Anno giudiziario 2012 - Intervento del ministro Paola Severino alle Camere

aggiornamento: January 17, 2012

Comunicazioni in Parlamento del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150.

17 gennaio 2012


Relazione sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2011

Introduzione

Sig. Presidente,
Onorevoli Deputati,
 
Mi sia anzitutto consentito di rivolgere al Signor Presidente della Repubblica, garante del corretto equilibrio tra i poteri dello Stato e custode della nostra Costituzione, un deferente ossequio, cui aggiungo il mio personale ringraziamento per le parole di considerazione ed incoraggiamento che ha inteso rivolgermi in occasioni di incontri istituzionali.
Un saluto particolare desidero rivolgere anche a Lei, Sig. Presidente della Camera, che con saggezza ed equilibrio guida i lavori di quest’assemblea che nei prossimi mesi sarà chiamata ad adottare anche in materia di Giustizia decisioni di grande importanza.

On. Deputati,
per la prima volta sono chiamata ad illustrare in quest’Aula – ove risiede la massima espressione della sovranità popolare – l’andamento dell’amministrazione della Giustizia nel corso del 2011, nonché gli interventi che il Governo ha già adottato o si prefigge di adottare durante l’anno in corso.

Sarebbe inutile nascondere l’emozione di un esordio che ben posso dire inatteso sino a poco tempo addietro; emozione che diventa più intensa non soltanto per la solennità di questo luogo ma anche per la piena consapevolezza che il Governo di cui faccio parte – comunque lo si voglia definire (tecnico, di salvezza nazionale, di emergenza, ecc.) – trae la sua unica fonte di legittimazione dalla larga fiducia che il Parlamento ha inteso riconoscergli, offrendo una prova di coesione nazionale di cui tutti gli italiani possono andare orgogliosi.

Questa circostanza vale, di per sé, ad alimentare il senso di responsabilità per le scelte che il Governo sarà chiamato ad operare in materia di giustizia, in armonia con la maggioranza parlamentare che lo sostiene e con tutta la condivisione possibile, nel comune intento di servire il Paese in tempi così difficili.

Al termine del mio intervento depositerò una completa documentazione sullo stato della giustizia, anche su supporto informatico, in modo da garantire il massimo della trasparenza e dell’accessibilità dei dati, mentre concentrerò l’esposizione sui punti di maggiore criticità del sistema giudiziario italiano e sui possibili rimedi che intendiamo proporre all’esame del Parlamento, alcuni dei quali avevano già trovato una iniziale attivazione nella precedente legislatura.
Si tratta di emergenze ben note che riguardano:
 

  1. l’attuale stato delle carceri e le problematiche condizioni dei 66.897 detenutiche, salvo poche virtuose eccezioni, soffrono modalità di custodia francamente inaccettabili per un Paese come l’Italia;
     
  2. il deficit di efficienza degli uffici giudiziari rispetto ad una domanda di giustizia che, in termini quantitativi, appare nettamente sovradimensionata nel confronto con le altre democrazie occidentali (il rapporto CEPEJ 2010 ci dice che, nel civile, con 4.768 contenziosi ogni 100.000 abitanti, l’Italia è al quarto posto in Europa per tasso di litigiosità, dietro Russia, Belgio e Lituania su 38 paesi censiti). Anche su questo ci si dovrebbe forse interrogare maggiormente: questo elevato tasso di litigiosità da cosa deriva? Da una propensione socio-culturale italiana alla conflittualità? Da una scarsa fiducia nella possibilità di affrontare a monte la controversia e di trovare soluzioni ragionevoli nel dialogo tra cittadini? Da una eccessiva complessità del tessuto normativo, tale da generare essa stessa un proliferare di contrasti interpretativi, la cui soluzione va devoluta al giudice? Ognuna di queste domande richiederebbe una approfondita analisi, perché la risposta ad esse potrebbe segnare un cambiamento di politica legislativa, volto ad incidere sulle cause di una domanda di giustizia così diffusa;
     
  3. la problematica individuazione degli strumenti attraverso i quali, soprattutto nel settore civile, sia possibile procedere alla rapida eliminazione dell’arretrato accumulatosi negli ultimi trent’anni, senza stravolgere i nostri principi fondamentali, senza deludere le aspettative di quanti hanno già da tempo intrapreso il cammino processuale e senza limitare eccessivamente l’accesso del cittadino al sistema giudiziario per nuove istanze;
     
  4. l’indifferibile razionalizzazione organizzativa e tecnologica dell’intera struttura amministrativa dei servizi giudiziari, in modo da utilizzare al meglio le risorse umane e finanziarie disponibili, realizzando risparmi di spesa che siano il frutto di interventi strutturali e non di semplici tagli alle dotazioni di bilancio. Vedete, in questi primissimi mesi di Governo mi sono resa conto di come i risparmi più razionali si potrebbero realizzare anche sulle spese “minori”, sol che si modificasse l’erronea attitudine mentale a pensare che il denaro e le risorse pubbliche siano “di nessuno”, convertendola nella corretta concezione che il denaro pubblico è “di noi tutti”, perché proviene dalle nostre tasse, dalla nostra fatica quotidiana, dal nostro lavoro, dal nostro impegno per contribuire alla crescita del Paese. Allora vedremmo come dalla somma dei piccoli-grandi sprechi e dalla loro eliminazione si potrebbe ottenere un ammontare molto più rilevante di quanto si pensi, ma soprattutto un cambiamento culturale, idoneo a garantire risparmi di spesa strutturali e non episodici.

Queste, dunque, le quattro principali criticità da affrontare che, di certo, non rappresentano una sorpresa se è vero che se ne parla da molti lustri.

Il quadro generale è, infatti, rappresentativo di una situazione che desta forti preoccupazioni sia in ordine all’enorme mole dell’arretrato da smaltire che, al 30 giugno del 2011, è pari a quasi 9 milioni di processi (5,5 milioni per il civile e 3,4 milioni per il penale), sia con riferimento ai tempi medi di definizione che nel civile sono pari a 7 anni e tre mesi (2.645 giorni) e nel penale a 4 anni e nove mesi (1.753 giorni).

Peraltro nel settore civile l’inefficienza nella definizione dell’arretrato ha dato luogo a costose e talvolta paradossali conseguenze.

Si è già detto che il ritardo nella definizione dei giudizi dipende, in larga misura, dal numero davvero esorbitante di questioni per le quali si richiede l’intervento del giudice. Con oltre 2,8 milioni di nuove cause in ingresso in primo grado l’Italia è seconda soltanto alla Russia nella speciale classifica stilata nel citato rapporto CEPEJ.

Ebbene, proprio questo fenomeno determina un ulteriore intasamento del sistema conseguente al numero progressivamente crescente di cause intraprese dai cittadini per ottenere un indennizzo conseguente alla ritardata giustizia.
Al riguardo i numeri non ammettono equivoci.

Approvata la legge (n. 89 del 2001 a tutti nota come legge Pinto) che consente di indennizzare l’irragionevole durata del processo si è verificata una vera e propria esplosione di questo contenzioso passato dalle 3.580 richieste del 2003 alle 49.596 del 2010.

Un secondo effetto negativo indotto da tale contenzioso è quello dell’ulteriore dilatazione dei tempi di definizione dei giudizi presso le Corti di Appello (cui è assegnata la competenza a decidere nella specifica materia) che si aggiunge all’entità ormai stratosferica e sempre crescente degli indennizzi liquidati (si è passati dai 5 milioni di euro del 2003, ai 40 del 2008 per giungere ai circa 84 del 2011).

Il dato di maggiore rilievo mi pare, però, quello fornito nel 2011 dalla Banca d’Italia, secondo cui l’inefficienza della giustizia civile italiana può essere misurata in termini economici come pari all’1% del PIL.

Se a questo si aggiunge che nella categoria “Enforcing Contracts” del rapporto Doing Business 2010 l’Italia si classifica al 157° posto su 183 paesi censiti, con una durata stimata per il recupero del credito commerciale pari a 1210 giorni, mentre in Germania ne bastano 394, si coglie la misura di quanto ciò incida negativamente sulle nostre imprese segnando, anche sotto tale aspetto, una divaricazione di efficienza con i migliori sistemi dei Paesi dell’Unione Europea che frena, ineluttabilmente, le possibilità di sviluppo ed anche gli investimenti stranieri.

Ho parlato, naturalmente, di quest’ultimo tema in diverse occasioni con il Presidente Monti e con l’intero Governo, traendone la comune convinzione che le interazioni tra economia e giustizia sono fortissime, che se si vogliono attrarre capitali in Italia sia necessario garantire certezza ed efficienza della giustizia, che se si vogliono accrescere le iniziative imprenditoriali italiane e straniere nel nostro Paese, sia indispensabile assicurare un percorso celere del processo.

Dunque, restituire efficienza alla giustizia civile per recuperare questa ricchezza e la competitività che ne deriva è il vero obiettivo che dobbiamo perseguire, perché ciò consentirebbe di trasformare le criticità del sistema giudiziario italiano in opportunità di sviluppo e di crescita economica, ben oltre i semplici (e pur necessari) risparmi di spesa.

Non meno rilevanti risultano le conseguenze dell’eccessiva durata del processo penale.

E non inganni la circostanza che la durata media del processo penale è inferiore rispetto a quella del processo civile (4,9 anni rispetto agli oltre 7 del civile) poiché occorre tener conto che essa incide in modo sensibile anche sulla sorte degli oltre 28.000 detenuti in attesa di giudizio, che rappresentano il 42% dell’intera popolazione carceraria (altra anomalia tutta italiana).

E se è vero che la libertà personale può e deve essere limitata per tutelare la collettività è parimenti incontestabile che una dilatazione eccessiva della durata del processo a carico di imputati o indagati detenuti pregiudica questo delicato equilibrio tra valori di rango costituzionale ed aumenta, talvolta in modo intollerabile, la sofferenza di chi, ad onta della presunzione di innocenza, è costretto ad attendere, da recluso, una sentenza che ne accerti le responsabilità. Con la possibilità, non del tutto remota, che alla carcerazione preventiva segua una sentenza assolutoria.

Sulla necessità che la delicata e complessa valutazione delle esigenze cautelari sia improntata a criteri di estrema prudenza condivido le preoccupazioni pubblicamente manifestate dal primo presidente della Corte di Cassazione.

La durata del processo penale incide, infatti, anche sul numero dei procedimenti (in media 2369 ogni anno) per ingiusta detenzione ed errore giudiziario e, in ogni caso, aggrava la misura dei pur doverosi risarcimenti a tale titolo erogati (nel solo 2011, lo Stato ha subito un esborso pari ad oltre 46 milioni di euro).

Se mi è consentita una digressione, senza alcun intento polemico, credo che i dati oggettivi che ho appena illustrato consentano di riflettere sull’effettività del sacrosanto principio di civiltà giuridica sancito dal terzo comma dell’art. 275 del codice di procedura penale secondo cui “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata”.

Quel che è certo è che un uso, per così dire, meglio calibrato della custodia cautelare in carcere sarebbe sotto più aspetti benefico per l’amministrazione giudiziaria e per il sistema carcerario, senza alcuna controindicazione per la collettività, se è vero che le esigenze di sicurezza possono essere alternativamente garantite da un ventaglio davvero ricco di opzioni di cui oggi il giudice dispone e che, se possibile, proveremo a migliorare ed incrementare.

Detto questo, ho già manifestato in più occasioni la mia personale preoccupazione, anzi, la mia angoscia per lo stato delle carceri italiane e degli ospedali psichiatrici giudiziari e sento fortissima, insieme a tutto il Governo, la necessità di agire in via prioritaria e senza tentennamenti per garantire un concreto miglioramento delle condizioni dei detenuti (ma anche degli agenti della polizia penitenziaria che negli stessi luoghi ne condividono la realtà e, spesso, le sofferenze).
Si tratta, ancora una volta, di questioni di difficile soluzione a causa di complicazioni burocratiche e di difetti strutturali e logistici che si sono stratificati nel corso del tempo.

Non intendo, però, soffermarmi sul numero e la composizione della popolazione carceraria, sulla vetustà e le condizioni delle strutture, sugli spazi che competono e su quelli effettivamente assegnati e su tutte le altre questioni fatte di freddi dati e numeri (che facilmente troverete nei documenti ufficiali).

Tutto questo, infatti, dice poco della vera questione in ballo: siamo di fronte ad una emergenza che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica, poiché il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità di persona umana.

Le innegabili difficoltà non possono costituire un alibi né per il Ministro della Giustizia né per tutte le altre istituzioni interessate.

Qualunque giustificazione è infatti destinata a crollare miseramente non appena si varca la soglia di una delle strutture a rischio e si verifica personalmente la realtà.

Lo dico da Ministro, ma anche e soprattutto da cittadino: questa situazione va migliorata subito, pur nella piena consapevolezza che non esista alcuna formula magica per risolvere questo annoso e doloroso problema, se è vero, come è vero, che anche in altri paesi la piaga del sovraffollamento carcerario è segnalata da numeri che parlano da soli (ad esempio: 80.000 detenuti nel Regno Unito e più di 2 milioni negli Stati Uniti).

Solo un equilibrato insieme di misure, idonee a coniugare sicurezza sociale e trattamento umanitariamente adeguato del custodito o del condannato, potrà fornire un serio contributo alla soluzione del problema. Edificazione di nuove carceri, ma anche manutenzione e migliore utilizzo di quelle esistenti; misure alternative alla detenzione, ma anche lavoro carcerario; deflazione giudiziaria attraverso depenalizzazione di reati bagatellari e non punibilità per irrilevanza del fatto, ma anche effettività della pena.

Sono solo alcuni esempi che dimostrano come il campionario delle possibili soluzioni sia molto ampio, ma che l’aspetto più difficile è quello di un corretto equilibrio tra aspetto afflittivo ed aspetto rieducativo della pena, tra carattere umanitario del trattamento del condannato e tutela del diritto dei cittadini alla sicurezza, tra riconoscimento dei più elementari principi di civiltà anche a chi è detenuto e pieno soddisfacimento dei diritti delle vittime e dei loro familiari.

Si tratta di una strada lunga e complessa, ma che va affrontata con la massima urgenza privilegiando – anche in considerazione della durata limitata di questo Governo – gli aspetti maggiormente connotati dall’emergenza.

Il Governo ha già adottato provvedimenti finalizzati a questo obiettivo.

Mi riferisco anzitutto al decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, con il quale si è prevista una prima serie di misure urgenti per il contrasto al sovraffollamento delle carceri.
Ciò che si poteva fare con immediatezza è stato fatto, introducendo norme che modificano le procedure di convalida dell’arresto, dimezzandone i tempi massimi (48 ore anziché 96) ed incidendo sulle correlative modalità di custodia in modo da limitare al massimo il transito in carcere destinato, statisticamente, a durare per poco tempo (nel 2010, 21.093 persone sono state trattenute in carcere per un massimo di 3 giorni).

La bontà di questa misura si apprezza anche se si considera che una permanenza così breve in carcere, oltre a rivelarsi inutilmente afflittiva, molto costosa ed impegnativa per l’amministrazione, non è giustificata né da esigenze processuali nè da istanze di difesa sociale, giacché si tratta di persone delle quali, all’esito della convalida dell’arresto e del giudizio direttissimo, il giudice molto spesso dispone la scarcerazione.

Si è altresì deciso di innalzare da 12 a 18 mesi la soglia della pena detentiva residua per l’accesso alla detenzione domiciliare, potenziando uno strumento già introdotto nel 2010 dal precedente esecutivo.

Per effetto di tale modifica, il numero dei detenuti che potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare, in base alla legge del 2010, potrà quasi raddoppiare; agli oltre 3.800 detenuti sino ad oggi effettivamente scarcerati se ne potranno aggiungere altri 3.327 (con un risparmio di spesa pari a 375.318 Euro ogni giorno).

Con il successivo decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216 si sono operati importanti interventi di miglioramento del “Piano Carceri” approvato dal precedente esecutivo.

Si è infatti reso necessario disporre la proroga della gestione commissariale del piano straordinario sino al 31.12.2012, mentre le nuove norme hanno altresì consentito di superare le criticità del previgente impianto normativo, attraverso la disgiunzione delle funzioni di Commissario Straordinario da quelle di Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Nella sostanza, si è ritenuto utile separare la gestione del piano straordinario per l’edilizia penitenziaria affidando il ruolo di Commissario ad una figura professionale in grado di esercitare in via esclusiva queste funzioni.

Infine, il 16 dicembre 2011 il Governo ha approvato, in via preliminare, una modifica al Regolamento penitenziario per introdurre la carta diritti e doveri dei detenuti e degli internati, già trasmessa al Consiglio di Stato per il prescritto parere.

La nuova carta fornirà al detenuto, al momento del suo ingresso in carcere, e ai suoi familiari, una guida, in diverse lingue, che indica in forma chiara le regole generali del trattamento penitenziario, e fornisce tutte le informazioni indispensabili su servizi, strutture, orari e modalità di colloqui, corrispondenza, doveri di comportamento, ecc.

Si tratta, come si vede, di un primo gruppo di interventi sostenuti dall’urgenza, cui va aggiunta una più ampia e complessa opera di riorganizzazione e razionalizzazione della struttura ministeriale finalizzata a migliorare le condizioni della detenzione, anche attraverso una intensa attività di riqualificazione della spesa.
Su tutto questo, vi garantisco, On. Deputati, il mio personale impegno e quello dell’intero Governo.

Efficienza, risparmio della spesa e miglioramento della performance

Nel quadro che ho appena descritto e tenuto conto dell’approssimarsi della scadenza naturale di questa legislatura il Governo ha inteso muoversi cercando di dare ulteriore impulso ai progetti ministeriali già in corso ed effettiva attuazione alle riforme organizzative che hanno già positivamente superato il vaglio parlamentare, attribuendo priorità al recupero dell’efficienza organizzativa e del risparmio della spesa.

In tal senso, si è inteso dare immediata attuazione alla delega per la rimodulazione della geografia giudiziaria, dalla quale ci si attende non soltanto un consistente risparmio di spesa ed un più razionale utilizzo delle risorse umane disponibili, ma anche un netto recupero della specializzazione delle funzioni giudiziarie.

Ciò consentirà di ottimizzare la performance e di elevare nettamente il tasso di prevedibilità delle decisioni giudiziarie (che è un altro dei parametri sui quali si misura il ranking internazionale del sistema Italia), cuore e fondamento della certezza del diritto che, troppo spesso, appare come smarrita.

Ciò premesso, appare opportuno analizzare qualche piccolo segnale di apertura del sistema verso il miglioramento, per verificare in quale direzione procedere e su quali meccanismi concentrarsi per amplificarne gli effetti.

Il dato più rappresentativo al riguardo è costituito dalla conferma, per il secondo anno consecutivo, di un decremento – sia pure meno marcato rispetto a quello dello scorso anno – delle pendenze nel settore civile con un calo, al 30 giugno 2011, di oltre 170.000 processi rispetto al 30.6.2010 (-3%), mentre non si è ancora riusciti ad intaccare in modo significativo la durata media dei processi che si presenta sostanzialmente stabile, al pari dell’arretrato nel settore penale.

È una goccia nel mare degli oltre 5,5 milioni di processi civili pendenti ma è la conferma di una inversione nel trend in costante ascesa degli ultimi anni.

Quanto di questo risultato sia dovuto agli interventi sul contributo unificato, alla riforma del processo civile, ai miglioramenti della performance conseguenti agli investimenti sulle notifiche on line, sulla digitalizzazione, ovvero ad una ampia diffusione del progetto “Best-Practices”, finanziato dal Fondo sociale europeo per 45 milioni di euro è ancora difficile da dire, ma è certo che per questa ultima strada si deve accentuare l’impegno riformatore.

Proprio in questi ultimi anni, infatti, nella struttura Ministeriale, negli uffici giudiziari, negli enti rappresentativi delle comunità locali interessate nei vari territori ed anche presso il Consiglio Superiore della Magistratura fervono le più svariate iniziative per individuare nuovi modelli organizzativi e nuove forme di collaborazione tra tutte le istituzioni interessate (si pensi soltanto al fiorire di decine di convenzioni per l’utilizzo di risorse umane aggiuntive, con Regioni, Province, Comuni, Consigli dell’Ordine degli Avvocati, Università, etc.) con una diffusione di una cultura dell’organizzazione che sino a poco tempo addietro era per molti versi estranea al sistema giudiziario italiano.

Orbene, occorre raccogliere e governare queste nuove progettualità, tener conto delle indicazioni e delle positive esperienze che provengono dagli uffici giudiziari, senza perdere di vista la governance complessiva di questi progetti che si riferiscono ad un servizio erogato dallo Stato che, anche per ragioni di equità sociale, deve tendenzialmente svolgersi in modo armonico ed uniforme sull’intero territorio nazionale.

Una cabina di regia da esercitarsi insieme al Consiglio Superiore della Magistratura, ciascuno nel proprio ambito operativo, ma sempre in un rapporto di leale collaborazione istituzionale.

Tutto ciò dovrebbe proiettarsi in un miglioramento del “servizio giustizia”, un “nobile” servizio di cui i cittadini devono poter uniformemente usufruire, un servizio che deve basarsi anche sul concetto di organizzazione funzionale degli uffici. Ne deve nascere una nuova “cultura” del magistrato, capace di occuparsi tanto del difficile compito di amministrare la giustizia, quanto dell’oneroso incarico di organizzare le strutture e gli uffici che da lui dipendono in maniera efficace e proficua.

La mediazione

Con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 il Governo diede attuazione alla delega relativa all’introduzione in via generalizzata della mediazione come strumento di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali.
Si tratta di un’importante riforma che mira a ridurre in modo sensibile il numero di giudizi dinanzi al magistrato, offrendo alle parti uno strumento generale alternativo alla via giudiziale per risolvere le controversie dei cittadini.
Questa importante riforma legislativa, completata con l’emanazione della normativa regolamentare di dettaglio è operativa dal 20 marzo 2011, con l’entrata in vigore delle norme sulla obbligatorietà della mediazione nelle materie tassativamente indicate dalla legge.

Poiché l’analisi dei dati statistici riguarda soltanto il primo semestre dell’anno appena trascorso è certamente prematuro tentare una valutazione degli effetti della riforma sulla domanda di giustizia.

Bisogna inoltre tener conto che è stata differita di un anno l’obbligatorietà della mediazione in materia di condominio e risarcimento del danno derivante da circolazione stradale.

Nondimeno, rispetto alle 33.808 mediazioni iscritte nel primo semestre del 2011 si può cogliere un trend in crescita se si considera che a novembre 2011 le mediazioni registrate hanno superato la soglia delle 53.000 unità.

Sorprendono, invece, i dati relativi allo scarso utilizzo della mediazione delegata dal giudice e l’elevato numero di mancate comparizioni dinanzi al mediatore.

Vorrei però sottolineare due dati che mi sembrano rilevanti:

  1. nell’80% dei casi le parti partecipano alla mediazione con l’assistenza di un legale di fiducia (e ciò vale a scongiurare almeno in parte le preoccupazioni della classe forense in ordine ad una possibile minorata tutela tecnica dei diritti dei cittadini);
     
  2. in presenza delle parti il tentativo di mediazione si conclude con successo nel 60% dei casi, fatto che testimonia le grandi potenzialità deflattive dell’istituto.

Ciò premesso, sono consapevole delle polemiche, talvolta aspre, suscitate da questa importante innovazione che, certamente, è suscettibile di miglioramenti, ma che può rappresentare un importante pilastro nella strategia complessiva di recupero dell’efficienza del sistema giudiziario, attraverso una diminuzione dei casi in cui la soluzione della controversia avviene tramite il lungo e defatigante cammino del giudizio ordinario.

Il nuovo Governo, peraltro, è già intervenuto con il decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212, operando alcune correzioni ed integrazioni finalizzate a potenziarne l'utilizzo.

Mi auguro che tutti gli addetti ai lavori condividano questa necessità, cogliendo le nuove e numerose opportunità professionali che la riforma offre.

La revisione delle circoscrizioni giudiziarie

L’intervento di riorganizzazione di gran lunga più incisivo riguarda la nuova geografia giudiziaria, una riforma organica attesa sin dagli esordi dell’Italia unita (le prime segnalazioni risalgono al 1863), approvata da questa legislatura con la legge 14 settembre 2011, n. 148, con la quale il Governo è stato delegato a procedere alla riduzione del numero degli uffici giudiziari ed alla razionalizzazione dei relativi assetti territoriali.

L’evento, spesso trascurato dai media, è la prova ulteriore che questo Parlamento è ben in grado di superare egoismi, localismi e resistenze corporative, consegnando al Paese un sistema giudiziario più moderno, in un momento nel quale ciò appare davvero indifferibile.

Sia chiaro, sono consapevole che la chiusura di un ufficio giudiziario crea numerose difficoltà e non poche preoccupazioni alla classe forense, ai magistrati, al personale amministrativo ed alla comunità locale direttamente interessata; e so bene che queste legittime preoccupazioni sono condivise da molti deputati.

Bisogna, però, convincersi che due ineliminabili esigenze impongono di procedere con decisione verso questa direzione.

La prima riguarda la necessità di ridurre le spese di gestione e di razionalizzare l’utilizzo delle risorse umane esistenti, in progressivo decremento a causa del blocco delle assunzioni e del numero medio dei pensionamenti annuali (circa 1.200 unità). In altri termini e con maggiore chiarezza il Paese non può più permettersi oltre 2000 uffici giudiziari allocati in 3.000 edifici.

La seconda è invece una diretta conseguenza delle innovazioni normative e tecnologiche (dalla digitalizzazione, alle notifiche on line via posta elettronica, dalla consultazione degli atti via web ai pagamenti telematici del contributo unificato) che rendono per molti versi anacronistica e non più giustificabile l’attuale distribuzione territoriale.

Detto questo, intendo rassicurare tutti sul fatto che le specificità di ciascun territorio saranno scrupolosamente valutate (così come imposto dalla legge delega) e che nessuno intende spazzare via presìdi di legalità che hanno i numeri e le peculiarità che ne rendono utile il mantenimento. Si procederà dunque con equilibrio e pacatezza, cercando parametri oggettivi che sappiano tener lontani gli egoismi localistici e soddisfare invece le esigenze di razionalizzazione e di efficienza del sistema.

In tal senso prosegue presso il Ministero questo complesso e faticoso lavoro che si è già tradotto nello schema di decreto legislativo che riguarda il riassetto territoriale dei Giudici di Pace, approvato in prima lettura dal C.D.M. ed è in attesa di essere inviato al C.S.M. ed alle competenti commissioni parlamentari per i prescritti pareri.

Il decreto prevede l'accorpamento di diversi uffici (674) consentendo di recuperare 2104 unità di personale amministrativo e di risparmiare, a regime, 28 milioni di euro l'anno.
 Per quanto concerne la revisione dei tribunali e delle relative sezioni distaccate contiamo di predisporre la prima bozza operativa entro marzo-aprile del 2012.

Gli interventi in materia di informatizzazione e digitalizzazione del sistema giudiziario

Nel corso del 2011, è proseguita l’attività di informatizzazione e razionalizzazione dell’amministrazione giudiziaria, malgrado la costante contrazione delle risorse finanziarie disponibili.
In particolare nel settore civile nel corso del 2011 i sistemi elettronici di gestione dei registri sono stati installati nel 100% degli uffici giudiziari di 1° e 2° grado (mai in precedenza si è raggiunta una diffusione del 100% di un software nazionale).

È stato dato un forte impulso al miglioramento e alla diffusione degli strumenti per il giudice civile, con particolare riferimento alla “consolle del magistrato”, un’applicazione anch’essa in tecnologia web che permette al singolo magistrato di organizzare il proprio ruolo, di visualizzare gli atti del fascicolo informatico, di redigere i provvedimenti e di depositarli telematicamente in cancelleria. Al momento sono oltre 600 i magistrati che ne fanno uso.

È stata completata l’infrastruttura telematica, che rende disponibili i servizi telematici per tutti gli uffici giudiziari ai professionisti e agli enti registrati. Vi accedono on line oltre 43.000 avvocati.

È attivo il servizio telematico di deposito degli atti che consente all’avvocato o al consulente tecnico di depositare telematicamente dallo studio gli atti di parte e dell’ausiliario del giudice, via posta elettronica certificata (e risultano già depositati oltre 150.000 atti di parte con pieno valore legale in quanto sostitutivi dell’originale cartaceo).
In alcuni uffici è attivo il servizio di comunicazioni telematiche di cancelleria che consiste nell’invio automatico di un messaggio di posta elettronica certificata dagli uffici giudiziari agli avvocati o ai consulenti tecnici. Il messaggio, con allegato l’eventuale provvedimento del giudice, redatto con la consolle del magistrato o scansionato dalla cancelleria, è inviato in automatico all’indirizzo elettronico del destinatario.

È importante sottolineare che i 23 uffici attualmente attivi gestiscono oltre il 15% del carico di lavoro nazionale.

Quello che, però, davvero importa far notare è che le comunicazioni telematiche consentono di ridurre a zero i tempi di comunicazione, annullano i costi di notifica e i costi del personale UNEP, riducono significativamente il tempo di lavoro nelle cancellerie nonché i costi di stampa ed annullano i rischi di mancata notifica.

Da giugno 2009, data di avvio del primo Tribunale, sono state inviate oltre 1.600.000 comunicazioni telematiche (ex art. 51 D.L. n. 112/2008).

A regime questo sistema consente di stimare i risparmi dei soli costi vivi di notifica in oltre 84 milioni di euro l’anno e di liberare non meno di 600 unità di personale dai correlativi compiti manuali.

Negli ultimi mesi del 2011 è stato progettato (insieme a DigitPA) e realizzato il sistema per la gestione telematica dei pagamenti delle spese di giustizia.

Il sistema, già attivo in 8 uffici giudiziari, consente all’utente esterno (avvocato) di pagare on-line il contributo unificato e i diritti di segreteria per il processo civile.

Non occorrono altre indicazioni per affermare che è qui il futuro della giustizia e che il Governo intende imprimere, se possibile, una ulteriore accelerazione alla diffusione di questi modelli operativi, curando in maniera particolare due aspetti di fondamentale importanza per un pieno recupero di efficienza attraverso questi sistemi.

Il primo attiene all’uniformità dei mezzi utilizzati e delle possibilità di accesso al sistema. Sistemi diversi producono costi maggiori e riducono sensibilmente i risultati virtuosi dell’informatizzazione.

Il secondo attiene alla diffusione uniforme della capacità e della cultura dell’utilizzo del mezzo informatico. Sappiamo perfettamente quanto sia difficile, soprattutto per una certa fascia generazionale, adattarsi all’utilizzo costante di un mezzo di comunicazione “rivoluzionario” ed i cui effetti erano impensabili fino a non molti anni fa. Ma sappiamo altrettanto bene che solo una diffusione omogenea di tale mezzo di comunicazione ne renderà veramente risolutivo l’utilizzo.

Sono altresì certa che l’intera avvocatura saprà dare a queste innovazioni il suo indispensabile contributo, comprendendo pienamente di esserne co-protagonista e beneficiaria.

Gli interventi in materia di organici della magistratura

Al momento risultano presenti in organico 8.834 magistrati togati, con una scopertura di 1.317 posti.

Per rimediare a questa situazione, l’impegno del Ministero è già stato particolarmente rilevante, tanto che risultano completate le procedure per la nomina di 325 magistrati ordinari (vincitori del concorso a 350 posti bandito nel 2009); è in corso la correzione delle prove scritte di un ulteriore concorso a 360 posti, bandito nel 2010 (che avrà termine tra poche settimane); altri 370 posti sono stati banditi nel settembre del 2011 e le prove scritte sono previste nel mese di maggio del 2012.

Come appare evidente si tratta di bandi che risalgono al precedente esecutivo e di cui non voglio quindi ascrivermi alcun merito. Va però oggettivamente e da parte di tutti dato atto che la programmazione cadenzata di una serie di concorsi restituisca ai migliori laureati in giurisprudenza una possibilità di ingresso nella magistratura ordinaria con cadenze ravvicinate e regolari.

Va, infine, ricordato che, con l’immissione in servizio dei 325 magistrati già vincitori del concorso bandito nel 2009, le presenze in organico raggiungeranno quota 9.169, dato superato negli ultimi 12 anni soltanto nel 2005.

Tutto questo, malgrado negli ultimi tre anni si sia registrato un esponenziale aumento del numero dei pensionamenti (talvolta doppio rispetto alla media degli anni precedenti).

La Scuola della Magistratura

Il percorso che conduce alla piena operatività della Scuola, dopo una lunga e travagliata gestazione (la legge istitutiva risale al gennaio del 2006), è ormai definitivamente avviato con l’insediamento del Comitato Direttivo avvenuto lo scorso 14 novembre 2011, presso il CSM alla presenza del Ministro della Giustizia e del Sig. Presidente della Repubblica.

La Scuola è chiamata a rivestire un ruolo centrale nella formazione dei magistrati e tra di essi anche di coloro che aspirano alla dirigenza degli uffici giudiziari con corsi mirati allo studio dei criteri di gestione delle organizzazioni complesse, alla conoscenza dei sistemi informatici e delle modalità di gestione delle risorse ministeriali.

La legge istitutiva disegna una Scuola dal profilo internazionale, aperta ai contributi esterni ed essa stessa protagonista di collaborazioni, pubblicazioni e attività di ricerca che vanno ben oltre la sola didattica.

L’innovazione di maggiore significato è, però, senz’altro quella che affida congiuntamente al Consiglio Superiore ed al Ministro della Giustizia la responsabilità dell’indicazione delle linee programmatiche di cui il Comitato Direttivo dovrà tenere conto nell’elaborazione del programma annuale dell’attività didattica.

Per la prima volta, infatti, il Ministro della Giustizia potrà fornire un contributo in materia di formazione professionale dei magistrati ed è chiamato a farlo, in linea con l’assetto costituzionale vigente, coordinandosi, come è ovvio e corretto, con il Consiglio Superiore.

Le attività istituzionali

L’Attività Ispettiva e di Gabinetto

Nell’anno 2011 il Ministro ha dato il proprio concerto in ordine al conferimento di 72 Uffici Direttivi, mentrenel quadro della programmazione predisposta l’Ispettorato generale ha eseguito 42 ispezioni ordinarie e 14 inchieste.

Risulta altresì esercitata l’azione disciplinare nei confronti di 46 magistrati per violazioni dei doveri di diligenza, correttezza e laboriosità, relativi a diverse ipotesi, tra le quali spiccano quelle relative a gravi e reiterati ritardi nel deposito delle motivazioni delle sentenze che, talvolta, hanno determinato inaccettabili scarcerazioni di pericolosi criminali per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare.

L’Ispettorato Generale ha svolto anche 234 ispezioni ordinarie presso uffici giudiziari di ogni ordine e grado.

La Giustizia Minorile

Con riguardo alla Giustizia Minorile, nel corso del 2011 l’esame delle statistiche ha confermato l’aumento generale della presenza di minori di nazionalità italiana, già iniziato negli anni immediatamente precedenti, anche nei Servizi residenziali, come i Centri di prima accoglienza e gli Istituti penali per i minorenni, che per molti anni hanno visto prevalere numericamente i minori stranieri.

Attualmente la presenza straniera proviene prevalentemente dall’Est europeo (principalmente dalla Romania) e dal Nord Africa (Marocco soprattutto).
In generale i reati contestati sono prevalentemente contro il patrimonio (60%), pur se non sono trascurabili le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti (10%).

Per ulteriori e specifici dettagli rimando, per esigenze di sintesi, alla documentazione prodotta, mentre vorrei soffermarmi su un aspetto programmatico. La giustizia minorile deve necessariamente privilegiare l’aspetto rieducativo della pena, tendendo al reinserimento sociale del giovane condannato attraverso istituti ampiamente sperimentati come quello della messa alla prova. Si tratta però di istituti che richiedono un notevole impegno, non solo dei servizi sociali, ma anche delle famiglie e della comunità dei cittadini. Questi due ultimi contributi possono venire meno se il giovane condannato è uno straniero la cui famiglia e la cui comunità sono lontane dall’Italia. Ecco perché ci accingiamo a varare un piano di contatti internazionali e di convenzioni bilaterali volti ad incentivare il ritorno del minore nel suo sistema culturale di origine, che potrebbe molto più adeguatamente confortarlo ed accompagnarlo nel percorso di reinserimento sociale che egli deve realizzare senza sentirsi doppiamente sradicato dalle proprie abitudini socio-familiari.

L’Attività Internazionale

Nel settore internazionale l’attività si è già rivelata intensa.

Grande attenzione è stata data all’attuazione del Programma di Stoccolma, anche alla luce dei cambiamenti apportati dal Trattato di Lisbona, che ha disegnato un più rilevante ruolo del Parlamento Europeo e degli stessi Parlamenti nazionali nel settore della giustizia penale.

In questo contesto, il Governo Italiano intende offrire il proprio contributo per l’attuazione del programma pluriennale 2010-2014 che ha individuato le linee guida per la realizzazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini.
Siamo, infatti, in prima linea per garantire un’Europa sicura dove siano rispettati i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini.

Per questo auspichiamo la completa realizzazione del programma di Stoccolma con specifico riferimento allo sviluppo di una strategia di sicurezza interna dell'Unione per garantire la protezione dei cittadini e la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo, attraverso la cooperazione di polizia in materia penale, nonché la cooperazione nella gestione delle frontiere.

Con riferimento ai progetti di atti normativi dell’Unione europea nel campo del diritto civile, iniziati nel 2011 e che proseguiranno nel 2012, ai quali il Governo intende apportare il proprio contributo, desidero specificamente ricordare:
 

  1. la proposta di regolamento sui conflitti di leggi in materia di regime patrimoniale tra coniugi, che si propone di fissare criteri per la determinazione della legge applicabile al regime patrimoniale dei coniugi in caso di matrimoni che abbiano elementi transfrontalieri;
     
  2. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (al consiglio GAI del 14 dicembre 2011 è stato raggiunto un accordo politico che sancisce l’abolizione dell’exequatur sulle decisioni in materia civile e commerciale);
     
  3. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale;
     
  4. la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita.

A livello bilaterale, si è dato particolare risalto a Paesi, quali gli USA, il Messico e, più in generale, l’area geografica dell’America centrale e latina, con la quale occorre proseguire il dialogo per incrementare e far convergere i sistemi ed i mezzi di lotta al terrorismo internazionale, di contrasto alla criminalità organizzata, di ostacolo al traffico di droghe, creando un sistema a maglie fitte ed omogenee, che impedisca agli autori di tali categorie di reati di avvalersi del vantaggio di selezionare ed operare in aree meno intensamente presidiate.

Gli interventi legislativi

Interventi sulla Giustizia Civile

Mi sono già soffermata sulle conseguenze negative della durata del processo civile in Italia che costituiscono un pregiudizio non solo ai diritti individuali delle persone, ma anche alla stessa libertà di impresa (se solo si tiene conto che la durata media del processo civile nella gran parte degli ordinamenti comunitari marcatamente inferiore alla nostra).
Per questa ragione, l’emergenza nel settore civile costituisce una priorità di questo Governo, che intende raccogliere e valorizzare anche quanto è già stato fatto in precedenza. A tale riguardo, meritano di essere ricordati taluni provvedimenti significativi assunti dal precedente Governo.

Con il  decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111 è stato varato un Piano straordinario per l’efficienza della giustizia civile.
Prendendo spunto da alcune buone prassi in uso presso importanti uffici giudiziari si è introdotto l’obbligo di programmazione della gestione del contenzioso civile con la individuazione dei criteri di priorità nella trattazione delle cause e si è prevista la possibilità di sottoscrivere convenzioni per formare professionalmente giovani laureati come assistenti di studio dei magistrati.

Il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione ha dato attuazione alla terza delega prevista dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (dopo quelle sulla mediazione delle controversie in materia civile e commerciale e sull’atto pubblico informatico). Circa 30 procedimenti di cognizione disciplinati dalla legislazione speciale sono stati ricondotti ad uno dei tre modelli contemplati dal codice di procedura civile: procedimento ordinario di cognizione, procedimento del lavoro e procedimento sommario di cognizione, raccogliendo in un unico testo legislativo le regole processuali precedentemente sparse in decine di leggi diverse.

Con la legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità del 2012) sono state introdotte ulteriori disposizioni per l’accelerazione delle controversie civili e per l’uso della posta elettronica certificata nel processo civile.

Ovviamente questi positivi interventi non esauriscono il panorama di quanto dovrà ancora essere sottoposto all’approvazione del Parlamento per sostenere la semplificazione delle procedure ma anche la specializzazione della professionalità.
Infine, anche alle patologie va posto rimedio.

Crediamo di avere avviato a questo riguardo una prima risposta già con il decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212, ove sono state introdotte disposizioni urgenti in materia di processo civile e di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Il decreto riprende, per la parte relativa al debitore non consumatore, una procedura di esdebitazione già prevista da un disegno di legge parlamentare, che consente di razionalizzare e semplificare le procedure di esecuzione individuale, con un intervento limitato dell’autorità giudiziaria (che omologa l’accordo raggiunto tra debitore e creditore). Inoltre, nel decreto un’attenzione particolare è data al debitore consumatore, per il quale è prevista una apposita procedura di esdebitazione. 

Interventi sulla Giustizia Penale

Degli interventi connessi con l’emergenza delle carceri ho già detto in premessa.

In questa sede va ricordato che l’adozione del “Codice Antimafia” (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159) rappresenta la novità di maggior rilievo del 2011, sul fronte dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata.
Il provvedimento contiene una ricognizione completa delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa, la loro armonizzazione ed il  coordinamento anche con la nuova disciplina dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

Di notevole rilievo è anche l’adozione dei regolamenti relativi alla Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che ne consentiranno la piena operatività.
Il lavoro svolto è stato imponente e molto impegnativo e proprio per questo esso appare meritevole di ulteriori approfondimenti e riordini sistematici.

Un’ulteriore ed importante iniziativa legislativa riguarda il Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 dicembre 2011 che prevede il conferimento al Governo delle deleghe legislative in materia di depenalizzazione; di introduzione nel codice di procedura penale degli istituti della sospensione del procedimento con messa alla prova e della sospensione del processo per assenza dell’imputato; nonché l’introduzione nel codice penale e nella normativa complementare delle pene detentive non carcerarie.

Si tratta di un intervento su materie ampiamente condivise dal Parlamento ed in linea con il principio di un diritto penale minimo.
Esso intende introdurre elementi di razionalizzazione nel processo penale e nel sistema sanzionatorio e che appare destinato a determinare, nel medio periodo, una ulteriore deflazione delle presenze in carcere per quei soggetti dalle modeste e facilmente controllabili potenzialità criminogene.

Conclusioni

Le considerazioni che ho sviluppato, in modo necessariamente sintetico, spero consentano di apprezzare l’azione del Governo, sia con riferimento alle iniziative normative che all’impegno organizzativo ed esecutivo.
Il complesso di questi interventi non è ancora riuscito a determinare una svolta positiva e strutturale nel sistema giudiziario italiano ma, come si è visto, non mancano né i segnali positivi, né le potenzialità che consentono di prevedere un miglioramento concreto.

Bisogna lasciarsi influenzare da questi segnali positivi per consolidare e migliorare il servizio giustizia italiano con una strategia di sistema che è già ben definita nei suoi principali obiettivi.

Nel settore civile si tratta di deflazionare i flussi di ingresso della domanda di giustizia anche attraverso l’affermarsi di metodi alternativi di definizione dei conflitti; di garantire la specializzazione dei giudici; di aggredire con decisione la massa dei procedimenti arretrati con il piano straordinario di smaltimento (eventualmente perfezionato ed ampliato); di assicurare una più celere definizione dei giudizi e la prevedibilità delle decisioni.

Nel settore penale si tratta, anzitutto, di assicurare condizioni di dignità ai detenuti, nonché di razionalizzare e velocizzare il processo penale, di garantire ai magistrati tutti gli strumenti anche tecnici ed informatici, assicurando, al contempo, una gestione più oculata e razionale della spesa.

Nell’erogazione del “servizio” giustizia si tratta di assicurare condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale, attraverso una profonda revisione dei modelli organizzativi e della geografia giudiziaria, sorretta da robusti e sistemici interventi finalizzati all’uso sempre più intenso delle nuove tecnologie in grado di assicurare (se adeguatamente inserite in strutture ben organizzate) notevoli risparmi di spesa ed un sicuro miglioramento delle performance.

Per quanto possa apparire paradossale,  proprio oggi, in presenza di una drammatica congiuntura economica internazionale, si presenta l’occasione, forse irripetibile, di riformare davvero il sistema giudiziario italiano.

Nessuno di noi, infatti, può più permettersi di considerare ineluttabile il deficit di efficienza del sistema giudiziario italiano in un momento come quello attuale ove ogni settore della vita pubblica e privata è tenuto a garantire il proprio contributo operativo al miglioramento delle condizioni economiche del Paese.

Si può far questo accettando supinamente e passivamente i sacrifici imposti dalle attuali necessità economiche oppure – come io credo sia più utile – lo si può fare, ciascuno nel proprio ambito, trasformando le criticità in opportunità di sviluppo e di miglioramento dei servizi offerti al cittadino.

È possibile applicare questo modello virtuoso anche al sistema giudiziario?

Certamente sì, purché tutti i protagonisti: magistrati, avvocati, personale amministrativo, cittadini utenti, e non soltanto le istituzioni competenti (Governo, Parlamento e C.S.M.) siano disposti ad accettare che un altro modello di servizio giudiziario, più snello, più rapido, meno costoso e meno intasato, non soltanto è possibile, ma è oggi assolutamente necessario e non più rinviabile.

Ciascuno di noi sarà magari chiamato a rinunciare a qualche privilegio o a qualche abitudine consolidata e rassicurante, ma così facendo consegneremo al Paese, cioè a tutti noi, un sistema giudiziario migliore e più giusto.

Vi ringrazio.