Stati Generali dell'Esecuzione Penale

aggiornamento: 5 febbraio 2016

  Tavolo 12 - Misure e sanzioni di comunità

Il Tavolo si occupa delle sanzioni e misure alternative al carcere, intendendo la locuzione “in comunità” come indicativa del complessivo e diverso rapporto da stabilire con il territorio. Nell’attuale fase di maggiore riferimento alle forme alternative alla detenzione, la riflessione si inserirà nella parallela attuazione del nuovo Dipartimento che stabilizzi il sistema di Probation del nostro Paese.

Coordinatore Gherardo Colombo, già magistrato di cassazione


Partecipanti / Gruppo di lavoro

  • Stefano Anastasia - Ricercatore di filosofia e sociologia del diritto all'Università degli studi di Perugia
  • Roberto Bezzi - Responsabile dell'area educativa dell'istituto penitenziario di Milano Bollate
  • Lina Caraceni - Ricercatore di Diritto processuale penale Dipartimento di Giurisprudenza Università degli studi di Macerata
  • Milena Cassano - Dirigente provveditorato amministrazione penitenziaria Lombardia
  • Guido Chiaretti - Rappresentante dell'associazione "Sesta Opera San Fedele"
  • Roberto Cornelli - Ricercatore Dipartimento dei sistemi giuridici Università degli Studi di Milano Bicocca
  • Francesco Cozzi - Procuratore aggiunto della Procura della Reppublica di Genova
  • Lidia De Leonardis - Direttore istituto penitenziario di Bari e Altamura
  • Elisabetta Laganà - Garante diritti dei detenuti del Comune di Bologna
  • Giorgio Pieri - Responsabile servizio carcere della "Comunità Papa Giovanni XXIII"
  • Ninfa Renzini - Avvocato
  • Rita Romano - Direttore istituto penitenziario di Eboli

Perimetro tematico

All'attenzione del Tavolo 12 sono state assegnate le sanzioni di comunità. Si tratta di una dizione molto ampia, idonea a ricomprendere tutte quelle misure – anche disposte dai giudici che si pronunciano sulla responsabilità dell’imputato – per la cui esecuzione si prescinde dall’utilizzo di una struttura carceraria. Proprio alla luce di questa constatazione si è ritenuto opportuno concentrarsi sulla categoria che nel nostro Paese si è soliti indicare con la formula “misure alternative alla detenzione”: queste ultime paiono essere, infatti, le più vicine al compito di cui risultano investiti gli Stati generali, incaricati per l’appunto di scandagliare, in un’ottica propositiva, le tematiche inerenti all’ “esecuzione penale”.
Pur trattandosi di strumenti già da tempo previsti e operanti nel nostro ordinamento, sembrerebbe senz’altro opportuno un ulteriore sforzo di riflessione e progettazione, anche nell’ottica di un adeguamento alle raccomandazioni europee intervenute in questo settore (cfr., in particolare, la Raccomandazione R(92)16, nonché, con specifico riferimento alla messa alla prova, la Raccomandazione R(2010)1).
Un punto di partenza è stato quello di correggere l’impostazione – raramente teorizzata, ma non di rado concretizzata – secondo la quale le misure alternative vanno viste, e, quindi, disciplinate, come una risorsa per alleviare le situazioni di sovraffollamento carcerario. In realtà, con il conforto di sempre più frequenti dati statistici, bisogna attribuire alla categoria in esame il merito di porre in essere un’azione mirata «allo scopo di ridurre la perpetrazione di ulteriori reati». Ciò attraverso l’instaurazione di rapporti positivi con gli autori di reato, «al fine di assicurarne la presa in carico (anche con un controllo, se necessario), di guidarli e assisterli per favorire la riuscita del loro reinserimento sociale.
In tal modo, la probation contribuisce alla sicurezza collettiva ed alla buona amministrazione della giustizia» (in questo senso, cfr., le succitate Regole del Consiglio d'Europa in tema di messa alla prova).
Per quanto concerne il rapporto di aiuto, che ha come perno l’assistente sociale, bisogna evidenziare che tale rapporto non deve essere “burocratizzato” – distorsione fatalmente ricorrente se il carico di lavoro del singolo operatore è eccessivo. Con riferimento, invece, al versante del controllo nei confronti del condannato «messo alla prova», il Tavolo prende in esame le prassi attualmente in vigore (comprese quelle che implicano il ricorso a mezzi di controllo elettronico), sia per valutarne l'utilizzo, sia per esaminare analoghe forme di controllo in uso in altri Paesi: fermo restando che in nessun caso l’attività di controllo dovrebbe assumere modalità e cadenze tali da ripercuotersi negativamente sulla parallela azione di aiuto.
Attribuito alla messa alla prova il ruolo primario che le compete, si sono prese in considerazione anche le altre misure alternative alla detenzione (semilibertà, detenzione domiciliare), onde verificare se con opportuni accorgimenti, sia normativi sia di carattere gestionale, possa essere incrementato il loro tasso di reale alternatività al carcere, senza inopportune contropartite sul versante della sicurezza sociale.
Il fatto di puntare sulla “qualità” delle misure alternative non deve equivalere ad un sacrificio del profilo quantitativo. Qualsiasi equivoco sul punto è scongiurato se si attribuisce la dovuta attenzione al criterio direttivo del progetto di legge delega in tema di ordinamento penitenziario, in cui si stabilisce che dovrà essere operata una «revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative […] al fine di facilitare il ricorso alle stesse» (art. 26, lett. b d.d.l. 2729 AC). A venire in rilievo sono, piuttosto, le non sempre giustificate rigidità che, in ossequio ad esigenze di allarme sociale, il legislatore penitenziario ha via via introdotto, per ostacolare l’accesso alla c.d. comunità esterna di determinate categorie di condannati, anche a prescindere dalla loro effettiva pericolosità.
 

 

Abstract della relazione

Le sanzioni di comunità (cfr. ord.penit., l.199/2010, l.67/2014, ddl 2678) hanno determinato un quadro complesso e in più occasioni è stata sollecitata un’azione di sistematizzazione al fine di conferire organicità al sistema, tenendo conto anche degli impegni assunti in Europa.

Le sanzioni penali di comunità tutelano la collettività se vengono assicurati mezzi appropriati: è necessario comunicare gli effetti prodotti (v. proposta riguardante l’obiettivo 1).
Esse devono essere sostenute:

  1. dotando gli Uffici esecuzione penale esterna di adeguate risorse, riorganizzandoli sul territorio; con la valorizzazione del contributo del volontariato, riformando la Cassa delle ammende, le forme di sostegno al lavoro, rendendo effettive le previsioni della legge 328 del 2000 e avvalendosi del fondo sociale europeo.
  2. promuovendo un’effettiva sinergia tra enti del territorio, del terzo settore, associazioni di volontariato, delle imprese, supportata da modifiche normative adeguate e predisposizione degli strumenti idonei; la competenza va individuata nella Conferenza Stato Regioni. Laddove previsto le misure possono svolgersi presso strutture comunitarie e/o di accoglienza.
  3. Implementando il ricorso a strutture di housing, accoglienza e comunitarie (in caso di assenza di un domicilio proprio, per stranieri ecc.), consolidando percorsi trattamentali e terapeutici con impegni precisi da parte delle Regioni, dei Comuni e delle ASL (cfr. L. 328/2000, d.p.r. 309/90, l. 199/2010). Si rende, altresì, necessario un riconoscimento istituzionale ed un riconoscimento delle strutture comunitarie e di accoglienza, un loro albo regionale e procedure d’accreditamento.

Vengono poi proposti tre interventi legislativi di riforma del sistema delle misure alternative alla detenzione (rinominate misure penali di comunità) secondo una prospettiva che vada oltre il carcere come unico modello di risposta sanzionatoria:

  1. modifica del capo VI della legge 354/1975 (revisione dei contenuti e dei criteri di accesso delle singole misure alternative) ed introduzione di un capo VI-bis dedicato alla competenza e ai profili processuali comuni a tutte le misure;
  2. modifiche alla legge 689/1981 con l’introduzione del lavoro di pubblica utilità come sanzione penale di comunità e abrogazione delle norme relative alla semidetenzione;
  3. introduzione di un procedimento per la concessione delle misure penali di comunità con la sentenza di condanna in primo grado e revisione della disciplina di accesso dalla libertà ex art. 656 c.p.p. con la previsione di una presunzione legale di idoneità delle misure penali di comunità per l’esecuzione di condanne contenute nei quattro anni di reclusione.

Alla luce delle raccomandazioni europee in materia di Probation e di Sorveglianza elettronica (SE) e considerati i principi costituzionali, il Tavolo propone alcune linee guida per l'introduzione della SE nel più ampio programma di progressiva riduzione dell’uso della detenzione carceraria.

Obiettivi

  1. Incrementare, nell’opinione pubblica, la consapevolezza che il sistema delle pene non detentive tutela la sicurezza delle comunità, facendo diminuire il rischio di recidiva. Opportunità di documentare tale importante risultato con dati statistici
     
  2. Valutare la possibilità di un sistema di sanzioni di comunità correlate alle esigenze del territorio, che sia espressione di un’effettiva e tempestiva presa in carico congiunta dei servizi ed enti territoriali con il coinvolgimento di organismi privati, imprese e volontariato
     
  3. Ipotizzare i contenuti normativi idonei ad attuare il criterio direttivo della legge delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario che prevede la “revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi, sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse” (art. 26, lett. b)
     
  4. Prevedere la realizzazione di infrastrutture e assetti organizzativi adeguatamente dimensionati ed integrati di professionalità che rafforzino la concreta azione di controllo e sostegno nella gestione delle sanzioni in comunità
     
  5. Valutare l'opportunità di percorsi rieducativi, specifici e mirati, da proporre alla persona sottoposta a sanzione di comunità (educazione alla legalità, propedeutica al lavoro, valore delle diversità)
     
  6. Esprimere opinioni sull'uso dei dispositivi elettronici di controllo, valutando se siano da ritenersi presìdi di intrinseca utilità, o se invece risultino utili solo se accompagnati da altre azioni orientate al reinserimento; valutare se il braccialetto debba essere applicato a tutte le persone cui viene irrogata una certa sanzione di comunità, oppure se questo si debba prevedere solo per pochi e motivati casi; valutare infine l'uso di dispositivi elettronici (braccialetti e altri dispositivi in uso in paesi europei), in relazione al rispetto dei diritti della persona.
     

Versione integrale della relazione

 


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