Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 agosto 2021 - Ricorso n. 5312/11 - Causa Beg s.p.a. contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

 

CAUSA BEG S.P.A. C. ITALIA

(Ricorso n. 5312/11)

SENTENZA

Articolo 6 § 1 (civile) - Tribunale imparziale - Difetto di oggettiva imparzialità di un arbitro, dirigente e difensore dell’entità capogruppo della società avversaria della ricorrente nel procedimento civile connesso - Assenza di rinuncia inequivocabile della ricorrente al diritto alla determinazione della controversia da parte di un organo imparziale in un procedimento di arbitrato volontario 

STRASBURGO

20 maggio 2021

DEFINITIVA
20/08/2021

 

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Beg S.p.a. c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

  • Ksenija Turković, Presidente,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Alena Poláčková,
  • Péter Paczolay,
  • Gilberto Felici,
  • Erik Wennerström,
  • Raffaele Sabato, giudici,
  • e Renata Degener, Cancelliere di Sezione,

visti:

il ricorso (n. 5312/11) presentato contro la Repubblica italiana con il quale una società costituita in Italia, la Beg S.p.a. (“la ricorrente”), ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) in data 21 gennaio 2011;

la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”) la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 della Convenzione;

le osservazioni formulate dalle parti;

la domanda della ricorrente tesa a ottenere lo svolgimento di un’udienza sulla ricevibilità e sul merito della causa e la decisione della Camera del 13 aprile 2021, che ha ritenuto che un’udienza orale non fosse necessaria;

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 13 aprile 2021,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. La causa concerne, ai sensi 6 § 1 della Convenzione, l’asserita iniquità del procedimento di arbitrato volontario, in particolare l’asserito difetto di imparzialità di uno degli arbitri che avevano pronunciato un lodo arbitrale tra la società ricorrente e l’ENELPOWER S.p.a., una società italiana.

IN FATTO

  1. La ricorrente è una società italiana, rappresentata dagli avvocati A. Saccucci, A.G. Lana e M. Desario, del Foro di Roma.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex co-agente, la Sig.ra M.G. Civinini.
  3. I fatti oggetto della causa, come presentati dalle parti, possono essere riassunti come segue.
  1. IL CONTESTO FATTUALE
  1. La ricorrente è una società italiana che opera nel settore della costruzione e della gestione di centrali idroelettriche e dell’installazione di impianti di energia rinnovabile.
  2. In data 12 febbraio 1996 la ricorrente inviò una missiva all’ENEL, con la quale le comunicava che stava per iniziare la costruzione di una centrale idroelettrica in Albania. La ricorrente desiderava valutare l’interesse dell’ENEL a raccogliere l’energia elettrica che sarebbe stata prodotta nella centrale. L’ENEL, acronimo che sta per Ente nazionale per l’energia elettrica, era stato istituito come ente pubblico nel 1962 mediante la nazionalizzazione di diverse società private operanti nel campo dell’energia elettrica. Nel 1999, con la costituzione di diverse società controllate e la vendita del 32% del suo capitale sul mercato azionario, iniziò un processo di privatizzazione dell’ente. Nel 1996 esso aveva ancora un monopolio nel settore dell’energia italiano. All’epoca N.I. era Vice-Presidente dell’ENEL e componente del Consiglio di amministrazione.
  3. L’ENEL inviò una prima risposta positiva il 29 febbraio 1996, mediante una nota firmata da due dirigenti della società, C.P. e G.P., che dichiarava che sarebbe stata in linea di principio disponibile a esaminare la proposta di fornitura di energia, a condizione che fossero ultimate le attività necessarie ad assicurare la realizzabilità tecnica del progetto.
  4. Nel giugno del 1996 la ricorrente ricevette una concessione dal Governo albanese per costruire la centrale idroelettrica. La ricorrente firmò la concessione nel maggio del 1997. Nel marzo del 1999 fu successivamente firmato un accordo preliminare tra l’ENEL e la ricorrente, contenente un impegno delle parti a realizzare il progetto.
  5. Nel 1999, dopo essere precedentemente stata una divisione interna nell’ambito dell’ENEL, l’ENELPOWER S.p.a. (“ENELPOWER”) fu costituita come società distinta, benché interamente controllata dall’ENEL e collegata alla Divisione Ingegneria e Costruzione di quest’ultima.
  6. In data 2 febbraio 2000, dopo quasi quattro anni di trattative con l’ENEL, la ricorrente firmò un accordo di collaborazione con l’ENELPOWER, entità costituita in epoca recente. L’accordo prevedeva la costruzione della summenzionata centrale idroelettrica in Albania. Una delle principali disposizioni dell’accordo prevedeva l’obbligo della ricorrente di vendere, all’ENEL (l’entità capogruppo), l’energia elettrica che sarebbe stata prodotta nella centrale idroelettrica, al fine della distribuzione ai clienti dell’ENEL in Italia.
  7. Ai sensi dell’articolo 11 dell’accordo di collaborazione le parti si impegnavano a deferire ogni futura controversia alla Camera arbitrale della Camera di commercio di Rome (la “CAR”).
  8. In data 16 marzo 2000, entrambe le parti convennero di affidare all’A.A., revisore dei conti dell’ENELPOWER, l’incarico di determinare il valore della concessione della ricorrente. Il fine di tale valutazione era stabilire l’importo del capitale che avrebbe dovuto essere conferito a una società albanese costituita in epoca recente, al fine della realizzazione del progetto. L’A.A. presentò la sua valutazione in data 19 aprile 2000. L’ENELPOWER non concordò con i metodi e l’esito della valutazione, ed espresse anche dubbi in ordine alla realizzabilità del progetto, e decise di non adempiere l’accordo di collaborazione.
  1. IL PROCEDIMENTO DI ARBITRATO
  1. In data 23 novembre 2000 la ricorrente depositò presso la CAR una domanda di arbitrato nei confronti della ENELPOWER. In particolare, la ricorrente chiese alla CAR di accertare la violazione dell’accordo di collaborazione da parte dell’ENELPOWER e la risoluzione di quest’ultimo, unitamente alla condanna al risarcimento dei danni stimati in 237.500.000.000 lire italiane (ITL) (circa 130.000.000 euro (EUR)). Contestualmente, la ricorrente nominò quale suo arbitro G.G.
  2. L’ENELPOWER presentò la sua comparsa di risposta in data 28 dicembre 2000 e nominò quale suo arbitro N.I.
  3. In data 12 febbraio 2011 la CAR inviò una comunicazione agli arbitri menzionati per informarli della loro nomina e invitarli a comunicare per iscritto qualsiasi potenziale conflitto di interesse. La dichiarazione di accettazione fornita da N.I. non menzionava esplicitamente l’assenza di conflitti di interesse.
  4. In data 6 marzo 2001 fu completato il collegio arbitrale con la nomina, da parte delle parti, di un terzo arbitro con funzioni di Presidente, ovvero P.D.L. A seguito della rinuncia all’incarico da parte di quest’ultimo, in data 7 novembre 2001 la CAR designò quale Presidente A.V.
  5. All’epoca dei fatti, N.I. rappresentava l’ENEL in qualità di difensore in una controversia civile parallela conclusasi con la sentenza n. 15029 del 27 novembre 2001 (R.G. 4386/1999) della Corte di cassazione. La controversia, tra l’ENEL e, inter alia, l’Istituto italiano per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), concerneva il pagamento di domande di indennizzo assicurativo derivanti da incidenti connessi al lavoro.
  6. In data 17 giugno 2002 la CAR informò i difensori delle parti che il termine per il deposito del lodo sarebbe spirato il 15 dicembre 2002.
  7. Le versioni dei fatti fornite dalle parti in ordine agli eventi del 25 novembre 2002 differiscono radicalmente:
  • Il Governo ha affermato che, in data 25 novembre 2002, la CAR aveva rigettato, nel corso di una conferenza cui gli arbitri avevano partecipato personalmente (“conferenza personale”), tutte le domande della ricorrente. Ai sensi dell’articolo 823 del Codice di procedura civile italiano (c.p.c.), il lodo era stato deliberato a maggioranza ed era stato depositato, con le firme di A.V. e N.I., alle ore 16:34 del 6 dicembre 2002. Secondo il Governo durante la conferenza personale gli arbitri avevano chiesto al Presidente di redigere il lodo e G.G. aveva espresso l’intenzione di non sottoscrivere il lodo.
  • Secondo la ricorrente non era vero che durante tale riunione gli arbitri avessero raggiunto un accordo sulla decisione. La ricorrente ha sostenuto che G.G. non aveva mai manifestato espressamente l’intenzione di non sottoscrivere il lodo o di consentire che quest’ultimo fosse depositato senza la sua opinione dissenziente. Inoltre, G.G. non aveva compreso che la riunione fosse stata indetta per adottare la decisione definitiva.
     
  1. Nel frattempo, in data 6 dicembre 2002, la ricorrente, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, trasmessa anticipatamente via fax alla CAR e ai tre arbitri alle ore 16:50, aveva presentato un’istanza di ricusazione di N.I. In particolare, la ricorrente aveva sostenuto che il giorno prima, ovvero il 5 dicembre, era venuta a conoscenza del fatto che l’arbitro designato dall’ENELPOWER, N.I., era stato componente del Consiglio di amministrazione, Vice-Presidente e quindi legale rappresentante dell’ENEL, entità capogruppo dell’ENELPOWER, tra il 1995 e il 1996. Inoltre, la ricorrente aveva appreso anche che N.I. era stato, e continuava a essere, difensore dell’ENEL. La ricorrente ha sostenuto che in data 5 dicembre 2002 il suo legale rappresentante F.B., parlando con terzi di una conferenza tenuta dall’ENEL presso la Borsa di Milano in data 8 novembre 2002, aveva appreso per caso tali informazioni.
  2. Il medesimo giorno la Camera arbitrale aveva trasmesso a N.I. e G.G. una comunicazione, con allegato l’intero testo del lodo. La comunicazione recitava:

“Vi trasmetto, da parte del Presidente del Collegio, la redazione per iscritto del lodo arbitrale del procedimento in oggetto e Vi comunico che le tre versioni originali sono a Vostra disposizione presso questa Segreteria Tecnica, per essere sottoscritte. Nell’opportunità che tale sottoscrizione avvenga nel più breve tempo possibile – si rammenta che la scadenza per il formale deposito del lodo è stata fissata nel prossimo 15 dicembre -, si prega di segnalare eventuali difficoltà così da concordare ogni soluzione possibile al fine di garantire una rapida e corretta conclusione del procedimento.”

  1. In data 12 dicembre 2002, G.G., asseritamente ignaro del fatto che il lodo fosse stato nel frattempo depositato (si veda il paragrafo 19 supra), aveva trasmesso il proprio motivato dissenso alla CAR, e aveva contestato in esso lo svolgimento delle fasi finali del procedimento arbitrale. Aveva rinviato al fatto che era stato violato il principio della collegialità; aveva inoltre lamentato il fatto che non fosse stato svolto alcun dibattito collegiale, e la presenza di una segretaria durante la riunione del 25 novembre 2002. Quest’ultima circostanza lo aveva condotto a ritenere che la riunione non fosse stata indetta per adottare la decisione, ma che fosse un’informale adunanza del collegio. Secondo la ricorrente, il fatto che il verbale della riunione indicasse che gli arbitri avevano affidato al Presidente il compito di redigere il lodo non dimostrava nulla, in quanto esso era stato redatto qualche tempo dopo la riunione.
  2. In data 13 dicembre 2002 la CAR rigettò l’istanza di ricusazione di N.I., in quanto i rilievi presentati dalla ricorrente erano stati depositati tardivamente e il lodo era già diventato vincolante tra le parti, ai sensi dell’articolo 823 c.p.c.
  3. Nel frattempo, in data 10 dicembre 2002, la ricorrente aveva depositato presso la cancelleria del Tribunale di Roma un’istanza di ricusazione dell’arbitro N.I., ai sensi degli articoli 815 e 51 c.p.c.
  4. In data 20 febbraio 2003 il Presidente del Tribunale di Roma rigettò l’istanza di ricusazione presentata dalla ricorrente, dichiarandola inammissibile in quanto depositata tardivamente. In particolare, secondo il Tribunale, il procedimento arbitrale si era concluso il 25 novembre 2002 (data della conferenza tra gli arbitri) o, al più tardi, al momento della sottoscrizione del lodo da parte dei due arbitri, il 6 dicembre 2002. Secondo il Tribunale se i motivi di ricusazione erano appresi successivamente alla conclusione del procedimento arbitrale essi potevano essere dedotti soltanto nell’ambito di un ricorso di ricusazione straordinario.
  5. N.I. dichiarò spontaneamente dinanzi al Tribunale di Roma di aver precedentemente rappresentato l’ENEL in due procedimenti, per i quali era stato nominato difensore prima dell’inizio del procedimento arbitrale.
  6. Per i medesimi motivi indicati nel paragrafo 25 supra, in data 29 aprile 2003 il Presidente del Tribunale di Roma rigettò in quanto inammissibile un’ulteriore istanza di ricusazione di N.I., che era stata presentata dalla ricorrente in data 27 gennaio 2003. Quale ulteriore motivo di rigetto il Tribunale rinviò al fatto che, nell’ambiente in cui operavano le parti della controversia, era alquanto improbabile che esse non fossero a conoscenza, ben prima del 5 dicembre 2002, delle attività professionali di N.I.
  7. Il lodo fu dichiarato esecutivo (ai sensi dell’articolo 825 c.p.c.) in data 19 dicembre 2003, mediante decisione del Tribunale di Roma.
  1. I PROCEDIMENTI CIVILI NEI CONFRONTI DELLA CAR
  1. In data imprecisata, la ricorrente instaurò un procedimento nei confronti della CAR per negligenza, chiedendo un risarcimento pari a EUR 374.482,91. La ricorrente lamentò, inter alia, il fatto che la CAR non avesse richiesto e ottenuto l’esplicita dichiarazione relativa a un eventuale conflitto di interesse da parte degli arbitri, in violazione dell’articolo 6 del suo Regolamento, e che essa aveva indicato erroneamente il 6 dicembre 2002 quale data di deposito del lodo.
  2. In data 14 marzo 2005 il Tribunale di Roma rigettò le domande della ricorrente. In particolare, sostenne che il collegio arbitrale aveva tenuto una conferenza personale in data 25 novembre 2002 e che, in tale occasione, l’arbitro dissenziente non aveva firmato il lodo. Tutti i requisiti dell’articolo 823 c.p.c. erano stati debitamente osservati. La CAR aveva pertanto indicato correttamente il 6 dicembre 2002 quale data del deposito e non poteva esserle imputata alcuna negligenza. Allo stesso tempo, la CAR non poteva essere ritenuta responsabile del fatto che N.I. non avesse indicato nella sua dichiarazione l’assenza di qualsiasi conflitto di interesse, in quanto la CAR non aveva l’obbligo di esigere tale esplicita dichiarazione negativa.
  1. L’IMPUGNAZIONE PER NULLITÁ
  1. In data 2 dicembre 2003, ai sensi dell’articolo 828 c.p.c., la ricorrente impugnò il lodo arbitrale dinanzi alla Corte di appello di Roma. Nella sua impugnazione la ricorrente chiese ai giudici di accertare l’inesistenza o la nullità del lodo arbitrale emesso il 25 novembre 2002, e, di conseguenza, di rimettere la causa al Collegio per l’ulteriore corso del giudizio. La ricorrente sostenne che, inter alia, poiché egli non aveva rivelato la sua incompatibilità nella dichiarazione di indipendenza prevista dal Regolamento della CAR, la nomina di N.I. quale arbitro difettava di legittimità. Lamentò anche il suo difetto di imparzialità a causa dei suoi legami con il gruppo ENEL.
  2. In data 7 aprile 2009 la Corte di appello di Roma rigettò l’impugnazione proposta dalla ricorrente. Sostenne che il lodo era stato adottato nel corso della conferenza personale (si veda il paragrafo 19 supra) in data 25 novembre 2002; che l’articolo 823 c.p.c. era stato osservato, nel senso che la maggioranza degli arbitri aveva firmato il lodo; che l’assenza della dichiarazione di indipendenza era del tutto irrilevante e che il presunto difetto di imparzialità non avrebbe potuto comunque incidere sulla validità del lodo, in quanto una questione relativa all’imparzialità di un arbitro avrebbe potuto essere sollevata soltanto in un’istanza di ricusazione e, in ogni caso, non avrebbe mai potuto comportare la nullità del lodo.
  3. La ricorrente propose ricorso avverso tale sentenza alla Corte di cassazione. Quest’ultima, in data 15 novembre 2010, rigettò il ricorso della ricorrente in via definitiva. La Corte di cassazione, tuttavia, modificò radicalmente la motivazione della sentenza impugnata. Essa ritenne infatti ammissibile la censura della ricorrente relativa alla nullità del lodo derivante dal difetto di imparzialità di N.I., in quanto era stata depositata, benché successivamente alla deliberazione del lodo, prima che esso fosse sottoscritto, quindi nel corso del procedimento arbitrale (come richiesto dall’articolo 829, comma 1, n. 2, c.p.c.). Allo stesso tempo, tuttavia, la Corte di cassazione dichiarò che non era stara dimostrata l’esistenza di un legame tra l’arbitro e l’ENELPOWER, che comportasse una “coincidenza di interessi” a una determinata soluzione di quella causa (articolo 51, comma , n. 1, c.p.c.).
  1. IL PROCEDIMENTO PENALE NEI CONFRONTI DI A.V., G.G. E N.I.
  1. A seguito degli eventi del 6 dicembre 2002, il legale rappresentante della ricorrente depositò presso la CAR un reclamo contro il suo arbitro, G.G., che l’aveva ricattata in data 10 dicembre 2002, ingiungendole di rinunciare all’istanza di ricusazione di N.I. altrimenti G. non si sarebbe opposto all’approvazione definitiva del lodo, anche se a suo avviso esso era viziato da gravi irregolarità. La Procura di Roma, essendo stata informata dalla CAR di tale reclamo, avviò un’indagine penale per estorsione.
  2. A seguito dell’indagine penale e dell’acquisizione di ulteriori prove, il Pubblico ministero formulò imputazioni nei confronti di N.I. e di A.V. L’imputazione nei confronti di N.I. concerneva diversi reati, che andavano dalla falsità ideologica (articolo 479 del Codice penale) per avere, inter alia, omesso di dichiarare il suo rapporto professionale con una delle parti, all’abuso d’ufficio (articolo 323 del Codice penale) per avere dolosamente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale all’ENELPOWER.
  3. Il procedimento fu archiviato in data 13 settembre 2004 (riguardo all’imputazione per falsità ideologica) e in data 30 settembre 2005 (riguardo alle imputazioni per abuso d’ufficio). In particolare, riguardo al reato di abuso d’ufficio per avere dolosamente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale a una delle parti del procedimento arbitrale, il giudice per le indagini preliminari rinviò al consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale l’arbitrato era di natura privata e gli arbitri non potevano essere considerati dei pubblici ufficiali, non essendo pertanto responsabili a norma della pertinente disposizione penale.
  4. In data 30 settembre 2005 fu archiviato anche il procedimento penale nei confronti di G.G. per false dichiarazioni al pubblico ministero.

IL QUADRO GIURIDICO PERTINENTE

  1. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
  1. La Corte di cassazione ha ripetutamente dichiarato (si vedano, tra le altre, le sentenze nn. 3804 del 25 febbraio 2015, 8532 del 28 maggio 2003, e 10922 del 25 luglio 2002) che si deve ritenere che la procedura di arbitrato sia in corso quando la parte ricorrente ha notificato all’altra la sua intenzione di fare decidere la controversia dagli arbitri (domanda di accesso agli arbitri), in quanto la notifica comprende la natura e la base giuridica del procedimento.

 

  1. Il Codice di procedura civile italiano (nella versione vigente al momento pertinente)
  1. Le disposizioni del Codice di procedura civile (c.p.c.) applicabili, nella versione vigente al momento pertinente, recitano come segue:

Articolo 51 – Astensione del giudice

“Il giudice ha l’obbligo di astenersi:

  1. se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
  2. se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado [o legato da vincoli di affiliazione], o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  3. se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
  4. se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
  5. se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche no riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore (...)”

Articolo 815 – Ricusazione degli arbitri

“La parte può ricusare l’arbitro, che essa non ha nominato, per i motivi indicati nell’articolo 51.

La ricusazione è proposta mediante ricorso al presidente del tribunale (...) entro il termine perentorio di dieci giorni (...) dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il Presidente pronuncia con ordinanza non impugnabile, sentito l’arbitro ricusato e assunte, quando occorre, sommarie informazioni.”

Articolo 820 – Termini per la decisione

“Se le parti non hanno disposto altrimenti, gli arbitri debbono pronunciare il lodo nel termine di centottanta giorni dall’accettazione della nomina. Se gli arbitri sono più e l’accettazione non è avvenuta contemporaneamente da parte di tutti, il termine decorre dall’ultima accettazione. Il termine è sospeso quando è proposta istanza di ricusazione e fino alla pronuncia su di essa, ed è interrotto quando occorre procedere alla sostituzione degli arbitri.

(...)”

Articolo 823 – Deliberazione e requisiti del lodo

“Il lodo è deliberato a maggioranza di voti dagli arbitri riuniti in conferenza personale ed è quindi redatto per iscritto.

Esso deve contenere:

  1. l’indicazione delle parti;
  2. l’indicazione dell’atto di compromesso o della clausola compromissoria e dei quesiti relativi;
  3. l’esposizione sommaria dei motivi;
  4. il dispositivo;
  5. l’indicazione della sede dell’arbitrato e del luogo e del modo in cui è stato deliberato;
  6. la sottoscrizione di tutti gli arbitri, con l’indicazione del giorno, mese ed anno in cui è apposta; la sottoscrizione può avvenire anche in luogo diverso da quello della deliberazione ed anche all’estero; se gli arbitri sono più di uno, le varie sottoscrizioni, senza necessità di ulteriore conferenza personale, possono avvenire anche in luoghi diversi.

Tuttavia, è valido il lodo sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri, purché si dia atto che esso è stato deliberato in conferenza personale di tutti, con l’espressa dichiarazione che gli altri non hanno voluto o non hanno potuto sottoscriverlo.

Il lodo ha efficacia vincolante tra le parti dalla dara della sua ultima sottoscrizione.”

Articolo 825 – Deposito del lodo

“Gli arbitri redigono il lodo in tanti originali quante sono le parti e ne danno comunicazione a ciascuna parte mediante consegna di un originale, anche con spedizione in plico raccomandato, entro dieci giorni dalla data dell’ultima sottoscrizione.

La parte che intende far eseguire il lodo nel territorio della Repubblica è tenuta a depositarlo in originale o in copia conforme, insieme con l’atto di compromesso o con l’atto contenente la clausola compromissoria o con documento equipollente, in originale o in copia conforme, nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato.

Il tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione, in tutti i casi nei quali sarebbe soggetta a trascrizione la sentenza avente il medesimo contenuto.

(...)”

Articolo 827 – Mezzi di impugnazione

“Il lodo è soggetto soltanto all’impugnazione per nullità, per revocazione o per opposizione di terzo.

I mezzi di impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo.

(...)”

Articolo 828 – Casi di nullità

“L’impugnazione per nullità si propone, nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato.

L’impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione.

(...)”

Articolo 829 – Casi di nullità

“L’impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque rinuncia, nei seguenti casi:

(...)

 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi I e II del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale;

(...)”

Articolo 830 – Decisione sull’impugnazione per nullità 

“La corte d’appello quando accoglie l’impugnazione, dichiara con sentenza la nullità del lodo, qualora il vizio incida soltanto su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo.

Salvo volontà contraria di tutte le parti, la corte d’appello pronuncia anche sul merito, se la causa è in condizione di essere decisa, ovvero rimette con ordinanza la causa all’istruttore, se per la decisione del merito è necessaria una nuova istruzione.

In pendenza del giudizio, su istanza di parte, la corte d’appello può sospendere con ordinanza l’esecutorietà del lodo.”

  1. Il Decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40
  1. Il Decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40, entrato in vigore successivamente alla conclusione del procedimento arbitrale relativo al caso di specie, ha rafforzato radicalmente le norme concernenti la ricusazione degli arbitri, modificando l’articolo 815 c.p.c. Il nuovo testo modificato dell’articolo 815 recita:

“Un arbitro può essere ricusato:

  1. se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
  2. se egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;
  3. se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;
  4. se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;
  5. se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza; inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti;
  6. se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone.

Una parte non può ricusare l'arbitro che essa ha nominato o contribuito a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina.

(...)”

  1. Il Regolamento della CAR
  1. L’articolo 6 del Regolamento della CAR, nella versione vigente al momento pertinente, recita come segue:

Articolo 6 – Accettazione e dichiarazione d’indipendenza dell’arbitro

“Tutti gli arbitri devono essere imparziali ed indipendenti rispetto alle parti.

L’arbitro, ricevuta dalla Camera arbitrale la comunicazione della propria nomina, deve trasmettere alla stessa la propria accettazione entro dieci giorni.

In una con l’accettazione, l’arbitro deve segnalare attraverso dichiarazione scritta:

  • qualunque relazione con le parti o i loro difensori che possa incidere sulla sua indipendenza ed imparzialità;
  • qualunque interesse personale o economico, diretto o indiretto, relativo all’oggetto della controversia;

(...)”

  1. Il Codice deontologico forense italiano
  1. L’articolo 55 del Codice deontologico forense italiano, nella versione vigente al momento pertinente, stabiliva che gli avvocati non potevano assumere le funzioni di arbitro se avevano in corso rapporti professionali con una delle parti e che, in ogni caso, avevano l’obbligo di comunicare ogni circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori e/o le parti che potevano incidere sulla loro indipendenza.
  1. IL MATERIALE INTERNAZIONALE PERTINENTE
  1. Le norme sulla rivelazione del conflitto di interessi e sull’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri sono esposte in diversi regolamenti o linee-guida internazionali, che si applicano tuttavia principalmente all’arbitrato commerciale internazionale o all’arbitrato in materia di investimenti (si vedano, tra gli altri, le Linee-guida dell’associazione internazionale degli avvocati in materia di conflitti di interesse nell’arbitrato internazionale (“le Linee-guida dell’IBA”), il Regolamento della Camera di commercio internazionale (“ICC”), il Regolamento di arbitrato della Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (“UNCITRAL”), il Regolamento della Camera di commercio di Stoccolma (“SCC”), e il Regolamento di arbitrato del Centro internazionale per la risoluzione delle controversie in materia di investimento (“ICSID”)).
  2. In particolare, le Linee-guida dell’IBA del 2004, riviste nel 2014, rispecchiano il giudizio della Commissione arbitrale dell’IBA sulla migliore prassi internazionale esistente. Tentano di assistere le parti, i professionisti, gli arbitri, le istituzioni e i tribunali nel trattare le importanti questioni dell’imparzialità e dell’indipendenza.
  3. Il Principio generale 1 recita:

“Ogni arbitro sarà imparziale e indipendente dalle parti al momento dell’accettazione della nomina a svolgere le funzioni e lo rimarrà fino alla pronuncia del lodo definitivo o della definitiva risoluzione del procedimento in altro modo.”

  1. Le Linee-guida categorizzano, in tre liste codificate cromaticamente, le situazioni che possono verificarsi durante un procedimento arbitrale in cui sorge l’obbligo di fornire informazioni. In particolare, la Lista rossa enumera specifiche situazioni che, a seconda dei fatti di un determinato caso, possono dare luogo a dubbi giustificabili sull’imparzialità e l’indipendenza dell’arbitro. È divisa in due sottocategorie, “una Lista rossa facoltativa” (situazioni che possono dare luogo a un conflitto di interesse che impedisce a una persona di accettare o di continuare a svolgere le funzioni di arbitro, salvo nel caso in cui le parti concordino diversamente o siano pienamente a conoscenza del conflitto di interesse) e “una lista rossa obbligatoria” (situazioni di gravità tale che qualsiasi rinuncia di una parte o accordo delle parti saranno considerati nulli).
  2. La Lista rossa facoltativa comprende la seguente situazione:

“2.3.1 L’arbitro rappresenta o fornisce attualmente consulenza a una delle parti, o a un affiliato di una delle parti.”

  1. La Lista rossa obbligatoria comprende la seguente situazione:

“1.4 L’arbitro o la sua impresa fornisce regolarmente consulenza alla parte, o a un affiliato della parte, e l’arbitro o la sua ditta trae da tale attività un notevole guadagno.”

IN DIRITTO

  1. QUESTIONI PRELIMINARI
  1. Il diritto del co-agente di rappresentare il Governo e firmare le osservazioni scritte di quest’ultimo
  1. In una nota inviata alla Corte in data 18 marzo 2019 la ricorrente, nel chiedere una proroga del termine per presentare le osservazioni di replica, ha eccepito che le osservazioni scritte del Governo erano state firmate soltanto dalla Sig.ra M. G. Civinini, nella sua qualità di co-agente del Governo.
  2. La ricorrente ha rilevato che le suddette osservazioni erano state depositate in data 26 febbraio 2019, vale a dire successivamente all’entrata in vigore del Decreto legge 4 ottobre 2018 n. 113 (“Decreto legge n. 113/2018”), il quale, nell’articolo 15 comma 1, aggiunto dalla Legge 1° dicembre 2018 n. 132 (“Legge n. 132/2018”), prevedeva che le funzioni di agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo sono svolte dall'Avvocato generale dello Stato, che può delegare un avvocato dello Stato”. La ricorrente ha espresso pertanto i suoi dubbi circa il fatto che la Sig.ra Civinini fosse stata debitamente autorizzata a rappresentare il Governo italiano nel procedimento dinanzi alla Corte.
  3. La ricorrente ha ribadito i suoi dubbi in una nota del 23 agosto 2019.
  4. La Corte rileva che l’articolo 35 del Regolamento della Corte recita:

“Le Parti contraenti sono rappresentate da agenti, che possono farsi assistere da avvocati o consulenti.”

  1. La Corte rileva inoltre che il Rappresentante permanente presso il Consiglio d’Europa ha l’obbligo di informare la Corte della nomina di un agente o di un co-agente del Governo o della cessazione della sua nomina.
  2. A tale riguardo la Corte osserva che non è contestato che il Decreto legge n. 113/2018, come modificato dalla Legge n. 132/2018, prevedesse che le funzioni di agente del Governo dovessero essere svolte dall’Avvocato generale dello Stato. La Corte rileva che, in data 5 dicembre 2018, il Rappresentante permanente dell’Italia presso il Consiglio d’Europa ha informato la Corte che era stato nominato quale nuovo agente del Governo il Sig. M. Massella Ducci Teri, Avvocato generale dello Stato. In data 24 dicembre 2018, il Rappresentante permanente ha comunicato alla Corte che, in data 21 dicembre 2018, il Sig. Massella Ducci Teri aveva delegato le funzioni di agente al Sig. L. D’Ascia, avvocato dello Stato.
  3. Poiché le summenzionate notifiche concernevano esclusivamente le funzioni dell’agente principale del Governo e non le funzioni del suo co-agente, che sono state esercitate dalla Sig.ra Civinini precedentemente e successivamente alle summenzionate nomine, in assenza di una formale comunicazione del Rappresentante permanente presso il Consiglio d’Europa circa la cessazione dell’incarico della stessa, la Corte non ha individuato alcun incidente procedurale che avrebbe sollevato dubbi sullo status di rappresentante del Governo della Sig.ra Civinini. La Corte non vede pertanto alcun motivo per concludere che le osservazioni del Governo non fossero state presentate in modo valido. Qualsiasi altra considerazione concernerebbe e opererebbe soltanto nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale.
  1. L’articolo 47 del Regolamento della Corte
  1. Il Governo ha eccepito che la ricorrente non aveva dimostrato che F.B., che era asseritamente il suo rappresentante legale, fosse stato autorizzato a depositare il ricorso alla Corte nel suo interesse. Ha invocato a tale riguardo l’articolo 47 § 3.1, lettera d) del Regolamento della Corte e ha sostenuto che la ricorrente non aveva fornito alla Corte il rapporto di registrazione della società (visura), che era asseritamente l’unico documento che avrebbe potuto provare il ruolo di F.B. quale suo rappresentante legale.
  2. La ricorrente ha invocato l’articolo 2384 del Codice civile italiano e l’articolo 75 c.p.c. italiano, in base ai quali il Presidente del Consiglio di amministrazione ha il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.
  3. La Corte osserva che soltanto a decorrere dal 1° gennaio 2014 l’articolo 47 modificato ha applicato condizioni più rigide per la presentazione di un ricorso alla Corte (si veda, mutatis mutandis, Oliari e altri c. Italia, nn. 18766/11 e 36030/11, § 68, 21 luglio 2015).
  4. La Corte rileva inoltre che all’epoca del deposito del presente ricorso, la ricorrente aveva fornito alla Corte un documento che attestava che F.B. era il Presidente del Consiglio di amministrazione e il rappresentante legale della ricorrente. Egli aveva inoltre firmato il modulo di autorizzazione ai sensi dell’articolo 36 del Regolamento della Corte nella sua qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione. Tale modulo è datato 14 gennaio 2011.
  5. La Corte rileva che la ricorrente ha presentato il ricorso nel 2011, e non vi è alcun motivo per ritenere che esso non soddisfacesse i requisiti dell’articolo 47 del Regolamento applicabile all’epoca. Il Governo ha inoltre lamentato unicamente che la ricorrente non aveva fornito alla Corte il rapporto di registrazione della società, senza contestare l’effettivo ruolo di F.B. Vista la sua prassi ai sensi dell’articolo 47 del Regolamento e della legislazione interna applicabile all’epoca, la Corte è pertanto convinta che i documenti presentati dalla ricorrente all’atto del deposito del ricorso dimostrino che B. fosse autorizzato a rappresentare la ricorrente dinanzi alla Corte. 
  6. L’eccezione del Governo deve pertanto essere respinta.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
  1. La ricorrente ha lamentato che, in ragione dei legami professionali tra N.I. e l’ENEL, entità capogruppo dell’ENELPOWER, l’arbitro N.I. difettasse dell’indipendenza e dell’oggettiva imparzialità. Ciò si ripercuoteva sui suoi diritti a un equo processo, sanciti nell’articolo 6 della Convenzione, che recita come segue:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente da un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile.”

  1. Sulla ricevibilità
  1. La questione di sapere se la Corte sia competente ratione personae
  1. La Corte rileva che, benché lo Stato convenuto non abbia sollevato alcuna eccezione in ordine alla sua competenza ratione personae, tale questione esige un esame d’ufficio da parte della Corte (si veda Sejdić e Finci c. Bosnia-Erzegovina [GC], nn. 27996/06 e 34836/06, § 27, CEDU 2009).
  2. La Corte osserva che, nel caso di specie, la doglianza di cui è investita concerne l’asserito difetto di imparzialità di N.I., uno degli arbitri che componevano il collegio arbitrale della CAR, e del procedimento dinanzi a quest’ultima. La Corte rileva che la CAR non è un tribunale interno bensì piuttosto un’agenzia speciale della Camera di commercio di Roma, ente locale istituito ai sensi del diritto pubblico, il cui compito è, tra l’altro, la promozione degli interessi delle imprese (le attività e l’autonomia funzionale della Camera sono disciplinate principalmente dalla Legge 29 dicembre 1993 n. 580 e dal Decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112).
  3. Detto ciò, la Corte rileva che l’articolo 21 del Regolamento della CAR prevedeva che le parti, accettando il Regolamento, convenissero di rinunciare a qualsiasi mezzo di ricorso al quale era possibile rinunciare. Tuttavia, la Corte rileva anche che in alcune circostanze enumerate tassativamente, la legislazione italiana vigente al momento pertinente conferiva ai giudici nazionali la competenza a esaminare la validità dei lodi arbitrali, concedendo ai giudici sia il potere di dichiarare questi ultimi esecutivi (ai sensi dell’articolo 825 c.p.c., si veda il paragrafo 19 supra) che, in particolare, di pronunciarsi sulle impugnazioni per nullità finalizzate al riesame della legittimità del procedimento arbitrale, nonché della legittimità della composizione del Collegio arbitrale, e ciò nonostante qualsiasi rinuncia al diritto di impugnazione concordata dalle parti nella clausola compromissoria (si vedano gli articoli 827 e ss p.c. e in particolare l’articolo 829, paragrafo 39 supra). La legislazione italiana ha inoltre conferito ai giudici nazionali la competenza a esaminare le istanze di ricusazione presentate nei confronti di un arbitro (si veda l’articolo 815 c.p.c., paragrafo 39 supra). In tale quadro, la Corte rileva che il Tribunale di Roma, in data 19 dicembre 2003, ha dichiarato esecutivo il lodo arbitrale, conferendogli forza di legge nell’ordinamento giuridico italiano (si vedano i paragrafi 28 e 39 supra). In data 20 gennaio 2003 (si veda il paragrafo 25 supra) e 29 aprile 2003 (si veda il paragrafo 27 supra) il Tribunale di Roma ha anche esaminato e rigettato le istanze di ricusazione presentate dalla ricorrente. Infine, la Corte di appello di Roma in data 7 aprile 2009 (si veda il paragrafo 32 supra) e la Corte di cassazione in data 15 novembre 2010 (si veda il paragrafo 33 supra) hanno esaminato e rigettato l’impugnazione per nullità presentata dalla ricorrente ai sensi dell’articolo 828 c.p.c.
  4. Gli atti o le omissioni contestati possono quindi comportare la responsabilità dello Stato convenuto ai sensi della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Mutu e Pechstein c. Svizzera, nn. 40575/10 e 67474/10, § 67, 2 ottobre 2018). Segue anche che la Corte è competente ratione personae a esaminare la doglianza della ricorrente in ordine agli atti e alle omissioni della CAR convalidati dai giudici nazionali italiani.
  1. L’abuso del diritto di ricorso
  1. Le espressioni asseritamente vessatorie
  1. Il Governo ha sostenuto che la ricorrente aveva utilizzato in modo abusivo, nel suo ricorso, l’espressione “soluzione pilatesca”, traducibile come una soluzione “ambigua, codarda”, che rinvia all’idea di “lavarsi le mani” di una questione, attribuita a Ponzio Pilato. Tale espressione, utilizzata riguardo alla decisione del Tribunale di Roma in ordine all’istanza di ricusazione di N.I., aveva a suo avviso costituito violazione dell’articolo 44D del Regolamento della Corte, a causa della sua natura vessatoria.
  2. Il Governo ha contestato anche l’uso di altre espressioni da parte della ricorrente nelle sue osservazioni. Ha sostenuto che la ricorrente aveva utilizzato un linguaggio forte in ordine alle decisioni asseritamente arbitrarie dei giudici nazionali, al rapporto tra N.I. e l’ENELPOWER, e al procedimento penale nei confronti di N.I.
  3. La ricorrente ha affermato che le espressioni menzionate nel paragrafo 67 supra erano state utilizzate per sottolineare il fatto che il Presidente del Tribunale di Roma aveva rigettato la sua domanda sulla base dell’assunto asseritamente erroneo che l’arbitrato si fosse già concluso, senza affrontare adeguatamente le questioni giuridiche in gioco.
  4. Benché sollevato espressamente quale violazione dell’articolo 44D del Regolamento della Corte, la Corte ritiene opportuno trattare il rilievo come un’eccezione concernente l’asserito abuso del diritto di ricorso.
  5. La Corte ribadisce che anche l’uso da parte di un ricorrente di un linguaggio particolarmente vessatorio, offensivo, minaccioso o provocatorio – sia esso diretto nei confronti del Governo convenuto, del suo agente, delle autorità dello Stato convenuto, della Corte stessa, dei suoi giudici, della sua Cancelleria o dei membri di essa – può essere considerato un abuso del diritto di ricorso ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione. Tuttavia non è sufficiente che il linguaggio utilizzato dal ricorrente sia tagliente, polemico o sarcastico; per essere considerato un abuso, esso deve eccedere i limiti di una normale, civica e legittima critica (si veda, tra numerosi altri precedenti, Petrov e X c. Russia, n. 23608/16, 74, 23 ottobre 2018).
  6. Nel caso di specie è certamente vero che sia il ricorso che le osservazioni scritte della ricorrente sono caratterizzati da un linguaggio forte e accalorato. La ricorrente ha espresso energicamente la sua critica in ordine alle decisioni interne e ai fatti riguardanti il lodo arbitrale.
  7. La Corte tuttavia non accetta il rilievo del Governo secondo il quale il linguaggio utilizzato dalla ricorrente, benché certamente tagliente e molto polemico, avesse ecceduto i limiti di una normale, civica e legittima critica nei confronti delle autorità giudiziarie dello Stato convenuto. Conseguentemente, la Corte rigetta l’eccezione formulata dal Governo a tale riguardo. 
  1. L’asseritamente intenzionale occultamento dei fatti
  1. Il Governo ha affermato che vi era stato un abuso del diritto di ricorso individuale in quanto la ricorrente non aveva informato la Corte, nel modulo di ricorso, di aver promosso un’azione civile dinanzi al Tribunale di Roma per ottenere un risarcimento per l’asserito abuso d’ufficio commesso dalla CAR (si veda il paragrafo 29 supra). Il Governo ha sostenuto che la conoscenza di tale fatto era essenziale al fine dell’esame del caso.
  2. Ha inoltre sostenuto che la ricorrente aveva presentato fatti e accuse nuovi nelle sue osservazioni scritte (inter alia il procedimento penale nei confronti di N.I., l’asserito rapporto tra N.I. e l’A.A. e la natura pubblica dell’ENEL) che avrebbero dovuto essere dichiarati inammissibili.
  3. La ricorrente ha sostenuto che il procedimento menzionato nel paragrafo 74 supra non era pertinente all’ambito del ricorso. In particolare, esso non concerneva l’asserito difetto di imparzialità di N.I., ma era diretto nei confronti dell’asserita condotta negligente della CAR. Questo era il motivo per il quale tale procedimento non era stato neanche menzionato nell’esposizione dei fatti contenuta nel modulo di ricorso.
  4. La Corte ribadisce che un ricorso può essere rigettato perché costituisce un abuso del diritto di ricorso individuale ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione se, tra gli altri motivi, esso era basato scientemente su informazioni false o se erano stati omessi informazioni e documenti rilevanti, sia se essi erano noti fin dall’inizio (si veda Kerechashvili c. Georgia (dec.), n. 5667/02, 2 maggio 2006) che se nel corso del procedimento si verificavano sviluppi importanti ed essi non erano comunicati alla Corte. Le informazioni incomplete e pertanto ingannevoli possono costituire un abuso del diritto di ricorso, specialmente se tali informazioni riguardano il nocciolo della causa e non è fornita una spiegazione sufficiente della mancata comunicazione di esse (si veda Gross c. Svizzera [GC], n. 67810/10, § 28, CEDU 2014). Tuttavia, non tutte le omissioni di informazioni costituiscono un abuso; le informazioni in questione devono concernere il nocciolo della causa (si veda Mitrović c. Serbia, n. 52142/12, § 33, 21 marzo 2017). Il deliberato tentativo di indurre la Corte in errore deve essere sempre accertato con sufficiente certezza, poiché un mero sospetto non sarà sufficiente per dichiarare il ricorso irricevibile in quanto costituisce un abuso del diritto di ricorso (si veda Komatinović c. Serbia (dec.), n. 75381/10, 29 gennaio 2013).
  5. La Corte rileva che, benché non sia contestato che la ricorrente abbia taciuto riguardo all’azione civile nei confronti della CAR che ella aveva instaurato dinanzi al Tribunale di Roma (si veda il paragrafo 76 supra), tale procedimento civile si basava su motivi diversi da quelli sollevati nel contesto dell’impugnazione per nullità e delle istanze di ricusazione.
  6. Anche ammettendo la rilevanza di tale procedimento ai fini dell’esame della causa, la Corte avrebbe potuto dichiarare il ricorso irricevibile, se il procedimento civile avesse avuto un esito positivo per la ricorrente ed ella avesse ricevuto un risarcimento, e non avesse informato la Corte di tale fatto (si veda Mitrović, sopra citata, § 34). Tuttavia, il procedimento civile non ha avuto un esito positivo per la ricorrente e quindi tale questione non sorge.
  7. Riguardo all’eccezione concernente la presentazione di nuovi fatti che erano già noti al momento del deposito del ricorso (si veda il paragrafo 75 supra), la Corte rileva che la conoscenza di tali fatti non incide sulla sostanza della doglianza formulata dalla ricorrente ai sensi della Convenzione. Essi non possono, in quanto tali, essere considerati “concernenti il nocciolo della causa” (si veda Bestry c. Polonia, n. 57675/10, § 44, 3 novembre 2015). Inoltre, la Corte non è in possesso di elementi sufficienti per stabilire con certezza che la ricorrente intendesse indurla in errore (si veda mutatis mutandis Alpeyeva e Dzhalagoniya c. Russia, nn. 7549/09 e 33330/11, § 100, 12 giugno 2018, e si raffronti Gross c. Svizzera [GC], n. 67810/10, § 36, CEDU 2014).
  8. In considerazione di quanto sopra, la Corte non ritiene che la condotta della ricorrente abbia costituito un abuso del diritto di ricorso. Conseguentemente, l’eccezione formulata dal Governo deve essere interamente rigettata.
  1. La regola del termine semestrale
  1. L‘eccezione del Governo
  1. Il Governo ha sostenuto che i quattro differenti procedimenti (il procedimento arbitrale, l’istanza di ricusazione, l’impugnazione per nullità e la causa civile risarcitoria) non dovessero essere considerati quattro fasi del medesimo procedimento, e che l’osservanza del termine semestrale avrebbe dovuto essere verificata per ciascuno di essi. A tale riguardo, il Governo ha affermato che la portata del riesame della Corte dovrebbe essere limitata alla valutazione della compatibilità con l’articolo 6 § 1 della Convenzione esclusivamente della decisione di non annullare il lodo arbitrale, pronunciata nel contesto dell’impugnazione per nullità.
  2. In ordine al procedimento arbitrale stesso, il Governo ha affermato che esso si era concluso in data 6 dicembre 2002, e che il lodo era stato dichiarato esecutivo (ai sensi dell’articolo 825 c.p.c.) in data 19 dicembre 2003, con decisione del Tribunale di Roma.
  3. A tale riguardo il Governo ha affermato che il ricorso esperito dalla ricorrente, vale a dire l’impugnazione per nullità ai sensi dell’articolo 828 c.p.c., non poteva essere considerato un appello ordinario avverso il lodo. In particolare, ha sostenuto che il lodo aveva acquisito efficacia vincolante per le parti a decorrere dalla data dell’ultima sottoscrizione, ai sensi dell’articolo 825, comma 4, c.p.c.; ha inoltre affermato che, essendo un lodo arbitrale, non aveva mai acquisito la forza di res judicata, e che era necessario un decreto del Presidente del Tribunale che lo dichiarava esecutivo, ai sensi dell’articolo 825 c.p.c., perché fosse eseguito.
  4. Il Governo ha affermato che la ricorrente aveva erroneamente ritenuto che il suddetto ricorso fosse un ricorso ordinario ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione.
  5. In ordine ai rimanenti procedimenti, il Governo ha ricordato che le due istanze di ricusazione erano state rigettate in data 20 febbraio 2003 e 29 aprile 2003. A tale riguardo, il Governo ha osservato che il ricorso era stato depositato presso la Corte otto anni dopo la decisione definitiva in ordine alle istanze di ricusazione.
  6. Il Governo ha inoltre dichiarato che l’azione civile risarcitoria promossa dalla ricorrente nei confronti della CAR era diventata definitiva in data 14 marzo 2005. Il ricorso sarebbe stato pertanto tardivo anche in ordine a tale procedimento.
  7. A prescindere da tutte le precedenti considerazioni, il Governo ha affermato che il ricorso sarebbe stato in ogni caso tardivo anche in ordine all’impugnazione per nullità, conclusasi con la sentenza della Corte di cassazione del 15 novembre 2010 (si veda il paragrafo 33 supra). In particolare, ha affermato che la ricorrente aveva inviato una nota introduttiva in data 21 gennaio 2011, che non aveva interrotto il decorso del termine semestrale in quanto :
  • la nota era stata firmata unicamente dagli avvocati e dal legale rappresentante della società ricorrente; e
  • l’autorizzazione allegata al ricorso completo inviato in data 6 giugno 2011 non aveva una data precisa.
  1. Ha inoltre affermato che, essendo i difensori della ricorrente membri di uno “studio legale internazionale” tali avvocati avrebbero dovuto conoscere le norme relative al deposito di un ricorso alla Corte, e che la possibilità per un ricorrente di interrompere il decorso del termine semestrale doveva essere offerta unicamente alle vittime che avevano difficoltà a difendersi.
  1. La risposta della ricorrente
  1. La ricorrente ha contestato le affermazioni del Governo. A suo avviso era indiscusso che l‘impugnazione per nullità fosse un ricorso ordinario ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione. Il fatto che tale impugnazione non fosse soggetta ad autorizzazione o ad approvazione e che le autorità giudiziarie godessero di un’ampia gamma di poteri nel contesto di tale procedura militava a favore della natura ordinaria del ricorso.
  2. La ricorrente ha inoltre sostenuto che il fatto che le parti non potessero rinunciare preliminarmente al loro diritto a utilizzare tale mezzo di ricorso confermava che il controllo giurisdizionale in ordine al lodo era parte integrante del procedimento arbitrale. Inoltre, l’esistenza di altri due ricorsi, quali la ricusazione e l’opposizione di terzo, quest’ultimo un ricorso straordinario, corroborava la conclusione circa la natura ordinaria del ricorso previsto dall’articolo 829 c.p.c.
  3. In ordine alle istanze di ricusazione, la ricorrente ha sostenuto che il loro rigetto non aveva trattato definitivamente la questione dell’asserita parzialità dell’arbitro. Difatti aveva presentato espressamente un’impugnazione per nullità avverso l’asserito difetto di imparzialità di N.I.
  4. In ordine all’azione civile risarcitoria, la ricorrente ha sostenuto che tale procedimento non concerneva l’asserito difetto di imparzialità dell’arbitro e che ciò spiegava perché non avesse menzionato l’azione nell’esposizione dei fatti quando aveva depositato il suo ricorso (si veda il paragrafo 76 supra).
  5. Infine, riguardo alla nota introduttiva, la ricorrente ha osservato che l’articolo 47 § 5 del Regolamento della Corte, nella versione vigente all’epoca del deposito del ricorso, dichiarava che la data di presentazione del ricorso doveva essere considerata quella della prima comunicazione con la Corte. La ricorrente ha sostenuto anche che non vi era alcun obbligo di redigere le procure in conformità alla legislazione nazionale. In ogni caso, l’autorizzazione pertinente era stata concessa in data 14 gennaio 2011, precedentemente alla nota introduttiva.
  1. La valutazione della Corte
  1. La Corte ribadisce che la regola dei sei mesi è strettamente connessa alla regola dell’esaurimento dei ricorsi interni. A tale riguardo, la Corte valuterà innanzitutto se l’impugnazione per nullità proposta dalla ricorrente fosse un ricorso interno che doveva essere perseguito ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione al fine di lamentare la violazione della Convenzione, che era asseritamente avvenuta nel contesto del procedimento arbitrale.
  2. La Corte ribadisce anche che l’articolo 35 § 1 non può essere interpretato in modo da imporre ai ricorrenti di presentare ricorso alla Corte prima che la loro posizione relativa alla questione sia stata risolta definitivamente a livello interno. Se un ricorso straordinario è l’unico ricorso giurisdizionale disponibile per il ricorrente, il termine semestrale può essere calcolato dalla data della decisione concernente tale ricorso (si veda Zubkov e altri c. Russia, nn. 29431/05 e 2 altri, 101, 7 novembre 2017 e i precedenti ivi citati).
  3. A tale riguardo la Corte osserva che l’articolo 829, comma 1, n. 2, p.c. prevedeva che l’impugnazione per nullità potesse essere presentata, inter alia, se gli arbitri non erano stati nominati secondo le disposizioni stabilite dalla legge (pertanto compreso nei casi in cui difettava un presupposto fondamentale della formazione, l’imparzialità), purché tale motivo di nullità del lodo fosse stato dedotto nel giudizio arbitrale. Ciò significa che, a prescindere dall’esito delle istanze autonome di ricusazione, i giudici nazionali erano competenti a trattare la doglianza della ricorrente relativa all’imparzialità di N.I., una volta accertato che tale doglianza fosse stata originariamente sollevata, mediante un’istanza di ricusazione, nel procedimento arbitrale.
  4. Nel caso di specie, la Corte rileva che la ricorrente, successivamente al rigetto delle istanze di ricusazione, ha presentato impugnazione per nullità del lodo arbitrale in ragione dell’asserito difetto di imparzialità di N.I., ai sensi dell’articolo 828 c.p.c. La Corte rileva che proprio il rigetto delle istanze di ricusazione, cui la ricorrente ha rinviato utilizzando la contestata espressione “soluzione pilatesca” (si veda il paragrafo 67 supra), ha costituito la base giuridica della successiva impugnazione per nullità.
  5. Senza esaminare la natura ordinaria o straordinaria di tale ricorso, la Corte rileva che, successivamente al rigetto delle istanze di ricusazione, e visto l’articolo 829, comma 1, n. 2, p.c., l’impugnazione per nullità ai sensi dell’articolo 828 c.p.c. era l’unico mezzo con il quale lo Stato convenuto avrebbe potuto fornire un’opportunità di porre rimedio al problema mediante il proprio ordinamento giuridico. La Corte rileva, in particolare, che la Corte di cassazione ha esaminato il merito della doglianza della ricorrente relativa all’imparzialità di N.I., ha accertato che essa era stata sollevata nel procedimento arbitrale, e ha concluso che non fosse stata dimostrata l’esistenza di un legame tra l’arbitro e l’ENELPOWER, che comportava una “coincidenza di interessi” (si veda il paragrafo 33 supra).
  6. La Corte rileva inoltre che nel quadro di tale ricorso i giudici nazionali godevano di un’ampia gamma di poteri, che si estendevano dalla dichiarazione di nullità del lodo alla riapertura del procedimento arbitrale, anche dopo che questo aveva acquisito efficacia vincolante (articoli 829 e 830 c.p.c.). Per tali motivi, il ricorso in vigore al momento pertinente dovrebbe essere considerato un ricorso accessibile ed effettivo, mediante il quale lamentare l’asserita violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Kiiskinen c. Finlandia (dec.), n. 26323/95, CEDU 1999‑V) e, conseguentemente, l’eccezione del Governo, per la parte concernente il procedimento arbitrale e le istanze di ricusazione, deve essere rigettata.
  7. In ordine al procedimento civile nei confronti della CAR, non è necessario trattare l’eccezione formulata dal Governo in quanto, in ogni caso, tale procedimento si basava su motivi differenti da quelli che la Corte deve esaminare nel caso di specie (si veda il paragrafo 78 supra).
  8. In ordine all’ultima eccezione del Governo, concernente la tardività del ricorso, la Corte rileva quanto segue. Secondo la giurisprudenza della Corte basata sull’articolo 47 del Regolamento, nella formulazione precedente alle modifiche del 6 maggio 2013, entrato in vigore il 1° gennaio 2014, la data di introduzione del ricorso era considerata normalmente la data della prima comunicazione del ricorrente che esponeva – anche sommariamente – l’oggetto del ricorso, a condizione che fosse successivamente presentato, entro il termine fissato dalla Corte, un modulo di ricorso debitamente compilato (si veda, per esempio, Kemevuako c. Paesi Bassi (dec.), n. 65938/09, § 19-20, 1 giugno 2010).
  9. In ordine al rilievo del Governo secondo il quale i difensori della ricorrente avrebbero dovuto presentare la nota introduttiva completata con il modulo di autorizzazione, la Corte osserva che la data in cui è stato presentato un modulo di autorizzazione non è determinante ai fini della valutazione dell’osservanza del termine semestrale (si veda Abubakarova e Midalishova c. Russia, nn. 47222/07 e 47223/07, § 224, 31 gennaio 2017). La Corte ribadisce inoltre che il mero fatto che l’incarico della ricorrente al suo rappresentante legale sia stato messo per iscritto successivamente all’introduzione del ricorso non può privare la nota introduttiva del suo effetto giuridico (si veda, mutatis mutandis, Neshev c. Bulgaria (dec.), n. 40897/98, 13 marzo 2003).
  10. Nel caso di specie la ricorrente ha inviato in data 21 gennaio 2011 una nota introduttiva, firmata dai suoi rappresentanti, entro il termine semestrale (la sentenza definitiva della Corte di cassazione era stata depositata in data 15 novembre 2010). La Cancelleria della Corte ha accusato ricevuta di tale nota e chiesto alla ricorrente di presentare un modulo debitamente compilato entro il 6 giugno 2011. La ricorrente ha inviato in data 5 giugno 2011 il suo modulo di ricorso completo, nonché il modulo di autorizzazione firmato dal rappresentante legale della società ricorrente e datato 14 gennaio 2011.
  11. In considerazione di quanto sopra, la Corte ritiene che il ricorso sia stato inviato in tempo e che l’eccezione formulata dal Governo debba pertanto essere respinta.
  1. Il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
  1. Il Governo ha sostenuto che la ricorrente aveva menzionato per la prima volta nel modulo di ricorso la partecipazione di N.I., in qualità di difensore dell’ENEL, a una specifica controversia (conclusasi con la sentenza della Corte di cassazione n. 15029/2001, depositata in data 27 novembre 2001). Conseguentemente, il Governo ha eccepito che la ricorrente non aveva esaurito le vie di ricorso interne in ordine alla partecipazione di N.I. alla summenzionata controversia in qualità di difensore.
  2. La Corte sottolinea che, ai sensi dell’articolo 55 del Regolamento della Corte, la Parte contraente convenuta deve sollevare le eccezioni di irricevibilità nelle sue osservazioni scritte o orali sulla ricevibilità del ricorso (si vedano tra numerosi precedenti Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 52-53, 15 dicembre 2016, e C. c. Italia [GC], n. 24952/94, § 44, CEDU 2002‑X). Nel caso di specie, il Governo non aveva chiaramente sollevato un’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne nelle sue osservazioni del 26 febbraio 2019 sulla ricevibilità e sul merito, e la questione dell’omesso rinvio da parte della ricorrente, nei procedimenti nazionali, all’attività di N.I. in qualità di avvocato nella controversia conclusasi con la sentenza n. 15029 del 27 novembre 2001 era stata sollevata soltanto nelle sue osservazioni e memorie aggiuntive relative all’equa soddisfazione. La Corte rileva inoltre che durante il procedimento dinanzi a essa il Governo non aveva indicato alcun impedimento che non gli aveva permesso di rinviare, nelle sue iniziali osservazioni del 26 febbraio 2019 sulla ricevibilità e sul merito della causa, all’omessa censura da parte della ricorrente in ordine alla partecipazione di N.I. alla summenzionata controversia.
  3. Segue che è precluso al Governo di invocare il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
  1. Conclusione in ordine alla ricevibilità
  1. La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
  1. Sul merito
  1. Le osservazioni delle parti
  1. La ricorrente
  1. La ricorrente ha sottolineato che, benché fosse vero che una persona poteva rinunciare a determinati diritti previsti dalla Convenzione a favore dell’arbitrato, le garanzie previste dall’articolo 6 § 1 della Convenzione sarebbero applicabili in una situazione in cui la rinuncia non era stata accertata in modo inequivocabile, e non era volontaria o accompagnata da garanzie minime commisurate alla sua importanza. A tale riguardo, la ricorrente ha argomentato che la decisione di rinunciare implicitamente alle garanzie di indipendenza e imparzialità offerte dall’articolo 6 presupponeva che la parte fosse stata informata di eventuali conflitti di interesse.
  2. Conseguentemente, la ricorrente ha sostenuto che dalla sua mancata censura circa l’assenza di una dichiarazione relativa al conflitto di interesse da parte di N.I. non poteva essere dedotta alcuna rinuncia al diritto a un tribunale imparziale, poiché gli arbitri non avevano l’obbligo di comunicare esplicitamente l’assenza di circostanze potenzialmente in grado di compromettere la loro indipendenza e la loro imparzialità. Secondo la ricorrente, se un arbitro non rivelava un potenziale conflitto di interesse, si presumeva che un simile conflitto non sussistesse. Né era rilevante che gli arbitri fossero figure di alto profilo, dato l’obbligo di rivelare qualsiasi potenziale circostanza che compromettesse la loro indipendenza e la loro imparzialità.
  3. La ricorrente ha inoltre sostenuto che il fatto che avesse lamentato il difetto di imparzialità di N.I. soltanto dopo la deliberazione sul lodo arbitrale non aveva niente a che fare con una rinuncia al diritto a un tribunale imparziale. A tale riguardo, la ricorrente ha ricordato che la Corte di cassazione, nella sua sentenza del 2010, aveva concluso che l’impugnazione per nullità fosse stata depositata tempestivamente nel procedimento arbitrale, vale a dire prima della sottoscrizione del lodo, benché successivamente alla deliberazione.
  4. Nel merito, la ricorrente ha lamentato che N.I., l’arbitro designato dall’ENELPOWER, difettava della necessaria indipendenza e imparzialità oggettiva, in ragione dei suoi legami professionali con il gruppo ENEL. In particolare, la ricorrente ha rinviato al fatto che, tra il giugno del 1995 e il giugno del 1996, proprio nel momento in cui stava negoziando con l’ENEL gli accordi che sarebbero stati successivamente al centro del procedimento arbitrale, N.I. era Vice-Presidente (con piena facoltà di agire in qualità di Presidente) e componente del Consiglio di amministrazione dell’ENEL (e, conseguentemente, dell’ENELPOWER, che era all’epoca una mera divisione nell’ambito dell’ENEL, si veda il paragrafo 9 supra). In particolare, la ricorrente ha sostenuto che nel febbraio del 1996 N.I., essendo alla guida dell’ENEL, non poteva essere ignaro delle trattative in corso. La nota del 29 febbraio 1996 (si veda il paragrafo 7 supra) era stata firmata da due alti dirigenti dell’ENEL, e forniva quindi una prova chiara del fatto che il progetto era stato discusso ai livelli più elevati dell’ente.
  5. La ricorrente ha sostenuto anche che l’arbitro aveva agito in qualità di avvocato in importanti procedimenti dinanzi ai tribunali nazionali, e in particolare in una controversia, conclusasi con la sentenza della Corte di cassazione 15029 del 27 novembre 2001, e aveva forse percepito onorari equivalenti a centinaia di migliaia di euro. Nonostante tali gravi circostanze di incompatibilità, N.I. aveva intenzionalmente omesso di rivelarle alla CAR.
  6. In ordine al fatto che N.I. avesse avuto rapporti con l’ENEL e non l’ENELPOWER, la ricorrente ha sostenuto che negli anni 1995-1996, l’ENELPOWER era ancora una divisione interna dell’ENEL, ed era diventata una società distinta (S.p.a.) soltanto nel 1999. L’accordo preliminare all’origine del procedimento arbitrale era stato sottoscritto, nel 1999, tra la ricorrente e l’ENEL stessa. La ricorrente ha inoltre ricordato che l’ENELPOWER era interamente controllata dall’ENEL e che, ai fini del presente ricorso, esse dovrebbero essere considerate un’unica entità. Infine, in ragione del fatto che l’ENEL era all’epoca, secondo la ricorrente, un ente controllato dallo Stato, lo Stato aveva un’influenza dominante sia nell’ENEL che nell’ENELPOWER e, conseguentemente, un diretto interesse economico all’esito della causa.
  7. La ricorrente ha sostenuto che le disposizioni del c.p.c. italiano in vigore all’epoca fossero inadeguate a garantire l’imparzialità e l’indipendenza degli arbitri, in quanto subordinavano la ricusazione dell’arbitro alla presentazione di prove che dimostrassero che egli aveva interesse nella causa (ha rinviato all’articolo 51, comma 1, n. 1 c.p.c. e alla sentenza della Corte di cassazione del 15 novembre 2010; si veda il paragrafo 33 supra). Ha inoltre sostenuto che i precedenti impegni di I. con una delle parti avrebbero dovuto condurre in ogni caso alla nullità del lodo, in conformità alla clausola generale dell’articolo 51, comma 2, c.p.c. (“gravi ragioni di convenienza”). La ricorrente ha inoltre affermato che i vizi del procedimento arbitrale erano talmente palesi che il lodo non avrebbe dovuto ottenere il riconoscimento da parte di altri ordinamenti giuridici nazionali. 
  8. La ricorrente ha infine contestato il rilievo del Governo secondo il quale la ricorrente, direttamente o almeno mediante il suo arbitro G.G., era a conoscenza dei legami di N.I. con il gruppo ENEL. Secondo la ricorrente, tale presunzione di conoscenza non era stata suffragata da alcuna prova concreta e, in ogni caso, N.I. aveva il dovere di rivelare il suo attuale e precedente impegno con il gruppo ENEL.
  1. Il Governo
  1. Il Governo non ha contestato l’applicabilità dell’articolo 6 § 1 al procedimento arbitrale. Ha tuttavia rinviato alla giurisprudenza della Corte e ha osservato che il caso di specie concerneva un arbitrato volontario al quale la ricorrente aveva prestato liberamente il consenso. A tale riguardo, il Governo ha sostenuto che il diritto a un tribunale di cui all’articolo 6 § 1 della Convenzione non era assoluto. Ha affermato in particolare che un individuo poteva rinunciare all’esercizio di alcuni diritti previsti dalla Convenzione a favore dell’arbitrato, per dirimere una controversia relativa a diritti e obblighi di natura civile, a condizione che tale rinuncia fosse libera, legittima e inequivocabile. Nel caso di specie il Governo ha sostenuto che il consenso prestato dalla ricorrente fosse stato libero, legittimo e inequivocabile e che le successive istanze di ricusazione e l’impugnazione per nullità presentate dalla ricorrente non avessero compromesso la natura del consenso prestato.
  2. Il Governo ha basato il suo rilievo sul fatto che né G.G. né N.I. avevano indicato l’assenza di un conflitto di interesse nelle loro dichiarazioni di accettazione (si veda il paragrafo 15 supra) e che la ricorrente non aveva lamentato tale fatto. Ha inoltre affermato che gli arbitri erano figure di alto profilo, che le parti erano a conoscenza dei legami professionali di N.I. (ha rinviato alla formulazione del Tribunale di Roma, si veda il paragrafo 27 supra) e che, conseguentemente, non vi era alcuna necessità di tale dichiarazione. In particolare, il Governo ha sostenuto che G.G. e N.I. erano stati colleghi in qualità di professori all’Università di Roma “La Sapienza”, che avevano spesso operato in qualità di avvocati nella medesima squadra difensiva in importanti cause e che erano stati membri di diverse eminenti commissioni consultive. Insomma, le parti nutrivano così tanta fiducia in tali importanti e illustri figure che si erano astenute volontariamente dal contestare l’assenza di un’esplicita dichiarazione negativa da parte di N.I. e G.G.
  3. Il Governo ha inoltre ricordato che nel caso di specie la ricorrente aveva sollevato la questione dell’incompatibilità soltanto undici giorni dopo la deliberazione sul lodo e sedici minuti dopo la sua sottoscrizione.
  4. Nel merito, il Governo ha sostenuto che il ruolo di N.I. di componente del Consiglio di amministrazione e Vice-presidente dell’ENEL era un fatto noto del quale la ricorrente non poteva essere stata ignara quando era entrata in affari con l’ENELPOWER. Ha inoltre ricordato che il procedimento arbitrale concerneva una controversia tra la ricorrente e l’ENELPOWER. A tale riguardo, ha sostenuto che non vi era mai stato alcun rapporto tra l’ENELPOWER e N.I. prima, durante o dopo il procedimento arbitrale. Quest’ultimo aveva avuto rapporti soltanto con l’ENEL. N.I. era stato infatti Vice-Presidente senza poteri decisionali e componente del Consiglio di amministrazione dell’ENEL dal 1995 al 1996. In ogni caso, ha sostenuto che la risposta inviata dall’ENEL nel 1996 era stata soltanto una dichiarazione di intenti, e che la ricorrente non aveva dimostrato che N.I. fosse personalmente consapevole del progetto in corso.
  5. Il Governo ha contestato il rilievo della ricorrente secondo il quale l’ENEL e l’ENELPOWER dovrebbero essere trattate come un’unica entità, e, conseguentemente, come una società controllata dallo Stato. Il Governo, invocando anche la giurisprudenza nazionale, ha sostenuto che l’ENEL non poteva essere classificata come una società controllata dallo Stato, essendo stata privatizzata nel 1999 ed essendo, all’epoca del procedimento arbitrale, una società con fini di lucro. Ha inoltre affermato che le società controllate erano libere di applicare le direttive emesse dalle entità capogruppo in modo completamente autonomo.
  6. Il Governo ha sottolineato che la Corte di cassazione aveva tenuto attentamente conto dei rilievi della ricorrente e, con decisioni debitamente e ampiamente motivate, al termine di un procedimento che aveva rispettato pienamente il principio del contraddittorio, aveva rigettato l’accusa che N.I. difettasse di imparzialità.
  7. Il Governo ha infine sostenuto che la Corte dovrebbe astenersi dal valutare il procedimento arbitrale del 2002 alla luce delle modifiche avvenute nella legislazione e nella dottrina giuridica. Il Governo ha sostenuto che soltanto nel 2006, quando il controllo giurisdizionale era stato ampliato da una riforma del codice di procedura civile, l’arbitrato aveva acquisito una significativa importanza nell’ordinamento giuridico italiano.
  1. La valutazione della Corte
  1. Principi generali
  1. La Corte ribadisce che l’articolo 6 § 1 della Convenzione assicura a ogni persona il diritto di adire una corte o un tribunale con un ricorso concernente i suoi diritti e doveri di carattere civile. Tale articolo sancisce pertanto il “diritto a un tribunale”, del quale il diritto di accesso, che è il diritto di adire un tribunale in materia civile, costituisce soltanto un aspetto (si veda Ali Rıza e altri c. Turchia, nn. 30226/10 e 4 altri, § 171, 28 gennaio 2020, e i precedenti ivi citati).
  2. Tale accesso a un tribunale non deve essere necessariamente inteso come un accesso a un tribunale di tipo classico, integrato nel normale apparato giudiziario del Paese; il “tribunale” può quindi essere un organo istituito per determinare un limitato numero di questioni specifiche, sempre purché offra le appropriate garanzie (si veda Lithgow e altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, § 201, Serie A n. 102). L’articolo 6 non preclude pertanto l’istituzione di tribunali arbitrali al fine di dirimere alcune controversie economiche tra privati (si veda Suda c. Repubblica ceca, n. 1643/06, § 48, 28 ottobre 2010). In linea di massima le clausole compromissorie, che presentano innegabili vantaggi per gli interessati nonché per l’amministrazione della giustizia, non violano la Convenzione (si veda Tabbane c. Svizzera (dec.), n. 41069/12, § 25, 1 marzo 2016).
  3. Occorre inoltre distinguere l’arbitrato volontario dall’arbitrato obbligatorio. In caso di arbitrato volontario, al quale è stato prestato liberamente il consenso, non sorge alcuna reale questione ai sensi dell’articolo 6. Le parti di una controversia sono libere di investire un organo diverso da un tribunale ordinario di alcune controversie derivanti da un contratto. Firmando una clausola compromissoria le parti rinunciano volontariamente ad alcuni diritti garantiti dalla Convenzione. Tale rinuncia non è incompatibile con la Convenzione, purché essa sia stabilita in modo libero, legittimo e inequivocabile. Inoltre, per quanto riguarda alcuni diritti previsti dalla Convenzione, la rinuncia, per essere efficace ai fini della Convenzione, esige garanzie minime commisurate alla sua importanza (si veda Mutu e Pechstein c. Svizzera, nn. 40575/10 e 67474/10, 96, 2 ottobre 2018, e i precedenti ivi citati).
  4. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, al fine di accertare se un tribunale possa essere considerato “imparziale” ai fini dell’articolo 6 § 1, si deve tenere conto, inter alia, delle modalità di nomina dei suoi membri e della durata del loro mandato, dell’esistenza di garanzie dalle pressioni esterne e della questione di sapere se esso presenta un’apparenza di indipendenza (si veda Kleyn e altri c. Paesi Bassi [GC], nn. 39343/98 e 3 altri, § 190, CEDU 2003‑VI). Il tribunale o il membro di un tribunale deve essere indipendente dall’Esecutivo, dal Parlamento, ma anche dalle parti. Al fine di determinare se un tribunale possa essere considerato indipendente come esige l’articolo 6, possono avere importanza anche le apparenze (si veda Sramek c. Austria, 22 ottobre 1984, § 42, Serie A n. 84).
  5. L’imparzialità denota normalmente l’assenza di pregiudizi o di parzialità. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, ai fini dell’articolo 6 § 1 l’esistenza dell’imparzialità deve essere determinata sulla base di un criterio soggettivo, vale a dire, sulla base delle convinzioni personali e del comportamento di un particolare giudice, accertando se egli abbia dimostrato particolari pregiudizi o parzialità in un determinato caso, e anche secondo un criterio oggettivo, vale a dire, stabilendo se il tribunale abbia offerto, in particolare mediante la sua composizione, garanzie sufficienti a escludere qualsiasi legittimo dubbio in ordine alla sua imparzialità (si veda, tra numerosi precedenti, Nicholas c. Cipro, n. 63246/10, 49, 9 gennaio 2018).
  6. In ordine al criterio soggettivo, l’imparzialità personale di un giudice deve essere presunta fino a quando non vi è prova del contrario (si veda Wettstein c. Svizzera, n. 33958/96, § 43, CEDU 2000‑XII). In ordine al criterio oggettivo, si deve determinare se, indipendentemente dalla condotta del giudice, sussistano fatti accertabili che possano fare sorgere dubbi sulla sua imparzialità. Ciò implica che, nel decidere se in un dato caso vi sia un motivo legittimo di temere che un particolare giudice difetti di imparzialità, il punto di vista dell’interessato è importante ma non decisivo. Ciò che è decisivo è se tale timore possa essere ritenuto obiettivamente giustificato (si veda tra numerosi precedenti, Ilnseher c. Germania [GC], nn. 10211/12 e 27505/14, § 287, 4 dicembre 2018).
  7. Il criterio oggettivo è di per sé di natura funzionale: per esempio, i legami professionali, economici o personali tra un giudice e una parte di una causa (si vedano, per esempio, Pescador Valero, sopra citate, § 27, e Wettstein, sopra citata, 47), possono dare luogo a dubbi oggettivamente giustificati sull’imparzialità del tribunale, che quindi non soddisfa i principi della Convenzione ai sensi del criterio oggettivo (si veda Kyprianou c. Cipro [GC], n. 73797/01, § 121, CEDU 2005‑XIII). Si deve pertanto decidere in ciascun singolo caso se il legame in questione sia di natura e livello tali da indicare un difetto di imparzialità da parte del tribunale (si veda Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e 2 altri, § 148, 6 novembre 2018).
  8. A tale riguardo, anche le apparenze possono avere una certa importanza, principio rispecchiato nell’adagio “non deve essere soltanto fatta giustizia, bensì si deve anche vedere che è fatta giustizia”. Quello che è in gioco è la fiducia che i tribunali devono ispirare al pubblico in una società democratica (si vedano Morice c. Francia [GC], n. 29369/10, § 78, CEDU 2015, e Oleksandr Volkov c. Ucraina, n. 21722/11, § 106, CEDU 2013).
  9. Infine, le nozioni di indipendenza e imparzialità oggettiva sono strettamente connesse e, a seconda delle circostanze, possono esigere un esame congiunto (si veda Anželika Šimaitienė c. Lituania, n. 36093/13, § 80, 21 aprile 2020).
  10. Visti i fatti oggetto del caso di specie, la Corte ritiene opportuno esaminare contestualmente le questioni dell’indipendenza e dell’imparzialità.
  1. L’applicazione dei summenzionati principi nel caso di specie
  1. La Corte sottolinea preliminarmente che le parti non contestano la natura volontaria del procedimento arbitrale dinanzi alla CAR. Essa rileva invero che la ricorrente e l’ENELPOWER avevano convenuto, nell’articolo 11 del loro accordo di collaborazione (si veda il paragrafo 11 supra), di deferire qualsiasi futura controversia derivante da tale accordo a un Collegio arbitrale, che doveva essere nominato secondo il regime previsto dalla CAR. Le parti non avevano mai contestato né messo in discussione né la validità né la legittimità dell’accordo di collaborazione.
  2. Rimane da accertare se, pur avendo inizialmente optato, anche liberamente, per la giurisdizione del Collegio arbitrale della CAR invece che per quella di un tribunale di tipo classico, la ricorrente abbia successivamente rinunciato, in modo inequivocabile e tra altri diritti garantiti dall’articolo 6, specificamente al suo diritto a fare determinare da un tribunale indipendente e imparziale la sua controversia con l’ENELPOWER.
  3. La Corte rileva principalmente che la società ricorrente aveva accettato liberamente e volontariamente l’arbitrato della CAR in epoca precedente alla effettiva nomina di N.I. quale arbitro.
  4. La Corte non concorda con il rilievo del Governo secondo il quale il fatto che la ricorrente non avesse contestato l’assenza di una esplicita dichiarazione negativa dimostra una rinuncia al suo diritto a fare determinare la sua controversia da un tribunale indipendente e imparziale.
  5. A tale riguardo essa rileva che l’articolo 6 del Regolamento della CAR (si veda il paragrafo 41 supra) obbligava gli arbitri a indicare, nella loro dichiarazione scritta, qualsiasi rapporto con le parti o con il loro difensore che avrebbe potuto incidere sulla loro indipendenza e la loro imparzialità, e qualsiasi interesse personale o economico diretto o indiretto all’oggetto della controversia. Tuttavia, il suddetto articolo non obbligava gli arbitri a indicare esplicitamente l’assenza di tali rapporti e/o interessi economici. Visti i documenti di cui dispone, la Corte rileva che, contrariamente a quanto affermato dal Governo, G.G., A.V. e P.D.L. avevano indicato espressamente l’assenza di qualsiasi motivo che avrebbe potuto incidere sulla loro indipendenza e la loro imparzialità, mentre N.I. aveva semplicemente accettato la nomina. La Corte concorda a tale riguardo con il rilievo della ricorrente secondo il quale, in assenza di una esplicita dichiarazione negativa, si poteva legittimamente presumere che tali rapporti e/o interessi economici non sussistessero.
  6. In ordine all’affermazione del Governo secondo la quale gli arbitri erano figure note e la ricorrente, mediante il suo arbitro G.G., era molto probabilmente consapevole dei legami professionali tra N.I. e il gruppo ENEL, la Corte osserva quanto segue. I motivi addotti dai tribunali nazionali (si veda il paragrafo 27 supra) e dal Governo si basano su una presunzione di conoscenza che non si fonda su alcuna prova concreta del fatto che la ricorrente fosse effettivamente a conoscenza delle attività professionali di N.I. (si veda, mutatis mutandis, Pescador Valero c. Spagna 62435/00, § 26, CEDU 2003‑VII). La Corte dissente pertanto dal Governo e non ritiene che siano stati dimostrati fatti dai quali potrebbe desumere la rinuncia inequivocabile al requisito di imparzialità in ordine all’arbitro.
  7. Infine, in ordine alla doglianza relativa all’imparzialità presentata ai tribunali nazionali, la Corte rinvia alla sua decisione nella causa Suovaniemi e altri c. Finlandia ((dec.), n. 31737/96, 23 febbraio 1999), nella quale ha ritenuto che la scelta dei ricorrenti di ricorrere all’arbitrato non soltanto fosse stata volontaria, perché essi avevano accettato liberamente l’accordo in materia di arbitrato, bensì anche “inequivocabile” perché, benché fossero consapevoli dei motivi per contestare l’indipendenza e l’imparzialità di un arbitro, essi non ne avevano chiesto la ricusazione durante il procedimento arbitrale. Utilizzando tale criterio, come suggerito dalla sua giurisprudenza, riguardo alla necessità di accertare una rinuncia volontaria e inequivocabile al diritto a un giudice imparziale, la Corte sottolinea che esso è stato elaborato nel contesto del procedimento arbitrale, che è pertinente nel caso di specie, senza dover decidere se una simile rinuncia sarebbe valida nel contesto di un procedimento puramente giurisdizionale. 
  8. Nel caso di specie il Governo ha suggerito che l’istanza di ricusazione presentata dalla ricorrente fosse tardiva. A tale riguardo la Corte rileva che la ricorrente, appena appresi i legami professionali tra N.I. e una delle parti, aveva informato la CAR e gli altri arbitri dell’intenzione di presentare un’istanza di ricusazione (si veda il paragrafo 20 supra), ha immediatamente presentato un’istanza di ricusazione al Tribunale di Roma (si veda il paragrafo 24 supra) e ha successivamente contestato la validità del lodo dinanzi ai tribunali civili ai sensi dell’articolo 828 c.p.c. Benché non sia contestato che le istanze di ricusazione presentate al Tribunale di Roma siano state successivamente rigettate in quanto tardive (si vedano i paragrafi 25 e 27), la Corte rileva che i giudici civili chiamati a pronunciarsi sull’asserita nullità del lodo, e in particolare la Corte di cassazione nella sua decisione del 15 novembre 2010 (si veda il paragrafo 33 supra), hanno dichiarato che la doglianza relativa alla nullità del lodo derivante dal difetto di imparzialità di N.I. fosse stata presentata regolarmente nel procedimento arbitrale, benché la deliberazione sul lodo avesse già avuto luogo. Ha pertanto proceduto ad analizzare il merito della doglianza della ricorrente, rigettandola successivamente. In tal senso la causa differisce dalla causa Suovaniemi e altri, sopra citata.
  9. In considerazione di quanto sopra, la Corte constata che non si poteva ritenere che la società ricorrente avesse rinunciato inequivocabilmente sia alla garanzia dell’imparzialità degli arbitri, stabilita dal Regolamento della CAR (si veda il paragrafo 139 supra), che all’aspettativa che i tribunali nazionali avrebbero assicurato che il lodo arbitrale fosse conforme alle norme del codice di procedura civile italiano, compreso a quelle relative all’imparzialità degli arbitri (si vedano i paragrafi 39 e 142 supra). Conseguentemente, il procedimento arbitrale doveva offrire le garanzie previste dall’articolo 6 § 1 della Convenzione (si veda il paragrafo 127 supra).
  10. Passando all’analisi del merito della doglianza della ricorrente, la Corte ritiene innanzitutto che, ai fini dell’esame del caso di specie, stabilire se l’imparzialità di N.I. fosse viziata o meno non dipendesse dalla natura pubblica o privata dell’ENEL e dell’ENELPOWER. Ciò che è in gioco è il fatto di stabilire se il procedimento arbitrale del quale la ricorrente era parte offrisse le garanzie previse dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, precisamente in considerazione dell’asserito difetto di imparzialità di uno degli arbitri. A tale riguardo, ciò che conta sono i rapporti tra l’ENEL e l’ENELPOWER (si vedano i paragrafi 6 e 9 supra , e 148 e 151 infra), che prescindono dalla questione della loro natura pubblica o privata. La Corte pertanto non si soffermerà ulteriormente sulla questione.
  11. In ordine all’aspetto soggettivo dell’imparzialità, la Corte rileva che nel caso di specie non vi è alcuna prova che suggerisca pregiudizi o parzialità personali da parte di N.I.
  12. In ordine al criterio oggettivo, si deve determinare se, oltre al comportamento di N.I., sussistano fatti accertabili che possano fare sorgere dubbi sulla sua imparzialità.
  13. In ordine all’affermazione del Governo secondo la quale la ricorrente era del tutto consapevole dei legami professionali di N.I. con l’ENEL, la Corte ribadisce di aver già rigettato tale rilievo quando ha trattato la rinuncia della ricorrente (si veda il paragrafo 140 supra).
  14. La Corte rileva che le parti non contestano che N.I. fosse stato Vice-Presidente e componente del Consiglio di amministrazione dell’ENEL dal giugno del 1995 al giugno del 1996. È un fatto non contestato anche che il formale invito a partecipare al progetto fosse stato inviato all’ENEL in data 12 febbraio 1996, mentre la prima risposta positiva dell’ENEL è stata inviata in data 29 febbraio 1996 (si vedano i paragrafi 6 e 7 supra). A tale riguardo, la Corte non speculerà sull’effettiva conoscenza da parte di N.I. delle trattative in corso. Tuttavia, la Corte rileva che tutte le trattative relative al progetto commerciale, compreso l’accordo preliminare del 1999, sono state condotte tra l’ENEL e la ricorrente (si veda il paragrafo 8 supra).
  15. A tale riguardo, la Corte ribadisce che anche le apparenze possono avere una certa importanza (si veda il paragrafo 134 supra). Osserva pertanto che, data l’importanza e la posta economica del progetto commerciale, il ruolo dirigenziale di N.I. nell’ente che aveva condotto le prime trattative e la cui controllata ENELPOWER si sarebbe successivamente opposta alla ricorrente nel procedimento arbitrale, osservato dal punto di vista di un osservatore esterno, poteva legittimamente fare sorgere dubbi sulla sua imparzialità.
  16. In ordine al ruolo di N.I. in un procedimento parallelo, le parti non contestano il fatto che N.I. fosse stato l’avvocato dell’ENEL in alcuni procedimenti civili nazionali. È stato N.I. a dichiararlo dinanzi al Tribunale di Roma (si veda il paragrafo 26 supra). A tale riguardo, la Corte rileva che è un fatto che N.I. fosse stato l’avvocato dell’ENEL in un procedimento civile conclusosi con una sentenza della Corte di cassazione del 27 novembre 2001, in un momento in cui le parti avevano già nominato i loro arbitri.
  17. È vero, come ha affermato il Governo, che nella suddetta controversia N.I. era il difensore dell’ENEL e non dell’ENELPOWER e che quest’ultima era stata costituita, quale entità distinta dall’ENEL, nel 1999. La Corte rileva tuttavia che l’ENELPOWER era all’epoca interamente controllata dall’ENEL, che deteneva il 100% del suo capitale azionario. Inoltre, quando era iniziata la controversia civile, l’ENELPOWER era ancora una divisione interna nell’ambito dell’ENEL.
  18. La Corte rileva che il Decreto legislativo 2 febbraio 206 n. 40 (si veda il paragrafo 40 supra) ha modificato radicalmente l’articolo 815 c.p.c. e i motivi di ricusazione degli arbitri, prevedendo un rafforzamento dei principi di indipendenza e imparzialità nell’arbitrato, in misura simile ai tribunali ordinari. In particolare, il nuovo articolo 815, comma 1, n. 5 indica quale motivo di ricusazione il fatto che l’arbitro fornisca regolarmente consulenza a una parte del procedimento arbitrale o, inter alia, alla società che la controlla. La Corte rileva con interesse la modifica della legislazione, che prevede garanzie più chiare e, se del caso, più ampie contro il difetto di imparzialità nel contesto del procedimento arbitrale, tale che, se la causa fosse stata giudicata a livello nazionale successivamente a tale riforma l’esito avrebbe potuto essere differente.
  19. Per concludere, vista la carica rivestita da N.I. di Vice-Presidente e componente del Consiglio di amministrazione dell’ENEL tra il 1995 e il 1996 e il suo ruolo di avvocato dell’ENEL in almeno una vertenza che si era sovrapposta al procedimento arbitrale, la Corte ritiene che l’imparzialità di N.I. potesse essere, o almeno apparire, suscettibile di dubbi e che i timori della ricorrente a tale riguardo possano essere considerati ragionevoli e oggettivamente giustificati.
  20. Vi è conseguentemente stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
  1. L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  1. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

  1. Il danno
    1. La ricorrente
  1. La ricorrente ha chiesto in primo luogo alla Corte di ordinare allo Stato italiano di riaprire il procedimento che aveva convalidato il lodo arbitrale in violazione dell’articolo 6 § 1 e di procedere a una nuova determinazione delle sue domande da parte di un tribunale indipendente e imparziale. In particolare, la ricorrente ha sostenuto che, poiché il ricorso straordinario di revocazione (articoli 395 e 396 c.p.c.) non poteva essere utilizzato per chiedere la riapertura di un procedimento successivamente a una sentenza della Corte che aveva constatato la violazione dell’articolo 6 della Convenzione, un provvedimento della Corte che disponeva la riapertura del procedimento sarebbe stato il mezzo più efficace, se non l’unico, per conseguire la restitutio in integrum.
  2. In ordine al danno patrimoniale, la ricorrente ha sostenuto di aver subito un danno patrimoniale diretto e immediato a causa del difetto di indipendenza e imparzialità del collegio arbitrale. In particolare, ha sostenuto che il voto dell’arbitro era stato essenziale per l’approvazione del lodo e che, se N.I. non fosse stato soggettivamente prevenuto a causa del suo stretto rapporto professionale con una delle parti del procedimento arbitrale, le sue domande sarebbero state sostanzialmente accolte dal collegio arbitrale. L’asserito danno patrimoniale (nella forma del damnum emergens) ammontava a EUR 395.089.527,77, vale a dire a un importo pari alle domande di risarcimento che erano state rigettate dal collegio arbitrale, mentre la perdita del profitto (lucrum cessans) poteva essere quantificata in EUR 816.000.000,00, se calcolata dalla data del lodo arbitrale, o pari a una cifra tonda di EUR 343.200,.000,00, se calcolata dalla data della decisione definitiva della Corte di cassazione che confermava la validità del lodo. In ordine a entrambe le voci, la ricorrente ha affermato che la questione dell’equa soddisfazione concernente il danno patrimoniale non fosse matura per la decisione e ha chiesto che la Corte si riservasse la questione dell’applicazione dell’articolo 41 a tale riguardo.
  3. La ricorrente ha chiesto anche EUR 646.746,37, oltre le imposte che avrebbero potuto esserle addebitate, per il danno patrimoniale connesso alle spese del procedimento arbitrale. In particolare, ha affermato che, poiché il procedimento arbitrale era viziato dal difetto di indipendenza e imparzialità di N.I., lo Stato convenuto avrebbe dovuto sostenere tutte le spese dell’arbitrato, in quanto in ogni caso la ricorrente non avrebbe potuto recuperare tali spese.
  4.  La ricorrente ha chiesto infine EUR 1.000.000,00, oltre le imposte che avrebbero potuto esserle addebitate, per il danno non patrimoniale. Ha basato la sua pretesa sulla prolungata incertezza nello svolgimento della sua attività e sulla sensazione di impotenza e frustrazione causata ai membri della sua direzione e ai suoi azionisti.
  1. Il Governo
  1. Il Governo ha eccepito che la riapertura del procedimento avrebbe turbato i legittimi interessi di terzi. Ha rinviato alla giurisprudenza della Corte costituzionale italiana che aveva dichiarato infondata (nelle sue sentenze nn. 123 del 7 marzo 2017 e 93 del 21 marzo 2018) la questione della costituzionalità degli articoli 395 e 396 del c.p.c. nella parte in cui non comprendevano, tra i casi di revocazione di una sentenza, il riesame di una causa civile successivamente a una sentenza che constatava la violazione di una disposizione della Convenzione, principalmente a causa della tutela di terzi. In ogni caso, il Governo ha sostenuto che l’unico procedimento del quale la Corte avrebbe potuto disporre la riapertura sarebbe stata l’impugnazione per nullità e non il procedimento arbitrale stesso.
  2. Il Governo ha chiesto che non fosse riconosciuto che la ricorrente aveva subito un danno patrimoniale in quanto, se i giudici nazionali avessero annullato il lodo arbitrale nel procedimento di impugnazione per nullità, essi non si sarebbero potuti pronunciare sul merito, e avrebbe dovuto iniziare un nuovo procedimento arbitrale. Ha inoltre affermato che non si poteva ravvisare alcun nesso causale tra la violazione riscontrata e l’asserito danno patrimoniale. In ordine al danno non patrimoniale, ha eccepito che la pretesa della ricorrente fosse eccessiva e ingiustificata. In ogni caso, si è opposto alla domanda di riservare la decisione sull’equa soddisfazione.
  1. La valutazione della Corte
  1. In ordine alla riapertura del procedimento, la Corte ribadisce che spetta in linea di massima agli Stati contraenti decidere il modo migliore di attuare le sentenze della Corte senza turbare ingiustamente i principi della res judicata o della certezza del diritto nel contenzioso civile, in particolare se tale contenzioso concerne terzi titolari di propri interessi legittimi da tutelare (si veda Bochan c. Ucraina (n. 2) [GC], n. 22251/08, § 57, CEDU 2015). La Corte rigetta pertanto la domanda della ricorrente.
  2. Le precedenti considerazioni non dovrebbero sminuire l’importanza, per l’efficacia del sistema della Convenzione, di garantire che esistano procedure nazionali che permettano la revisione di una causa alla luce della constatazione che vi è stata violazione delle garanzie di un equo processo offerte dall’articolo 6 (si veda Bochan c. Ucraina (n. 2) [GC], sopra citata, § 58, e Tence c. Slovenia, n. 37242/14, § 43, 31 maggio 2016). Ciò è particolarmente vero in Italia dove la Corte costituzionale ha ripetutamente dichiarato che non esiste un meccanismo per riaprire un procedimento civile al fine di realizzare l’esecuzione di una sentenza della Corte che riscontra la violazione di una disposizione della Convenzione.
  3. In ordine al resto della domanda di equa soddisfazione, la Corte ritiene che nel caso di specie l’unica base per accordare un’equa soddisfazione sia rappresentata dal fatto che la ricorrente non ha beneficiato delle garanzie dell’articolo 6 della Convenzione. Poiché la Corte non può speculare sull’esito del procedimento se la posizione fosse stata diversa, date tutte le circostanze, e in conformità con la sua normale prassi nelle cause civili e penali in ordine a violazioni dell’articolo 6 § 1 causate dal difetto di indipendenza e imparzialità oggettiva o strutturale, la Corte non ritiene opportuno accordare alla ricorrente un risarcimento economico per il danno patrimoniale e/o il lucro cessante asseritamente derivante dall’esito dei procedimenti nazionali (si veda Ramos Nunes de Carvalho e Sá Portogallo, nn. 55391/13 e 2 altri, § 104, 21 giugno 2016). La Corte non ravvisa quindi alcun nesso causale tra la violazione riscontrata e il danno patrimoniale lamentato; rigetta pertanto tale pretesa.
  4. D’altra parte, vista la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione riscontrata, la Corte ritiene che nel caso di specie sia giustificato accordare un risarcimento per il danno non patrimoniale. Deliberando in via equitativa, la Corte accorda alla ricorrente EUR 15.000, oltre l’imposta eventualmente dovuta.
  1. Le spese
  1. La ricorrente ha chiesto anche EUR 220.088,45 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali interni ed EUR 135.659,57 per quelle sostenute dinanzi alla Corte. Ha prodotto documenti a sostegno delle sue domande.
  2. Il Governo ha eccepito che la pretesa era eccessiva.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese soltanto nella misura in cui ne è dimostrata la realtà e la necessità e il loro importo è ragionevole. Nel caso di specie, vista la documentazione di cui è in possesso e i criteri di cui sopra, la Corte ritiene ragionevole accordare la somma di EUR 35.000, che copre tutte le voci delle spese, oltre l’imposta eventualmente dovuta dalla ricorrente.
  1. Gli interessi moratori
  1. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.
  • Per QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare alla ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva in conformità all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. EUR 15.000 (euro quindicimila), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 35.000 (euro trentacinquemila), oltre l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta, la domanda di equa soddisfazione formulata dalla ricorrente per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 20 maggio 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Renata Degener
Cancelliere

Ksenija Turković
Presidente