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Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 28 maggio 2013 - Ricorso n.46470/11 - Parrillo c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 46470/11

Adelina PARRILLO

contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 28 maggio 2013 in una camera composta da:

Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra citato presentato il 26 luglio 2011,

Vista la decisione di trattare con priorità il ricorso ai sensi dell'articolo 41 del regolamento della Corte.

Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

La ricorrente, sig.ra Adelina Parrillo, è una cittadina italiana nata nel 1954 e residente a Roma. Dinanzi alla Corte è rappresentata dagli avvocati Nicolò Paoletti e Claudia Sartori del foro di Roma.

  1. Le circostanze del caso di specie
    I fatti della causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
    • Nel 2002 la ricorrente ed il suo compagno fecero ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Grazie a questa tecnica furono ottenuti cinque embrioni.
    • Il 12 novembre 2003 il compagno della ricorrente decedette.
    • La ricorrente avrebbe voluto donare gli embrioni creati in vitro per la ricerca scientifica al fine di contribuire, tramite alcune cellule staminali, allo studio di terapie per le malattie difficilmente curabili.
    • Tuttavia, l’articolo 13 della legge n. 40 del 19 febbraio 2004 (legge n. 40/2004, si veda la parte «Diritto interno pertinente») vieta la sperimentazione sugli embrioni umani, anche se finalizzata alla ricerca scientifica, prevedendo la pena della reclusione da due a sei anni in caso di violazione.
    • La ricorrente sostiene che gli embrioni in questione sono stati creati in epoca precedente a quella dell'entrata in vigore della legge sopra citata. Così, in maniera del tutto regolare aveva potuto mettere in crioconservazione gli embrioni senza procedere al loro impianto immediato (si veda l'articolo 14 della legge n. 40/2004).
  2. Il diritto interno ed europeo pertinente
    1. La Convenzione del Consiglio d'Europa sui diritti dell'uomo e la biomedicina («Convenzione di Oviedo») del 4 aprile 1997

      • Articolo 18 – Ricerca sugli embrioni in vitro

        • «Quando la ricerca sugli embrioni in vitro è ammessa dalla legge, quest'ultima assicura una protezione adeguata all'embrione.
          La costituzione di embrioni umani a fini di ricerca è vietata.»
    2. La legge n. 40 del 19 febbraio 2004 («Norme in materia di fecondazione medicalmente assistita»)

      • Articolo 13 - Sperimentazione sugli embrioni umani

        • «1. È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.
        • 2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.
        • 3. (...)
        • 4. La violazione dei divieti di cui al comma 1 è punita con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro (...)
        • 5. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo.»
      • Articolo 14 - Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni

        • « 1. È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza).
        • 2. (...)
        • 3. Qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile.»
    3. Il decreto del Ministero della Salute dell'11 aprile 2008 («Linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita»)

      • «(...) Crioconservazione degli embrioni: (...)Si dovranno considerare due diverse tipologie di embrioni crioconservati: la prima, quella degli embrioni che sono in attesa di un futuro impianto, compresi tutti quelli crioconservati prima dell'entrata in vigore della legge n. 40/2004, e la seconda, quella degli embrioni per i quali sia stato accertato lo stato di "abbandono" (…).»
    4. Con decreto del 25 giungo 2009, il Ministro della Salute ha nominato una «Commissione di studio sugli embrioni crioconservati nei centri di procreazione medicalmente assistita». Nella relazione finale di tale commissione, adottata a maggioranza l'8 gennaio 2010, è esposto quanto segue:

      • «Il divieto legale di soppressione degli embrioni induce a ritenere che la crioconservazione possa essere interrotta solo in due casi: quando si possa impiantare l’embrione scongelato nell’utero della madre o comunque di una donna disposta ad accoglierlo o quando sia possibile accertarne scientificamente la morte naturale o la definitiva perdita di vitalità come organismo. Allo stato attuale delle conoscenze, per accertare la perdurante vitalità dell’embrione è necessario però scongelarlo, il che ci pone di fronte ad un paradosso, dato che una volta scongelato l’embrione non può essere congelato una seconda volta e se non si provvede ad un suo immediato impianto in utero, se ne causa inevitabilmente la sua morte. Di qui la prospettiva tuzioristica di una possibile conservazione a tempo indeterminato degli embrioni congelati. È da ritenere però che il progresso della ricerca scientifica consentirà di individuare criteri e metodologie per diagnosticare la morte o comunque la perdita di vitalità degli embrioni crioconservati: si arriverà così a superare l’attuale paradosso, legalmente inevitabile, di una crioconservazione che potrebbe non avere mai un termine. In attesa che a tanto si giunga e che si possa ben presto stabilire quando sia divenuto privo di senso il prolungamento della conservazione degli embrioni in stato di congelamento, ribadisce che non è possibile non far riferimento all’esplicita prescrizione dell’art. 141 della L. 40/2004, che vieta comunque la soppressione degli embrioni, quindi anche di quelli tra essi che siano crioconservati. Non solo, ancor più dirimente è il fatto che il legislatore della legge 40 già postosi il problema della sorte degli embrioni soprannumerari, ha optato inequivocabilmente per la loro conservazione e non per la loro distruzione, con ciò cristallizzando normativamente una ratio preferenziale verso una loro tenuta in vita, anche quando fosse incerto il loro destino.»
    5. Con sentenza del 18 ottobre 2011 (C-34/10 Oliver Brüstle / Greenpeace eV) emessa su rinvio pregiudiziale della Corte federale di giustizia (Bundesgerichtshof) tedesca, la Corte di giustizia dell'Unione europea si è espressa sull'interpretazione della direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 relativa alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (JO L 213, p. 13). La parte della direttiva in causa era soprattutto quella che, temperando il principio secondo il quale gli usi di embrioni umani a fini «industriali o commerciali» non sono brevettabili, precisa che tale esclusione non riguarda le invenzioni a finalità terapeutiche o diagnostiche che si applicano e che sono utili all'embrione umano». La Corte si è espressa in particolare su tre questioni:
      1. l'ampiezza della nozione di «embrione umano»,
      2. il campo di applicazione della direttiva in causa e
      3. la brevettabilità di una invenzione quando le sue tappe richiedono la distruzione di embrioni umani.
      Sulla prima questione, la Corte di giustizia ha risposto che la nozione di «embrione umano» deve essere intesa in senso ampio, che comprende «qualsiasi ovulo umano fin dalla fase della sua fecondazione, l'ovulo umano non fecondato nel quale è stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e l'ovulo umano non fecondato che è stato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi».
      Sulla questione del campo di applicazione della direttiva in causa, la Corte ha precisato innanzitutto che tale direttiva non si prefigge di regolamentare l'uso di embrioni umani nell'ambito di ricerche scientifiche limitando invece il suo oggetto alla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche. La Corte ha poi ritenuto che le invenzioni che prevedono l'uso di embrioni umani rimangono escluse da qualsiasi brevettabilità anche quando possono essere finalizzate alla ricerca scientifica (non potendo, in materia di brevetti, distinguere finalità di questo tipo dalle altre a fini industriali e commerciali), ma che non sono interessate da questa esclusione le invenzioni che prevedono l'«uso per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all'embrione umano e sia utile a quest'ultimo».
      Per quanto riguarda la terza questione, la Corte ha ritenuto di dover escludere qualsiasi brevettabilità dell'invenzione qualora l'«insegnamento tecnico» oggetto della domanda di brevetto richieda in via preliminare - anche se la sua descrizione non lo menzioni - la distruzione di embrioni umani o il loro uso come materiale di partenza, qualunque sia la fase in cui questi ultimi intervengano.
    6. Da un esame della legislazione in materia di ricerca scientifica sugli embrioni umani in Europa risulta che, su tredici Stati europei (Italia, Irlanda, Regno Unito, Portogallo, Spagna, Germania, Repubblica Ceca, Svizzera, Francia, Grecia, Lituania, Finlandia e Svezia), tre prevedono un divieto generale di utilizzare degli embrioni per finalità di ricerca scientifica (Italia, Irlanda e Germania). Negli altri Stati la legislazione permette tale pratica, soprattutto per quanto riguarda gli embrioni soprannumerari (ossia, quelli che, creati nell'ambito di una fecondazione in vitro, alla fine non vengono utilizzati), assoggettandoli ad alcune condizioni (ad esempio, che la coppia interessata vi acconsenta o che la ricerca sia effettuata entro un determinato periodo di vita degli embrioni).

MOTIVI DI RICORSO

  1. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, la ricorrente lamenta il fatto che la legge n. 40/2004 le impedisca di donare i suoi embrioni per finalità di ricerca scientifica, obbligandola a mantenerli in stato di crioconservazione fino alla loro estinzione.
  2. Dal punto di vista dell'articolo 10 della Convenzione, la ricorrente lamenta inoltre che il divieto di poter donare gli embrioni in causa violerebbe la libertà di espressione, di cui la libertà della ricerca scientifica costituirebbe un aspetto fondamentale.
  3. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, la ricorrente vede infine in tale divieto una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata.

IN DIRITTO

  1. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, la ricorrente lamenta il fatto che la legge n. 40/2004 le vieti di donare i suoi embrioni per finalità di ricerca scientifica, obbligandola a mantenere questi ultimi in uno stato di crioconservazione fino alla loro estinzione. L'articolo in causa è così formulato:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
    Allo stato attuale, la Corte non si ritiene in grado di pronunciarsi sulla ricevibilità di questo motivo di ricorso e giudica necessario comunicare questa parte del ricorso al governo convenuto, conformemente all'articolo 54 § 2 b) del suo regolamento.
  2. Dal punto di vista dell'articolo 10 della Convenzione, la ricorrente lamenta inoltre che il divieto di poter donare gli embrioni in causa violerebbe la libertà di espressione, di cui la libertà della ricerca scientifica costituirebbe un aspetto fondamentale. Questo articolo dispone inoltre:

    • « 1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
    • 2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.»
      Non escludendo che l'eventuale uso degli embrioni in causa potrebbe essere utile per la ricerca scientifica e che quest'ultima può costituire una forma di libertà di comunicazione delle informazioni, la Corte rileva che, così come formulato dalla ricorrente, il motivo di ricorso verte su un diritto di cui sono titolari gli operatori del settore, ossia i ricercatori e gli scienziati e indirettamente la ricorrente. Quest'ultima non può considerarsi vittima rispetto al motivo che solleva, questa parte del ricorso deve pertanto essere rigettata per incompatibilità ratione personae con la Convenzione, ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  3. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, la ricorrente considera il divieto in causa una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata. Questo articolo è così formulato nelle sue parti pertinenti:

    • «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata (...).
    • 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

Allo stato attuale, la Corte non si ritiene in grado di pronunciarsi sulla ricevibilità di questo motivo di ricorso e, conformemente all'articolo 54 § 2 b) del suo regolamento, giudica necessario comunicare questa parte del ricorso al governo convenuto.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

Rinvia l’esame dei motivi di ricorso della ricorrente basati sugli articoli 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e 8 della Convenzione;

Dichiara il ricorso irricevibile per il resto.

Stanley Naismith
Cancelliere

Danutė Jočienė
Presidente