Corpi di reato - Vendita all’asta di beni confiscati - Successiva revoca della misura, con ordine di restituzione di “quanto confiscato” – Diritto al recupero del valore totale del bene, per il legittimato - Spese per gli ausiliari del giudice ex artt. 155- 156 T.u. spese di giustizia - Regime

provvedimento 23 settembre 2020

In caso di revoca di una precedente misura di confisca, ai fini della restituzione all’avente diritto deve considerarsi il valore dei beni nella loro integralità, ovvero il loro equivalente monetario (se già venduti all’asta), dato dal ricavato totale della vendita, restando a carico dello Stato gli oneri accessori legati alla gestione in senso lato dei beni in dissequestro, in quanto spese di “giustizia”.

Pertanto il soggetto legittimato al recupero dei beni (o di quanto ottenuto dalla relativa dismissione) ha diritto di ripetere anche quanto prelevato per il pagamento degli ausiliari del Magistrato delegati alla vendita. Non rileva in contrario l’affluenza, al fondo unico di giustizia, delle somme già epurate dei costi destinati all’Istituto vendite giudiziarie (quali compensi per l’incarico svolto), in quanto gli articoli 155 e 156 del testo unico delle spese di giustizia addebitano in via anticipata all’Erario “le spese ed onorari agli ausiliari del Magistrato”.


Struttura di riferimento

Provvedimento 23 settembre 2020 - Sollecito stragiudiziale di restituzione di importi residui oggetto di dissequestro - Riscontro


Dipartimento per gli affari di giustizia
Direzione generale della giustizia civile
Ufficio I – Affari a servizio dell’amministrazione della giustizia
Reparto I – Servizi relativi alla giustizia civile

 

Alla Direzione Generale degli Affari giuridici e legali
Ufficio I

E p.c. All’Avvocatura distrettuale dello Stato Venezia

Oggetto: [omissis] - sollecito stragiudiziale di restituzione di importi residui oggetto di dissequestro - Riscontro
Rif. prot. Dag 73368.U dell’8.5.2020; prot. DAG n. 85781.E del 29 maggio 2020.


Con la nota indicata in oggetto (prot. Dag 73368.U dell’8.5.2020), codesta Direzione generale, premesso che il legale del sig. [omissis] ha richiesto in nome e per conto dell’assistito la restituzione di 108.197,33 euro, quale asserito residuo della maggior somma (già sequestrata, poi) confiscata per la quale la Suprema Corte, con sentenza nr. 19166 del 12.1.2018/4.5.2018, ha disposto la restituzione all’avente diritto, ha chiesto allo scrivente Ufficio di “voler comunicare eventuali valutazioni più specifiche o indicazioni di segno contrario, interessando se del caso Equitalia Giustizia e segnalando, anche alla competente Avvocatura, se sussistano margini per addivenire ad un componimento in sede stragiudiziale della questione al fine di evitare aggravi di spesa”. La questione attiene, in sostanza, alla ripetibilità di determinati importi già acquisiti con vincolo di “sequestro” (poi confisca) presso un conto intestato al FUG, a fronte del corrispettivo totale realizzato dalla vendita all’incanto, all’esito di una statuizione irrevocabile che dispone la restituzione di quanto confiscato, in favore dell’avente diritto.


Ai fini di un apporto collaborativo sui richiesti profili, si ripercorrono brevemente le vicende giudiziarie all’origine della menzionata diffida di pagamento, per come desumibili dagli atti processuali a disposizione di questa Direzione.

In forza di ordinanza del 10.2.2011 del P.M. presso il Tribunale di Vicenza (nell’ambito del proc. penale n. 534/99) è stata disposta la “vendita dell’argento composto di nr. 32 barre.. con titolo.. attualmente in sequestro preventivo a mezzo I.V.G. .. previo dissequestro per la successiva consegna agli acquirenti e nuovo vincolo di sequestro preventivo sul denaro corrispondente al prezzo della vendita” con contestuale ordine di deposito di “detto denaro .. presso un libretto di deposito giudiziario fruttifero nei modi previsti dalla legge” e con delega per l’esecuzione delle operazioni inerenti il vincolo di sequestro sulla provvista di denaro ricavata dalla vendita dell’argento, e relativo deposito giudiziario, oltre che per i connessi e conseguenti incombenti di legge, agli Ufficiali di Polizia Giudiziaria della sezione di P.G. (Guardia di Finanza presso la Procura della Repubblica di Vicenza).


Dal “verbale di sequestro e contestuale deposito della provvista sul conto corrente intestato a Fondo Unico Giustizia” redatto il 22.7.2011 dagli Ufficiali di P.G., si apprende come il ricavo della vendita di quanto in sequestro preventivo ex art. 321 cpp meglio individuato a verbale, fosse quantificabile in “complessivi euro 928.217,00 ... ottenuto con le seguenti modalità” (segue descrizione dei lotti di vendita delle barre di argento, con specifica, per il singolo lotto, dei corrispondenti “compensi di vendita comprensivi di Iva al 20%” come da fatture emesse dall’IVG di Dal Brin Lucia nei confronti della società ITALBRAS S.p.a., per un totale di euro 99.645,55) e come l’importo di euro 828.571,45, ottenuto dalla differenza fra il corrispettivo totale della vendita dell’argento e i compensi dovuti per la stessa vendita all’asta, venisse “acquisito con il vincolo di sequestro preventivo che verrà depositato a cura dell’Istituto di Credito Banca Popolare di .. sul conto corrente aperto presso il medesimo Istituto di credito ed intestato a Fondo Unico Giustizia così come previsto dal Decreto Legge 25.06.2008 n. 112” (e s.m.i.).


Dalla lettura della citata pronuncia della Suprema Corte - sulla cui base si sollecita la restituzione del controvalore totale della vendita (e quindi di un surplus rispetto all’importo già dichiaratamente ricevuto da [omissis] , di euro 813.725,14) - si evince come sulle somme in questione, pari ad euro 928.217,00 “corrispondente al ricavo della vendita di 32 barre d’argento” sia intervenuta confisca con atto dell’1.7.2015, e come il Gip presso il Tribunale di Vicenza in funzione di G.E. abbia rigettato l’opposizione ex art. 667 co. 4 cpp avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca della medesima confisca, disposta dal medesimo giudice contestualmente all’archiviazione del procedimento penale per intervenuta prescrizione dei reati contestati (vd. par.1 parte in fatto della sent. Cass. Pen. n. 19166/2018). Il giudice di legittimità, in accoglimento del ricorso del [omissis] , ha annullato senza rinvio il provvedimento gravato, disponendo la revoca della confisca e “la restituzione di quanto confiscato all’avente diritto”.


Appurato, dunque, che sull’an debeatur della restituzione si è pronunciata in via definitiva l’autorità giudiziaria, e che dal tenore sistematico e letterale di tale decisione non emergono “distinguo” in ordine al quantum delle somme confiscate suscettibile di ripetizione, e rilevato che non è consentito a questo Ufficio alcun vaglio sui presupposti e contenuti dell’attività giurisdizionale, ai soli fini di una più chiara ricostruzione fattuale del caso si osserva, alla luce delle interlocuzioni avute con Equitalia Giustizia Spa e della documentazione acquisita (prot. DAG n. 85781.E del 29 maggio 2020: allegato 1 con relativi atti acclusi), che:

  • risulta confluito sul conto corrente n. 5139 intestato al FUG l’importo di euro 828.571,45 abbinato al procedimento penale (534/1999 c/o Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza) cui inerisce l’atto di sequestro, oggetto della menzionata sentenza nr. 19166/2018;
  • risulta disposta la “restituzione” in favore della società Italbras S.p.a., ai sensi dell’art. 150 co. 4 del testo unico Spese di giustizia, di euro 14.846,307, che sembrerebbe prelevata dal citato conto corrente FUG n.5139;
  • Equitalia giustizia s.p.a. ha rappresentato di aver restituito in favore del sig. [omissis] l’importo complessivo di 819.153,82 euro (di cui 1.643,27 a titolo d’interessi), dunque un importo maggiore di quello riconosciuto dal [omissis] come già percepito, pari ad euro 813.725,14, e che nel FUG non era mai confluito il maggior importo di euro 928.217,00, corrispondente al prezzo complessivo della vendita dell’argento oggetto di sequestro preventivo.


Ciò premesso, fermo restando che non spetta a quest’Ufficio interpretare la portata di quanto statuito in una decisione dell’autorità giudiziaria, rispetto a cui resta preclusa qualsiasi ingerenza nel merito, si osserva in una logica di sistema come dall’ordinamento sia ricavabile, in linea generale, un principio di ripetibilità integrale, per il titolare del bene originariamente posto in sequestro (e/o confisca), poi dissequestrato, del bene stesso o del suo controvalore, restando a carico dello Stato, in caso di revoca della predetta misura, oneri accessori connessi alla gestione in senso ampio del bene, quali spese qualificabili di giustizia.


Sul punto può anzitutto argomentarsi per analogia di ratio dalle disposizioni del d.lgs. 159/11 (pur inerenti la materia delle misure di prevenzione nell’ambito del c.d. codice antimafia), e in particolare dall’art. 42 (recante “disciplina delle spese, dei compensi e dei rimborsi”) a mente dei cui primi tre commi, «le spese necessarie o utili per la conservazione e l’amministra­zione dei beni sono sostenute dall’amministratore giu­diziario mediante prelevamento dalle somme riscosse a qualunque titolo ovvero sequestrate, confiscate o co­munque nella disponibilità del procedimento. Se dalla gestione dei beni sequestrati o confiscati non è ricava­bile denaro sufficiente per il pagamento delle spese di cui al comma 1, le stesse sono anticipate dallo Stato, con diritto al recupero nei confronti del titolare del bene in caso di revoca del sequestro o della confisca. Nel caso sia disposta la confisca dei beni, le somme per il pagamento dei compensi spettanti all’amministrato­re giudiziario, per il rimborso delle spese sostenute per i coadiutori e quelle di cui all’articolo 35, comma 9, sono inserite nel conto della gestione; qualora la con­fisca non venga disposta, ovvero le disponibilità del predetto conto non siano sufficienti per provvedere al pagamento delle anzidette spese, le somme occorrenti sono anticipate, in tutto o in parte, dallo Stato, senza diritto al recupero. Se il sequestro o la confisca sono revocati, le somme suddette sono poste a carico dello Stato»; nonché dall’art. 46, stesso d.lgs. 159/11, regolante la “restituzione per equivalente”, ai sensi del quale 1. La restituzione dei beni confiscati .. (ad eccezione di peculiari categorie di beni di interesse culturale/paesaggistico) può avvenire anche per equivalente, al netto delle migliorie, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell’articolo 48, comma 3, del presente decreto e la restituzione possa pregiudicare l’interesse pubblico. In tal caso l’interessato nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene ha diritto alla restituzione di una somma equivalente al valore del bene confiscato come risultante dal rendiconto di gestione, al netto delle migliorie, rivalutato sulla base del tasso di inflazione annua. In caso di beni immobili, si tiene conto dell’eventuale rivalutazione delle rendite catastali2. Il comma 1 si applica altresì quando il bene sia stato venduto. 3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il tribunale determina il valore del bene e ordina il pagamento della somma, ponendola a carico: a) del Fondo Unico Giustizia, nel caso in cui il bene sia stato venduto;b) dell'amministrazione assegnataria, in tutti gli altri casi”.


Da tali previsioni si evince come in caso di revoca del sequestro (o di misura assimilabile, come in fattispecie), gli oneri collaterali – quali spese di custodia ovvero compensi per Istituti Vendite giudiziari, incaricati dello “smobilizzo” di tali beni – gravano sullo Stato, e come il titolare, legittimato alla restituzione del bene (o di quanto ottenuto dalla relativa dismissione, in caso di vendita all’asta), abbia diritto a ripetere quanto prelevato per il pagamento degli ausiliari del Magistrato. Invero, il venir meno della misura preventiva comporta un automatico effetto restitutorio del compendio (o del suo equivalente monetario) in favore del medesimo titolare, senza la necessità di un ulteriore titolo di pagamento, e tale effetto “ripristinatorio” non può che riferirsi nella sua interezza al valore del bene già sequestrato/confiscato.


Una simile lettura trova avallo, oltre che nel dato normativo – incentrato su un regime di costi a carico dello Stato (art. 42, cit. d.lgs. 159/11) e sulla ripetibilità di una “somma equivalente al valore del bene confiscato” (senza specificazioni sulla sorte dei costi di gestione dello stesso bene) laddove lo stesso non sia recuperabile in natura (cfr. art. 46, stesso d.lgs.) –, nei più recenti indirizzi giurisprudenziali assestatisi in tema di revoca di misure di prevenzione penali, sulla falsariga dei principi comunitari permeanti la materia.


In particolare, in caso di revocazione della confisca su di un bene, l’interessato ha diritto al ripristino della situazione ex ante, laddove possibile, tanto da risultare illegittimo l’impiego di somme di denaro confiscate, sia pure per la conservazione di altro bene in confisca; ciò per un basilare principio di effettività della tutela giurisdizionale, a cui necessariamente è improntato l’ordinamento interno oltre che il diritto sovranazionale e comunitario (cfr. per tutti Cass. Pen. sent. 32692 del 16 luglio 1018: colui che abbia ottenuto il provvedimento di revocazione ha diritto alla restituzione di quanto gli e’ stato confiscato e, in generale, come si desume dalla citata Sez. U, n. 57 del 19/12/2006 – dep. 08/01/2007, Auddino, al ripristino della situazione anteriore alla confisca, privata di effetti ex tunc .., non ostando .. l’irreversibilita’ dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilita’ della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita; argomentando la Suprema Corte da una lettura coerente dell’art. 46 del d.lgs. 159/11 con i parametri costituzionali e sovranazionali, che garantiscono sia la tutela della proprieta’ (articolo 42 Cost.; articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali) sia la effettivita’ della tutela giurisdizionale, principio generale del nostro ordinamento (Cost., articolo 24, 103 e 113) .. nonché dal tenore dell’art. 46 d.lgs. 159/11, il quale quando dispone al comma 1 che “la restituzione dei beni confiscati (…) puo’ avvenire anche per equivalente (…)” dimostra, in termini chiarissimi, che la regola generale e’ la restitutio in integrum e che le eccezioni sono rappresentate dai casi nei quali, per ragioni di efficiente svolgimento dei procedimenti di amministrazione dei beni confiscati, il legislatore si pone il problema della coesistenza di un interesse pubblico che giustifica il sacrificio, peraltro adeguatamente indennizzato, della pretesa restitutoria).

In favore dell’integralità della restituzione, milita anche il tenore del provvedimento del P.M. del 10.2.2011, il quale nel disporre una contestuale ri-sottoposizione a vincolo di sequestro del denaro corrispondente al prezzo della vendita, non operava eccezioni per eventuali quote del ricavato (destinabili, in ipotesi, a coprire costi accessori) o comunque distinzioni per il globale corrispettivo delle operazioni di vendita, inducendo dunque ad intendere che quanto posto in sequestro/confisca- e, successivamente, oggetto di dissequestro- investisse in toto il compendio messo all’asta.

Né sembra rivestire portata dirimente, in contrasto con una simile ricostruzione, la circostanza che nel caso concreto le somme confluite sul conto del FUG fossero già epurate dei costi destinati a compensi per l’ente incaricato della vendita giudiziaria, in quanto gli articoli 155 e 156 del testo unico delle spese di giustizia (d.P.R. n. 115/2002), testualmente, addebitano in via anticipata all’Erario “le spese ed onorari agli ausiliari del Magistrato”.


In ordine alle procedure di quantificazione e liquidazione degli importi, si rinvia ai profili di specifica competenza dei funzionari delegati individuati presso gli Uffici giudiziari; a meri fini pratici si rammenta come, una volta ricevuta l’apertura di credito, i predetti funzionari, in qualità di ordinatori secondari di spesa, provvedano all’emissione dell’ordine di pagamento agli aventi diritto.

Non si dispone, infine, di elementi precipui per indicare delle plausibili soluzioni transattive, anche in un’ottica di mera opportunità processuale, non costando peraltro a questo Ufficio la consistenza o serialità di eventuali casi analoghi, né gli sbocchi contenziosi che gli stessi potrebbero sortire.

Tanto si rappresenta alla S.V., restando a disposizione per eventuali ulteriori attività ritenute utili.

Cordialità.

Roma, lì 23 settembre 2020

Il direttore Generale
Giovanni Mimmo