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Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 ottobre 2018 - Ricorso n. 55080/13 - Causa Provenzano contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA PROVENZANO c. ITALIA
(Ricorso n. 55080/13)

SENTENZA

STRASBURGO
25 ottobre 2018

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni previste dall’articolo 44 § 2 della Convenzione Può subire modifiche di forma.

Nella causa Provenzano c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

  • Linos-Alexandre Sicilianos, Presidente,
  • Kristina Pardalos,
  • Guido Raimondi,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Ksenija Turković,
  • Armen Harutyunyan,
  • Jovan Ilievski, giudici,
  • e Renata Degener, cancelliere di Sezione aggiunto,

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 25 settembre 2018,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 55080/13) proposto contro la Repubblica italiana con il quale il figlio e la moglie di un cittadino italiano, il Sig. Bernardo Provenzano (“il ricorrente”), hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Il ricorso è stato presentato in data 25 luglio 2013 nell’interesse del ricorrente, che è deceduto in data 13 luglio 2016. L’11 agosto 2016 il figlio del ricorrente, Sig. Angelo Provenzano, ha espresso la volontà di proseguire il procedimento dinanzi alla Corte.
2.  Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato R.A. Di Gregorio, del foro di Palermo. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, Sig.ra E. Spatafora, e dal suo agente aggiunto, Sig.ra M.L. Aversano.
3.  Il ricorrente ha lamentato, in particolare, di non aver ricevuto adeguate cure mediche in carcere e che la protrazione dell’applicazione del regime detentivo speciale cui era sottoposto, nonostante il suo stato di salute, violava i suoi diritti di cui all’articolo 3 della Convenzione.
4.  In data 6 luglio 2016 sono state comunicate al Governo le doglianze ai sensi dell’articolo 3 e il ricorso è stato dichiarato irricevibile per il resto in applicazione dell’articolo 54 § 3 del Regolamento della Corte.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5.  Il ricorrente è nato nel 1933 ed è stato detenuto a Milano fino al momento della morte, avvenuta nel 2016.

A. Il contesto della causa

6.  Il ricorrente, che era stato latitante per oltre quarant’anni, era arrestato in data 11 aprile 2006.

7.  Il ricorrente era stato sottoposto a diversi procedimenti penali, in esito ai quali aveva riportato più condanne alla pena detentiva dell’ergastolo per  reati quali la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, la strage, plurimi omicidi, il tentato omicidio aggravato, il traffico di sostanze stupefacenti, il sequestro di persona, l’estorsione, il furto aggravato, e il possesso illegale di armi da fuoco.

8.  All’epoca della presentazione del ricorso alla Corte erano in corso ulteriori procedimenti penali a carico del ricorrente. Nell’ambito di uno di tali procedimenti, in data 7 dicembre 2012 il giudice dell’udienza preliminare  (in prosieguo “il GUP”) del Tribunale di Palermo disponeva una perizia dello stato di salute del ricorrente, al fine di valutare la sua capacità di comprendere e partecipare coscientemente all’udienza preliminare.

9. Il 12 dicembre 2012 i periti nominati dal tribunale effettuavano un primo esame. Non erano tuttavia in grado di compiere ulteriori accertamenti, in quanto il 17 dicembre 2012 il ricorrente era sottoposto a un intervento chirurgico per rimuovere un ematoma subdurale ed era successivamente ricoverato in rianimazione (si veda il paragrafo 25 infra). Sulla base del primo esame svolto prima dell’intervento chirurgico e dei precedenti referti medici del ricorrente, i periti dichiaravano comunque che il ricorrente aveva dimostrato una ridotta consapevolezza e reattività in relazione all'ambiente circostante, nonché una limitata capacità di espressione.

10. Con ordinanza dell’8 gennaio 2013 il GUP disponeva il rinvio del procedimento a carico del ricorrente in attesa che egli si riprendesse  dall'intervento.

11. A seguito del documentato miglioramento delle sue condizioni, il GUP disponeva una nuova perizia, che fu effettuata il 1 marzo 2013. I periti concludevano che la situazione cognitiva del ricorrente inficiava la sua capacità di relazionarsi con il mondo esterno e di comunicare in modo congruo e proficuo. Concludevano quindi che il ricorrente non era in grado di partecipare coscientemente all’udienza preliminare.

12. Con ordinanza del 5 marzo 2013 il GUP sospendeva il procedimento a carico del ricorrente.

13. Il 21 maggio 2014 il Giudice tutelare del Tribunale di Milano emetteva un decreto di tutela nominando il figlio del ricorrente, Angelo Provenzano, suo amministratore di sostegno. Il giudice osservava che il figlio del ricorrente era stato precedentemente nominato tutore del padre in seguito alla condanna di quest’ultimo alla pena dell’ergastolo e alla conseguente incapacità giuridica derivante da tale pena nel diritto interno. Ai fini del procedimento di cui era investito, il giudice conferiva al figlio del ricorrente la facoltà di prendere decisioni in ordine alle cure sanitarie e alle esigenze di assistenza personale del padre. Il giudice autorizzava inoltre il figlio del ricorrente a ricevere le notifiche giudiziali e stragiudiziali e a provvedere al conferimento di eventuali mandati difensivi relativi a procedimenti civili e penali. In data 27 maggio 2014 Angelo Provenzano giurava assumendo l’ufficio di amministratore di sostegno del ricorrente.

14.  Il ricorrente è stato detenuto in diverse strutture carcerarie  italiane. Dalla documentazione agli atti risulta che è stato detenuto nella Casa circondariale di Novara da una data imprecisata al 27 aprile 2011, data in cui è stato trasferito nella Casa di reclusione di Parma. In  data 7 giugno 2013 è stato ricoverato nel reparto protetto dell’Ospedale Generale di Parma, dove rimaneva fino al trasferimento al Centro diagnostico terapeutico della Casa di reclusione di Milano-Opera, avvenuto in data 5 aprile 2014. In data 9 aprile 2014 era ricoverato nella Divisione di medicina protetta dell’Ospedale San Paolo di Milano, dove rimaneva fino alla morte.

B. La salute del ricorrente, le cure mediche dispensategli e gli altri fatti pertinenti relativi alle sue condizioni carcerarie

15. Il ricorrente era affetto da diverse patologie croniche, tra le quali vi erano l’encefalopatia vascolare, l’epatopatia HCV correlata (virus dell’epatite C), il morbo di Parkinson e l’ipertensione arteriosa. Dalle sue cartelle cliniche risulta che è stato sottoposto a prostatectomia radicale nel 2003 e a parziale tiroidectomia in data imprecisata. Le condizioni cliniche del ricorrente erano caratterizzate anche dal decadimento delle funzioni cognitive.

16. Il diario clinico penitenziario relativo al periodo compreso tra il maggio 2011 e l’aprile 2013 dimostra che la salute del ricorrente era monitorata regolarmente dal personale medico e infermieristico dell’unità sanitaria della Casa di reclusione di Parma. Oltre a tale monitoraggio, vi è un referto redatto da medici cui era stato chiesto di visitare il ricorrente quando lo stesso aveva lamentato disturbi specifici o quando erano stati invitati a farlo dal personale infermieristico.

17. Il diario clinico penitenziario dimostra che nel corso dello stesso periodo erano organizzate e svolte un elevato numero di visite mediche specialistiche. Il ricorrente era visitato da cardiologi, specialisti in malattie infettive, urologi, endocrinologi, otorinolaringoiatri, pneumologi, ortopedici, fisiatri e specialisti della nutrizione, e la maggior parte delle visite mediche era svolta su base regolare. Aveva beneficiato anche della consultazione di diversi chirurghi.

18. Era stato sottoposto anche a numerosi esami diagnostici, che andavano dalle analisi emocromocitometriche di routine e agli ecocardiogrammi a varie ecografie (renale, tiroidea e addominale), TAC (tomografia assiale computerizzata), PET (tomografia a emissione di positroni),  PSA (antigene specifico prostatico), raggi X e colonscopie.

19. Con specifico riguardo alla situazione neurologica del ricorrente, il diario clinico dimostra che era stato visitato più volte da un neurologo, da uno psichiatra e da uno psicologo e che erano stati eseguiti degli esami.

20. Ogni annotazione sul diario clinico da parte del personale medico penitenziario comprende una sezione relativa al piano terapeutico per gestire le patologie croniche del ricorrente, i problemi di salute derivanti dalle pregresse prostatectomia e tiroidectomia e gli altri problemi di salute emergenti, con i relativi dosaggi dei farmaci e un verbale dei farmaci somministrati.

21.  Il 17 ottobre 2012 un medico del reparto sanitario protetto del carcere rilevava un aumento della pressione sanguigna del ricorrente e ne  disponeva il trasferimento al pronto soccorso dell’ospedale civile di Parma, dove gli era diagnosticata una crisi ipertensiva. Erano eseguiti una TAC e altri esami diagnostici e il ricorrente era visitato da medici specialisti. Il neurologo che ha visitato il ricorrente lo definiva un soggetto affetto da deterioramento cognitivo su base vascolare. A seguito del miglioramento delle sue condizioni generali, il 19 ottobre 2012 egli era dimesso.

22. Il 3 dicembre 2012 il medico di turno disponeva il trasferimento del  ricorrente all'ospedale civile di Parma, in quanto sembrava disorientato e si rifiutava di alimentarsi e di assumere i farmaci prescritti. Il medico di turno riferiva anche che il ricorrente era caduto, senza riportare conseguenze, ma rilevava che si trattava di una di oltre quattro cadute accidentali che si erano verificate.
La cartella sanitaria dell’ospedale civile indica che era eseguita un’ecografia e che il ricorrente era visitato da un neurologo, da uno psichiatra e da uno specialista della nutrizione. Il neurologo che lo visitava il 3 dicembre rilevava segnali di un iniziale decadimento cerebrale attribuibili a cause degenerative e vascolari, e il neurologo che lo visitava il giorno successivo riscontrava un probabile deterioramento cognitivo su base vascolare. Il ricorrente era dichiarato in condizioni di essere dimesso il 7 dicembre 2012.

23. Il 12 dicembre 2012 un agente penitenziario chiamava il medico di turno e gli comunicava che il ricorrente era scivolato nella sua cella ed era caduto. Definiva il paziente vigile e parzialmente collaborante, benché il suo eloquio verbale non fosse facilmente comprensibile. Visitava il ricorrente e controllava se vi fossero eventuali segni di traumi e non ne riscontrava alcuno, esaminava le sue pupille, che erano isocoriche, isocicliche e reattive alla luce. Concludeva che non era rilevabile alcun deficit neurologico. Esaminava inoltre, tra l’altro, la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e il livello glicemico ematico del ricorrente. Sebbene non fossero state registrate ripercussioni degne di nota, il medicò suggeriva, tra l’altro, che il ricorrente fosse collocato in cella con un compagno in modo da garantire, tra altre cose, la segnalazione tempestiva dell’eventuale peggioramento delle sue condizioni. Il medico raccomandava inoltre che la cella fosse dotata di un letto munito di sponde.

24. Il 15 dicembre 2012 l’infermiera di turno riferiva che il ricorrente era caduto dal letto mentre dormiva. Il medico di turno lo visitava e lo trovava attento, collaborante e orientato. Il medico annotava la presenza di lesioni che descriveva come dei minimi lividi al di sopra dell’occhio destro del ricorrente e riferiva normali parametri vitali. Visitava il ricorrente in un'altra occasione lo stesso giorno, riferiva normali valori cardiorespiratori e ordinava all’infermiera di monitorare i parametri vitali.

25. Il 17 dicembre 2012 l’infermiera di turno chiamava il medico, in quanto il ricorrente non rispondeva agli stimoli vocali o dolorosi. Era trasferito al pronto soccorso dell’ospedale civile di Parma, dove era sottoposto a un intervento urgente per rimuovere un ematoma subdurale. Era quindi ricoverato nel reparto di lungodegenza dell’ospedale e successivamente nella sua divisione di medicina protetta.

26. Nel formulario di ricorso è dichiarato che il difensore del ricorrente aveva presentato una denuncia al pubblico ministero di Parma, sostenendo, tra l’altro, che la Direzione del carcere non aveva fornito al ricorrente cure adeguate e che lo stesso non aveva ricevuto assistenza medica successivamente alla caduta del 15 dicembre 2012. Non vi sono tuttavia dettagli specifici sulla data di presentazione di tale denuncia e non sono state fornite informazioni sull’esito della stessa.

27. Il 18 febbraio 2013 i medici dell’ospedale stabilivano che il ricorrente poteva essere dimesso.

28. Il 26 febbraio 2013 due medici del reparto di medicina protetta effettuavano un'ispezione al fine di valutare se i locali in cui il ricorrente sarebbe stato collocato al suo ritorno fossero compatibili con le sue esigenze sanitarie e assistenziali.

29. In pari data la direzione del carcere emetteva un rapporto che sintetizzava le modifiche strutturali già apportate in vista del ritorno del ricorrente - come l’installazione di un nuovo letto dotato di sponde - e le modifiche programmate. Tali modifiche comprendevano, tra l’altro, un intervento sull’impianto elettrico, pianificato per lo stesso giorno, al fine di collegare un materasso speciale finalizzato a prevenire le piaghe da decubito e installare una bombola di ossigeno per le emergenze mediche.

30. Il 1 marzo 2013 il reparto di medicina protetta predisponeva un piano di assistenza personalizzato in vista del ritorno del ricorrente. Il piano descriveva le esigenze generali e specifiche del ricorrente e comprendeva un calendario di visite mediche regolari, un programma di nutrizione e idratazione e un programma finalizzato a prevenire  le piaghe da decubito e le altre conseguenze di un lungo periodo di riposo a letto. Erano richieste e programmate visite mediche specialistiche per seguire le condizioni sanitarie del ricorrente. Il piano di assistenza riguardava anche l’assistenza necessaria al ricorrente per compiere atti quotidiani che non era più in grado di svolgere, come la cura quotidiana della propria igiene personale. Prevedeva anche la gestione dell’incontinenza e orari programmati per il cambio dei relativi pannoloni, con la previsione di ulteriori cambi in funzione delle sue esigenze.

31. Il 5 marzo 2013 il ricorrente era trasferito nuovamente nella Casa di reclusione di Parma. Il diario clinico decorrente da tale data alla data del suo trasferimento all'ospedale civile di Parma dimostra che, oltre alle cure per le sue patologie croniche, il ricorrente beneficiava di sedute di fisioterapia finalizzate a migliorare la sua mobilità, accompagnate dalla mobilizzazione passiva, anche durante la notte, per prevenire la formazione di piaghe da decubito.

32. Il 7 giugno 2013 il ricorrente era ricoverato all’ospedale civile di Parma. Gli erano diagnosticate un’infezione batterica e un’infezione da candida. A seguito della consultazione di uno specialista in malattie infettive, gli era prescritta una terapia. Rimaneva ricoverato all’ospedale civile fino al suo trasferimento, avvenuto il 5 aprile 2014. La documentazione agli atti indica che, nel corso del ricovero, il ricorrente era sottoposto a visite mediche quotidiane, a visite mediche specialistiche periodiche e a esami diagnostici.

33. Il 29 giugno 2013 il figlio del ricorrente presentava una denuncia alla Procura di Parma, sostenendo che suo padre non era curato adeguatamente, in quanto la sua biancheria intima, consegnata dalla Casa di reclusione il 22 giugno 2013, era macchiata di fluidi corporei. Le parti non fornivano alcuna informazione sull’esito di tale procedimento.

34. Il 10 ottobre 2013 la Direzione della Casa di reclusione di Parma presentava una relazione sul ricorrente all’Ufficio della Direzione generale detenuti e trattamento competente per i detenuti di cui “all’articolo 41 bis “. La relazione attestava che il 26 febbraio 2013 le autorità sanitarie locali avevano svolto un'ispezione (si veda il paragrafo 28 supra). Certificava inoltre e forniva la documentazione che dimostrava che gli assistenti sanitari e gli infermieri avevano curato quotidianamente l’igiene personale del ricorrente a decorrere dal 5 marzo 2013, in conformità alle disposizioni previste nel piano di assistenza personalizzato (si veda il paragrafo 30 supra).

35. Il 23 dicembre 2013 l’ospedale di Parma presentava una relazione che aggiornava la Direzione della Casa di reclusione di Parma sulla situazione clinica del ricorrente. Il medico che redigeva la relazione diagnosticava al ricorrente un grave deterioramento cognitivo, sottolineava la necessità che fosse allettato a causa di una sindrome ipocinetica e lo dichiarava totalmente dipendente dagli altri.
La situazione neurologica del ricorrente era definita stabile ma deteriorata. La sua espressione verbale, quando presente, era caratterizzata dalla produzione di alcuni vocalizzi incomprensibili, il che significava che il medico che aveva redatto la relazione aveva avuto difficoltà a valutare il suo grado di comprensione.
Il ricorrente era alimentato e idratato artificialmente mediante un sondino naso-gastrico, che era stato applicato  il 6 settembre 2013 a causa della sua confermata incapacità di alimentarsi.

36. Il 29 gennaio 2014 il Pronto soccorso dell’Ospedale Generale di Parma presentava una relazione per aggiornare il Direttore della Casa di reclusione di Parma sulla situazione clinica del ricorrente. La prima parte della relazione ripeteva principalmente le conclusioni della relazione del 23 dicembre 2013. Un'altra parte si concentrava sulle condizioni cognitive del ricorrente. A tale riguardo, il medico che redigeva la relazione affermava che durante le visite mediche il ricorrente rispondeva talvolta a domande semplici quando veniva stimolato verbalmente, ma il suo eloquio era per lo più incomprensibile.

37. Il 19 marzo 2014 l’Ospedale Generale di Parma presentava un’altra relazione per aggiornare la Direzione della Casa di reclusione di Parma sulla situazione clinica del ricorrente. I medici che redigevano la relazione individuavano, tra l’altro, la progressiva atrofia dell’apparato muscolare e la presenza di piccole lesioni causate da piaghe da decubito. La sua situazione neuro-cognitiva era rimasta invariata. Quando era addormentato si svegliava se era stimolato. Pronunciava raramente parole comprensibili e svolgeva compiti elementari quando era stimolato. Il suo eloquio verbale, quando presente, era definito incomprensibile. Il medico che redigeva la relazione confermava la conclusione della precedente relazione secondo la quale il ricorrente era totalmente dipendente dagli altri per qualsiasi atto. A partire dal momento in cui era stato inserito il sondino nasogastrico era stato garantito il necessario apporto calorico quotidiano, con conseguente miglioramento del suo stato nutritivo e del peso.

38. Il 5 aprile 2014 il ricorrente era dimesso dall’ospedale generale di Parma. In pari data era trasferito al Centro diagnostico terapeutico della Casa di reclusione di Milano Opera e doveva essere trasferito all’Ospedale San Paolo per essere visitato, tra l'altro, da un neurologo e da un oncologo, per rivalutare la strategia di supporto nutrizionale artificiale e in generale le terapie cui era sottoposto.

39. Il 9 aprile 2014 il ricorrente era trasferito all’ospedale San Paolo di Milano, dove rimase fino alla morte.

40. Dagli atti si evince chiaramente che, durante il periodo di ricovero presso l'Ospedale San Paolo, il ricorrente era sottoposto a visite mediche quotidiane, a visite mediche specialistiche periodiche e a un’ampia gamma di esami (analisi emocromocitometriche di routine, regolare controllo della glicemia, monitoraggio renale, epatico e della funzionalità tiroidea, della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e monitoraggio quotidiano  dell'idratazione, nonché esami diagnostici come la TAC). È provato che il ricorrente riceveva cure per le piaghe da decubito ed sottoposto a terapie finalizzate a prevenire l’aggravamento del problema, a cure per le infezioni urinarie connesse alla protratta applicazione di un catetere, a cure per i problemi intestinali e ad adeguamenti dell’idratazione e del supporto nutrizionale di cui beneficiava.

41. L’11 aprile 2014 il ricorrente era sottoposto a visita neuropsicologica da parte di un medico specialista dell’Ospedale San Paolo. Era definito un paziente vigile ma che non eseguiva quanto gli era chiesto, a parte compiti molto semplici. Il medico che redigeva la relazione dichiarava, inter alia, che se il ricorrente era lasciato da solo esprimeva frasi scarsamente comprensibili prive di un quadro e di una struttura grammaticale. Una delle conclusioni cui perveniva il medico era che la mancanza di collaborazione da parte del ricorrente non permetteva di valutare e quantificare la sua capacità  cognitiva.

42. L’11 giugno 2014 il direttore del reparto in cui era ricoverato il ricorrente presentava una relazione per aggiornare il Tribunale di sorveglianza di Roma (“il Tribunale di Roma”) sulla situazione clinica del ricorrente. Il medico che redigeva la relazione confermava le conclusioni della relazione della Direzione dell’Ospedale Generale di Parma del 19 marzo 2014 in ordine alla situazione neuro-cognitiva del ricorrente, che definiva gravemente compromessa, nonché la sua progressiva atrofia muscolare, mancanza di mobilità e totale dipendenza dagli altri. Il medico che redigeva la relazione concludeva che le condizioni cliniche del ricorrente si erano gravemente deteriorate e le sue condizioni erano in peggioramento. In ordine alla nutrizione, oltre che mediante il sondino nasogastrico, il supporto nutrizionale artificiale doveva essere fornito mediante l’accesso venoso centrale. Secondo il medico, alla luce delle attuali condizioni di salute, il ricorrente poteva essere curato adeguatamente in un reparto di lungodegenza ospedaliero. I medici certificavano che la struttura in cui era stato ricoverato era dotata del personale medico e delle attrezzature necessarie per fornire cure e terapie adeguate e raccomandavano che rimanesse in ospedale.

43. L’8 agosto 2014 due periti medici indipendenti nominati dal Tribunale di Milano presentavano una relazione. Era stato chiesto ai periti di fornire una valutazione dello stato di salute generale del ricorrente e di precisare, inter alia, se poteva essere curato adeguatamente nel reparto ospedaliero in cui era attualmente detenuto.
A seguito dell'esame di una sintesi della sua storia clinica, delle sue cartelle cliniche e di altri documenti sanitari, i periti redigevano una relazione sul loro esame del ricorrente, che dichiaravano ricoverato nella Divisione di Medicina interna, nel reparto protetto dell’ospedale riservato all’articolo 41 bis. Dichiaravano che era allettato e rilevavano che era legato a causa dei tentativi di togliersi il sondino naso-gastrico. Non era possibile valutare la sua espressione verbale e il suo eloquio; quando veniva salutato pronunciava parole incomprensibili per i periti e anche per il personale sanitario con cui aveva rapporti quotidiani. Il suo stato di coscienza era esaminabile soltanto in termini di vigilanza o sonno, e non era possibile valutare in modo definitivo il suo orientamento spazio-temporale né  le sue funzioni cognitive. Era difficile valutare il suo livello di collaborazione a causa dell’incomprensibilità della sua produzione verbale.
I periti definivano la situazione clinica del ricorrente complessa e caratterizzata da plurime patologie, nessuna delle quali in fase acuta. Le patologie che comportavano le maggiori conseguenze funzionali erano individuate nella sindrome extrapiramidale e nel grave decadimento cognitivo. Il fatto che il ricorrente trascorresse tutto il tempo allettato, la sua necessità di essere alimentato artificialmente  e di un catetere vescicale permanente erano condizioni permanenti non suscettibili di  miglioramento. I periti ribadivano la sua totale mancanza di autonomia in ordine alle funzioni elementari della vita quotidiana, e sottolineavano la sua necessità di essere costantemente assistito per la nutrizione, l’idratazione, l’igiene personale e per prevenire le complicazioni connesse ai lunghi periodi di immobilità a letto. Dichiaravano che la sua situazione cognitiva era peggiorata rispetto al precedente esame neuropsicologico (si veda il paragrafo 41 supra).
In ordine alla protrazione del ricovero del ricorrente in ospedale - seppur in un reparto protetto - e all’adeguatezza delle cure ricevute, i periti ritenevano che l’ospedale di San Paolo garantisse un eccellente livello di cure e la presenza di specialisti in grado di garantire interventi tempestivi in caso di complicazioni. L’assenza del tipo di trattamento che il ricorrente riceveva in quel periodo ne avrebbe comportato la morte in brevissimo tempo.

44. In un bollettino medico dell’11 agosto 2014 presentato dall’Ospedale San Paolo alla Direzione della Casa di reclusione di Milano-Opera, il medico che redigeva il bollettino definiva la situazione del ricorrente stabile e ribadiva la presenza di un grave declino cognitivo che aveva reso il ricorrente incapace di relazionarsi con il mondo esterno e di prendersi cura di sé.

45. Tali ultimi risultati erano confermati in una successiva relazione redatta il 17 settembre 2014.

46. I medici dell’Ospedale San Paolo di Milano emettevano diversi altri bollettini tra l’aprile 2015 e il marzo 2016. La situazione clinica del ricorrente era definita in generale stabile, benché caratterizzata dal progressivo peggioramento delle funzioni neurologiche (relazione del 12 giugno 2015) ed era segnalato anche il grave deterioramento delle funzioni cognitive (relazione del 17 marzo 2016). Il ricorrente era stato allettato per l’intero periodo ed era idratato e alimentato totalmente mediante un sondino naso-gastrico.

47. Secondo i più recenti bollettini medici agli atti, emessi dall’ospedale San Paolo di Milano in data 9 e 13 luglio 2016, le condizioni cliniche del ricorrente si erano gravemente deteriorate ed egli era entrato in fase pre-terminale. La relazione del 13 luglio 2016 dichiara che era stato permesso ai parenti del ricorrente di accedere alla sua stanza ed egli decedeva lo stesso giorno.

C. I procedimenti interni relativi alla salute e alla detenzione del ricorrente

48.  Dal fascicolo risulta che, durante la detenzione del ricorrente a Parma e a Milano, i suoi difensori presentavano istanze a diversi tribunali di sorveglianza, chiedendo la sospensione della pena detentiva per motivi di salute a norma degli articoli 146 e 147 del codice penale (si vedano paragrafi 81 e 82 infra per le disposizioni del diritto interno pertinente) e la sostituzione della detenzione con misure restrittive più miti.

49. Con ordinanza del 3 maggio 2013, il tribunale di sorveglianza di Bologna (“il tribunale di Bologna”) stabiliva che non sussistevano motivi per differire la pena del ricorrente per motivi di salute. Il Tribunale riteneva che le condizioni di salute del ricorrente non fossero in una fase così avanzata da non rispondere più alle cure, condizione necessaria per l’applicazione dell'articolo 146 del Codice Penale.
Il Tribunale riteneva inoltre che la sospensione discrezionale della pena ai sensi dell’articolo 147 non fosse giustificata. Riteneva che non si potesse affermare che le condizioni di salute del ricorrente richiedevano cure che non potevano essere fornite in detenzione, benché la detenzione fosse accompagnata dal ricovero in un ospedale civile ogniqualvolta necessario. Il Tribunale di Bologna riteneva che il ricorrente avesse ricevuto e stesse ricevendo cure mediche, frequenti visite mediche ed esami diagnostici. Sottolineava che il ricorrente era stato ricoverato in un ospedale civile anche per lunghi periodi di tempo quando non era stato possibile dispensare le cure necessarie nella struttura carceraria. Rilevava inoltre che la prossimità dell'ospedale civile alla struttura carceraria aveva permesso al ricorrente di essere ricoverato nel pronto soccorso tempestivamente e ogniqualvolta necessario.
Il Tribunale ribadiva che un Tribunale che decide in merito alla sospensione discrezionale della pena per motivi di salute deve anche tenere conto, come fattore pertinente, della possibilità che il soggetto che chiede la sospensione possa avere un comportamento criminale (si veda il paragrafo 82 infra). A tale riguardo, il Tribunale riteneva che il ricorrente fosse un soggetto “socialmente pericoloso”, in quanto era stato arrestato dopo molti anni di latitanza, ed era stato processato e già condannato per reati estremamente gravi.

50.  Con ordinanza del 27 agosto 2013, il Tribunale di Bologna stabiliva che non sussistevano motivi per differire la pena del ricorrente per motivi di salute. Il Tribunale rilevava che le condizioni di salute del ricorrente non erano in una fase così avanzata da non rispondere più alle cure. Il Tribunale riteneva inoltre che egli non avrebbe beneficiato di ulteriori o alternative cure mediche in caso di sospensione della pena.
Il Tribunale non era neanche convinto della sussistenza delle condizioni richieste per la sospensione discrezionale ai sensi dell'articolo 147. Rilevava che la documentazione medica che aveva esaminato dimostrava che le condizioni di salute del  ricorrente erano monitorate e curate adeguatamente nella struttura carceraria, e che era richiesto il ricovero ospedaliero  quando necessario. Rinviando alle relazioni mediche di cui era in possesso, il Tribunale osservava che il ricorrente rispondeva alle cure positivamente e nel modo previsto, in considerazione dell’età avanzata e del carattere delle patologie da cui era affetto.
Come nella sua ordinanza del 3 maggio 2013, il Tribunale teneva inoltre conto del pericolo che il ricorrente, che era un soggetto socialmente pericoloso, potesse commettere reati in caso di sospensione della pena. A tale riguardo, il Tribunale riteneva che, nonostante il comprovato deficit cognitivo del ricorrente, la documentazione di cui disponeva non gli consentiva di escludere la sua - seppur fluttuante e ridotta - capacità di comprendere e comunicare.

51. Il ricorrente impugnava la decisione dinanzi alla Corte di cassazione. Il 4 aprile 2014 la Corte di cassazione rigettava il ricorso. Ribadiva le conclusioni del Tribunale di Bologna relative al fatto che le condizioni di salute del ricorrente erano monitorate adeguatamente e che le cure mediche necessarie erano somministrate nella struttura carceraria, con il ricovero in un ospedale esterno all’occorrenza. La Corte era convinta del fatto che il Tribunale di Bologna si fosse basato sulle più recenti relazioni mediche di cui era in possesso per concludere che non erano soddisfatte le condizioni richieste per la sospensione dell’esecuzione della pena del ricorrente ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale.

52. Con ordinanza del 3 ottobre 2014 il Tribunale di Milano concludeva che non sussistevano ragioni per modificare la pena del ricorrente per motivi di salute. Nel compiere la sua valutazione, il Tribunale si  basava sul contenuto del rapporto dai due periti indipendenti che aveva nominato (si veda il paragrafo 43 supra). Il Tribunale ribadiva che, in casi come quello in esame, la considerazione primaria doveva essere l’interesse superiore del detenuto in termini di tutela della sua salute. Il Tribunale riteneva che il ricorrente non fosse detenuto in un istituto penitenziario, ma piuttosto che fosse stato ricoverato in un ospedale civile altamente specializzato in grado di fornirgli le cure e il trattamento più appropriati ed efficaci per i suoi problemi di salute. Inoltre, secondo il Tribunale, il suo collocamento nel reparto protetto e non tra i comuni pazienti ospedalieri garantiva un livello ancora più elevato di attenzione e vigilanza sulle sue critiche condizioni di salute. Il Tribunale concludeva che la situazione del ricorrente al momento della decisione era quella che garantiva in modo migliore il suo diritto alla salute. Il ricorrente impugnava tale provvedimento dinanzi alla Corte di cassazione.

53. Con ordinanza dell’11 novembre 2014, il Tribunale di Bologna concludeva che non sussistevano ragioni per differire l’esecuzione della pena del ricorrente per motivi di salute. Ribadiva innanzitutto e conveniva con le conclusioni del Tribunale di Milano nella sua ordinanza del 3 ottobre 2014. Rinviava alle relazioni redatte dal personale medico dell’Ospedale San Paolo e dai periti medici indipendenti nominati dal Tribunale di Milano per concludere che, nonostante la gravità delle condizioni di salute del ricorrente, lo stesso non era detenuto in una struttura carceraria bensì in un ospedale civile, e rispondeva alle cure somministrato in tale contesto.

54. Con sentenza del 9 giugno 2015, la Corte di cassazione rigettava il ricorso presentato dal ricorrente avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 3 ottobre 2014. Riteneva che la motivazione del Tribunale di Milano fosse imperniata sulla necessità di tutelare il diritto del detenuto alla salute nella massima misura possibile, e non potesse essere ritenuta in contrasto con le disposizioni del codice penale che disciplinano la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva per motivi di salute.

55. Con ordinanza dell’11 luglio 2016 il magistrato di sorveglianza di Milano stabiliva, a titolo provvisorio e in attesa di un provvedimento del Tribunale di sorveglianza, che non fosse giustificato un provvedimento in via provvisoria e d’urgenza che disponesse la sospensione dell’esecuzione della pena del ricorrente. Il magistrato rilevava, inter alia, che il ricorrente era curato in una struttura che garantiva eccellenti livelli di assistenza e che disponeva di personale medico e infermieristico di altissima qualità e che la sua detenzione in ospedale non contrastava con il senso comune di umanità.

D. Il regime detentivo previsto dall’articolo 41 bis della legge sull’Ordinamento penitenziario

56. Il 13 aprile 2006 il Ministro della giustizia emetteva un decreto che disponeva che il ricorrente dovesse essere sottoposto al regime detentivo speciale di cui al comma 2 dell’articolo 41 bis della legge sull’Ordinamento penitenziario  (per le disposizioni del diritto interno si vedano i paragrafi 83-86 infra).

57. Il decreto del 2006 imponeva le seguenti restrizioni:

  • restrizioni delle visite da parte dei familiari (non più di un’unica visita mensile della durata di un'ora);
  • divieto di ricevere visite da parte di persone diverse dai familiari;
  • divieto di utilizzare il telefono;
  • divieto di ricevere o inviare una somma di denaro superiore a un importo fisso;
  • divieto di ricevere più di due pacchi al mese, non eccedenti un determinato peso, ma permesso di ricevere due pacchi speciali all’anno contenenti vestiario e biancheria da letto;
  • esclusione del diritto di partecipare alle elezioni dei rappresentanti dei detenuti o di essere eletto in qualità di rappresentante;
  • divieto di fare lavori artigianali;
  • divieto di acquistare cibo da cuocere;
  • non più di due ore giornaliere di attività fisica all’aperto, una delle quali poteva essere trascorsa in biblioteca, in palestra e così via, e in gruppi di non più di quattro persone.

58. Inoltre, la corrispondenza in entrata e in uscita doveva essere monitorata, e soggetta a preliminare provvedimento autorizzativo dell’autorità giudiziaria.

59. L’applicazione del regime speciale era successivamente prorogata per periodi di uno o due anni, mediante decreti di proroga emessi in data 5 aprile 2007, 3 aprile 2008, 2 aprile 2009, 1 aprile 2010, 28 marzo 2012, 26 marzo 2014 e 23 marzo 2016.

60. L’8 marzo 2013, con istanza indirizzata a tre diversi tribunali di sorveglianza (Bologna, Roma e Parma), nonché al Ministro della giustizia, il difensore del ricorrente chiedeva la revoca del regime detentivo speciale previsto dall’articolo 41 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, osservando fondamentalmente che, alla luce del deterioramento delle funzioni cognitive del ricorrente, i motivi per cui il regime era stato applicato originariamente non erano più rilevanti.

61. Il 22 luglio 2013 la Direzione Distrettuale Antimafia (in prosieguo  “la DDA”) di Caltanissetta esprimeva un parere favorevole alla revoca del regime detentivo speciale. L'Ufficio riconosceva che le condizioni di salute del ricorrente erano peggiorate, rilevando che il suo funzionamento cognitivo era compromesso, come sottolineato dalla documentazione medica di cui disponeva. Osservava in particolare le conclusioni della relazione dei periti nominati dal GUP di Palermo (si veda il paragrafo 11 supra) che avevano rilevato che il funzionamento cognitivo del ricorrente  era deteriorato e la sua capacità di comunicare era compromessa. Alla luce di tali conclusioni, l’Ufficio esprimeva il parere che le ragioni che avevano inizialmente giustificato l’applicazione del regime detentivo speciale non sussistevano più.

62. Con ordinanza del 27 agosto 2013, il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile l’istanza presentata dal ricorrente in data 8 marzo 2013. Riteneva che la facoltà di revocare l’imposizione del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis fosse di competenza del Ministro della Giustizia. Il Tribunale era competente solo in relazione ai reclami presentati avverso i provvedimenti emessi dal Ministro della giustizia, quali i decreti di proroga dell’applicazione del regime speciale o i rifiuti da parte del Ministro di revocare i decreti che applicavano il regime. L'esame del merito della domanda era pertanto precluso al Tribunale.

63. Il 21 novembre 2013 il difensore del ricorrente presentava ricorso al Ministro della Giustizia per chiedere la revoca del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis. In data imprecisata il Ministro della giustizia rigettava il ricorso. La decisione era notificata al figlio del ricorrente l’11 febbraio 2014.

64. Il 13 febbraio 2014 il difensore del ricorrente presentava ricorso al Tribunale di Roma avverso quest’ultima decisione. Ribadiva i rilievi dedotti nella domanda dell’8 marzo 2013.

1. Il decreto di proroga del 26 marzo 2014

65. Il 26 marzo 2014 il Ministro della Giustizia emetteva un decreto che prorogava per due anni l’applicazione del regime detentivo speciale. Era constatato che la capacità del ricorrente di mantenere collegamenti con i membri dell’organizzazione criminale non era venuta meno, e si era anche tenuto conto della sua “particolare e concreta pericolosità”.

66. Il decreto ribadiva la logica alla base del regime detentivo speciale e riaffermava in particolare che la sua applicazione costituiva una misura preventiva finalizzata a garantire la sicurezza e l’ordine pubblico e non aveva alcuna finalità punitiva.

67. Il decreto esaminava inoltre alcune condanne del ricorrente per reati estremamente gravi, tra i quali vi erano plurimi delitti di omicidio  aggravato, il favoreggiamento di stragi e l’associazione a delinquere, indicativi del suo elevato livello di responsabilità all’interno dell’organizzazione criminale.

68. Il decreto offriva inoltre un quadro generale delle informazioni fornite da diversi organi di polizia, dalle Procure, dalla Direzione investigativa antimafia e dal Ministro dell’Interno, che erano state richieste al fine di accertare la persistenza delle condizioni che giustificavano la proroga del regime (istruttorie relative alla preesistente attualità ed alla permanente gravità delle esigenze di prevenzione ai fini della proroga). Esso riassumeva inoltre i pareri emessi dalle DDA di Firenze e di Caltanissetta nel febbraio 2014 e dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (in prosieguo “la DNA”) e la DDA di Palermo nel marzo 2014.

69. Il decreto dichiarava che le DDA di Palermo, Caltanissetta e Firenze avevano espresso un parere sfavorevole alla proroga delle restrizioni, alla luce delle condizioni di salute del ricorrente. Affermava tuttavia che la DDA di Palermo aveva concluso che il ricorrente era ancora socialmente pericoloso.

70. Il decreto si concentrava in particolare sulle conclusioni della DNA, che aveva delineato il profilo criminale del ricorrente e le attuali attività criminali di Cosa Nostra (la mafia siciliana) e richiamava l’attenzione sul fatto che uno dei membri più importanti dell’organizzazione criminale cui apparteneva il ricorrente era ancora a piede libero. Secondo il testo del decreto, la DNA riteneva inoltre che, sulla base delle perizie medico-legali di cui era in possesso, non si poteva concludere che in quel momento vi era stato un totale scadimento delle capacità di attenzione, comprensione e orientamento del ricorrente, bensì piuttosto soltanto un deterioramento non quantificabile. Ciò, a sua volta, non poteva escludere la possibilità che il ricorrente potesse comunicare ordini all’organizzazione criminale se fosse stato ristretto con un regime detentivo ordinario. Era anche trattata la questione della salute del ricorrente esaminando se l’applicazione del regime detentivo speciale ostacolava le cure mediche di cui aveva bisogno in considerazione dei suoi problemi di salute, e, ad avviso dell’Ufficio, esso non le ostacolava. La DNA concludeva che la proroga delle restrizioni era ancora ritenuta necessaria.

71.  Il decreto si concentrava anche sul parere del Ministro dell’Interno che sintetizzava le conclusioni delle indagini concluse recentemente, che confermavano il ruolo di spicco del ricorrente in seno all’organizzazione criminale. L’esito di tali indagini aveva anche fatto luce sui mezzi mediante i quali la rete di supporto del ricorrente gli aveva permesso di protrarre la latitanza, il sistema di comunicazione tra lo stesso e i latitanti di spicco nel corso della loro latitanza e il suo uso di messaggi codificati per trasmettere le strategie dell’organizzazione.

2. Il primo procedimento dinanzi al Tribunale di Roma

72. Il 31 marzo 2014 il ricorrente presentava reclamo avverso il decreto di proroga emesso dal Ministro della Giustizia in data 26 marzo 2014. Il difensore del ricorrente sosteneva che il regime detentivo speciale dovesse essere sospeso a causa delle condizioni psicofisiche del ricorrente e forniva la documentazione medica a sostegno di tale tesi.

73. Con ordinanza del 5 dicembre 2014, il Tribunale di Roma esaminava congiuntamente i ricorsi proposti in data 13 febbraio 2014 e 31 marzo 2014 e li rigettava entrambi. Alcuni punti salienti dell’ordinanza possono essere sintetizzati come segue.
Il Tribunale esaminava i rilievi del ricorrente e la documentazione medica di cui disponeva e si concentrava sulla condizione neurologica del ricorrente. Citava estratti di un rapporto di una visita neuropsicologica eseguita al ricorrente il 25 novembre 2014, che indicava che era allettato, che alternava il sonno alla vigilanza e che, se appropriatamente stimolato, articolava talvolta parole che avevano senso o eseguiva compiti elementari. Il ricorrente era definito vigile e occasionalmente “risvegliabile”, il rapporto rilevava tuttavia che non eseguiva gli ordini. Il Tribunale osservava che non era stato possibile effettuare una valutazione decisiva delle sue abilità cognitive a causa dello stato gravemente compromesso della sua funzione motoria, unito alla sua incapacità di concentrazione e alla generale mancanza di collaborazione.
Il Tribunale riconosceva quindi la sussistenza di un grave decadimento delle funzioni cognitive del ricorrente. Tuttavia, nonostante tale decadimento, sulla base della documentazione medica di cui disponeva, il Tribunale concludeva di non poter escludere con assoluta certezza che il ricorrente avrebbe potuto trasmettere messaggi penalmente rilevanti relativi alle attività criminali dell'organizzazione mediante i familiari o altre persone se gli fosse stato permesso di avere rapporti non regolamentati con il mondo esterno. Il Tribunale si basava inoltre sui bollettini emessi dal personale sanitario del reparto ospedaliero che indicavano che il ricorrente aveva transitori momenti di lucidità alternati a momenti di confusione, e che a volte rispondeva alle domande che gli erano poste in modo comprensibile. In conclusione, secondo il Tribunale, le condizioni cliniche del ricorrente non potevano essere considerate tali da precludere la comunicazione di messaggi o disposizioni criminali.
Il Tribunale ribadiva che il ricorrente, che era stato capo di Cosa Nostra per decenni, era ritenuto un soggetto che rappresentava una notevole minaccia per la sicurezza nazionale e la società in generale. Ribadiva inoltre che nel corso della latitanza aveva contato su una solida rete di supporto ed era riuscito a gestire l’organizzazione criminale attraverso i cosiddetti pizzini, messaggi apparentemente semplici che nascondevano ordini destinati alla rete criminale. Pertanto, ad avviso del Tribunale, l’organizzazione criminale avrebbe potuto ottenere disposizioni per svolgere attività criminali anche ricevendo dal ricorrente semplici messaggi, data la sua posizione in seno all’organizzazione. Notava anche che uno dei soggetti più importanti e più pericolosi appartenente all’organizzazione del ricorrente era all’epoca ancora latitante.
Sulla base delle suddette considerazioni, il Tribunale concludeva che la proroga del regime detentivo di cui all’articolo 41 bis era ancora pienamente giustificata, nell’interesse dell’ordine pubblico e della sicurezza.

3. Il decreto di proroga del 23 marzo 2016

74. Il 23 marzo 2016 il Ministro della giustizia emetteva un decreto di proroga dell’applicazione del regime detentivo speciale per ulteriori due anni. Come nel decreto del 2014, sosteneva che il ricorrente era ancora in grado di intrattenere rapporti con i membri dell’organizzazione criminale ancora latitanti, e aveva inoltre tenuto conto della sua “particolare e concreta pericolosità”. Il Ministro confermava la proroga di tutte le restrizioni in vigore (si veda il paragrafo 57 supra). Alcuni punti salienti del decreto possono essere sintetizzati in prosieguo.

75. Come nel decreto del 2014, il Ministro della Giustizia ribadiva la logica e le finalità del regime e forniva un quadro generale delle informazioni fornite da diversi organi di polizia, dalle Procure e dal Ministro dell’Interno - informazioni che erano state richieste al fine di accertare la persistenza delle condizioni che giustificavano la proroga del regime. Il decreto sintetizzava i pareri emessi dalla DDA di Firenze, Caltanissetta e Palermo nel febbraio 2016 e dalla DNA nel marzo 2016.

76. Il decreto riconosceva che le DDA di Caltanissetta e di Firenze avevano confermato il loro precedente parere negativo sulla proroga del regime nei confronti del ricorrente e che per giungere alle sue conclusioni la DDA di Caltanissetta si era basata sul deterioramento della salute del ricorrente, mentre il parere della DDA di Firenze era imperniato sulla constatazione che il ricorrente non era oggetto di indagini penali. La DDA e la DNA di Palermo confermavano invece la necessità di prorogare il regime detentivo speciale.

77.  Secondo quanto riportato nel decreto, la DDA di Palermo aveva concluso che l’applicazione del regime di cui all’articolo 41 bis continuava a essere assolutamente necessaria per prevenire e troncare i persistenti e pericolosi rapporti del ricorrente con il mondo esterno e con gli altri detenuti, che gli avrebbero permesso di proseguire le attività illegali che aveva diretto per decenni. La DDA si concentrava, inter alia, sui precedenti penali del ricorrente e sul suo ruolo apicale all’interno di Cosa Nostra, esaminando la sua determinante partecipazione a un elevato numero di delitti, dalle stragi alle estorsioni, e prendendo atto del controllo che aveva esercitato sulle attività economiche, che gli aveva permesso di acquisire considerevoli beni. La DDA forniva dettagli sulla rete di supporto che il ricorrente aveva avuto in seno all’organizzazione - rete che gli aveva permesso una latitanza durata oltre quarant’anni e la gestione di molteplici aspetti del sodalizio criminale, che andavano dalla risoluzione di controversie alla commissione di omicidi. Sottolineava che un importante membro dell’organizzazione criminale era ancora latitante.
In ordine alla salute del ricorrente, la DDA di Palermo dichiarava che, sulla base delle informazioni cliniche di cui era in possesso, conveniva con la decisione del Tribunale di Roma (si veda il paragrafo 73 supra) e citava un estratto dell’ordinanza in cui il Tribunale aveva affermato di non poter escludere con assoluta certezza che il ricorrente fosse in grado di trasmettere messaggi penalmente rilevanti relativi alle attività criminali dell’organizzazione.

78. Secondo quanto riportato nel decreto, la DNA concludeva che la combinazione di elementi che avevano giustificato l’iniziale applicazione del regime detentivo speciale era rimasta invariata. Si basava principalmente sul “profilo criminale” del ricorrente, sulle sue plurime condanne per delitti efferati, sulle attuali attività di Cosa Nostra e sulla sua continua riorganizzazione, oltre che sul fatto che un importante membro dell’organizzazione criminale, che aveva avuto in passato un rapporto documentato con il ricorrente, era ancora latitante.
In ordine alla salute del ricorrente, la DNA ribadiva il contenuto del suo parere del 2014 sulla proroga del regime detentivo speciale e ne citava estratti secondo i quali l’applicazione di un simile regime non interferiva in alcun modo con le cure mediche cui era sottoposto il ricorrente, e la modifica del regime non avrebbe avuto conseguenze per la sua salute. La DNA citava inoltre un estratto del suo parere del 2014 in cui aveva concluso che, sulla base della documentazione di cui disponeva, non sembrava che il ricorrente avesse del tutto perso le capacità di attenzione, comprensione e orientamento spazio-temporale, ma che tali capacità avevano soltanto subito un deterioramento.

4. Il secondo procedimento dinanzi al Tribunale di Roma

79. L’8 aprile 2016 il difensore del ricorrente presentava reclamo al Tribunale di Roma avverso il decreto di proroga emesso dal Ministro della Giustizia.

80.  In data 16 settembre 2016 il Tribunale di Roma archiviava il procedimento a causa del decesso del ricorrente.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A.  Il differimento della pena detentiva per motivi di salute

81.  Le parti pertinenti dell’articolo 146 del codice penale italiano (“rinvio obbligatorio della esecuzione della pena”) prevedono che:
L’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:    (...)
3) se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da HIV conclamata o da grave deficienza immunitaria (…) ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitaria penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

82.  Le parti pertinenti dell’articolo 147 del codice penale italiano  (“rinvio facoltativo della esecuzione della pena”) prevedono che:
L’esecuzione di una pena può essere differita:
(...) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica  (...)  il provvedimento di cui al primo comma non può essere adottato o, se adottato, è revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti.

B.  Il regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis

83.  L’articolo 41 bis della legge sull’Ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354), come modificato dalla legge 7 agosto 1992 n. 356 e dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, conferisce al Ministro della Giustizia la facoltà di sospendere l’applicazione del regime detentivo ordinario in tutto o in parte, mediante un provvedimento motivato, per motivi di ordine pubblico e di sicurezza, nei casi in cui il regime detentivo ordinario contrasterebbe con tali requisiti.

84. Il comma 2 bis dell’articolo 41 bis prevede che il Ministro della giustizia possa emettere un decreto di proroga dell’applicazione del regime detentivo speciale, a meno che non emerga che la capacità del detenuto di mantenere collegamenti con l’organizzazione criminale di riferimento sia venuta meno.

85. Lo stesso comma elenca alcuni dei fattori di cui tener conto al fine di accertare se l’imputato abbia la capacità di mantenere i summenzionati collegamenti: il suo profilo criminale, la posizione che rivestiva in seno all’organizzazione, la perdurante operatività del sodalizio criminale, la sopravvenienza di nuove incriminazioni nei confronti del detenuto precedentemente non valutate, gli esiti del trattamento penitenziario e il tenore di vita dei familiari del detenuto.

86. Lo stesso comma precisa inoltre che il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, un elemento sufficiente per escludere la capacità dell’imputato di mantenere i collegamenti con l’associazione di cui faceva parte.

87. Il comma 2 quinquies dell’articolo 41 bis prevede la possibilità di proporre reclamo avverso il decreto di proroga al tribunale di sorveglianza di Roma, che verifica, esaminando i rilievi presentati nel ricorso e le conclusioni riportate nel decreto di proroga, se sono stati rispettati i criteri previsti dalla legge per l’adozione di un simile provvedimento.

88. Il comma 2 sexies dell’articolo 41 bis prevede la possibilità di presentare ricorso alla Corte di cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di sorveglianza, unicamente per motivi di violazione di legge.

89.  La Corte di cassazione delimitava in diverse occasioni la portata dei ricorsi avverso i decreti dei tribunali di sorveglianza di proroga del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis di cui può essere investita. Secondo tale Corte, la portata di un simile ricorso non rende una decisione impugnata suscettibile di contestazioni basate su un vizio di motivazione, salvo qualora la motivazione sia del tutto assente o viziata al punto da risultare meramente apparente e inesistente, vale a dire priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità (si vedano, tra altri precedenti, Trombetta, Prima Sezione penale, n. 2984 del 22 gennaio 2014). In una recente pronuncia (Oppedisano, Prima Sezione penale, n. 11620 del 19 febbraio 2016), la Corte di cassazione ricapitolava i seguenti principi sulla portata del suo riesame:
“Giova premettere che l’impugnativa in esame trova la sua disciplina nell’art. 41 bis co. 2 sexies L. 26.07.1975 n. 354, e success. mod., il quale dispone, come è noto, che l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che abbia deciso sul reclamo proposto avverso il Decreto Ministeriale di cui all’art. 41-bis co. 2-bis è ricorribile in cassazione soltanto “per violazione di legge”. Orbene, secondo costante e risalente insegnamento di questa Corte (Cass. pen. 13.03.92, p.c. in c. Bonati), la violazione di legge concernente la motivazione trova il suo fondamento nella disciplina costituzionale di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 111 e consiste nella omissione totale della motivazione stessa ovvero allorché ricorrano le ipotesi di motivazione fittizia o contraddittoria, che si configurano, la prima, allorché il giudicante utilizza espressioni di stile e stereotipate, e la seconda quando si riscontri un argomentare fondato sulla contrapposizione di argomentazioni decisive di segno opposto. Rimangono escluse dalla nozione di violazione di legge connessa al difetto di motivazione tutte le rimanenti ipotesi nelle quali la motivazione stessa si dipani in modo insufficiente e non del tutto puntuale rispetto alle prospettazioni censorie.”

90. La stessa sentenza esaminava le modalità con cui la Corte di cassazione aveva applicato questi ultimi principi generali allo specifico contesto dei ricorsi avverso le ordinanze dei tribunali di sorveglianza ai sensi dell’articolo 41 bis, comma 2 sexies, della legge n. 354 del 1975:
“Secondo detta lezione interpretativa (Cass., sez. I, 9.01.2004, n. 449; 14.11.2003 n. 5338; 9.11.2004, n. 48494) infatti, in tema di regime carcerario differenziato, nella nozione di violazione di legge (...) deve farsi rientrare anche la mancanza di motivazione, alla quale vanno ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano così scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione.”

C. Altre disposizioni del diritto interno

91. Il decreto legislativo n. 146 del dicembre 2013 istituiva un nuovo ricorso preventivo che consente al detenuto di proporre reclamo al magistrato di sorveglianza per qualsiasi violazione dei suoi diritti.

D. Altro materiale interno

92. Nell’aprile 2016 la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato pubblicava un rapporto sul regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis  (Rapporto sul Regime Detentivo Speciale – Indagine Conoscitiva sul 41 bis). Tra diverse altre raccomandazioni era fatta la seguente:
la Commissione, inoltre, raccomanda una più accurata istruttoria da parte degli uffici competenti in merito al rinnovo dell'applicazione del regime detentivo speciale, onde evitare la sottoposizione al regime speciale di persone incapaci di intendere e di volere.

IN DIRITTO

I. SULLA QUESTIONE PRELIMINARE

93. A seguito della morte del ricorrente, avvenuta il 13 luglio 2016, il figlio, Sig. Angelo Provenzano, ha comunicato alla Corte l’intenzione di proseguire il ricorso nell’interesse del padre (si veda il paragrafo 1 supra).

94. Il Governo ha chiesto la cancellazione del ricorso dal ruolo ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione, contestando il diritto del figlio del ricorrente a proseguire il ricorso. Ha sostenuto, inter alia, che il figlio del ricorrente non poteva affermare di essere una vittima indiretta, in quanto la dedotta violazione dell'articolo 3 della Convenzione non lo aveva colpito personalmente, e il diritto invocato dal ricorrente, che era connesso alla sua sfera personale e intima, non era di carattere trasferibile. Ha aggiunto che nelle sue osservazioni il figlio del ricorrente si era limitato a esprimere l’intenzione di proseguire il procedimento, senza spiegare i motivi della sua legittimazione a succedere, e aveva inoltre presentato il suo certificato di nascita e dichiarato il suo personale interesse a proseguire la causa.

95. La Corte ribadisce innanzitutto la necessità di distinguere le cause in cui il ricorrente è deceduto nel corso del procedimento dalle cause in cui il ricorso è stato presentato alla Corte dagli eredi del ricorrente successivamente alla morte della vittima (si vedano Ergezen c. Turchia, n. 73359/10, § 28, 8 aprile 2014; Fairfield c. Regno Unito (dec.), n. 24790/04, CEDU 2005 VI; e Biç e altri c. Turchia, n. 55955/00, § 20, 2 febbraio 2006). La Corte sottolinea inoltre che, alla luce della sua giurisprudenza consolidata, la questione di sapere se un soggetto possa essere considerato una vittima indiretta è rilevante soltanto quando la vittima diretta muore prima di presentare ricorso alla Corte (Centre for Legal Resources per Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, §§ 97-100, CEDU 2014).

96. In casi come quello di specie, in cui il ricorrente è deceduto dopo aver presentato ricorso, la Corte ha coerentemente accettato che il  più prossimo parente, uno stretto congiunto o l’erede possa, in linea di massima, proseguire il ricorso, a condizione che abbia sufficiente interesse alla causa (si vedano Centre for Legal Resources per Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], sopra citata, § 97; Fartushin c. Russia, n. 38887/09, § 33, 8 ottobre 2015; e Vaščenkovs c. Lettonia, n. 30795/12, § 27, 15 dicembre 2016). La Corte ribadisce che esprimendo l’intenzione di proseguire il ricorso l’erede di un ricorrente deceduto può essere motivato anche da interessi non esclusivamente materiali. Le cause relative ai diritti umani di cui è investita la Corte hanno generalmente anche una dimensione morale, e le persone vicine al ricorrente possono quindi avere un legittimo interesse a garantire che sia fatta giustizia, anche successivamente alla morte del ricorrente (si veda Malhous c. Repubblica ceca (dec.) [GC], n. 33071/96, CEDU 2000-XII). Pertanto, qualora la vittima diretta sia deceduta dopo aver presentato ricorso, il fattore determinante non è stabilire se i diritti in questione siano trasferibili a eredi intenzionati a proseguire il ricorso, ma se i soggetti che desiderano proseguire il procedimento possano rivendicare un legittimo interesse a chiedere che la Corte decida la causa sulla base della volontà del ricorrente di avvalersi del suo diritto individuale e personale di adire la Corte (si veda Ergezen c. Turchia, n. 73359/10, § 29, 8 aprile 2014). La Corte non ha ritenuto decisivo neanche il fatto che il soggetto che desidera proseguire il ricorso non sia un erede giuridicamente riconosciuto ai sensi del diritto interno (si veda Malhous c. Repubblica ceca, sopra citata).

97. Passando al caso di specie, la Corte osserva che il soggetto che chiede di proseguire il procedimento dinanzi a essa è il figlio del ricorrente, e quindi uno stretto congiunto. Il documento prodotto dal figlio, vale a dire il suo certificato di nascita, attesta la sussistenza del rapporto familiare.

98. La Corte rileva inoltre che il figlio del ricorrente è stato nominato tutore del ricorrente alla luce dell’incapacità giuridica del ricorrente a seguito della condanna alla pena dell’ergastolo, ed è stato inoltre nominato amministrazione di sostegno del ricorrente, ufficio che ha assunto prestando giuramento nel maggio 2014. La Corte osserva infine che egli ha introdotto il presente ricorso nell’interesse del ricorrente in un momento in cui era tutore del ricorrente (si vedano i paragrafi 1 e 13 supra).

99. Per quanto sopra esposto e in considerazione delle circostanze del caso di specie, la Corte è convinta che il Sig. Angelo Provenzano abbia un legittimo interesse a proseguire il ricorso. Su sua richiesta, continuerà quindi a trattare la causa. Per ragioni pratiche il Sig. Bernardo Provenzano continuerà a essere definito “il ricorrente”, sebbene debba attualmente essere considerato tale il Sig. Angelo Provenzano.

100. La Corte rigetta pertanto la domanda del Governo di cancellazione del ricorso dal ruolo.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

101. Il ricorrente ha lamentato che la sua detenzione era incompatibile con la sua età e le sue condizioni di salute. Ha inoltre lamentato che le autorità interne non avevano adottato tutte le misure necessarie per salvaguardare la sua salute e il suo benessere nel corso della detenzione, e che la protrazione del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis comportava la violazione dell’articolo 3, che recita:
"Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

A. Sulla ricevibilità

102. Il Governo ha eccepito preliminarmente il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e ha chiesto alla Corte di rigettare il ricorso in quanto irricevibile ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. Alla luce delle circostanze del caso di specie, la Corte ritiene opportuno esaminare separatamente i due aspetti del ricorso del ricorrente ai sensi dell’articolo 3.

1. La doglianza relativa all’incompatibilità della detenzione del ricorrente con la sua salute

103. Il Governo ha osservato a tale riguardo che il ricorrente disponeva di diversi ricorsi, in primo luogo la possibilità di chiedere al tribunale di sorveglianza il differimento dell’esecuzione della pena detentiva per motivi di salute. Pur ammettendo che il ricorrente si era avvalso di quest’ultimo ricorso in quattro occasioni con esiti negativi da parte dei tribunali di sorveglianza, ha sottolineato che soltanto in due  occasioni il ricorrente aveva presentato ricorso avverso tali decisioni alla Corte di cassazione, la quale aveva comunque rigettato i suoi ricorsi. Il Governo ha inoltre ha sostenuto che il ricorrente aveva avuto un’ulteriore mezzo di ricorso che non aveva esperito, vale a dire il ricorso introdotto dal decreto legislativo n. 146 del 2013, che consentiva al detenuto di lamentare al magistrato di sorveglianza qualsiasi violazione dei suoi diritti (si veda il paragrafo 91 supra).

104. Il ricorrente ha sostenuto di non aver impugnato soltanto un’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna in quanto era stato trasferito nel frattempo a Milano. Ha inoltre dichiarato che mentre era detenuto a Milano aveva introdotto un procedimento dinanzi alla Corte di cassazione. Ha sostenuto che tutti i procedimenti avevano avuto un esito a lui sfavorevole.

105. La Corte ribadisce che quando sono disponibili più ricorsi potenzialmente efficaci, è richiesto al ricorrente soltanto di esperire un ricorso di sua scelta (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, § 58, CEDU 2009; Nada c. Svizzera [GC], n. 10593/08, § 142, CEDU 2012; Göthlin c. Svezia, n. 8307/11, § 45, 16 ottobre 2014; e O’Keeffe c. Irlanda [GC], n. 35810/09, §§ 109-111, CEDU 2014 (estratti)).

106. Nella fattispecie, dato che il ricorrente aveva presentato ai tribunali di sorveglianza diversi ricorsi che sollevavano doglianze relative alla sua salute e alla sua detenzione, la Corte ritiene che non fosse tenuto a esperire un ulteriore ricorso per soddisfare i requisiti dell’articolo 35 § 1 della Convenzione. La Corte osserva inoltre che il ricorrente ha impugnato dinanzi alla Corte di cassazione l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 27 agosto 2013 e l’ordinanza del Tribunale di Milano del 3 ottobre 2014. La Corte è disposta ad accettare che ciò sia sufficiente per concludere che il ricorrente ha esaurito le vie di ricorso interne ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione ai fini della presente parte del ricorso.

2. La doglianza relativa alla protrazione del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis

107. Il Governo ha sostenuto che, ai sensi dell’articolo 41 bis della Legge sull’Ordinamento penitenziario, era possibile presentare ricorso in punto di diritto alla Corte di cassazione avverso le ordinanze dei tribunali di sorveglianza per motivi di “violazione di legge”. Data l’esistenza di tale ricorso, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare l’ordinanza del Tribunale di Roma del 5 dicembre 2014 in ordine alla proroga del regime detentivo speciale, ma non l’aveva fatto.

108. Il ricorrente ha contestato genericamente il rilievo del Governo.

109. La Corte ribadisce la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale l’articolo 35 § 1 della Convenzione prevede la ripartizione dell’onere della prova, e spetta al Governo che sostiene il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne convincere la Corte che il ricorso del quale afferma il mancato esperimento da parte del ricorrente fosse efficace e disponibile teoricamente e praticamente al momento pertinente, vale a dire che era accessibile, in grado di riparare le doglianze del ricorrente e offriva ragionevoli prospettive di successo (si vedano, tra altri precedenti, Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 46, CEDU 2006-II; Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, § 71, 17 settembre 2009; Vallianatos e altri c. Grecia [GC], nn. 29381/09 e 32684/09, § 57, CEDU 2013 (estratti); e Davydov e altri c. Russia, n. 75947/11, § 233, CEDU 2017 (estratti)).

110. La Corte ribadisce innanzitutto che la decisione interna in esame – ovvero l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che si è pronunciato su un reclamo avverso il decreto ministeriale che aveva prorogato l’applicazione del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis - oltre a non poter essere impugnata per motivi di fatto, non poteva essere impugnata sulla base della completa gamma di motivi disponibili per un riesame in punto di diritto da parte della Corte di cassazione, bensì soltanto per violazione di legge (si veda il paragrafo 88 supra). A sua volta, la violazione di legge è stata interpretata in senso restrittivo dalla Corte di cassazione, che ha innalzato la soglia e limitato tali motivi ai casi in cui la motivazione del tribunale di sorveglianza relativa alla questione lamentata era del tutto assente, o era compromessa da vizi talmente gravi che i motivi su cui era basata la decisione erano praticamente indiscernibili (si veda il paragrafo 89 supra).

111. La Corte osserva che l’essenza della doglianza del ricorrente è imperniata sulla tesi secondo cui, alla luce del suo grave e clinicamente documentato decadimento cognitivo, gli originari motivi per applicare il regime detentivo speciale non sussistevano più ed erano quindi privi di giustificazione. A livello interno, ha presentato tale reclamo al Tribunale di Roma, che ha esaminato e rigettato i suoi rilievi con un’ordinanza che egli non contesta come piena del genere di vizi richiesti per soddisfare la soglia necessaria per un riesame da parte della Corte di cassazione.

112. La Corte rileva inoltre che, nell’articolare il suo rilievo relativo al mancato esaurimento, il Governo non ha fornito alcuna documentazione a sostegno che indicasse che la doglianza del ricorrente sarebbe potuta rientrare nell’ambito dei motivi che consentivano un riesame da parte della Corte di cassazione.

113. Pertanto, alla luce della specificità del ricorso in questione, al quale si può accedere limitatamente, unitamente al carattere della doglianza del ricorrente, la Corte conclude che, date le particolari circostanze del caso di specie, il Governo non ha soddisfatto l’onere della prova incombente su di esso nell’eccepire il mancato esaurimento.

114. Con riferimento alla proroga del regime detentivo speciale nel marzo 2016 e al periodo successivo, il Governo non ha eccepito specificamente il mancato esaurimento. Ha tuttavia richiamato l’attenzione della Corte sul fatto che il procedimento introdotto dal ricorrente dinanzi al Tribunale di Roma avverso il decreto di proroga del Ministro del 2016 era stato archiviato a causa del decesso del ricorrente (si veda il paragrafo 80 supra).

3. Conclusioni

115.  Per quanto sopra esposto le eccezioni del Governo relative al mancato esaurimento devono essere respinte.

116. La Corte rileva che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 lettera a) della Convenzione. Rileva inoltre che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.

B. Sul merito

1. La doglianza relativa all'incompatibilità della detenzione del ricorrente con la sua salute, l’asserita inadeguatezza delle cure mediche e altri aspetti delle condizioni di detenzione

a) Le osservazioni delle parti

117. Il ricorrente ha dichiarato che la sua detenzione era incompatibile con la sua età avanzata e le sue condizioni di salute, e che le autorità interne non avevano adottato tutte le misure necessarie a salvaguardare la sua salute e il suo benessere nel corso della detenzione.

118. Con riferimento alla sua detenzione a Parma, il ricorrente ha lamentato che la sua salute e il suo benessere non erano stati monitorati e protetti adeguatamente e che non aveva ricevuto sufficienti cure mediche. Ha sostenuto che le sue condizioni non erano state monitorate e valutate adeguatamente, in particolare dopo le cadute avvenute nel dicembre 2012, e che era stato lasciato senza assistenza medica, il che aveva condotto a sua volta al ritardo nel ricovero e nell’intervento chirurgico. Ha inoltre sostenuto che il suo letto non era stato dotato di sponde e che avrebbe dovuto essere collocato in una cella con un compagno, al fine di garantire la tempestiva individuazione di eventuali problemi che potevano sorgere in relazione alla sua salute. Il ricorrente ha inoltre affermato che, nonostante la sua incapacità di prendersi cura di sé e dei suoi problemi di incontinenza, non era stato lavato e cambiato adeguatamente.

119. In ordine alla sua detenzione a Milano, il ricorrente ha lamentato in modo generale il fatto che era stato ancora sottoposto a misure restrittive, sebbene in un ospedale civile, e che, nonostante i suoi problemi di salute, non gli era stata concessa una misura restrittiva più mite.

120. Il Governo ha sostenuto in primo luogo che i tribunali interni avevano valutato lo stato di salute del ricorrente in numerose occasioni e avevano concluso che non era incompatibile con la detenzione. Ha fornito un quadro generale delle decisioni interne che avevano rigettato i reclami del ricorrente e ha citato numerose pronunce dei tribunali interni (si vedano i paragrafi 49-54 supra).

121. In ordine alle cure mediche fornite, il Governo ha sottolineato che durante il periodo in cui è stato detenuto a Parma, a causa del suo stato di salute, il ricorrente era stato collocato in una struttura dotata di un reparto di assistenza sanitaria in grado di fornire cure appropriate alle sue condizioni. Era stato anche ricoverato in un ospedale all’esterno del carcere, quando era stato necessario. A sostegno delle sue osservazioni, il Governo ha elencato e riassunto i ricoveri esterni del ricorrente tra l’ottobre 2012 e il giugno 2013. Secondo il Governo, i numerosi bollettini sanitari agli atti e quelli presentati con le sue osservazioni indicavano che durante la permanenza presso la Casa di reclusione di Parma il ricorrente aveva beneficiato di consultazioni specialistiche, esami diagnostici e visite di controllo.

122. Rinviando agli avvenimenti del dicembre 2012, il Governo ha sostenuto che, mentre il ricorrente era caduto più volte tra il 3 e il 17 dicembre 2012, era stato immediatamente sottoposto a esami clinici e, quando ve ne era stata la necessità, era stato ricoverato in ospedale. Il Governo ha inoltre sottolineato che, in considerazione delle dimissioni del ricorrente dall’Ospedale Generale di Parma, il 25 e il 26 febbraio 2013 egli era stato visitato da due medici per stabilire le sue esigenze sanitarie e assistenziali al suo ritorno in carcere. Gli stessi medici avevano ispezionato la zona del reparto ospedaliero protetto in cui doveva essere detenuto il ricorrente al suo ritorno, per stabilire quali adeguamenti fossero necessari per fare fronte alle sue esigenze (si veda il paragrafo 28 supra). Il Governo ha sottolineato in particolare che erano stati forniti un letto con sponde e un materasso elettrico per prevenire le piaghe da decubito, un ambulatorio per effettuare sedute di fisioterapia e uno spazio per fare esercizio con un deambulatore. Dopo il suo ritorno, le condizioni di salute del ricorrente sono state costantemente monitorate.

123. Per quanto riguarda le condizioni igieniche della detenzione del ricorrente a Parma, il Governo ha rinviato a un rapporto emesso l’11 ottobre 2013 dal direttore della Casa di reclusione di Parma, a una relazione redatta il 3 gennaio 2013 dal direttore del programma sanitario della Casa di reclusione di Parma, e al piano terapeutico personalizzato elaborato il 1 marzo 2013 dall’unità medica della Casa di reclusione. Secondo tali documenti, che il Governo ha allegato alle sue osservazioni, il ricorrente era stato assistito nell’esecuzione di atti quotidiani che non era più in grado di compiere; era stata garantita la sua igiene personale; e dal 7 marzo 2013 era stata organizzata la pulizia della sua stanza mediante un programma controllato di lavori di pulizia da parte dei detenuti.

124. Al momento del suo trasferimento nella Casa circondariale di Milano-Opera, il ricorrente era stato immediatamente visitato dal direttore dell'unità sanitaria, che aveva prescritto che fosse ricoverato in ospedale per eseguire esami diagnostici e definire una strategia terapeutica. Il 9 aprile 2014 è stato trasferito all’ospedale San Paolo di Milano. Il suo ricovero in ospedale è stato successivamente prorogato. Il Governo ha allegato una serie di bollettini sanitari emessi tra l’aprile 2015 e il marzo 2016 che attestano l’evoluzione della situazione clinica del ricorrente e le cure mediche dispensategli. Ha sottolineato che il 9 luglio 2016 le sue condizioni di salute erano peggiorate e il 12 luglio 2016 era stato concesso alla sua famiglia l’accesso nella stanza dell’ospedale per fargli visita.

125. Il Governo ha concluso affermando che il ricorrente aveva ricevuto cure mediche appropriate e adeguate, controlli regolari ed era stata garantita la prevenzione del peggioramento delle sue condizioni, e quindi protetta la sua integrità fisica.

b) La valutazione della Corte

126. La Corte ribadisce che l'articolo 3 della Convenzione sancisce uno dei valori fondamentali di una società democratica. Proibisce in modo assoluto la tortura o le pene e i trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalle circostanze e dal comportamento della vittima. Per essere compreso nel campo di applicazione dell’articolo 3  il maltrattamento deve comunque raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale minimo è relativa: dipende da tutte le circostanze del caso, quali la durata del trattamento, i suoi effetti fisici e mentali e, in alcuni casi, il sesso, l'età e lo stato di salute della vittima (si vedano, tra altri precedenti, Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 91, CEDU 2000 XI; Peers c. Grecia, n. 28524/95, § 67, CEDU 2001-III; Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, § 55, CEDU 2009; e Bouyid c. Belgio [GC], n. 23380/09, § 86, CEDU 2015).

127. Lo Stato deve assicurare che una persona sia detenuta in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità e il metodo di esecuzione della misura privativa della libertà non la sottopongano a sacrifici o privazioni di intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione (si vedano Kudła, sopra citata, § 94, e Svinarenko e Slyadnev c. Russia [GC], nn. 32541/08 e 43441/08, § 116, CEDU 2014 (estratti)), e che, date le esigenze pratiche della reclusione, siano garantiti adeguatamente il suo benessere e la sua salute (si vedano Kudła, sopra citata, § 94, e Idalov c. Russia [GC], n. 5826/03, § 93, 22 maggio 2012). Nella maggior parte delle cause relative alla detenzione di persone malate, la Corte ha esaminato se il ricorrente avesse ricevuto un’adeguata assistenza medica in carcere (Mozer c. Repubblica di Moldavia e Russia [GC], n. 11138/10, § 178, CEDU 2016).

128. A tale riguardo, l’“adeguatezza” dell’assistenza medica rimane l’elemento più difficile da determinare. La Corte ribadisce che il mero fatto che un detenuto sia visitato da un medico e gli sia prescritta una determinata cura non può condurre automaticamente a concludere che l’assistenza medica era adeguata (si veda Hummatov c. Azerbaigian, nn. 9852/03 e 13413/04, § 116, 29 novembre 2007). Le autorità devono inoltre assicurare che sia tenuto un registro completo dello stato di salute del detenuto e delle cure cui è sottoposto nel corso della detenzione (si veda Khudobin c. Russia, n. 59696, § 83, CEDU 2006-XII), che la diagnosi e le cure siano sollecite e accurate (si vedano Melnik c. Ucraina, n. 72286/01, §§ 104-06, 28 marzo 2006, e Hummatov, sopra citata, § 115), e che, laddove sia richiesto dal carattere di una condizione medica, il controllo sia regolare e sistematico e riguardi una strategia terapeutica globale finalizzata a curare adeguatamente i problemi di salute dei detenuti o a prevenire il loro aggravamento, piuttosto che ad affrontarli su base sintomatica (si veda Blokhin c. Russia [GC] n. 47152/06, § 137, CEDU 2016).

129. Nel complesso, la Corte si riserva un certo grado di elasticità nel  definire il livello di assistenza sanitaria richiesto, decidendolo caso per caso  (si veda Aleksanyan c. Russia, n. 46468/06, § 140, 22 dicembre 2008).

130. Infine, per quanto riguarda il livello della prova, la Corte ribadisce che le accuse di maltrattamento devono essere supportate da prove adeguate. Per valutare tali prove, la Corte adotta il criterio della prova “oltre ogni ragionevole dubbio”, ma aggiunge che tale prova può derivare dalla coesistenza di inferenze sufficientemente forti, chiare e concordanti o di analoghe presunzioni di fatto non confutate (si veda Enea, sopra citata, § 55).

131. Passando alle circostanze del caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente era affetto da diverse patologie croniche, tra cui il morbo di Parkinson, l’encefalopatia vascolare, l’epatopatia HCV correlata e l’ipertensione arteriosa, nonché un grave e progressivo decadimento delle funzioni cognitive (si veda il paragrafo 15 supra). La documentazione medica agli atti indica anche che, oltre al fatto che il ricorrente era affetto da patologie croniche, la sua salute si è deteriorata nel tempo. Nel dicembre 2013 è stato definito una persona allettata a causa della grave compromissione delle sue abilità motorie e, almeno a decorrere dal settembre 2013, ha dovuto essere alimentato artificialmente mediante un sondino a causa della sua incapacità di alimentarsi (si veda il paragrafo 35 supra).

132. Avendo accertato le condizioni di salute del ricorrente, e dato che non sono contestati la gravità e il progredire di tali condizioni nel tempo, la Corte ritiene necessario valutare l’adeguatezza delle cure mediche che gli sono state offerte al fine di determinare se siano stati rispettati i requisiti dell’articolo 3 della Convenzione.

133. In ordine al periodo di detenzione del ricorrente a Parma dall’aprile 2011 all’aprile 2013, la Corte rileva innanzitutto che il ricorrente è stato detenuto in una struttura dotata di un centro clinico penitenziario, come sottolineato dal Governo. Il diario clinico penitenziario e gli altri rapporti medici agli atti dimostrano che nel corso di tale periodo la salute del ricorrente è stata monitorata regolarmente dal personale medico e infermieristico (si veda il paragrafo 16 supra). Inoltre, si può trovare la prova dell'esistenza di una strategia terapeutica nelle annotazioni contenute nel diario clinico penitenziario (si veda il paragrafo 20 supra).

134. Durante lo stesso periodo, il ricorrente ha beneficiato di un gran numero di consultazioni specialistiche per le sue patologie croniche e per altri problemi di salute sorti durante la detenzione (si veda il paragrafo 17 supra). La documentazione medica agli atti indica inoltre che ha subito un’ampia serie di esami su base regolare – esami che vanno dalle analisi emocromocitometriche di routine agli esami specialistici (si veda il paragrafo 18 supra). Quando è stato necessario, è stato trasferito in un ospedale civile per essere sottoposto ad accertamenti che non potevano essere eseguiti internamente o per ricevere le cure necessarie (si vedano i paragrafi 21, 22 e 25 supra), ed è stato ricondotto in carcere quando i medici dell’ospedale hanno certificato che poteva essere dimesso.

135. Con specifico riferimento alle conseguenze delle cadute del ricorrente nel dicembre 2012, sulla base della lettura del diario clinico penitenziario, la Corte non può concludere che le sue condizioni non siano state monitorate o che sia stato lasciato privo di assistenza medica. A tale riguardo, la Corte precisa che, secondo le annotazioni contenute nel diario clinico, a seguito della caduta del 12 dicembre, il ricorrente è stato visitato ed esaminato dal medico di turno (si veda il paragrafo 23 supra). Il 15 dicembre il medico di turno ha visitato il ricorrente due volte dopo che era caduto e ha disposto il monitoraggio delle sue condizioni da parte del personale infermieristico, e il ricorrente è stato trasferito al pronto soccorso di un ospedale civile quando è stato giudicato non responsivo (si vedano i paragrafi 24 e 25 supra). La Corte rileva inoltre che il ricorrente non ha contestato le affermazioni del Governo e ha presentato una documentazione che dimostra che ha ricevuto cure mediche successivamente a tali incidenti. Inoltre, oltre a segnalare l’esistenza di una denuncia presentata in relazione ai summenzionati incidenti, il ricorrente non ha fornito alcuna informazione in merito all’esito della denuncia alle autorità interne (si veda il paragrafo 26 supra). Per quanto sopra esposto, e sulla base delle informazioni presentate, la Corte ritiene che non vi siano prove sufficienti per concludere che il personale medico del carcere fosse negligente dal punto di vista medico e se questo, a sua volta, ha condotto al ritardo nel ricovero e nell’intervento chirurgico del ricorrente.

136. La Corte prende atto dell’ulteriore rilievo del ricorrente secondo il quale non erano state adottate determinate precauzioni per evitare che cadesse nuovamente. Mentre la Corte non è persuasa dal fatto che le autorità fossero obbligate a collocarlo con un compagno di cella al fine di garantire che fosse controllato, essa esprime preoccupazione per il fatto che, prima che egli cadesse nuovamente, il letto del ricorrente non era stato dotato di sponde, nonostante la raccomandazione del medico del 12 dicembre 2012 (si veda il paragrafo 23 supra). Tuttavia, mentre la Corte riconosce tale carenza, non ritiene che sia sufficiente a sollevare, di per sé, una questione ai sensi dell'articolo 3. Come sottolineato dal Governo, che ha fornito della documentazione in tal senso, prima del ritorno del ricorrente nella Casa di reclusione avvenuto nel marzo 2013, erano state adottate alcune misure, tra cui la fornitura di un letto dotato di sponde, in aggiunta ad altre misure strutturali finalizzate a soddisfare le necessità del ricorrente al suo ritorno (si veda il paragrafo 29 supra).

137. Nella misura in cui il ricorrente sembra lamentare la sua detenzione a Milano, la Corte ribadisce che, dopo diversi mesi di ricovero in un ospedale civile di Parma, il 5 aprile 2014 il ricorrente è stato trasferito nel Centro diagnostico terapeutico della Casa di reclusione di Milano-Opera, e il 9 aprile 2014 è stato ricoverato all’Ospedale San Paolo, dove è rimasto fino alla morte, avvenuta nel luglio 2016. La Corte sottolinea pertanto che dal 9 aprile 2014 il ricorrente è stato detenuto nel reparto di lungodegenza di un ospedale civile, sebbene in un reparto protetto. Sulla base del materiale presentato in relazione a tale periodo, la Corte non ha motivo di dubitare che il ricorrente abbia ricevuto cure mediche adeguate in un ospedale che le autorità interne hanno descritto come un centro che forniva eccellenti cure mediche (si vedano i paragrafi 43 e 55 supra), nel quale la sua salute era monitorata regolarmente e gli erano costantemente somministrate cure per i suoi molteplici problemi di salute (si veda il paragrafo 40 supra).

138. La Corte osserva inoltre che il ricorrente ha avuto l’opportunità di adire i tribunali interni per una valutazione della compatibilità della detenzione con la sua salute. Le due decisioni presentate in relazione al suo periodo di detenzione a Parma indicano che i tribunali interni hanno valutato le prove mediche di cui disponevano e hanno concluso che nella Casa di reclusione le condizioni mediche del ricorrente erano monitorate e curate adeguatamente, e quando necessario era richiesto il ricovero esterno (si vedano i paragrafi 49-51 supra). Nelle decisioni interne relative alla detenzione del ricorrente nell’ospedale San Paolo di Milano, i tribunali interni si sono basati sulla documentazione sanitaria e su una perizia elaborata da due periti indipendenti, per concludere che il ricorrente riceveva cure mediche appropriate ed efficaci in una struttura ospedaliera civile (si vedano i paragrafi 52-54 supra).

139. In ordine all’affermazione del ricorrente secondo la quale le sue esigenze igieniche non erano soddisfatte adeguatamente, la Corte rileva innanzitutto che il ricorrente non ha elaborato la sua richiesta fornendo dettagli quali il periodo di tempo durante il quale ha avuto luogo l’asserito trattamento. Il reclamo presentato a livello nazionale a tale riguardo (si veda il paragrafo 33 supra) riguarda un'occasione, il 22 giugno 2013, in cui il figlio del ricorrente ha prelevato una busta contenente la  biancheria intima del ricorrente nella Casa di reclusione e ha lamentato il fatto che fosse sporca, ma il ricorrente non ha fornito alcuna informazione sull’esito di tale procedimento. Il Governo ha inoltre fornito della documentazione che dimostrava che era stata prevista la gestione dell’incontinenza del ricorrente e delle sue esigenze quotidiane di igiene personale, e che si era provveduto a tali necessità a decorrere dal 5 marzo 2013 (si vedano i paragrafi 30 e 34 supra). Ciò non è stato contestato dal ricorrente. Per quanto sopra esposto, la Corte ritiene di disporre di elementi insufficienti per poter trarre conclusioni in ordine al soddisfacimento delle esigenze di igiene e di cura personale del ricorrente.

140. Visti i paragrafi precedenti, e valutando i fatti pertinenti nel loro insieme, la Corte non ritiene accertato che la detenzione del ricorrente possa essere considerata per se  incompatibile con le sue - seppur gravi - condizioni di salute ed età avanzata, o che, date le esigenze pratiche della reclusione, la sua salute e il suo benessere non erano stati tutelati adeguatamente.

141. Non vi è conseguentemente stata violazione dell’articolo 3 in ordine a questa parte della doglianza.

2. La doglianza relativa alla protrazione dell’applicazione del regime speciale di cui all’articolo 41 bis

a) Osservazioni delle parti

142. Il ricorrente ha sostenuto che la protrazione della sua detenzione ai sensi del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis della Legge sull’Ordinamento penitenziario violava l’articolo 3. Ha argomentato che, alla luce del suo stato di salute, in particolare del grave deterioramento delle sue funzioni cognitive, le originarie ragioni per applicare il regime detentivo speciale non sussistevano più.

143.  Il Governo ha contestato che vi fosse stata violazione dell’articolo 3 in ragione della protrazione dell’applicazione del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis. Dopo aver sottolineato il ruolo di spicco del ricorrente nella mafia e la sua pericolosità, ha ribadito che il regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis , come sottolineato nelle sue osservazioni, costituiva una misura di prevenzione – che non aveva quindi finalità punitive - il cui scopo principale era impedire che i detenuti mantenessero collegamenti con membri della loro organizzazione criminale, all'interno o all'esterno del carcere.

144. Il Governo ha rinviato alla giurisprudenza della Corte in cui la quest’ultima aveva valutato diversi aspetti del regime speciale e li aveva considerati compatibili con la Convenzione. Ha citato, in particolare, i ricorsi Gallico c. Italia, n. 53723/00, 28 giugno 2005; Argenti c. Italia, n. 56317/00, 10 novembre 2005; Campisi c. Italia, n. 24358/02, 11 luglio 2006; Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, CEDU 2009; Madonia c. Italia, n. 55927/00, 6 luglio 2004; e Genovese c. Italia (dec.), n. 24407/03, 10 novembre 2009.

145. Il Governo ha aggiunto che, in ogni caso, a causa delle gravi condizioni di salute del ricorrente, egli aveva trascorso la maggior parte della sua detenzione in ospedali civili, dove alcune restrizioni non potevano essere attuate.

146. In ordine alla giustificazione della protrazione del regime detentivo speciale, il Governo ha sottolineato che era basata sul permanere della pericolosità sociale del ricorrente, unita alla gravità dei reati che aveva commesso, ed era dettata da esigenze di sicurezza preventiva. Ha aggiunto che tutte le decisioni che prorogavano il regime avevano enumerato esaustivamente le ragioni a sostegno della proroga.

b)  La valutazione della Corte

147.  La Corte rileva innanzitutto di aver già avuto ampie opportunità di valutare il regime previsto dall’articolo 41 bis in un notevole numero di cause di cui è stata investita, e di aver concluso che, date le circostanze di tali cause, l’applicazione del regime non sollevava alcuna questione ai sensi dell’articolo 3, anche se lo stesso era stato applicato per lunghi periodi di tempo (si vedano, tra numerosi altri esempi, Enea, sopra citata; Argenti, sopra citata; Campisi c. Italia, n. 24358/02, 11 luglio 2006; nonché Paolello c. Italia (dec.) n. 37648/02, 24 settembre 2015). In tali cause la Corte ha ripetutamente ritenuto che, quando si valuta se la proroga dell’applicazione di alcune restrizioni ai sensi del regime previsto dall’articolo 41 bis raggiunga la soglia minima di gravità richiesta per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3, la durata temporale deve essere esaminata alla luce delle circostanze di ciascuna causa, il che comporta, inter alia, la necessità di accertare se il rinnovo o la proroga delle restrizioni contestate fossero giustificati o meno (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Enea, sopra citata, § 64; Argenti, sopra citata, § 21; Campisi, sopra citata, § 38, 11 luglio 2006; e Paolello, sopra citata, § 27); nonché, mutatis mutandis, Ramirez Sanchez c. Francia [GC], n. 59450/00, § 145, CEDU 2006-IX).

148.  Passando al caso in esame, la Corte esaminerà in primo luogo il rilievo del Governo relativo all’impossibilità di applicare alcune restrizioni  (si veda il paragrafo 145 supra). A tale riguardo la Corte rileva che il Governo non ha precisato quali restrizioni, a suo avviso, avevano cessato di essere applicate in pratica, o a quali periodi di detenzione nei diversi ospedali si riferisse. Esso non ha neanche fornito prove a tale riguardo. La Corte osserva inoltre che, anche quando era detenuto in strutture ospedaliere, il ricorrente era ristretto in reparti protetti, e i medici di Milano  hanno dichiarato nella loro relazione che il ricorrente era detenuto in un “reparto dell’ospedale riservato all’articolo 41 bis” (si veda il paragrafo 43 supra). Si può pertanto assumere che anche in tali strutture potevano comunque essere applicate alcune restrizioni. In ogni caso, resta indiscusso che le restrizioni contestate erano formalmente in vigore, a seguito di nove proroghe consecutive, a decorrere dal momento dell’iniziale carcerazione del ricorrente, avvenuta nel 2006, alla sua morte, verificatasi nel 2016 (si veda il paragrafo59 supra). Inoltre, in considerazione delle modalità di formulazione della doglianza del ricorrente, la Corte rileva che egli non si è concentrato sulle specifiche restrizioni la cui applicazione, singolarmente o globalmente, lo aveva sottoposto a un trattamento inumano o degradante. L’essenza della doglianza sembra piuttosto lamentare il fatto che, alla luce del peggioramento del suo stato di salute generale, e in particolare del grave deterioramento delle sue funzioni cognitive, i motivi per applicare le restrizioni non sussistevano più, e ciò rendeva pertanto la loro applicazione ingiustificata.

149.  Alla luce di quanto sopra, la Corte procederà a esaminare se si possa affermare che la proroga delle restrizioni sollevi una questione ai sensi dell'articolo 3, concentrandosi in particolare sulla questione di stabilire se si possa affermare che tale proroga era giustificata.

150. La Corte prende atto dei rilievi del Governo sulle finalità  puramente preventive e di sicurezza - piuttosto che punitive – del regime detentivo speciale in questione, e del suo obiettivo di far troncare i rapporti tra i detenuti e le loro reti criminali (si veda il paragrafo 143 supra), nonché dei rilievi addotti in ordine alla giustificazione dell’applicazione delle misure (si veda il paragrafo 6 supra). In realtà il ricorrente era stato un soggetto estremamente pericoloso e il capo di una delle maggiori organizzazioni criminali esistenti. Il quadro che emerge dalle decisioni delle autorità nazionali di prorogare l’applicazione delle misure è chiaro e persuasivo a tale riguardo. Le autorità hanno fornito resoconti dettagliati, basati su prove fornite da diversi enti e agenzie statali, contenenti, tra l’altro, i precedenti penali del ricorrente, il suo passato ruolo di capo  dell'organizzazione criminale, la rete di supporto sulla quale aveva fatto affidamento durante il tempo trascorso in latitanza, le sue molteplici condanne per crimini efferati, e la continua esistenza e l’operatività del sodalizio criminale in Italia e all’estero (si vedano i paragrafi 65-71 e 74 78 supra). Anche il tribunale di sorveglianza, che è stato chiamato a riesaminare il decreto di proroga del 2014, ha sottolineato il ruolo apicale rivestito dal ricorrente all’interno dell’organizzazione e il grande pericolo che aveva posto per la società, nonché la straordinaria rete di sostenitori che gli aveva permesso di gestire l'organizzazione per decenni, anche nel corso della latitanza (si veda il paragrafo 73 supra).

151.  Tuttavia, senza sottovalutare l’importanza delle considerazioni contenute nel paragrafo precedente e il loro peso in relazione alla valutazione dell’opportunità di prorogare le restrizioni, come verrà ulteriormente spiegato in seguito, la Corte non è persuasa del fatto che, nel  caso di specie, tali considerazioni possano essere sufficienti, da sole, a giustificare la proroga delle misure. A tale riguardo, la Corte sottolinea che la stato di salute del ricorrente era caratterizzato da un grave deterioramento cognitivo, che è innegabilmente peggiorato nel tempo. Tale aspetto distingue quindi il caso di specie da quelli in cui - pur essendo gravi - i problemi di salute sono limitati alla sfera fisica, ma non incidono sulla capacità mentale di un ricorrente. Il quadro che emerge dalla documentazione medica di cui dispone la Corte, riassunto nei paragrafi 15-47 supra, può almeno far suscitare alcuni legittimi dubbi sulla persistente pericolosità del ricorrente e sulla sua capacità di mantenere collegamenti significativi e costruttivi con il sodalizio criminale di cui faceva parte. La Corte non può pertanto affermare, come ha fatto in diverse precedenti cause relative al regime di cui all’articolo 41 bis, che il ricorrente non ha presentato prove che potessero indurla a concludere che la proroga di tali restrizioni era ingiustificata (si vedano, tra numerosi altri, Enea, sopra citata, § 65; Argenti, sopra citata, § 21; nonché Riina c. Italia (dec.), n 43575/09, § 28, 11 marzo 2014).

152.  La Corte ribadisce che il rispetto della dignità umana è l’essenza stessa della Convenzione e che l’oggetto e la finalità della Convenzione, strumento destinato a proteggere i singoli esseri umani, impongono che le sue disposizioni siano interpretate e applicate in modo da rendere le sue garanzie pratiche ed effettive (Svinarenko e Slyadnev, sopra citata, § 138). A tale riguardo, la Corte ritiene che sottoporre un individuo a una serie di restrizioni aggiuntive (si veda il paragrafo 57 supra), applicate dalle autorità penitenziarie a loro discrezione, senza fornire motivi sufficienti e pertinenti basati su una valutazione personalizzata della necessità, compromette la sua dignità umana e comporta la violazione del diritto di cui all’articolo 3.

153. In tale contesto, tenuto conto degli specifici fatti del caso di specie, la Corte ritiene necessario verificare che le autorità nazionali che avevano il compito di decidere in merito alla proroga dell’applicazione del regime di cui all’articolo 41 bis abbiano proceduto a un autentico riesame, che tenesse conto dei pertinenti cambiamenti avvenuti nella situazione del ricorrente, che avrebbero potuto far dubitare della perdurante necessità di applicare tali misure (si veda, mutatis mutandis, Horych, sopra citata, § 92). In circostanze quali quelle in esame, sembra che tale riesame fosse necessario per evitare il rischio di abusi o arbitrarietà.

154.  Passando ai fatti in esame, la Corte osserva che, in relazione al periodo compreso tra l’emissione del decreto di proroga nel marzo 2012 e la proroga del marzo 2014, è provato che lo stato di salute del ricorrente si è notevolmente deteriorato ed egli ha dovuto essere sottoposto a un intervento neurochirurgico (si veda il paragrafo 25 supra). Le prove del deterioramento cognitivo, già rilevato nelle relazioni mediche del 2012 (si vedano i paragrafi 9, 21 e 22 supra) sono state definite gravi in un rapporto medico del dicembre 2013 (si veda il paragrafo 35 supra), ed è stato menzionato che il ricorrente si esprimeva verbalmente in modo incoerente e incomprensibile (si vedano i paragrafi 35 e 36 supra). La Corte nota con una certa preoccupazione che il decreto di proroga del 2014 non ha dedicato molta attenzione al deterioramento cognitivo del ricorrente, nonostante la sua gravità e le sue potenziali conseguenze sulla perdurante necessità di misure restrittive speciali. L’unica prova del fatto che tale situazione sia stata riconosciuta nel decreto è contenuta nelle parti che riportano le sintesi delle conclusioni di alcune Procure antimafia (si vedano i paragrafi 69 e 70 supra). Detto ciò, il Tribunale di Roma ha riesaminato il decreto del 2014, e il testo della decisione prova che, nel farlo, esso ha esaminato un’ampia documentazione medica, compresa una recente perizia neuropsicologica che aveva richiesto poco prima dell’emissione della decisione (si veda il paragrafo 73 supra). Sulla base di tale documentazione, il Tribunale ha compiuto una valutazione indipendente e ha raggiunto una conclusione motivata secondo la quale la quale la possibilità che il ricorrente potesse trasmettere all’organizzazione messaggi penalmente rilevanti non poteva essere esclusa con assoluta certezza (ibid.). La Corte non può quindi concludere che le condizioni del ricorrente non siano state realmente riesaminate in modo da tener conto del mutamento delle sue circostanze al momento della proroga del decreto nel 2014.

155. Passando al decreto di proroga del Ministro della Giustizia del 23 marzo 2016, la Corte osserva che il Governo ha richiamato l’attenzione della Corte in particolare su tale decreto, a sostegno della posizione secondo la quale la protrazione dell’applicazione delle misure era giustificata. Le prove mediche di cui dispone la Corte dimostrano che nel periodo intercorso tra l’emissione del decreto di proroga, avvenuta nel marzo 2014, e l’emissione del decreto di proroga del 23 marzo 2016, la situazione di salute del ricorrente, già gravemente compromessa, si è ulteriormente deteriorata. A titolo di esempio, nell’agosto 2014 la sua situazione cognitiva è stata definita peggiorata dal mese di aprile, e gli esperti medici hanno sottolineato la sua totale mancanza di autonomia nell’esecuzione delle elementari funzioni quotidiane, al punto che doveva essere totalmente idratato e nutrito in modo artificiale a causa della sua incapacità di alimentarsi. Nel settembre 2014 è stato definito incapace di relazionarsi con il mondo esterno e di prendersi cura di sé (si veda il paragrafo 45 supra). I rapporti medici del 2015 e del 2016 presentati dal Governo rivelano un ulteriore progressivo declino delle sue funzioni cognitive, che nel marzo 2016 sono state definite “estremamente deteriorate” (si veda il paragrafo 46 supra). Inoltre il ricorrente continuava a essere allettato e a ricevere totalmente l’idratazione e il supporto nutrizionale attraverso un sondino, fino al momento in cui è entrato in una fase pre-terminale pochi mesi dopo l’emissione del decreto, nel luglio 2016.

156. Data la gravità della situazione, la Corte ritiene che, nel marzo 2016 quando è stata prorogata l’applicazione del regime di cui all’articolo 41 bis, non soltanto la dichiarazione dei motivi che militavano a favore della proroga avrebbe dovuto essere maggiormente particolareggiata e convincente, ma si sarebbe dovuto tener conto dell’evoluzione del deterioramento cognitivo del ricorrente (si veda Vinter e altri c. Regno Unito [GC], nn. 66069/09 e altri 2, §§ 119-22, CEDU 2013 (estratti). Benché il decreto fornisca un resoconto dettagliato dei precedenti penali del ricorrente, del suo ruolo di spicco nell’organizzazione criminale e della provata perdurante operatività di tale organizzazione, la Corte rileva che, a parte i due riferimenti descritti nei paragrafi 77 e 78 supra, che rinviano ai rapporti della DDA di Palermo  e della DNA, il decreto non contiene alcuna altra menzione della situazione cognitiva del ricorrente. Inoltre non sembra che nel testo del decreto vi sia alcuna traccia visibile di una esplicita e autonoma valutazione da parte del Ministro della giustizia della situazione cognitiva del ricorrente al momento in cui è stata presa la decisione. Il limitato spazio concesso a tali circostanze e l’assenza di una esplicita valutazione rendono difficile per la Corte accertare in quale modo e in quale misura siano state ponderate tali circostanze nel valutare se prorogare le restrizioni. Conseguentemente, la Corte non può che concludere che nella motivazione del decreto non vi sono prove sufficienti che dimostrino che sia stata effettuata una reale rivalutazione relativa ai rilevanti cambiamenti della situazione del ricorrente, in particolare al suo cruciale declino cognitivo.

157.  Alla luce di quanto sopra la Corte non è persuasa del fatto che il Governo abbia dimostrato in modo convincente che, date le particolari circostanze del caso di specie, fosse giustificato prorogare nel 2016  l’applicazione del regime previsto dall’articolo 41 bis.

158.  Vi è conseguentemente stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione, per il periodo successivo alla proroga del regime di cui all’articolo 41 bis in data 23 marzo 2016.

III.  APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

159.  L’articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A.  Danno

160.  In ordine al danno non patrimoniale, il ricorrente ha chiesto  150.000 euro (EUR) o l’eventuale altro importo che la Corte ritenga appropriato.

161.  Il Governo ha contestato tale importo.

162.  La Corte sottolinea di aver riscontrato la violazione della Convenzione soltanto in ordine a un aspetto della doglianza del ricorrente relativa alla proroga del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis (si vedano i paragrafi 157 e 158 supra). Date le circostanze della causa, ritiene che la constatazione della violazione sia sufficiente a risarcire il danno non patrimoniale subito.

B.  Spese

163.  Il ricorrente ha inoltre chiesto EUR 20.000 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.

164.  Il Governo ha contestato tale importo e ha sottolineato che in ogni caso il ricorrente non aveva presentato alcuna documentazione a sostegno della sua richiesta.

165.  Secondo la giurisprudenza della Corte il ricorrente ha diritto al rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Stante il fatto che il ricorrente non ha fornito alcuna prova documentale che dimostri l’importo delle spese che ha realmente e necessariamente sostenuto, la Corte rigetta la sua domanda di rimborso delle spese e non accorda alcuna somma a tale titolo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÁ,

  1. Accoglie la legittimazione ad agire del figlio del ricorrente, Sig. Angelo Provenzano, per proseguire il ricorso nell’interesse del padre;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile;
  3. Ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione in ordine alle condizioni di detenzione;
  4. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa della prorogata applicazione del regime detentivo speciale in data 23 marzo 2016;
  5. Ritiene che la constatazione di una violazione costituisca di per sé una sufficiente equa soddisfazione del danno non patrimoniale subito dal ricorrente;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione del ricorrente.

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto in data 25 ottobre 2018, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente