Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 29 gennaio 2013 - Ricorso n. 25704/11 - causa Lombardo c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Anna Aragona, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA LOMBARDO c. ITALIA

(Ricorso n. 25704/11)

SENTENZA

STRASBURGO

29 gennaio 2013

 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

 

Nella causa Lombardo c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:

Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 18 dicembre 2012,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 25704/11) proposto contro la Repubblica italiana, con cui un cittadino di questo Stato, Sergio Lombardo («il ricorrente»), ha adito la Corte il 22 aprile 2011 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente era rappresentato dall’avv. G. Vaccaro, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») era rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, S. Coppari.

3. Nel ricorso, il ricorrente lamentava in particolare una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, garantito dall’articolo 8 della Convenzione.

4. Il 25 agosto 2011 il ricorso è stato comunicato al Governo. Come consentito dall'articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.

 

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

6. Dalla relazione del ricorrente con A.D. il 31 marzo 2001 nasceva una bambina, S. Il 29 gennaio 2003, a causa dei continui conflitti che laceravano la coppia, A.D. lasciava il ricorrente e la città di Roma, portando con sé la figlia a vivere presso la sua famiglia, a Termoli. Dal momento della sua partenza, A.D. manifestava una netta opposizione a qualsiasi relazione tra il ricorrente e S.

A. Procedura relativa alla definizione delle modalità di esercizio del diritto di visita del ricorrente alla figlia

7. Il 26 febbraio 2003 A.D. chiedeva al tribunale per i minorenni (di seguito «il tribunale») di Roma l’affidamento di S.

8. Con decisione del 9 luglio 2003, il tribunale di Roma disponeva l’affidamento esclusivo della minore a A.D. e concedeva al ricorrente un diritto di visita da esercitarsi due pomeriggi a settimana, un week-end su due senza alloggio fino ai tre anni di età della minore, tre giorni a Pasqua, sei giorni a Natale e dieci giorni durante le vacanze estive.

9. Il 20 agosto 2003, a causa delle difficoltà incontrate nell’esercizio del diritto di visita, il ricorrente adiva il giudice tutelare di Termoli. Egli lamentava di aver potuto incontrare la figlia una sola volta, il 25 luglio 2003, per qualche minuto ed alla presenza della madre e dello zio della minore, e chiedeva il rispetto del suo diritto di visita.

10. Il 13 ottobre 2003 il giudice tutelare confermava il decreto del tribunale di Roma e precisava che gli incontri dovevano aver luogo nella sede dei servizi sociali di Termoli alla presenza di un assistente sociale e della madre di S.

11. Il 27 novembre 2003 il ricorrente adiva nuovamente il giudice tutelare per chiedere l’effettivo svolgimento degli incontri protetti.
Il 23 dicembre 2003 il giudice tutelare confermava la decisione del 13 ottobre 2003.

12. Il 26 gennaio 2004, sempre a causa delle difficoltà incontrate nell’esercizio del diritto di visita, il ricorrente adiva una terza volta il giudice tutelare, il quale, con decisione del 13 marzo 2004, confermava le decisioni precedenti.

13. Il ricorrente afferma che, tra il 2003 ed il 2004, la madre, che sarebbe stata presente agli incontri, aveva minacciato S. di abbandono, qualora la minore avesse detto di preferire restare sola con il padre.

14. Frattanto, il ricorrente aveva impugnato il decreto del tribunale di Roma del 9 luglio 2003 dinanzi alla corte d’appello di Roma, chiedendo l’affidamento di S. e, in subordine, un ampliamento del diritto di visita. Il perito nominato dalla corte d’appello osservava che A.D. aveva opposto una forte resistenza agli incontri tra il ricorrente e la minore e che grazie al perito stesso ed ai suoi collaboratori era stato possibile che alcuni incontri si svolgessero in modo positivo senza la presenza della madre. Egli affermava, per contro, che i servizi sociali di Termoli non avevano mai lavorato al fine di facilitare gli incontri menzionati ed avevano lasciato che la madre assistesse agli incontri tra padre e figlia.

15. Con decreto del 19 ottobre 2004, la corte d’appello disponeva che gli incontri avessero luogo sotto sorveglianza nella sede dei servizi sociali di Campobasso per tre pomeriggi al mese.

16. Il 30 marzo 2005 il ricorrente presentava un ricorso al tribunale di Campobasso, in cui affermava di aver potuto incontrare la figlia solo in rare occasioni, sosteneva che il decreto della corte d’appello non era stato rispettato e chiedeva l’affidamento della minore.

17. Con decreto del 19 luglio 2005, il tribunale di Campobasso limitava la potestà genitoriale della madre, disponeva l’affidamento della minore ai servizi sociali, confermando la collocazione della stessa presso il domicilio della madre, per consentire ai servizi sociali di vigilare affinché la minore costruisse una relazione equilibrata con il padre. Il tribunale osservava altresì che alla data del 3 giugno 2005 avevano avuto luogo solo sette incontri sui diciannove previsti, che A.D. non aveva permesso allo psicologo nominato dal tribunale di vedere la minore, che il suo comportamento era finalizzato alla cancellazione della figura paterna e che i servizi sociali, nella relazione del 6 giugno 2005, avevano preso in considerazione solo le dichiarazioni della madre, ignorando la versione dei fatti fornita dal ricorrente.

18. Dai documenti presentati dal Governo risulta che, tra agosto 2005 e dicembre 2005, sui sedici incontri organizzati dai servizi sociali, il ricorrente ha incontrato la figlia solo dieci volte.

19. Tra gennaio e febbraio 2006, gli incontri programmati non avevano avuto luogo, in quanto A.D. non si era presentata.

20. Con decreto dell’8 marzo 2006, il tribunale di Campobasso ordinava a A.D. di non ostacolare l’esercizio del diritto di visita da parte del ricorrente. Esso osservava che A.D. impediva lo svolgimento degli incontri e, in particolare, che in agosto non vi era stato alcun incontro. Ordinava inoltre che i servizi sociali di Termoli organizzassero nella loro sede, in presenza di un altro psicologo, gli incontri che non avevano avuto luogo tra il 2005 ed il 2006.

21. In data 11 aprile 2006 i servizi sociali informavano il tribunale che, tra il 10 gennaio ed il 21 marzo, lo psicologo aveva potuto incontrare la minore solo cinque volte, sempre in presenza della madre, e che S. non voleva sentir parlare di suo padre.

22. Il 27 maggio 2006 il tribunale di Campobasso constatava che il decreto dell’8 marzo 2006 non era stato rispettato e che la madre aveva scientemente operato al fine di troncare qualsiasi relazione tra il padre ed S. Esso ordinava ai servizi sociali di Termoli di provvedere ad organizzare gli incontri che il tribunale aveva disposto e che i servizi stessi non avevano effettuato.

23. Nel giugno 2006 il ricorrente incontrava lo psicologo dei servizi sociali, ma A.D. non si presentava all’incontro e non vi conduceva S.

24. Il 26 settembre 2006 lo psicologo dei servizi sociali depositava una relazione sulla situazione della minore, in cui riferiva che, tra giugno e settembre, sui diciassette incontri previsti se ne erano tenuti solo undici. Egli osservava che S. non accettava il padre e che questi si mostrava molto critico e rigido nei suoi rapporti con i servizi sociali. La madre della minore avrebbe confessato di non parlare mai del ricorrente a S., in quanto non voleva traumatizzare la minore, troppo giovane per comprendere la situazione. Lo psicologo aggiungeva che, pur manifestando grande empatia e grande attenzione nei confronti di S., la madre non collaborava allo sviluppo della relazione fra padre e figlia.

25. Il 6 novembre 2006 lo psicologo nominato dal tribunale in qualità di perito redigeva una relazione, nella quale suggeriva che la madre della minore seguisse un programma di sostegno psicologico e che, qualora il diritto di visita del ricorrente non venisse rispettato, dovessero essere modificate le modalità di affidamento della minore.

26. Il 15 dicembre 2006 il tribunale, basandosi su detta relazione, ordinava alla madre della minore di seguire il programma consigliato dallo psicologo.
Tra il 2006 ed il 2007, il ricorrente incontrava la minore solo qualche volta e solo per pochi minuti alla volta, a causa dell’ostilità di A.D. nei confronti di tali incontri.

27. Con decreto del 9 febbraio 2007 il tribunale ordinava a A.D. di proseguire il suo programma di sostegno psicologico e di consentire gli incontri tra il ricorrente e S.

28. Il 30 maggio 2007 il ricorrente depositava un nuovo ricorso presso il tribunale di Campobasso. Egli denunciava il mancato rispetto del suo diritto di visita, attribuendolo all’opposizione della madre ed all’inerzia dei servizi sociali. Sottolineava il mutamento di atteggiamento di S., la quale, in precedenza disponibile ad incontrarlo, sarebbe in seguito divenuta aggressiva nei suoi confronti. Inoltre chiedeva l’affidamento della minore.

29. Il 17 luglio 2007 il tribunale confermava che gli incontri tra il ricorrente e S. dovevano tenersi a Campobasso e che A.D. doveva proseguire il suo programma di sostegno psicologico. Nel mese di agosto 2007, il ricorrente incontrava S. quattro volte.

30. Il 10 dicembre 2007 il tribunale di Campobasso rilevava che A.D. stava seguendo un programma di sostegno psicologico e la invitava a proseguire. Esso disponeva l’affidamento congiunto della minore ed incaricava i servizi sociali di organizzare tre incontri al mese a Termoli ed uno a Roma in presenza di un assistente sociale. Ordinava a A.D. di esortare la minore ad incontrare il ricorrente.

31. I servizi sociali organizzavano uno solo degli incontri previsti a Roma.

32. Il 1° luglio 2008, il ricorrente impugnava il decreto del 10 dicembre 2007 dinanzi alla corte d’appello.

33. Egli affermava che S. aveva subito un danno irreparabile dovuto all’ostinata resistenza opposta dalla madre e chiedeva che la minore potesse vivere a Roma. La corte d’appello incaricava un perito di riesaminare la situazione della minore. Il perito giungeva alla conclusione che la minore soffrisse di una depressione infantile e sottolineava la necessità che la medesima riallacciasse i legami con il padre.

34. Con decreto del 27 giugno 2009, la corte d’appello di Campobasso confermava il decreto del tribunale ed ordinava ai servizi sociali di dare attuazione al diritto di visita secondo le modalità stabilite.

35. Durante l’estate 2009 il ricorrente trascorreva un pomeriggio in spiaggia con S., in presenza del perito nominato dalla corte d’appello per convincere A.D. In seguito avevano luogo alcuni incontri in presenza della madre.

36. In data 20 agosto 2009 i servizi sociali informavano la corte d’appello che a Roma non era stato organizzato nessun incontro e che il padre aveva trascorso dei week-end a Termoli per poter stare vicino alla figlia. Essi spiegavano che la minore temeva che il padre potesse allontanarla dalla madre e chiedevano al tribunale di vigilare sul benessere della minore, la quale sarebbe stata traumatizzata da una presunta aggressione del ricorrente, in occasione di uno degli incontri.

37. Con decreto del 5 novembre 2009, il tribunale di Campobasso richiamava ancora una volta l’attenzione sulla necessità che tutte le parti si conformassero al precedente decreto del 27 giugno 2009, suggerendo di prevedere un sostegno psicologico per la minore, al fine di superare la sua resistenza agli incontri con il padre.

38. Il ricorrente contattava i servizi sociali per lamentare l’assenza di assistenti sociali durante gli incontri. In una relazione, depositata il 14 gennaio 2010, i servizi sociali affermavano che, per carenza di personale disponibile il sabato e la domenica, non avevano potuto assicurare lo svolgimento degli incontri.

39. Il 24 febbraio 2010 il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Campobasso chiedeva la sospensione degli incontri tra il ricorrente e la minore.

40. Il 13 maggio 2010 il tribunale di Campobasso rigettava la richiesta del procuratore, argomentando che una siffatta decisione avrebbe avuto l’effetto di annullare il lavoro svolto per vari anni e di peggiorare il conflitto fra i genitori. Esso incaricava i servizi sociali di predisporre un programma di sostegno psicologico per S. e di assicurare il rispetto del diritto di visita.

41. Tra maggio e novembre 2010, malgrado le richieste rivolte dal ricorrente ai servizi sociali, non veniva organizzato alcun incontro.

42. Il 9 agosto 2010, il ricorrente chiedeva al tribunale di far rispettare il precedente decreto e di intervenire per far sì che egli potesse incontrare la figlia.

43. Con nota del 24 agosto 2010, il tribunale di Campobasso confermava ai servizi sociali di Termoli che non era stata decisa alcuna sospensione degli incontri e che, di conseguenza, i medesimi dovevano aver luogo secondo le modalità già stabilite dalla corte d’appello nel giugno 2009.

44. Con decreto del 27 ottobre 2010, il tribunale osservava che i rapporti tra il ricorrente e S. erano interrotti de facto, e che ciò nuoceva alla minore, ma constatava che il precedente decreto emesso dalla corte d’appello il 25 giugno 2009 in relazione al diritto di visita non era stato modificato.

45. In data 3 gennaio 2011 i servizi sociali di Termoli inviavano al tribunale di Campobasso una relazione aggiornata sulla situazione della minore, riferendo in particolare che la madre era disposta a collaborare e che il padre mostrava un atteggiamento polemico, che risultava nefasto per la minore.

46. Il 17 gennaio 2011 i servizi sociali comunicavano al tribunale che la minore proseguiva il programma di sostegno psicologico e che rifiutava di parlare con il padre. Lo psicologo informava altresì il tribunale che non era stato possibile organizzare un incontro con il padre, nonostante le convocazioni scritte indirizzate al medesimo.

47. Il 21 gennaio 2011 i servizi sociali invitavano i due genitori della minore a fissare il calendario degli incontri. Il ricorrente, che aveva subito un’operazione, non si presentava.

48. Il 12 aprile 2011 i servizi sociali informavano il tribunale che nel mese di marzo 2011 il ricorrente non si era presentato agli incontri fissati.

49. Con relazione depositata il 3 ottobre 2011, i servizi sociali comunicavano al tribunale che la minore accettava di vedere il padre e che, durante l’estate, gli incontri previsti avevano effettivamente avuto luogo.

50. Con decreto del 17 novembre 2011 il tribunale di Campobasso rilevava che nell’ultimo periodo la madre non si era opposta agli incontri e che il percorso psicologico seguito dalla minore era positivo. Constatando che i genitori non avevano presentato nessun’altra richiesta, ordinava ai servizi sociali di vigilare affinché la minore proseguisse il programma di sostegno psicologico ed archiviava il procedimento.

A. Procedimenti penali promossi contro A.D.

51. Il 28 maggio 2007 A.D. veniva condannata ad un mese di reclusione con la sospensione condizionale per inosservanza delle decisioni del tribunale concernenti il diritto di visita.

52. Il 12 ottobre 2010 la suddetta veniva condannata per calunnia e diffamazione ad un anno e sei mesi di reclusione con la sospensione condizionale.

53. Il 17 gennaio 2011 veniva altresì condannata ad una multa per inosservanza delle decisioni emesse dal tribunale per i minorenni.

 

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

54. Il ricorrente lamenta una violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare in quanto, nonostante le molteplici decisioni emesse dal tribunale per i minorenni sulle modalità di esercizio del diritto di visita, non avrebbe potuto esercitare pienamente tale diritto a partire dal 2003. Egli contesta ai servizi sociali di aver usufruito di un’eccessiva autonomia nell’esecuzione delle decisioni del tribunale per i minorenni ed a quest’ultimo di non aver esercitato, come avrebbe dovuto, un controllo costante sul lavoro dei servizi sociali, affinché la condotta dei medesimi non inficiasse le decisioni del tribunale. Denuncia, inoltre, la totale inerzia dimostrata, talvolta per lunghi periodi, dai servizi sociali, i quali avrebbero demandato alla madre della minore il compito che spettava loro, ossia la gestione degli incontri. Infine, il ricorrente sottolinea che il tempo trascorso ha avuto conseguenze molto gravi per la sua relazione con S. Invoca l’articolo 8 della Convenzione, che recita:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (...) familiare, (...).

2. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

55. Il Governo contesta la tesi del ricorrente.

A. Sulla ricevibilità

56. Il Governo sostiene che il presente ricorso è irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto adire il giudice tutelare. Questi sarebbe specializzato nell’esecuzione delle misure volte alla protezione della famiglia e, in caso di ostacolo all’esercizio del diritto di visita, potrebbe chiedere l’intervento di ogni organismo o istituzione necessari all’esecuzione della misura.

57. Inoltre, il Governo contesta che la decisione interna definitiva nella causa in questione sia il decreto del tribunale per i minorenni di Campobasso datato 27 ottobre 2010, in quanto il tribunale avrebbe disposto il non luogo a procedere, poiché il fatto costitutivo della domanda, nella fattispecie la sospensione delle visite alla minore, non sussisteva. Il tribunale avrebbe in effetti rilevato che non era stata disposta alcuna sospensione del diritto di visita.

58. Indicare il decreto del 27 ottobre 2010 come decisione interna definitiva consente, secondo il Governo, di aggirare gli obblighi previsti dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.

59. Il ricorrente ribatte di aver adito per tre volte, nel 2003 e nel 2004, il giudice tutelare di Termoli (paragrafi 9-13 supra). Con tre decisioni, il giudice tutelare avrebbe ordinato che gli incontri tra padre e figlia si tenessero nella sede dei servizi sociali di Termoli. A tali decisioni non sarebbe stato dato alcun seguito e le strutture pubbliche avrebbero mostrato al riguardo totale indifferenza.

60. Quanto al decreto del 27 ottobre 2010, il ricorrente afferma che il tribunale si è limitato ad ordinare ai genitori della minore di conformarsi al decreto della corte d’appello del 25 giugno 2009. Egli aggiunge che tale decisione è stata emessa dopo parecchi mesi di totale assenza di notizie di sua figlia. Secondo il ricorrente, il decreto del 27 ottobre 2010 ha rappresentato per le autorità giudiziarie nazionali un’occasione perduta di intervenire concretamente per porre rimedio alla violazione dei suoi diritti fondamentali.

61. Riguardo al primo aspetto dell’eccezione sollevata dal Governo, la Corte osserva innanzi tutto che il ricorrente si è rivolto in tre occasioni al giudice tutelare e che tale circostanza è stata menzionata dal Governo stesso nelle sue osservazioni complementari sulla ricevibilità del ricorso. Il giudice tutelare ha ordinato che gli incontri avessero luogo nella sede dei servizi sociali di Termoli in presenza di un assistente sociale e della madre della minore. Non si può dunque contestare al ricorrente di non essersi rivolto al giudice tutelare. In ogni caso, la Corte ritiene che l’iniziativa suggerita dal Governo avrebbe potuto condurre solo ad una decisione con la quale si ordinava ai servizi sociali di intervenire, come è avvenuto nel caso di specie.

62. La Corte constata, inoltre, che il Governo non ha indicato quale misura «necessaria» avrebbe potuto essere adottata dal giudice tutelare, al fine di far rispettare il diritto di visita del ricorrente. Di conseguenza, essa ritiene che questo primo aspetto dell’eccezione debba essere rigettato.

63. Riguardo al secondo aspetto dell’eccezione, la Corte rammenta che le decisioni del tribunale per i minorenni relative al diritto di visita non sono definitive e quindi possono essere modificate in qualsiasi momento in funzione degli eventi connessi alla controversia. Nel caso di specie, essa osserva che il ricorrente aveva a disposizione tale via di ricorso per lamentare l’interruzione dei contatti con la figlia. Di conseguenza, non si pone nel caso di specie alcun problema di osservanza del termine di sei mesi. La Corte osserva d’altronde che, sino alla fine del 2010, il ricorrente non ha potuto esercitare pienamente il suo diritto di visita.

64. Pertanto, la Corte ritiene che l’eccezione sollevata dal Governo debba essere rigettata.

65. La Corte constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) della Convenzione e rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

a) Il ricorrente

66. Il ricorrente rammenta di aver promosso il suo primo ricorso dinanzi al tribunale per i minorenni di Roma nel 2003 al fine di opporsi alla richiesta di affidamento esclusivo della minore, presentata dalla madre, ed al fine di ottenere il diritto di visita. Egli afferma che alla decisione del suddetto tribunale, emessa il 9 luglio 2003, hanno fatto seguito i procedimenti dinanzi al giudice tutelare di Termoli, nell’ambito dei quali il ricorrente avrebbe chiesto l’effettiva esecuzione della decisione in questione – in particolare l’attuazione delle disposizioni relative agli incontri con sua figlia –, e successivamente il procedimento dinanzi alla corte d’appello di Roma. Nel corso di quest’ultimo procedimento, il perito nominato dalla corte d’appello avrebbe stilato una prima relazione, nella quale si evidenziavano le numerose difficoltà riscontrate dal padre negli incontri con la figlia e si raccomandava in modo preciso l’intervento di terze persone competenti, intervento considerato molto importante dal perito per uno svolgimento positivo degli incontri tra padre e figlia. Secondo il ricorrente, dette raccomandazioni non sono state messe in pratica dai servizi sociali di Termoli.

67. Per quanto concerne gli altri procedimenti dinanzi al tribunale per i minorenni e dinanzi alla corte d’appello di Campobasso, il ricorrente sostiene che il numero di udienze dimostra la lunga durata dei procedimenti e che la persistenza della violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare gli ha cagionato un danno ancora più grave ed irreparabile. I giudici avrebbero nominato dei periti psicologi al fine di esaminare la situazione familiare e proporre delle soluzioni, ma le decisioni delle autorità giudiziarie non avrebbero tenuto sufficientemente conto delle raccomandazioni dei periti. In particolare, le modalità dell’affidamento e la struttura dei servizi sociali, che uno dei periti aveva ritenuto inadeguate, non sarebbero state modificate. Inoltre, sebbene a Roma fosse stato organizzato un solo incontro, il tribunale per i minorenni di Campobasso avrebbe continuato ad incaricare la stessa struttura di Roma dell’organizzazione degli incontri, senza che le decisioni in questione fossero mai state attuate.

68. Il ricorrente riferisce poi di aver potuto vedere la figlia, tra il 2004 ed il 2007, solo in qualche occasione e per breve tempo. Nella decisione emessa il 27 maggio 2006, il tribunale per i minorenni di Campobasso, dopo aver constatato che gli incontri previsti non avevano avuto luogo, avrebbe chiesto un intervento immediato dei servizi sociali, al fine di organizzare gli stessi. Gli incontri finalmente organizzati sarebbero divenuti sempre più brevi fino a scomparire del tutto e ciò, a detta del ricorrente, nella completa indifferenza dei servizi sociali.

69. Al riguardo, il ricorrente rammenta che a quell’epoca la minore era stata affidata ai servizi sociali. Dopo il decreto del 2007 non sarebbe stato organizzato nessun altro incontro a Roma.

70. Per quanto concerne l’ultimo procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni di Campobasso, il ricorrente rammenta che il tribunale aveva lasciato ai due genitori il compito di organizzare gli incontri tra padre e figlia ed aveva incaricato i servizi sociali di Termoli e Roma di vigilare sul loro svolgimento. Il solo elemento nuovo sarebbe stato rappresentato dall’attuazione di un programma di sostegno psicologico a beneficio della minore. Quanto al ruolo svolto dai servizi sociali in questo periodo, il ricorrente osserva che i medesimi avevano dichiarato di non essere stati specificamente incaricati, dal tribunale o dalla corte d’appello, dell’organizzazione degli incontri, aggiungendo che i mancati incontri tra padre e figlia erano esclusivamente dovuti ai problemi creati dai genitori.

71. Per quanto concerne gli sviluppi recenti della sua relazione con S., il ricorrente parla di una timida ripresa degli incontri. Tuttavia, questi sarebbero sempre caratterizzati da numerose difficoltà dovute al comportamento di A.D., che, senza rispettare le decisioni giudiziarie, cambierebbe il luogo degli appuntamenti ed abbrevierebbe la durata degli incontri.

72. Il ricorrente tiene a sottolineare dinanzi alla Corte la circostanza di non aver mai vissuto una relazione stabile con sua figlia. Questa situazione sarebbe dovuta soprattutto alla mancanza di diligenza, di attenzione e di imparzialità delle competenti autorità nazionali. Queste ultime non avrebbero adottato tutte le misure necessarie al fine di conseguire un giusto equilibrio fra i vari interessi in gioco. Il solo interesse effettivamente salvaguardato per anni dalle pubbliche autorità, ed in particolare dai servizi sociali, sarebbe stato quello della madre di S.

b) Il Governo

73. Il Governo contesta le affermazioni del ricorrente. Riassumendo le misure adottate nel caso di specie dal tribunale per i minorenni e dalla corte d’appello, esso ritiene che le autorità giudiziarie nazionali abbiano operato con ogni mezzo utile al fine di conseguire un riavvicinamento fra la minore ed il padre. Esso osserva che, riguardo alla diligenza delle autorità competenti nell’attuazione del diritto di visita, l’attività istruttoria delle medesime è stata solerte. Al riguardo, esso precisa che i genitori della minore sono stati sentiti più volte e che nel corso delle udienze, le quali a parere del Governo sono state numerose, venivano adottati nove decreti.

74. Il Governo afferma in seguito che un procedimento articolato e complesso, come quello del caso di specie, era volto a ricostruire, nel superiore interesse della minore, dei legami familiari i quali non sarebbero stati distrutti dallo Stato, bensì influenzati negativamente dalle difficoltà di relazione fra i genitori della minore. Al riguardo, esso sottolinea che i giudici hanno chiesto l’aiuto dei servizi sociali e di periti psicologi al fine di studiare la situazione, di sentire i genitori e la minore e di trovare la soluzione più adeguata allo scopo di fornire alla minore il miglior contesto relazionale in cui vivere e crescere. Dopo aver preso conoscenza delle relazioni degli esperti, i giudici avrebbero adottato numerose decisioni, privilegiando le misure meno traumatiche per la minore.

75. Secondo il Governo, la Corte non può sostituirsi alle autorità nazionali al fine di valutare ciò che è meglio per un minore senza influire in modo eccessivo sul margine di apprezzamento dello Stato. Nella presente causa, la posta in gioco non consisterebbe solo nella ricerca di un giusto equilibrio tra gli interessi menzionati, bensì anche nei limiti del controllo esercitato dalla Corte sulle sentenze dei giudici nazionali. La Corte disporrebbe certamente del potere di verificare che le motivazioni delle decisioni sottoposte al suo esame non appaiano manifestamente irragionevoli o arbitrarie. Per contro, essa non avrebbe facoltà di formulare una propria ipotesi e procedere ad una ricostruzione dei fatti o proporre dei criteri propri, sostituendo il proprio convincimento a quello del giudice nazionale.

76. Al riguardo, il Governo difende la legittimità e l’utilità delle misure adottate. Le autorità competenti avrebbero esercitato una vigilanza costante nell’interesse della minore e dei suoi genitori. Tutte le misure adottate nel caso di specie sarebbero state giustificate dalla necessità che le autorità nazionali si mostrassero equidistanti rispetto ai due genitori, nell’esclusivo interesse della minore.

77. Riguardo all’assistenza prestata dalle autorità nazionali al fine di assicurare la regolarità degli incontri tra il ricorrente e S., il Governo sottolinea le misure attuate per superare gli ostacoli posti dalla madre agli incontri tra il padre e la minore: la modifica delle modalità di affidamento, la disponibilità della sede e del personale, l’intervento continuo dei servizi sociali mediante azioni di mediazione, i colloqui con i genitori ed il programma di sostegno psicologico realizzato per tutti i membri della famiglia. Secondo il Governo, misure più drastiche avrebbero potuto traumatizzare la minore, allontanandola dalla madre.

78. Quanto alle decisioni penali concernenti A.D., alle quali si riferisce il ricorrente, il Governo sottolinea che non si tratta di sentenze definitive. Non sarebbe dunque possibile sostenere dinanzi alla Corte la «responsabilità» di A.D. Peraltro dette condanne dimostrerebbero che non vi è stata alcuna inerzia da parte delle autorità nazionali e che nel caso di specie non è stato evitato il ricorso a sanzioni, in caso di comportamento manifestamente illegale del genitore convivente con il minore.

79. Il Governo contesta infine le affermazioni del ricorrente, secondo le quali i servizi sociali non hanno mai lavorato per facilitare gli incontri tra il ricorrente e S. A parere del Governo, i servizi sociali hanno invece lavorato, nonostante la relazione conflittuale fra i genitori, dimostrando una rigorosa imparzialità nei confronti degli stessi, nell’interesse della minore.

2. Valutazione della Corte

80. Come la Corte ha più volte rammentato, se l’articolo 8 ha essenzialmente per oggetto la tutela dell’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Essi possono implicare l’adozione di misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui, e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure atte a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000 I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). Essa rammenta altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70).

81. Per essere adeguate, le misure volte a riunire genitore e figlio devono essere attuate rapidamente, in quanto il decorso del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il minore ed il genitore non convivente (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, § 102, Maire c. Portogallo, n. 48206/99, § 74, CEDU 2003 VII, Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 175, CEDU 2004 V (estratti), Bianchi c. Svizzera, n. 7548/04, § 85, 22 giugno 2006, e Mincheva c. Bulgaria, n. 21558/03, § 84, 2 settembre 2010).

82. Esaminando la presente causa, la Corte rileva innanzi tutto che, al momento della separazione, il ricorrente e la sua ex compagna non avevano raggiunto un accordo sulle modalità di esercizio del diritto di visita da parte del padre. Essa osserva che la madre della minore, A.D., si è fin da subito opposta all’esercizio del diritto di visita da parte del ricorrente e che ha presentato nel 2003 al tribunale per i minorenni una domanda di affidamento esclusivo della minore. Il tribunale accoglieva detta domanda, accordando al ricorrente il diritto di visita da esercitarsi due pomeriggi a settimana, un week-end su due senza alloggio fino ai tre anni di età della minore, tre giorni a Pasqua, sei giorni a Natale e dieci giorni durante le vacanze estive.
Tra il 2003 ed il 2004, il ricorrente ha adito per tre volte il giudice tutelare, segnalando le difficoltà incontrate nell’esercizio del diritto di visita. Il giudice tutelare si è limitato a confermare il decreto del tribunale. Di fronte all’impossibilità di esercitare il suo diritto di visita, il ricorrente ha impugnato il decreto dinanzi alla corte d’appello, la quale ha ordinato che gli incontri, per tre pomeriggi al mese, si tenessero nella sede dei servizi sociali di Campobasso.
Nel mese di luglio 2005, su richiesta del ricorrente, il tribunale ha limitato la potestà genitoriale della madre, disposto l’affidamento della minore ai servizi sociali ed autorizzato il ricorrente ad incontrare la minore. Esso ha criticato il comportamento dei servizi sociali, che nella relazione del 6 giugno 2005 avevano tenuto conto delle dichiarazioni della madre, ignorando quelle del padre. Tuttavia, nonostante questa decisione, il ricorrente non ha potuto esercitare pienamente il suo diritto di visita (paragrafi 18 e 19 supra).

83. Nei mesi di marzo e maggio 2006 il tribunale si è nuovamente pronunciato, constatando la mancata esecuzione dei suoi precedenti decreti, causata in parte dagli ostacoli posti dalla madre allo svolgimento degli incontri (paragrafo 20 supra). Solo a dicembre 2006 il tribunale, dopo aver constatato più volte che i decreti precedenti non erano stati rispettati, ha ordinato a A.D. di seguire un programma di sostegno psicologico.

84. La Corte rammenta che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non implica automaticamente che lo Stato abbia disatteso gli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Mihailova, sopra citata, § 82). In effetti, l'obbligo in capo alle autorità nazionali di adottare misure idonee a riavvicinare il genitore ed il figlio non conviventi non è assoluto e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone coinvolte costituiscono sempre un fattore importante. Seppure le autorità nazionali devono impegnarsi a facilitare tale collaborazione, l’obbligo in capo alle medesime di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tener conto degli interessi, nonché dei diritti e delle libertà di dette persone ed in particolare dell’interesse superiore del minore e dei diritti conferiti al medesimo dall’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004). Come costantemente sancito dalla giurisprudenza della Corte, è necessaria grande prudenza prima di ricorrere alla coercizione in una materia così delicata (Reigado Ramos c. Portogallo, no 73229/01, § 53, 22 novembre 2005) e l'articolo 8 della Convenzione non autorizza i genitori a far adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del minore (Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, §§ 49-50, CEDU 2000 VIII). Il punto decisivo consiste dunque nell’appurare se le autorità nazionali abbiano adottato, allo scopo di facilitare il diritto di visita, ogni misura necessaria che si potesse ragionevolmente esigere da esse (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 128, CEDU 2000 VIII).

85. Nel caso di specie, la Corte rileva che, a fronte dell’impossibilità di esercitare il suo diritto di visita, il ricorrente ha nuovamente adito il tribunale il 30 maggio 2007, segnalando che la figlia era divenuta aggressiva e non era più disposta ad incontrarlo. La Corte ritiene che le carenze rilevate appaiono ancora più gravi a causa del lasso di tempo trascorso, il quale, tenuto conto dell’età della minore e del contesto familiare disturbato, ha prodotto effetti negativi sulla possibilità per il ricorrente di riallacciare una relazione con la figlia.

86. Nel 2007 il tribunale, al quale il ricorrente si era rivolto, ha disposto l’affidamento congiunto della minore ed incaricato i servizi sociali di organizzare gli incontri a Termoli e Roma (§ 30 supra). Nel 2009, la corte d’appello si è limitata ad ordinare ai servizi sociali di assicurare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente.

87. Con decreto del 5 novembre 2009, il tribunale ha rammentato di nuovo la necessità per tutte le parti di dare esecuzione al decreto precedente, suggerendo che la minore seguisse un programma di sostegno psicologico, al fine di vincere la resistenza opposta dalla medesima agli incontri con il padre. Tra il 2009 ed il 2010 il ricorrente ha adito più volte il tribunale, affinché il suo diritto di visita venisse rispettato. Nel mese di ottobre 2010 il tribunale ha dichiarato che gli incontri erano interrotti de facto.

88. Solo nel 2011 la madre ha cominciato a non opporsi più agli incontri. Di conseguenza, nel mese di novembre 2011, il tribunale ha deciso la chiusura del procedimento ed ha ordinato ai servizi sociali di vigilare sulla prosecuzione del programma di sostegno psicologico avviato a beneficio della minore.

89. È opportuno rammentare che, in una causa analoga, l’adeguatezza di una misura è stata valutata sulla base della rapidità della sua attuazione (Maire, sopra citata, § 74, e Piazzi c. Italia, n. 36168/09 § 58, 2 novembre 2010). Nel caso di specie, la Corte osserva che, secondo il Governo, il comportamento dei servizi sociali e del tribunale si spiega con la volontà di non traumatizzare ulteriormente la minore e che, sempre secondo il Governo, le autorità giudiziarie nazionali si sono sempre pronunciate sulle richieste del ricorrente ed hanno adottato tutte le misure necessarie al fine di favorire i contatti tra l’interessato e la figlia. La Corte osserva che, sebbene il ricorrente avesse chiesto più volte al tribunale, a partire dal 2003, quando la minore aveva solo due anni, l’esecuzione delle decisioni giudiziarie, il tribunale si era limitato a constatare la mancata esecuzione dei precedenti decreti.

90. Così, invece di adottare misure atte a consentire l’esercizio del diritto di visita del ricorrente, il tribunale si è limitato a prendere atto della situazione della minore e ad ordinare più volte ai servizi sociali la prosecuzione del programma di sostegno psicologico a beneficio dapprima della madre ed in seguito anche alla minore. La Corte rammenta al riguardo che non è suo compito sostituirsi alla valutazione operata dalle competenti autorità nazionali sulle misure da adottare, in quanto tali autorità possono, in linea di principio, effettuare più efficacemente tale valutazione, in particolare perché le medesime sono a diretto contatto con il contesto della causa e con le parti coinvolte (Reigado Ramos c. Portogallo, sopra citata, § 53). Tuttavia, essa non può ignorare la circostanza che nel caso di specie il tribunale ha più volte osservato che il mancato esercizio del diritto di visita del ricorrente fosse imputabile alla madre. Inoltre, essa osserva che il tribunale ha atteso il 2006 per ordinare a A.D di seguire un programma di sostegno psicologico e il 2009 per disporre che anche la minore seguisse detto programma.

91. La Corte riconosce che le autorità si trovavano nel caso di specie di fronte ad una situazione molto difficile, dovuta specificamente alle tensioni fra i genitori della minore. Essa ritiene tuttavia che una mancanza di collaborazione fra i genitori separati non possa dispensare le autorità competenti dall’adozione di ogni mezzo atto a mantenere il legame familiare (si veda, mutatis mutandis, Reigado Ramos, sopra citata, § 55). Nel caso di specie le autorità nazionali non hanno invece fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente attendere da esse, dal momento che il tribunale ha delegato la gestione degli incontri ai servizi sociali. Esse sono quindi venute meno al loro dovere di adottare misure pratiche al fine di indurre gli interessati ad una migliore collaborazione, tenendo comunque conto del superiore interesse della minore (Zawadka, sopra citata, § 67).

92. La Corte osserva, inoltre, che lo svolgimento del procedimento dinanzi al tribunale evidenzia piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, quali le successive richieste di informazioni e la delega della funzione di controllo ai servizi sociali, ai quali veniva ordinato di far rispettare il diritto di visita (Piazzi, sopra citata, § 61). Le autorità hanno così lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie, mentre dal semplice decorso del tempo derivavano delle conseguenze sulla relazione del padre con la minore. Non sembra nemmeno che le autorità abbiano ordinato ai genitori di seguire una terapia familiare (Pedovič c. Repubblica ceca, n. 27145/03, § 34, 18 luglio 2006), né che abbiano disposto lo svolgimento degli incontri presso una struttura specializzata (si vedano, per esempio, Mezl c. Repubblica ceca, n. 27726/03, § 17, 9 gennaio 2007, e Zavřel, sopra citata, § 24). La Corte constata che, tenuto conto della tenera età della minore al momento delle separazione dei genitori, tale interruzione del contatto con il padre, seguita da un diritto di visita limitato dal mancato svolgimento degli incontri programmati, ha reso impossibile al ricorrente costruire una relazione stabile con S.

93. In queste circostanze, la Corte ritiene che, di fronte a tale situazione, le autorità avrebbero dovuto adottare misure più dirette e specifiche finalizzate a ristabilire il contatto tra il ricorrente e la figlia. In particolare, la mediazione dei servizi sociali avrebbe dovuto essere utilizzata per incoraggiare le parti a collaborare ed i servizi sociali avrebbero dovuto organizzare, secondo quanto disposto dai decreti del tribunale, gli incontri tra il ricorrente e la figlia, inclusi quelli che avrebbero dovuto tenersi a Roma. Le autorità giudiziarie nazionali non hanno invece adottato alcuna misura adeguata al fine di creare in futuro le condizioni necessarie all’effettivo esercizio del diritto di visita del ricorrente (Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, e Piazzi, sopra citata, § 61).

94. Tenuto conto di ciò che precede e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte ritiene che le autorità nazionali abbiano omesso di profondere un impegno adeguato e sufficiente a far rispettare il diritto di visita del ricorrente violando in tal modo il suo diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione.

95. Pertanto, vi è stata violazione della citata disposizione.

 

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

96. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »

A. Danni

97. Il ricorrente chiede il risarcimento del danno morale, cagionato dall’impossibilità di avere una relazione stabile con la figlia e dall’angoscia generata da tale situazione. Egli chiede 230.000 euro (EUR) a tal titolo.

98. Il Governo si oppone a tale richiesta e denuncia la natura «finanziaria» del ricorso.

99. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie e della constatata impossibilità per il ricorrente di costruire una relazione stabile con la figlia, la Corte è del parere che l’interessato abbia subito un danno morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Essa ritiene tuttavia che la somma richiesta a tal titolo sia eccessiva. Considerati tutti gli elementi in suo possesso e deliberando in via equitativa, come previsto dall’articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda all’interessato 15.000 EUR per il danno morale.

B. Spese

100. Il ricorrente chiede altresì 7.034 EUR per le spese sostenute dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali e 8.788 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte. Chiede inoltre 12.000 EUR per le spese sostenute per i viaggi ed i soggiorni a Campobasso, finalizzati ad assistere alle udienze dinanzi al tribunale ed alla corte d’appello.

101. Il Governo chiede alla Corte di non accogliere detta richiesta.

102. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, ed il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 10.000 EUR a titolo di rimborso di tutte le spese e la accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

103. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

 

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1. Dichiara il ricorso ricevibile;

2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;

3. Dichiara

  1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
    1. 15.000 EUR (quindicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
    2. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
  2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto in data 29 gennaio 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

 

Stanley Naismith
Cancelliere

Danutė Jočienė
Presidente