolto per almeno cinque anni le funzioni di merito. La pianta organica è quindi ad esaurimento fino alla cessazione dal servizio o al trasferimento dei magistrati assistenti di studio. Ai magistrati assistenti di studio non spettano compensi aggiuntivi al trattamento economico regolato secondo l'ordinaria disciplina (in godimento e pertanto secondo le comuni progressioni). Al fine di garantire il migliore e più efficiente utilizzo degli assistenti di studio è previsto che sia il primo presidente a stabilirne le attribuzioni in considerazione delle contingenti esigenze di definizione dell'arretrato. È previsto che, in ogni caso, i magistrati assistenti di studio non possano far parte del collegio giudicante. Per assicurare il raggiungimento degli obiettivi che l'intervento si propone, senza però incardinare in modo strutturale e definitivo nell'organico della Corte la figura del magistrato assistente di studio, si prevede, da un canto, che l'assistente di studio non possa, salvo gravi ragioni, chiedere di essere trasferito prima che siano decorsi cinque anni dal momento in cui ha assunto le funzioni; e, dall'altro, che a seguito del trasferimento egli non possa essere sostituito. È previsto che annualmente il Ministro della giustizia proceda, con proprio decreto, alla ricognizione della consistenza effettiva della pianta organica della Corte di cassazione. Al pari di quanto previsto per i magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo è previsto che lo svolgimento delle funzioni di magistrato assistente di studio costituisca titolo preferenziale per l'attribuzione di funzioni giudicanti di legittimità. Per garantire la celere copertura dell'organico è fissato un termine di conclusione della procedura di selezione dei magistrati assistenti di studio.

Capo IV: Misure processuali.

      Articolo 75 (Intervento del pubblico ministero nei giudizi civili dinanzi alla Corte di cassazione). L'articolo modifica gli articoli 70, 380-bis e 390, primo comma, del codice di procedura civile. L'intervento è il frutto di una rimeditazione del ruolo che la Procura generale presso la Corte di cassazione svolge nel settore civile, consentendo un «impiego maggiormente selettivo dei magistrati della Procura generale nelle udienze civili», secondo un'esigenza espressa anche dal Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura nel corso del suo intervento in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, il 26 gennaio 2012. Pertanto, le norme in esame sono dirette ad eliminare l'attuale obbligo generalizzato di intervento, conservandolo solo per le udienze pubbliche trattate dalle sezioni semplici e per tutte le udienze (anche quelle camerali) delle Sezioni unite.
      Le citate modifiche si applicano ai giudizi instaurati innanzi alla Corte di cassazione a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 

      Articolo 76 (Divisione a domanda congiunta demandata al notaio). È stato articolato un intervento normativo che si propone di rendere più celeri e agevoli le operazioni di scioglimento della comunione ereditaria o volontaria, affidandole al notaio che, per la sua specifica professionalità, può efficacemente risolvere le complesse problematiche che normalmente si prospettano (individuazione dei comproprietari, degli opponenti, dei creditori iscritti; determinazione delle quote; predisposizione dei lotti; frazionamento catastale; trascrizione del titolo, eccetera).
      Si prevede quindi che, in caso di accordo dei comproprietari sul diritto alla divisione ereditaria o allo scioglimento della comunione, essi possono chiedere al tribunale competente la nomina di un notaio. Si tratta quindi di un procedimento fondato sull'esistenza di una iniziale volontà convergente. In caso di creditori che hanno notificato o trascritto l'opposizione, ai sensi degli articoli 1113 e 2646 comma secondo del codice civile, il ricorso congiunto deve essere sottoscritto anche da costoro.
      È stata prevista la trascrivibilità del ricorso congiunto, come già previsto dall'articolo 2646 del codice civile per la domanda giudiziale di divisione.
      Il Tribunale può anche nominare un esperto stimatore.
      Se emerge che il ricorso non è stato proposto da tutti i comproprietari e da tutti i creditori che avevano proposto opposizione preventiva alla divisione, dalla natura di volontaria giurisdizione del procedimento de quo deriva che non si può ordinare l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'articolo 102 del codice di procedura civile (perché, appunto, manca un conflitto tra le parti). È stata quindi prevista la pronuncia da parte del giudice di un'ordinanza che dichiara l'improcedibilità della domanda e ordina la cancellazione della trascrizione della medesima. Il provvedimento è reclamabile in corte d'appello, a norma dell'articolo 739 del codice di procedura civile.
      Se il ricorso è stato regolarmente sottoscritto da tutti i condividenti e dai creditori opponenti, il notaio, acquisita la stima, valuta se il compendio caduto in comunione è agevolmente divisibile o meno. In caso positivo, predispone il progetto di divisione formando i relativi lotti e ne dà comunicazione alle parti, ai creditori opponenti e ai creditori iscritti. Ciascun interessato può proporre opposizione, contestando il progetto di divisione. Per consentire una sollecita definizione delle opposizioni, è stato previsto che il giudice procede secondo le forme del procedimento sommario di cognizione, con la conseguente attitudine del provvedimento conclusivo ad acquistare autorità di cosa giudicata. Se non sono proposte opposizioni, il giudice dichiara esecutivo il progetto di divisione e demanda al notaio il compimento delle operazioni successive (frazionamento, registrazione, trascrizione, eccetra).
      Se, invece, il bene non è comodamente divisibile, il notaio procede alla vendita. Si applicano in questo caso tutte le norme relative all'espropriazione di beni immobili. Ne consegue che in relazione ad ogni atto del notaio ciascun interessato può investire il giudice, ai sensi dell'articolo 591-ter del codice di procedura civile. I provvedimenti del giudice possono essere oggetto di opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'articolo 617 del codice di procedura civile, espressamente richiamato dall'articolo 591-ter del codice di procedura civile e in sintonia con il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento al giudizio di scioglimento della comunione.

 Articolo 77 (Conciliazione giudiziale). La disposizione riprende l'analogo disposto dell'articolo 420 del codice di procedura civile dettata per il processo del lavoro e prevede che il giudice civile, alla prima udienza ovvero in seguito, sino al termine dell'istruzione, formuli alle parti una proposta transattiva o conciliativa. È previsto altresì che il rifiuto della proposta senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai fini del giudizio (e quindi anche della statuizione sulle spese processuali).
      Per esigenze di simmetria, si introduce una modifica dell'articolo 420, primo comma, del codice di procedura civile, disponendo quindi che il giudice del lavoro possa formulare una proposta non solo transattiva ma anche più ampiamente conciliativa.
      Rimane naturalmente salva la possibilità che il giudice non formuli la proposta transattiva o conciliativa nel caso in cui risulti manifesta l'impossibilità di comporre la controversia.

      Articolo 78 (Misure per la tutela del credito). Sono introdotte misure dirette ad accelerare i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, e quindi ad agevolare il recupero del credito.
      Si dispone che il giudice, quando il convenuto in opposizione (e attore in senso sostanziale, perché titolare del credito oggetto dell'ingiunzione di pagamento) chiede di anticipare l'udienza fissata dall'attore in opposizione, debba fissarla non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire.
      Si stabilisce che il giudice debba provvedere alla prima udienza sull'istanza di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo.
      Queste modifiche si applicheranno ai giudizi instaurati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto e, quindi, a norma dell'articolo 643, terzo comma del codice di procedura civile, alle opposizioni che riguardino i decreti ingiuntivi notificati dopo la data suddetta.

      Articolo 79 (Semplificazione della motivazione nella sentenza civile). L'articolo modifica l'articolo 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, disponendo che la motivazione della sentenza civile consiste nella concisa esposizione dei fatti decisivi e dei princìpi di diritto rilevanti, anche attraverso il riferimento esclusivo a precedenti conformi e il rinvio a specifici contenuti degli atti difensivi o comunque di causa (comprensivi, quindi, delle decisioni oggetto di gravame).
      Si tratta di una disposizione processuale conforme ai princìpi del giusto processo di cui all'articolo 111, sesto comma, della Costituzione giacché la motivazione ivi prevista risulta idonea, per gli elementi con cui, anche per relazione, si articola, a rendere evidente alle parti l'iter logico che sorregge la decisione. In mancanza di una norma di diritto intertemporale la disposizione si applica anche ai giudizi in corso.

      Articolo 80 (Foro delle società con sede all'estero). L'articolo muove dall'intento di agevolare le società che non abbiano un contatto qualificato con il territorio italiano, concentrando presso le sedi di tre grandi uffici giudiziari (Milano, Roma e Napoli), comodamente raggiungibili dall'estero, le cause in cui esse siano parti. Si tratta quindi di competenza inderogabile ma quale norma di favore, così che sarà rilevabile d'ufficio e, al contempo, rimessa all'eccezione della società qualora costituita in giudizio. Nella stessa logica saranno possibili clausole contrattuali difformi.
      I presupposti per l'applicazione di questa norma derogatoria degli ordinari criteri di collegamento territoriale sono individuati nel fatto che la sede della società sia situata all'estero e che in Italia non abbia sedi secondarie con rappresentanza stabile, in correlazione con l'articolo 2508 del codice civile e con i conseguenti obblighi pubblicitari, così da rendere agevole anche per i terzi l'operatività della norma.
      È specificamente previsto che il foro delle predette società trovi applicazione anche nel caso in cui più siano i soggetti che agiscano o siano convenuti in giudizio.
      Il comma 2 – mutuando da un'analoga disposizione contenuta in tema di foro erariale a favore dell'Avvocatura dello Stato, dall'articolo 6, secondo comma, del regio decreto 30 ottobre 1933 n. 1611 – prevede un meccanismo di spostamento della competenza anche nel caso in cui la società avente sede all'estero sia (non attrice né convenuta, ma) chiamata in giudizio. In tal caso, essa può chiedere al giudice di trasmettere la causa all'ufficio giudiziario competente secondo la norma in commento. Il giudice provvede con ordinanza e quindi con un provvedimento che consente la massima sollecitudine.
      Analogamente, si stabilisce che le norme ordinarie di competenza restano ferme per i giudizi relativi ai procedimenti esecutivi e fallimentari, nei casi di intervento volontario, e nei giudizi di opposizione di terzo, e che resta altresì ferma la disposizione di cui all'articolo 25 del codice di procedura civile.
      È poi previsto che il criterio di competenza territoriale individuato dalla norma non si applichi in caso di controversie che coinvolgano soggetti cui l'ordinamento interno e comunitario riservano una particolare tutela, quali i lavoratori ed i consumatori.
      La disposizione si applicherà ai giudizi introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, per consentire agli operatori di studiarne adeguatamente l'ambito di applicabilità e le implicazioni.
Capo V: Modifiche all'ordinamento giudiziario.

      Articolo 81 (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12). Il capo contiene una sola disposizione che modifica l'articolo 76 dell'ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12). La norma va introdotta per esigenze di coerenza con le modifiche apportate agli articoli 70, 380-bis e 390, primo comma, del codice di procedura civile e, cioè, per prescrivere l'intervento e le conclusioni del Procuratore generale in tutte le udienze (pubbliche e camerali) dinanzi alle Sezioni unite civili e solo nelle udienze pubbliche celebrate davanti alle sezioni semplici.

Capo VI: Disposizioni in materia di concordato preventivo.

      Articolo 82 (Concordato preventivo). Le prime evidenze empiriche emerse nel corso di rilevazioni statistiche condotte dalla Direzione generale di statistica del Ministero della giustizia hanno consentito di rilevare un non trascurabile ricorso all'istituto del cosiddetto «concordato in bianco» non del tutto corrispondente alle finalità che ne hanno ispirato l'introduzione, rappresentate dall'anticipazione degli effetti protettivi del patrimonio dell'impresa in crisi a prescindere dalla elaborazione della proposta e del piano di concordato.
      L'intervento è volto pertanto a conservare la flessibilità e la snellezza dello strumento, approntando però delle misure volte ad implementare il patrimonio informativo dei creditori e del tribunale già in sede di fissazione del termine attraverso l'estensione degli obblighi di deposito del debitore, con particolare riferimento all'elenco dei creditori e dei relativi crediti (sulla scorta di quanto previsto dall'articolo 161, secondo comma, lettera b), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nota come «legge fallimentare», e degli obblighi informativi che il tribunale deve disporre con il decreto con cui viene fissato il termine per il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui al citato articolo 161 della citata «legge fallimentare»).
      Nella medesima prospettiva, e sulla scorta delle migliori prassi giurisprudenziali applicative, viene espressamente riconosciuto al tribunale il potere di anticipare la nomina del commissario giudiziale di cui all'articolo 163, secondo comma, n. 3 della «legge fallimentare», al momento di adozione del decreto di cui all'articolo 161, sesto comma, della «legge fallimentare». La scelta di prevedere l'anticipazione della nomina del commissario giudiziale anziché la nomina di un ulteriore ausiliario ex articolo 68 del codice di procedura civile si giustifica con l'intento di contenere al massimo grado i costi della procedura, evitando la liquidazione di un distinto compenso in tutti i casi in cui fisiologicamente alla domanda in bianco faccia seguito il deposito della proposta e del piano. D'altro canto i costi del commissario potranno essere contenuti tenendo conto del compenso minimo previsto dal decreto del Ministro della giustizia 25 gennaio 2012 n. 30 (articolo 4 comma 1 richiamato dall'articolo 5).
      In considerazione della rilevanza degli effetti protettivi sul patrimonio del debitore e delle conseguenze sui diritti dei creditori che si producono a seguito del deposito del cosiddetto ricorso in bianco (o concordato preventivo con riserva) viene prevista l'immediata caducazione dei predetti effetti protettivi nel caso in cui il tribunale accerti, anche attraverso la segnalazione del commissario giudiziale (quando nominato), che il debitore ha posto in essere condotte pregiudizievoli delle ragioni dei creditori, ad instar dell'articolo 173 della «legge fallimentare». In termini processuali la caducazione degli effetti protettivi ha luogo con la dichiarazione di improcedibilità della domanda in bianco alla quale, in presenza dei presupposti di cui agli articoli 1 e 5 «legge fallimentare» e dell'istanza di uno dei creditori o del pubblico ministero, può far seguito la dichiarazione di fallimento.
      L'intervento incide sullo spettro degli obblighi informativi che il tribunale deve porre a carico del debitore disponendo che esso comprenda anche l'attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, con l'obiettivo di permettere al tribunale di verificare e reprimere eventuali condotte abusive. È posto altresì a carico del debitore l'obbligo di depositare, con cadenza almeno mensile, una situazione finanziaria aggiornata dell'impresa, da pubblicare a cura del cancelliere nel registro delle imprese, per consentire ai creditori di verificare che la prosecuzione dell'attività non comporti conseguenze pregiudizievoli sul patrimonio del debitore. Si è scelto di limitare tale aggiornamento alla sola situazione finanziaria, senza coinvolgere anche gli aspetti patrimoniali ed economici, per evitare un eccessivo aggravio degli adempimenti contabili, preservando la flessibilità dello strumento. Il mancato adempimento degli obblighi informativi è sanzionato mediante la declaratoria di inammissibilità della domanda. In presenza di apposita istanza e dei presupposti di insolvenza può anche essere dichiarato il fallimento.
      Quando invece, pur adempiendo il debitore agli obblighi informativi, emerga la palese inadeguatezza dell'attività svolta ai fini della successiva predisposizione della proposta e del piano è previsto che il tribunale abbrevi il termine assegnato, con la finalità di sollecitare il debitore ad attivarsi proficuamente e tempestivamente.
Capo VII: Altre misure per il finanziamento dei servizi di giustizia.

      Articolo 83 (Modifiche alla disciplina dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato). L'articolo 47 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 (cosiddetta legge forense) prevede che la composizione della commissione per l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato sia composta «da cinque membri effettivi e cinque supplenti, dei quali: tre effettivi e tre supplenti sono avvocati designati dal CNF tra gli iscritti all'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, uno dei quali la presiede; un effettivo e un supplente sono magistrati in pensione; un effettivo e un supplente sono professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche».
      Per quanto riguarda la componente magistrati, è necessario prevedere la possibilità che il Ministero ricorra anche a magistrati in servizio, seppure in via del tutto residuale rispetto all'ipotesi principale ed originaria e cioè che le commissioni siano composte da magistrati in pensione.
      Infatti, in questa prima fase di applicazione della norma non è possibile compiutamente prevedere quali difficoltà operative potranno insorgere.

Capo VIII: Misure in materia di mediazione civile e commerciale.

      Articolo 84 (Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28). Come noto la Corte costituzionale, con sentenza del 24 ottobre 2012 n. 272, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 5 comma 1 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, e, in via consequenziale ai sensi dell'articolo 27 della legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 87, di una pluralità di disposizioni connesse del medesimo provvedimento legislativo (punto 2 del dispositivo).
      La declaratoria d'illegittimità è avvenuta per eccesso rispetto alla delega contenuta nell'articolo 60 della legge 18 marzo 2009 n. 69.
      Si legge in particolare nella motivazione che la cosiddetta mediazione obbligatoria «delinea un istituto a carattere generale, destinato ad operare per un numero consistente di controversie, in relazione alle quali, però, [...], il carattere dell'obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega».
      Ne deriva che la declinazione in termini di condizione di procedibilità dell'esperimento del procedimento di mediazione non trova ostacoli, in questo contesto, quando, come nel caso, sia ripristinata a mezzo di provvedimento legislativo non delegato.
      Resta opportuno chiarire – più che in quel che si legge nella relazione illustrativa del citato decreto legislativo n. 28 del 2010 – i rapporti con altri possibili dubbi di coerenza costituzionale di un regime normativo così congegnato.
      Necessaria premessa di quanto appena detto, è la focalizzazione dei punti in cui la norma qui illustrata introduce marcate differenze rispetto all'assetto disegnato dal decreto legislativo appena richiamato.
      I nova possono riassumersi nei seguenti punti:

          1) esclusione dal raggio applicativo della condizione di procedibilità delle controversie inerenti alla responsabilità per danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti (oltre alla specifica esenzione, unitamente ad altri procedimenti urgenti o sommari, del procedimento di consulenza preventiva a fini conciliativi);

          2) introduzione della mediazione prescritta dal giudice, fuori dei casi di obbligatorietà ex ante e sempre nell'area generale dei diritti disponibili (articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28);

          3) integrale gratuità della mediazione, anche nel caso di cui al punto che precede, per i soggetti che, nella corrispondente controversia giudiziaria, avrebbero avuto diritto all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

          4) previsione di un incontro preliminare, informativo e di programmazione, in cui le parti, davanti al mediatore, verifichino con il professionista se sussistano effettivi spazi per procedere utilmente alla mediazione;

          5) forfettizzazione e abbattimento dei costi della mediazione, in particolare di quella c.d. obbligatoria, attraverso la previsione legislativa di un contenutissimo importo, comprensivo delle spese di avvio, per l'incontro preliminare di cui al punto precedente;

          6) limite temporale della durata della mediazione in 3 mesi, in luogo di 4, decorsi i quali il processo può sempre essere iniziato o proseguito;

          7) previsione della necessità che, per divenire titolo esecutivo e per l'iscrizione d'ipoteca giudiziale, l'accordo concluso davanti al mediatore sia non solo omologato dal giudice ma anche sottoscritto da avvocati che assistano le parti;

          8) riconoscimento di diritto, agli avvocati che esercitano la professione, della qualità di mediatori.

      Il minimo comun denominatore di questi interventi correttivi è dato per un verso da un significativo restringimento dell'area per materia dell'obbligatorietà ex lege – le cui più specifiche motivazioni saranno di seguito meglio illustrate – bilanciato dalla valorizzazione della mediazione demandata, e, per altro verso, dell'abbattimento dei costi della medesima mediazione cosiddetta necessaria, in uno alla valorizzazione delle garanzie offerte dall'assistenza legale – qualora si voglia conferire a ogni accordo davanti al mediatore forza ampiamente esecutiva – e della competenza professionale, anche in chiave di composizione stragiudiziale degli interessi, propria degli avvocati.
      Anche in chiave costituzionale la più significativa di queste modifiche attiene all'onerosità.
      La Corte costituzionale indica che oneri economici, anche non tributari, a carico di chi richiede tutela giurisdizionale, sono legittimi se «razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione», e non, invece, se correlati «alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alle finalità predette» (Corte costituzionale 8 aprile 2004, n. 114).
      La Corte di giustizia, dopo aver definito «legittimi obiettivi di interesse generale (...) una definizione più spedita e meno onerosa delle controversie (...) nonché un decongestionamento dei tribunali» ha concluso che, rispetto a questi obiettivi, «non esiste un'alternativa meno vincolante alla predisposizione di una procedura obbligatoria, dato che l'introduzione di una procedura di risoluzione extragiudiziale meramente facoltativa non costituisce uno strumento altrettanto efficace per la realizzazione di detti obiettivi» (Corte di giustizia, 18 marzo 2010, n. 317-320/08).
      Nel sistema costituzionale e comunitario, dunque, è legittima la previsione di un'onerosità della mediazione cosiddetta obbligatoria posta l'evidente correlazione con il miglior andamento della giustizia di un costo che ha la funzione di fornire al cittadino un servizio innestato nel percorso verso la soluzione del conflitto, e che persegue il pubblico interesse di restituire alla decisione autoritativa il suo predicato di extrema ratio. La suddetta promozione della mediazione contribuisce, in altri termini, a evitare che ogni conflitto si trasformi necessariamente in una controversia giudiziale, in applicazione del principio di proporzionalità nell'utilizzo delle risorse giudiziarie, ricaduta di quello costituzionale alla ragionevole durata del processo.
      Tutto questo, però, non esime naturalmente il legislatore dallo strutturare in termini di ragionevolezza l'onere economico relativo alla menzionata mediazione.
      In questa ottica, rilevano:
          il calmiere amministrativo alle indennità degli organismi di mediazione disciplinato dal regolamento reso con decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010 n. 180, come modificato dal decreto dello stesso Ministro 6 luglio 2011 n. 145; indennità che costituiscono (articolo 13 del decreto legislativo n. 28 del 2010 come integrato dalle presenti previsioni) spese ripetibili nell'eventuale successivo giudizio; calmiere soggetto a ulteriori e marcate riduzioni per i casi in cui la mediazione costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale (articolo 16, comma 4, lettera d), del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180) e ricondotto a meri rimborsi spese tra i 40 e i 50 euro, nel massimo, quando nessuna controparte di quella che ha introdotto la mediazione partecipa al procedimento (articolo 16, comma 4, lettera e), del citato decreto del Ministro della giustizia n. 180 del 2010);

          l'impossibilità, per gli organismi di mediazione, di rifiutare la prestazione o condizionarla alla previa corresponsione di oneri economici di sorta, nei casi di cosiddetta obbligatorietà (come precisato dall'articolo 16, comma 9, del decreto ministeriale n. 180 del 2010);

          la previsione per cui chi si trova nelle condizioni per l'ammissione, in caso di processo, al patrocinio difensivo a spese dello Stato, è ammesso al servizio degli organismi di mediazione gratuitamente, con corrispondente obbligo di questi ultimi a prestarlo senza oneri economici per le parti;

          le generali agevolazioni fiscali, e in particolare il credito d'imposta fino a 500 euro (rispetto alle indennità dovute agli organismi di mediazione) e l'esenzione dall'obbligo fiscale di registrazione per gli atti del procedimento di mediazione e anche per l'eventuale accordo conclusivo; 

          l'esperibilità di ogni domanda urgente (oltre ad alcune, tassative, connotate in specie da speciali funzioni di rapida definizione giudiziale) davanti all'autorità giudiziaria anche nelle ipotesi di condizione di procedibilità;

          il tempo molto contenuto (ora divenuto ancora meno, come visto, e cioè 3 mesi) decorso il quale, mancando l'accordo tra le parti, il processo può avere o riprendere il suo corso.

      A tutto ciò, con la previsione normativa qui in esame, si aggiunge la previsione di un primo incontro di programmazione, e cioè non meramente informativo, in cui le parti, unitamente al mediatore, verificano le concrete possibilità d'instaurare una trattativa sulla composizione non solo dei diritti ma molto più ampiamente degli interessi in gioco, così che si proceda oltre solo quando questa emerga. A quanto appena detto si aggiunge la previsione di correlativi costi massimi e onnicomprensivi molto bassi e fissati, per ciascuna parte che partecipa al procedimento, quando l'esito di questo primo incontro sia negativo, tra gli 80 (per le liti fino a mille euro di valore) e, con due scaglioni intermedi, i 250 euro (per tutte le liti oltre i cinquantamila euro di valore).
      Così declinando la disciplina, l'obbligatorietà viene largamente stemperata al pari dell'onerosità, che viene ricondotta a quella di minima portata oggetto di specifico richiamo da parte della giurisprudenza comunitaria sopra citata.
      Naturalmente non può omettersi di mettere in evidenza che l'obbligatorietà resta il principale - e verosimilmente unico - mezzo per promuovere la mediazione, a sua volta strumento di pacificazione sociale oltre che significativa deflazione del contenzioso giudiziario civile.
      I dati segnalano 215.689 iscrizioni di affari di mediazione tra il 21 marzo 2011 e il 30 giugno 2012, tempi di piena anche se prima operatività della condizione di procedibilità introdotta dal decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Di questi il 64,2 per cento dei casi ha segnato la non comparizione dell'aderente (chiamato in mediazione dalla controparte), il 4,6 per cento ha segnato la rinuncia del proponente prima dell'esito – percentuale comprensiva di ricomposizioni del conflitto – e il 31,2 per cento dei casi la comparizione dell'aderente. L'accordo risulta raggiunto nel 46,4 per cento dei casi di aderente comparso, con un risultato di oltre 31.000 conflitti risolti nei circa 15 mesi iniziali di compiuta implementazione del sistema. Dal che si può desumere la rilevanza dello strumento in proiezione pluriannuale, sia in termini di accesso a risoluzioni meno onerose dei conflitti, sia in chiave di prevenzione di processi. Ciò fa comprendere perché anche molto di recente il Consiglio dell'Unione europea abbia sollecitato fortemente nuovo impulso allo strumento dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012 (raccomandazione n. 362 del 29 maggio 2013, considerando 11 e punto 2).
      E per comprendere la rilevanza dell'obbligatorietà per la promozione della mediazione basta osservare che la suddivisione in categorie indica: mediazione per clausola contrattuale 0,3 per cento; mediazione demandata dal giudice 2,8 per cento; mediazione volontaria 16 per cento; mediazione obbligatoria in quanto condizione di procedibilità 80,9 per cento.
      Tornando alle altre modifiche si rileva che l'esclusione dall'area di operatività della condizione di procedibilità per le controversie di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti trova la sua giustificazione nelle considerazioni per cui:

          a) operano sul punto gli impulsi alla composizione stragiudiziale di cui agli articoli 148 e 149 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209;

          b) i dati statistici mostrano che tra il 21 marzo 2011 e il 30 giugno 2012 le citate controversie – a fronte della ricordata percentuale generale del 46,4 per cento di raggiungimento dell'accordo nei casi di aderente (alla domanda di mediazione) comparso – registrano una percentuale specifica del 96,2 per cento di aderente non comparso: ne consegue che, per le dinamiche innescate dalla decisiva presenza dell'ente assicurativo, la funzionalità settoriale della mediazione è particolarmente bassa;
          c) si tratta di fattispecie rispetto ai quali non può svolgersi la rilevantissima funzione di ricostruzione del rapporto tra le parti, neppure in senso largo come per l'altra fattispecie di risarcimento extracontrattuale della diffamazione a mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità, spesso, quest'ultima, riconducibile a un concetto ampio ma non astratto di interrelazioni sociali non istantanee.

      Resta naturalmente ferma l'esplicazione contenuta nella relazione illustrativa del citato decreto legislativo n. 28 del 2010, anche per l'inclusione delle altre materie nel raggio di azione della condizione di procedibilità.
      Rispetto a quell'impianto originario, invece, si è rafforzata la mediazione demandata dal giudice, rendendola da specie di quella volontaria (con invito del giudice da accettare ad opera delle parti) a specie di quella vincolante in questo caso per ordine giudiziale, come previsto (al pari della obbligatorietà ex lege) dalla direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 21 maggio 2008 [articolo 3, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo].
      È stato specificato, attese alcune distonie giurisprudenziali, che la consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi, pur non rientrando tra i procedimenti urgenti o cautelari, è aggiuntivamente sottratta alla condizione di procedibilità.
      Infine, quanto alla valorizzazione del ruolo dell'avvocato, va innanzi tutto evidenziato che i dati statistici mettono in risalto come già prima della dichiarazione d'incostituzionalità gli affari di mediazione avevano al riguardo i seguenti indicatori specifici: 84 per cento di proponenti assistiti da avvocato; 85 per cento di aderenti assistiti da avvocato.
      Ciò nondimeno si è inteso prevedere che l'accordo concluso davanti al mediatore, che già per essere trascritto deve avere l'autentica delle sottoscrizioni dai competenti pubblici ufficiali, per acquisire forza di titolo esecutivo e per l'iscrizione d'ipoteca giudiziale debba non solo essere omologato giudizialmente – al fine di verificare non solo la regolarità formale quanto il rispetto dei principi di ordine pubblico e delle norme imperative specifiche – ma anche essere sottoscritto da avvocati che assistano tutte le parti.
      Si riconosce così la funzione di garanzia dell'assistenza forense laddove emerga il profilo ultimo di coattività in termini, appunto, di esecuzione forzata, ovvero quello, connesso, dell'iscrizione ipotecaria.
      Infine, da altra chiave prospettica, si stabilisce che l'avvocato esercente la professione, perché iscritto all'albo circondariale, è di diritto mediatore, in ragione della peculiare formazione professionale dello stesso.