Direttiva del ministro 2 maggio 2016 - In tema di suicidi di detenuti

3 maggio 2016

Il Ministro della Giustizia
M_dg.GAB. 03/05/2016

AI Capo Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria

A fronte di significativi risultati registrati relativamente alla riduzione del sovraffollamento delle strutture carcerarie e all'avvio di un positivo percorso per la revisione del modello di detenzione e l'introduzione di nuovi meccanismi di vigilanza cui si accompagnino più accurati e personalizzati interventi trattamentali, permane quale allarmante criticità del sistema penitenziario il reiterarsi dei casi di tentato suicidio e di suicidio che ogni anno segnano la vita all'interno degli istituti penitenziari.
Anche quest’anno si sono già verificati numerosi suicidi alcuni posti in essere da persone giunte solo al secondo o al terzo giorno di detenzione.

È evidente che non potrà mai essere un andamento percentuale a poter stabilire il grado di soddisfazione istituzionale, tanto più che le persone sottoposte ad una misura restrittiva . della propria libertà personale all’interno di una struttura penale sono, evidentemente, affidate alla cura e alla custodia della struttura stessa.

L'impegno e l'attenzione devono essere sempre costanti, con crescente tensione a migliorare l' attività di prevenzione di tale inquietante ed intollerabile fenomeno. Recenti in formazioni acquisite a seguito di ispezioni di organismi sovranazionali evidenziano tuttavia la necessità di accentuare l’attenzione su misure che nei singoli Istituti vengono poste  in essere per prevenire autolesionismi e suicidi, affinché queste siano sempre consone all'inderogabile principio della tutela della dignità della persona e al suo benessere nella comunità detenuta.

Gli studi condotti in ambito scientifico sulle strategie per la riduzione del rischio di suicidi,inducono a ritenere che:

  • gli attuali strumenti prevalentemente "osservativi" messi in campo per prevenire i suicidi sono sostanzialmente inadeguati perché non definiti ai fini di una valutazione complessiva sistemica e piuttosto limitati all'esame dei singoli casi;
  • il rischio della commissione di suicidio è prevalentemente un rischio "ambientale" e non soltanto individuale; da qui l’inadeguatezza di strumenti meramente "osservativi" incentrati sull’attenzione al singolo e non sulla valutazione della complessiva situazione relazionale all'interno della comunità chiusa del carcere;
  • la sola sorveglianza e l'isolamento del detenuto con tendenza suicida non possono costituire incisivo strumento di prevenzione e a volte accentuano il rischio di azioni autodistruttive;
  • il trattamento del disagio psicologico e mentale, che pure non giunge a manifestarsi come effettiva patologia psichiatrica, è spesso sottovalutato e affrontato negli stretti limiti di difficoltà di adattamento alla ristrettezza dello spazio ed alla lontananza dal contesto affettivo;
  • l' uniformità proposta dall'ambiente detentivo indifferenziato (per età posizione giuridica, prossimità del fine pena, tipologia di reato) è fattore incidente per il manifestarsi di sintomi di disadattamento che possono evolvere in tendenza al suicidio.

E' appena il caso di ricordare, in quanto ampiamente noto, che il 19 gennaio del 2012 la Conferenza Unificata per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento o e Bolzano, ha licenziato le "Linee di indirizzo per lo riduzione del rischio autolesivo e suicidiario dei detenuti e degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale" che riprendono quanto elaborato dal Comitato Nazionale di Bioetica già nel 2010. Sulla base di tali indicazioni è in corso un processo di elaborazione di Accordi tra i Provveditorati Regionali di codesta Amministrazione e gli Organi preposti delle varie Regioni. In alcune realtà si è giunti ad Accordi condivisi, in altri contesti i lavori sono ancora in corso. Non vi è dubbio che, a quattro anni dall'adozione di tali linee di intervento, vi sia la necessità di far confluire le iniziative localmente assunte sulla base di tali Accordi in un effettivo Piano Nazionale d'intervento per la prevenzione del suicidio e per il conseguente monitoraggio delle strategie adottate, attraverso la raccolta, l'elaborazione e la pubblicazione dei dati sul fenomeno e sulle esperienze condotte.

Proprio partendo dagli Accordi regionali citati si rende, quindi, necessario che codesto Dipartimento, che già nel giugno 2015 ha sensibilizzato i Provveditori regionali ed i Direttori degli istituti penitenziari, elabori direttive di più incisivo dettaglio e maggiore organicità, che ricalchino le specifiche Linee Guida dettate dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità in materia di prevenzione suicidaria pubblicate nel 2007, non a caso, riprese sia nel citato parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, sia nelle citate Linee di indirizzo della Conferenza Unificata per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano.

Tali direttive dovranno corrispondere all'esigenza di disporre e coerentemente attuare un vero e proprio Piano nazionale di intervento per la prevenzione dei suicidi in carcere. Esso sarà predisposto dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, sviluppando gli aspetti organizzativi più opportuni propri della azione amministrativa ed attuando la migliore integrazione possibile con gli Organi i sanitari competenti.

Il suddetto Piano, prima della sua divulgazione, dovrà essere sottoposto all’attenzione del Tavolo di consultazione permanente istituito nell'ambito della Conferenza Unificata per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, in modo da addivenire ad una
condivisione ed integrazione con gli aspetti d'ordine sanitario.

Una volta completata questa fase, che si confida avverrà in tempi rapidi, in ogni caso non superiori a sessanta giorni, e divulgato il Piano, i Provveditorati regionali avranno indicazioni univoche al fine di aggiornare gli attuali Accordi vigenti con i rispettivi Organi regionali e concludere quelli in corso in modo coerente.

Il Piano dovrà provvedere a coordinare ed integrare le strategie di prevenzione e gestione proposte con le nuove modalità detentive poste in essere secondo le indicazioni normative europee e nazionali e tenendo in debito conto la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in tema di obblighi derivanti dagli articoli 2 e 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Si rappresenta altresì la necessità che le disposizioni che verranno via via impartite dal livello nazionale, a quello regionale e soprattutto locale, si caratterizzino per l'effettiva concretezza e praticabilità operativa in modo da limitare il rischio di deriva formale.

Da questo punto di vista diventa centrale la programmazione di specifiche azioni formative ed addestrative del personale penitenziario a tutti i livelli e lo stesso coinvolgimento delle persone detenute in termini di peer supporter, modalità ampiamente e positivamente utilizzata in alcuni
contesti penitenziari europei.

Alla luce della riorganizzazione del  Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria in conformità alle indicazioni del DPCM n. 84 del 2015 e, ferma a restando l'esigenza che l'Amministrazione penitenziaria continui nell’attività di monitoraggio relativa all'andamento dei lavori connessi agli Accordi operativi regionali e locali, verificandone le concrete ricadute con una particolare attenzione agli effetti relativi al fenomeno in questione, appare indispensabile che ciascuna Direzione generale del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria contribuisca ad indicare regole concrete che assicurino una reale e uniforme applicazione dei criteri programmatici di tutela volti a prevenire il fenomeno in oggetto nei suoi poliedricì aspetti.

Sul piano delle strutture appare necessario approntare negli Istituti differenti articolazioni:

  • un'articolazione per giovani adulti (18 - 25) che hanno commesso il reato oltre i 18 anni, cui offrire una quotidianità che tenga presente i particolari bisogni dell'età con le relative fragilità. Va osservato che coloro che hanno commesso il reato prima dei 18 anni possono restare fino ai loro 25 anni nel circuito minori , mentre coloro che hanno commesso il reato a 18 anni ed 1 giorno sono direttamente immessi nell'indistinto circuito degli adulti;
  • un'articolazione per i nuovi giunti in cui intensificare gli interventi di sostegno, oltre che di osservazione, almeno per i primi 3-6 mesi;
  • un’ articolazione per coloro che saranno dimessi nei successivi 3-6 mesi (in particolare per coloro che, si spera in numero sempre minore giungono alla scadenza pena senza aver usufruito, per un periodo congruo di misure alternative), all'interno della quale sviluppare un programma di sostegno psicologico propedeutico al reinserimento.

Va inoltre considerato indifferibile adeguamento degli spazi detentivi destinati all’accoglienza dei soggetti a rischio da adibirsi, ed in ogni struttura, secondo criteri moderni e rispettosi delle singole esigenze trattamentali e della dignità della persona.

Sarà cura della Direzione generale dei detenuti e del trattamento sviluppare opportune misure di osservazione del detenuto, che dovranno essere diverse secondo la specifica fase trattamentale, tenendo conto i modo particolare de i soggetti tossico-alcool dipendenti, dei soggetti con disagio psichico e comportamentale e di quanti abusano di psicofarmaci. Tali misure dovranno costituire protocolli operativi di azione da sottoporre periodicamente a verifica di concretezza ed effettività. Sarà assicurata un'accurata programmazione dei fabbisogni (tecnologici, di beni materiali e di servizi) che tengano conto di tutti le misure utili al contenimento del rischio e prontamente segnalata ogni condotta gestionale difforme.

In ogni caso, allorquando si verifichi la morte di persone detenute, sin nell'immediatezza dei contatti  con la competente Autorità Giudiziaria, dovrà segnalarsi l'obiettiva esigenza di disporre accertamenti autoptici.

Tutte le attività predisposte ai fini in parola dovranno essere necessariamente coordinate in chiave funzionale con le attività fondative e di aggiornamento professionale proprie della Direzione generale della formazione.

Spetterà, invero, a tale Direzione predisporre ed organizzare programmi formativi del personale, che si connotino per adeguatezza alle diverse esigenze riscontrabili nella pratica. I programmi dovranno essere strutturati in funzione di specifici obiettivi da raggiungere in tempi, modalità di attuazione, composizione multidisciplinare dei gruppi di personale in formazione, valutazione degli esiti (anche con il supporto delle esperienze più significative dei gruppi disciplinari predisposti negli Istituti).

Sia l’aspetto formativo, che quello dell’aggiornamento della professionalità acquisita dal personale amministrativo e di polizia penitenziaria, dovranno elaborare , in chiave dinamica e polifunzionale i momenti più delicati della vita detentiva, prestando particolare e attenzione alle fasi immediatamente precedenti e successive al trasferimento del detenuto, all'informazione da dare al detenuto circa il possibile trasferimento e all’acquisizione della sua opinione relativamente ai percorsi trattamentali in corso. Tale informazione appare ancora più utile nel caso di cosiddetti trasferimenti passivi, essendo questi caratterizzati da una ulteriore debolezza del soggetto detenuto, che subisce il provvedimento di trasferimento. Si ricorda in merito quanto previsto al paragrafo 17.3 delle Regole penitenziarie europee e al relativo Commento (che costituisce documento integrante le Regole stesse) relativamente all 'azione da svolgere nel caso di trasferimento reso necessario e impellente in base a esigenze di ordine e sicurezza.

II Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria si è già autorevolmente pronunziato su questi ultimi aspetti, ma i dati reali impongono una rivisitazione delle strategie poste in campo.

L' idea è quella di una formazione specifica per tutti i gli operatori, che potrebbe risultare utile anche all’affrontare il rischio di burnout per gli stessi, senza trascurare l’ interazione con gli operatori delle varie aree ed con coloro che da esterni operano nell' istituto (docenti, volontari, psicologi) e risultano impegnati altresi nello studio dei casi di suicidi posti in essere.

In stretta collaborazione e supporto ai predetti interventi delle indicate Direzioni generali dovrà porsi anche l'attività della Direzione generale del personale e delle risorse che, con riguardo al fenomeno suicidario, dovrà procedere ad una verifica funzionale dei beni dati in dotazione, cosi da individuare in via generale e preventiva ogni possibile utilizzo per scopi lesivi o autolesionisti.

In tale ottica appare opportuno prendere le mosse dalle migliori esperienze sin qui svolte in seno a codesto Dipartimento, per consolidarne l'operatività con riferimento alle seguenti funzioni:

  • studio e monitoraggio del fenomeno con rilevazione sull'uso degli psicofarmaci in carcere;
  • monitoraggio, supporto e valutazione dello stato degli Accordi regionali e locali e della loro attuazione;
  • supporto al Capo del Dipartimento nei rapporti con il Tavolo di consultazione permanente istituito nell'ambito della Conferenza Unificata per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano;
  • indicazioni in materia di formazione e addestramento del personale penitenziario con particolare riferimento al momento di ingresso del detenuto nella struttura e rivalutazioni delle dotazioni in uso ai soggetti ristretti;
  • pubblicazione di un report annuale corredala dai contributi e dalle riflessioni che si riterranno più opportune per contribuire alla conoscenza e alla comprensione dci fenomeno e delle modalità di prevenzione più efficaci.

Il Piano Nazionale sarà coordinato con le strategie di prevenzione e gestione proposte con le nuove modalità detentive ed in particolare con l'introduzione del sistema di vigilanza dinamica, donde l' urgenza di una immediata azione di verifica sulla concreta attuazione e sulle modalità di attuazione della stessa a partire dagli istituti dove continuano a registrare i episodi di violenza ed eventi auto o etero lesivi. E' infatti innegabile il rischio che in alcuni istituti la vigilanza dinamica si risolva in mera apertura delle camere detentive con sbocco sui corridoi delle sezioni, senza che si realizzi un diverso ed efficace sistema di controlli in sostituzione di quello adottato con la chiusura delle camere per il pernottamento.

Si tratta in concreto di introdurre con determinazione un sistema maggiormente flessibile in grado di attuare più efficaci forme di controllo ed anzitutto di conoscenza approfondita delle persone ristrette al fine di garantire risposte atte ad intercettare e gestire le situazioni di maggiore disagio.

Conosco l'impegno ed il sacrificio quotidiano di tutti gli operatori dell'Amministrazione penitenziaria e sono convinto che un immediato sforzo diretto a ridurre il livello di disagio della popolazione detentiva avrà una ricaduta positiva e diretta anche sulle condizioni di lavoro e sul benessere del personale tutto.

Roma, 2 maggio 2016

Andrea Orlando