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Lucia Bellucci, La sindrome ungherese in Europa. Media, diritto e democrazia in un'analisi di Law and Politics, Milano, Giuffrè, 2018

Copertina di Lucia Bellucci, La sindrome ungherese in Europa, 2018

24 luglio 2018

collocazione:   MAG.   300   38679

Il caso dell’Ungheria non smette di attirare l’attenzione di politologi e giuristi: è l’ossimoro democrazia illiberale a denotare l’ordinamento nato dalla revisione costituzionale del 2012. Il volume di Lucia Bellucci, dopo aver ricordato le principali opinioni sulle riforme volute da Viktor Orbán, segnalando diversi studi magiari e non tralasciando alcune voci favorevoli alle innovazioni costituzionali, affronta il tema cruciale della regolamentazione dei mezzi di comunicazione di massa, che ha rappresentato un ribaltamento delle garanzie democratiche in uno dei settori chiave nel sistema di equilibri e contrappesi delle democrazie mature. In Ungheria il controllo dell'informazione da parte dell'Esecutivo si è realizzato attraverso un'Autorità e un Consiglio per i media: a nulla sono serviti i richiami della Commissione Europea e del Parlamento Europeo; solo le pressioni del Consiglio d’Europa hanno portato nel 2013 a piccoli miglioramenti della legge. 
Secondo l’Autrice, la scarsa incisività degli organi dell’Unione in tale ambito, ha un movente palesemente politico: conviene poco, nel momento attuale, un attacco frontale alle politiche del governo Orbán. Del resto, la regolamentazione europea sui mezzi di comunicazione è stata molto carente anche in altri contesti: una ricerca finanziata dalla Commissione europea sul pluralismo e la libertà dei media, ha assegnato all'Italia il quarto posto, dopo Bulgaria, Grecia e Ungheria. Il caso italiano – quello di un imprenditore del settore, rimasto a lungo in carica come premier – viene riletto, cercando di spiegare anche la mancata opposizione dell’Unione Europea all’oligopolio creatosi in questo campo, vitale per la vita democratica, dove la carenza normativa sembra evidenziare una "sindrome ungherese". Vengono così denunciati i persistenti legami tra politica e carta stampata, a diversi livelli nel nostro paese. Persino l'Ordine dei giornalisti rappresenta un’eredità del Ventennio fascista, tuttora al riparo da interventi di riforma.