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Beatrice Pasciuta - Luca Loschiavo, La formazione del giurista. Contributi a una riflessione, Roma Tre-press 2018

Copertina di Pasciuta - Loschiavo a c., La formazione del giurista, Roma Tre-press 2018

30 ottobre 2018

collocazione: MAG. 300 39458
 
In Italia la figura del giurista sembra destinata al tramonto, mentre la società va accreditando altre figure, non necessariamente dotate di una specifica preparazione legale. Una delle ragioni di questa crisi, va ricercata nelle trasformazioni subite dal percorso formativo in giurisprudenza, tra la fine del XX secolo e l’inizio degli anni Duemila. Di questo si è discusso nel convegno tenutosi a Roma il 19 e 20 gennaio 2017, che ha avviato un dibattito tra gli studiosi.
Nel volume Antonio Banfi presenta i dati sulla crescente disaffezione dei giovani verso i corsi universitari di giurisprudenza, in parte legata alla crisi economica che ha colpito le famiglie italiane, nonché ai tagli dei finanziamenti a partire dagli Anni Novanta, e alle riforme dei corsi di studio e del reclutamento dei docenti, che hanno introdotto ulteriori elementi di incertezza.
Dopo il vivace contributo di Federigo Bambi sulla lingua del diritto, Tommaso Greco interviene sul ruolo del giurista, evidenziando i limiti di un’impostazione che non insegna ai futuri operatori l’autonomia nell’interpretazione delle norme, ma li vuole impegnati soprattutto nel memorizzare i prodotti del diritto statuale. Concorda Maria Rosaria Marella, che prende le mosse da una rassegna dei manuali di diritto privato, per concludere con l’auspicio che i futuri giuristi siano sempre messi in condizione di utilizzare il loro sapere tecnico, per prendere posizione sui grandi temi della società. Giovanni Pascuzzi  affronta, invece, il tema del problematico accostamento dei laureati all’avvocatura e al notariato. Margherita Ramajoli sottolinea la neccessità di attivare nuove strategie per la formazione post lauream, soprattutto nel campo del diritto amministrativo, dove permane una distanza abissale tra la formazione proposta agli studenti e una reale cultura della pubblica amministrazione. 
Emanuele Conte evidenzia come il problema della frammentazione della disciplina, non sia solo italiano: secondo la classificazione dei saperi, individuata dall’European Research Council, ciò che si insegna nelle facoltà di giurisprudenza costituisce soltanto un sottosettore del raggruppamento SH (Institutions, Values, Beliefs and Behaviour), vale a dire quello identificato dalla sigla SH2_8: Legal studies, constitutions, comparative law, human rights, con buona pace del diritto privato, prima base dei curricula formativi italiani ancora oggi. Tuttavia, avverte Conte, una rivendicazione della specificità del diritto rimane sterile, se non si accompagna a un profondo rinnovamento della cultura giuridica, che deve aprirsi alla multidisciplinarietà e al superamento delle impostazioni tradizionali, anche facendo ricorso agli strumenti della comunicazione digitale. Spetta a Giorgio Resta cercare di stabilire quale interdisciplinarietà: il diritto deve, a suo giudizio, incontrare le altre discipline alla pari, restando la scienza dei dispositivi che facilitano la pacifica convivenza dei membri di una società, anche quando si apre alla comprensione più ampia dei comportamenti di quegli stessi associati.
Conclude il volume una discussione tra Antonio Padoa Schioppa, Nicolò Lipari, Loredana Garlati, Vincenzo Zeno-Zencovich ed Emanuele Stolfi sulle diverse proposte di riforma.