Commissione Rovelli - per la revisione sistematica diritto commerciale (13 aprile 1999) - Relazione e articolato in materia di giustizia per le imprese (Allegato 3 alla Relazione generale)
Relazione
1. Premessa: l'attività della Sottocommissione
2. Ragioni specifiche e limiti della proposta
3. La composizione delle sezioni specializzate
3.1. Il reclutamento
3.2. L'assegnazione e la rotazione
3.3. La localizzazione
4. La competenza
4.1. Segue. La competenza in materia fallimentare
5. Le forme processuali
5.1. La tutela a cognizione piena
5.2. La tutela sommaria
5.3. I procedimenti in camera di consiglio
6. Gli strumenti alternativi di composizione delle controversie
6.1. La conciliazione
6.2. L'arbitrato
Schema di decreto legislativo
Bozze di norme delegate 1: Impugnazione delle deliberazioni
Legenda allo Schema di decreto legislativo
Bozza di norme delegate 2: Procedimento sommario
1.- Premessa: l'attività della Sottocommissione
Nell'ambito del progetto affidato alla Commissione, al Gruppo "Giustizia per le imprese" si schiudevano due possibilità operative:
- individuare e tentare di risolvere alcune questioni specifiche relative alla tutela delle situazioni subiettive coinvolte nei rapporti commerciali ovvero
- proseguire il cammino iniziato dalla Commissione presieduta dal prof. Antonino Mirone e recentemente sfociato nella approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, nella riunione del 26 maggio 2000, di un disegno di legge.
Nella prima delle prospettive indicate, già in occasione dei primi incontri, sono state poste in luce le esigenze:
- di individuare le tecniche per una rapida definizione delle questioni relative alla validità delle deliberazioni degli organi sociali, al fine di evitare che una pronuncia di annullamento resa a grande distanza di tempo abbia conseguenze devastanti sulla vita della società e sull'esercizio della impresa sociale;
- di regolare la attuazione delle misure conservative e, se possibili sul piano sostanziale, di quelle espropriative delle partecipazioni societarie, in considerazione della riconosciuta inidoneità delle soluzioni individuate, nel silenzio della legge, dalla giurisprudenza;
- di prevedere efficaci forme di tutela per tutte quelle situazioni che, soprattutto nell'ambito del diritto industriale, in mancanza di strumenti specifici, ricevono protezione dai provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., destinati, in questi ambiti, ad esaurire i bisogni di tutela e a non richiedere quindi, come previsto dall'art. 669 octies c.p.c., la instaurazione del giudizio di merito;
- di prevedere conseguentemente forme di attuazione delle inibitorie e dei provvedimenti con i quali sia accertato l'inadempimento di obbligazioni di fare o di non fare infungibili e, quindi, non suscettibili di realizzazione coattiva ai sensi degli artt. 612 ss. c.p.c.;
- di allargare gli spazi per l'accesso all'arbitrato, soprattutto nei rapporti societari, riesaminando le questioni relative all'inserimento di clausole compromissorie negli statuti.
A tale scopo, è stato elaborato un questionario trasmesso dall'Ufficio Legislativo ai Presidenti delle ventisei corti di appello, affinché fossero raccolti i dati presso ciascuno dei centosessantotto tribunali; sono stati anche organizzati incontri in alcuni distretti.
Nel corso dei lavori della Commissione e del Gruppo, inoltre, il 10 febbraio 2000, per iniziativa dei Democratici di Sinistra è stato presentato il d.d.l. n. 6751/C/XIII, intitolato "Delega al Governo per la riforma della disciplina delle società di capitali e cooperative"; il 22 febbraio 2000, la VI Commissione (Finanze) della Camera dei Deputati ha avviato una "Indagine conoscitiva sulla riforma delle società commerciali", nell'ambito della quale, il 7 marzo 2000, è stato sentito il professore Luigi Spaventa, presidente della Consob.
Questa relazione tiene, quindi, conto non soltanto del dibattito all'interno del Gruppo e della Commissione, ma anche delle indicazioni raccolte negli incontri tenutisi nei distretti di Genova (12 febbraio 2000), di Torino (21 febbraio 2000), di Bari (11 marzo 2000) e di Padova (15 aprile 2000), nell'incontro del dott. Bartolomeo Quatraro con i professori di Diritto processuale civile delle università di Milano (18 marzo 2000), nonché dei dati affluiti al Ministero in risposta al Questionario. Difficoltà organizzative hanno impedito per ora la realizzazione degli incontri pubblici in altri distretti, pur indicati dall'Ufficio legislativo del Ministero: Milano, Bologna, Roma, Napoli, Catania.
Alle questioni relative alla attuazione dell'art. 11 dello Schema "Mirone", peraltro, sono anche stati dedicati numerosi convegni (Bologna, 18 giugno 1999; Como, 13 novembre 1999; Alba, 20 novembre 1999; Catania, 27 maggio 2000), e la Commissione ha potuto anche tenere conto del dibattito svoltosi in tali occasioni.
Sulla base di tali dati e di tali elementi, la Commissione a conclusione di lavori ritiene di offrire al Ministero le proprie riflessioni. Sono, allegate, in riferimento ad alcuni aspetti soltanto della delega, bozze di norme delegate: questo lavoro è parziale sia a causa della insufficienza del tempo a disposizione, sia soprattutto perché alcuni aspetti della proposta di delega si manifestano ancora problematici e sarebbe stato, quindi, inopportuno, allo stato, impiegare energie nella elaborazione delle forme di attuazione di un testo ancora fluido.
2.- Ragioni specifiche e limiti della proposta
Le ragioni della complessiva proposta sono indicate vuoi nella relazione che accompagna lo Schema "Mirone", vuoi nella relazione al disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 maggio 2000, vuoi nella relazione che conclude i lavori della Commissione, della quale La Commissione fa parte.
In riferimento a tali argomenti, La Commissione "Giustizia per le imprese" ha ritenuto di distinguere e circoscrivere la ratio dell'intervento in materia.
Le esigenze di assicurare effettività alla disciplina sostanziale, di una prevedibilità dei tempi e dei risultati dell'intervento del giudice, di disporre di un giudice professionalmente attrezzato e di strumenti processuali coerenti con le esigenza di certezza e celerità, infatti, sono comuni a tutti i settori dell'ordinamento. E' stato efficacemente rilevato che "non esistono buone regole se non se ne possa garantire la corretta attuazione. La qualità delle regole e la capacità della loro effettiva attuazione sono legate da una relazione reciproca. Non solo regole mal costruite sono di difficile applicazione e non riescono perciò a realizzare le finalità che le avevano ispirate, ma accade anche che un sistema incapace di far vivere correttamente le proprie regole reagisce creando regole sempre più condizionate dalla consapevolezza di tale incapacità e, per ciò stesso, non delle buone regole. E' dunque più che mai importante interrogarsi sul modo in cui l'ordinamento garantisce l'attuazione delle norme che disciplinano il mercato ed, in particolare, sull'adeguatezza in questo campo della funzione giurisdizionale, che dell'attuazione di quelle norme dovrebbe costituire il principale (anche se non l'unico) presidio. Ora, è quasi nozione di comune esperienza quella secondo cui la giustizia civile è - allo stato - del tutto inadeguata a risolvere i conflitti di interesse che emergono nel contesto del mercato".
Sennonché, la complessiva efficienza del sistema processuale e la professionalità del giudice costituiscono il fondamento e la ratio di ogni tentativo di riforma processuale, quale che sia il settore sostanziale considerato. Occorre, invece, tentare di dare conto delle specifiche ragioni per le quali la proposta riguarda soltanto alcuni e non tutti i conflitti.
Anche in riferimento alle osservazioni trasmesse dal Consiglio Nazionale Forense il 25 febbraio 2000 ed a quelle emerse nel corso dei dibattiti svoltisi a Milano ed a Padova, appare opportuno chiarire che l'obiettivo perseguito non consiste nel tentativo di realizzare surrettiziamente una riforma della giustizia civile nel suo complesso, fondandosi sulle esigenze specifiche di un determinato settore dell'ordinamento.
Il complessivo stato di inadeguatezza o di scarsa efficienza della giustizia civile è questione che va oltre ai lavori della Commissione.
L'obiettivo, invece, consiste nell'adeguamento degli strumenti processuali disponibili alle specifiche esigenze delle controversie e dei procedimenti nelle materie considerate.
Il presupposto è che la disciplina processuale, contenuta in norme generali ed astratte ma suscettibili di interpretazioni ed applicazioni differenziate, potrebbe e dovrebbe essere adeguata ai concreti bisogni di ciascuna controversia: la impugnazione di una deliberazione della assemblea per contrarietà alla legge o allo statuto è diversa dal giudizio di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci e dalla controversia sull'uso dei segni distintivi della impresa o sulla lealtà della concorrenza; la prima, essendo tipicamente una controversia di mero diritto, è suscettibile di essere decisa immediatamente, ma richiede vuoi una compiuta articolazione dei motivi di invalidità nell'atto introduttivo, vuoi una decisione idonea ad acquistare definitiva stabilità; la seconda implica complessi accertamenti di fatto ed una istruzione a cognizione piena: le esigenze anticipatorie non riguardano tanto il merito, quanto la conservazione della garanzia patrimoniale; le terze coinvolgono prevalentemente accertamenti di fatto e sono destinate ad esaurirsi con la pronuncia di provvedimenti anticipatorî, attualmente concedibili soltanto nell'ambito della tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c., cosicché lo svolgimento del giudizio di merito è necessario soltanto per conservare gli effetti del provvedimento cautelare. Allo stesso modo in cui, a seconda delle diverse esigenze, si utilizza il martello, il cacciavite o la chiave inglese, occorre fornire agli operatori giuridici attrezzi adeguati alla differenziata tipologia dei conflitti.
L'adeguamento in via interpretativa della disciplina processuale alle esigenze delle specifiche controversie potrebbe essere realizzato già de jure condito, ma trova ostacoli nella pur apparente rigidità della normativa, cosicché, più che proporre una moltiplicazione dei riti e delle forme processuali, da più parti paventata, si tratta di adattare la disciplina comune alla tipologia del contenzioso nelle materie considerate, nella consapevolezza che si persegue il difficile obiettivo di realizzare un'isola di efficienza in un contesto di segno diverso e nell'auspicio che le numerose iniziative di carattere generale altrove intraprese e da intraprendere possano contribuire a migliorare il quadro generale. Non si tratta, dunque, proseguendo nella metafora, di creare nuovi martelli, nuovi cacciavite e nuove chiavi inglesi, ma di adeguare quelli esistenti ai chiodi, alle viti ed ai bulloni caratteristici di alcuni conflitti economici.
In questa prospettiva, le ragioni per un intervento specifico sugli aspetti processuali possono ulteriormente indicarsi:
a) nella concorrenza tra ordinamenti,
b) nella esigenza di reagire alla emergenza penale e
c) in quella di scongiurare la fuga dalla giurisdizione e precisamente da quella ordinaria dei conflitti economici.
In primo luogo, infatti, in un contesto nel quale è in atto una competizione tra gli ordinamenti e le giurisdizioni, nel quale sono frequenti i casi di forum shopping, si tratta di evitare la fuga verso altri ordinamenti. Oltre oceano, come è noto, molte companies hanno la sede nello stato del Delaware, in considerazione appunto della disciplina e, soprattutto, dei servizi giudiziari. Quanto è avvenuto nel passato negli Stati Uniti, può avvenire ora in Europa: l'efficienza e l'affidabilità dell'ordinamento, compresi gli aspetti processuali, si manifestano oggi una componente essenziale del sistema economico. L'inefficienza del sistema giudiziario e l'incertezza sulla applicazione delle regole inerenti i rapporti societarî, infatti, sconsigliano o, comunque, rendono più costoso non solo lo stabilimento di società, ma anche l'investimento in società. Il dato è tanto più grave ove si rifletta al crescente fenomeno del c.d. venture capital: investitori istituzionali stranieri investono in imprese quotate medie o medio grandi per consentire alle stesse di svilupparsi e crescere, eventualmente quotarsi, e poi rientrare dell'investimento. Si crea così una situazione che non caratterizzata dalla possibilità di uscita tramite il mercato dell'investitore insoddisfatto, affida la risoluzione del conflitto al contenzioso arbitrale o giudiziario e dunque esalta il ruolo dell'efficienza del sistema giudiziario nell'adozione delle scelte e dei costi contrattuali. L'inefficienza del sistema giudiziario, inoltre, pone le imprese italiane in situazione di svantaggio vuoi in relazione alle questioni inerenti la gestione, vuoi in riferimento ai rapporti con i terzi. Ne consegue che la incertezza sulla applicazione delle regole inerenti i rapporti societari sconsiglia lo stabilimento di società nel nostro paese, la difficoltà nei rapporti con la clientela aumenta il costo delle merci e del danaro.
In secondo luogo, si tratta di contrapporre una emergenza economica alla emergenza penale, che tante risorse ha sottratto e sottrae alla giustizia civile: in molti uffici giudiziari l'insufficienza delle risorse innesca un meccanismo perverso, sovente e diffusamente deprecato, perché la inefficienza della giustizia civile contribuisce al diffondersi della criminalità, specie di quella organizzata, ostacola ogni sviluppo economico e rende ancora più grave l'emergenza penale, che assorbe le risorse della giustizia civile. L'inefficienza di quest'ultimo genera fenomeni devastanti sul piano sociale ed economico: la insoddisfazione dei diritti mina alle radici lo stato di diritto, nell'ambito del quale la protezione è appunto riconosciuta agli interessi selezionati dalla legge quali meritevoli di tutela; favorisce un ritorno ad una situazione feudale, nell'ambito della quale, invece, la protezione è ottenuta mediante l'appartenenza o l'affiliazione ad un gruppo, sia esso lecito o illecito, e la decisione un favor principis, piuttosto che l'applicazione di regole predeterminate.
In terzo luogo, appare doveroso reagire al rischio di una fuga dalla giurisdizione.
Se ciò avviene per libera scelta delle parti, che liberamente scelgono di rivolgersi a giudici privati, il fenomeno appare positivo e meritevole di essere favorito, anche mediante una riduzione dei vincoli per l'accesso all'arbitrato. Ma, nonostante alcune sollecitazioni di segno contrario, non sembra da abbandonare il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, per il quale il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi solo nella libera scelta delle parti e non nella legge o, più generalmente, in una volontà autoritativa. La libera scelta delle parti, infatti, si fonda nella affidabilità degli arbitri, nei costi dell'arbitrato; è favorita dalla possibilità di definire la controversia nel procedimento arbitrale; dalla ragionevole previsione del rigetto delle eventuali impugnazioni; in breve, dalla bontà del lodo. Non sembra, invece, che lo Stato possa abdicare, secondo le ripetute indicazioni del Giudice delle leggi, a fornire il servizio giustizia a chi non intenda rinunziarvi. Il buon funzionamento della giustizia pubblica è il presupposto stesso perché si possa svolgere una utile "concorrenza" con quella privata.
Alla Commissione è anche apparso doveroso reagire al rischio di una fuga dalla giurisdizione ordinaria.
Recenti note vicende hanno, infatti, posto in evidenza i delicati profili problematici che attengono ai meccanismi di controllo giurisdizionale sui regolamenti e gli atti delle Autorità indipendenti. Tali profili attengono vuoi all'individuazione dell'organo da ritenersi competente a dire giustizia in materia vuoi al relativo regime processuale e all'impatto concreto che le forme dell'intervento giurisdizionale possono avere con riferimento alla certezza delle regole dell'attività degli operatori economici e finanziari.
In generale, si tratta di chiedersi entro quali limiti sia configurabile la soggezione degli atti delle Autorità indipendenti al sindacato del giudice amministrativo in relazione alle caratteristiche dell'atto, che non esprime la potestà della pubblica amministrazione verso i privati e specie a quelle dalla natura del contenzioso amministrativo. La potestà regolamentare delle autorità indipendenti, infatti, presenta una serie di caratteristiche peculiari che non possono non incidere nella valutazione delle possibili modalità di sindacato in sede giurisdizionale.
Là dove il legislatore ha mostrato di voler astenersi o limitarsi nel porre principî legislativi di indirizzo all'autorità nella manifestazione del suo potere regolamentare, evidentemente valutando le ragioni sottostanti all'esigenza di delegificazione della materia (cognizione tecnica, indipendenza, agilità dell'adeguamento alle esigenze della realtà dei mercati finanziari), di tale scelta primaria il sindacato giurisdizionale sul regolamento deve tenere conto. Il che comporta, quantomeno, che ogniqualvolta si dovesse ritenere che il regolamento dell'autorità sia illegittimo per contrasto con la legge che ne autorizza l'emanazione il giudice debba anzitutto valutare se davvero quella potestà regolamentare trovi nella legge limiti di principio e di indirizzo, individui poi tali limiti e ne verifichi infine il rispetto da parte della Autorità.
La possibilità di un sindacato del giudice amministrativo sui regolamenti e, ancor più sugli interventi interpretativi relativi alle norme legislative o regolamentari che incidono sulle regole di comportamento dei privati nell'espletamento della loro attività negoziale o organizzativa, è suscettibile di creare una paralisi della attività di tali organi, nonché una permanente sovrapposizione di competenza a giudicare della legittimità di atti, regolamenti e comunicazioni dell'autorità da parte del giudice ordinario, chiamato a disapplicarli nell'ambito della specifica controversia, e del giudice amministrativo, l'ammissibilità del sindacato del quale appare discutibile de jure condito.
Prescindendo da questo ultimo profilo, estraneo alle questioni oggetto dei lavori della Commissione, la Commissione si è interrogata sul rischio di un progressivo trasferimento al giudice amministrativo, secondo una interpretazione estensiva del d.leg. 31 marzo 1998, n. 80, della definizione dei più rilevanti conflitti economici, anche in considerazione delle obiettive difficoltà di attuazione di questa parte del progetto.
Il giudizio amministrativo, infatti, è, sul piano effettuale, un giudizio di tipo esclusivamente cautelare, risolvendosi essenzialmente nella fase della sospensiva: poiché il provvedimento di sospensione è strumentale a una pronuncia di merito che non sopravviene, all'atto della perenzione del giudizio di merito diverrà tanquam non esset, con disastrosi effetti sulla certezza della normativa regolamentare e su eventuali modifiche successive del medesimo regolamento. Le esigenze di specializzazione, anche nella prima fase di attuazione, inoltre, non sembra possano essere soddisfatte neanche dai giudici amministrativi, privi di esperienze specifiche nelle materie considerate.
Poiché la proposta elaborata dalla Commissione "Mirone" prevede la istituzione di sezioni specializzate nella trattazione dei procedimenti nelle materie commerciali, al Gruppo sembra coerente attribuire alle istituende sezioni, pur nel rispetto dei principî generali sulla sindacabilità degli atti amministrativi ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, all. E, e pur con le perplessità prima indicate, ogni potere nelle materie considerate: se l'obiettivo consiste nel creare un giudice ordinario specializzato in determinate materie, non appare, infatti, ragionevole, allorché sono in gioco diritti e non meri interessi legittimi, nei limiti appena indicati, sottrarne al nuovo organo la cognizione.
In realtà, anche in considerazione dei complessi problemi attuativi del progetto, alla Commissione è apparso reale il rischio che, constatate le difficoltà di realizzazione nell'ambito della giurisdizione ordinaria, possa essere presa in considerazione la possibilità di concentrare invece presso il giudice amministrativo i più rilevanti conflitti economici, ampliando e proseguendo la strada intrapresa con il d. leg. 31 marzo 1998 n. 80.
Si manifesta indicativa, a tal fine, la motivazione della ordinanza n. 1 del 30 marzo 2000, della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la quale è stato disegnato un completo meccanismo di tutela in materia di servizi pubblici. Peraltro la Cassazione, con l'ordinanza n. 43/00 SU, deliberata il 14 aprile 2000, ha rimesso al Giudice delle leggi la relativa disciplina per eccesso di delega.
Pur in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, la questione del riparto di giurisdizione non sembra possa essere ignorata e forti ragioni inducono a ritenere che allorché si propone la istituzione di un giudice ordinario specializzato in determinate materie appartenenti al diritto privato si attribuisca al medesimo la cognizione di tutti i diritti, nessuno escluso, in quelle materie coinvolti, scongiurando vuoi ogni rischio di fuga dalla giurisdizione, vuoi ogni rischio di fuga da quella ordinaria, concentrando presso le istituende sezioni non solo ogni potere di controllo sugli atti sanzionatori, ma anche ogni competenza speciale o esclusiva nelle materie considerate, riservando al legislatore delegato la individuazione delle concrete fattispecie.
3.- La composizione delle sezioni specializzate
Passando all'esame della proposta e prescindendo dai profili meramente formali, è sembrato opportuno definire la composizione delle sezioni specializzate, piuttosto che affidare la scelta al legislatore delegato.
Il testo licenziato dalla Commissione "Mirone", infatti, lascia aperta la alternativa tra la creazione di un nuovo ed autonomo ufficio giudiziario, sul modello dell'attuale tribunale per i minorenni, la istituzione di sezioni specializzate "presso" i tribunali, le corti territoriali ed il Giudice di legittimità, sul modello delle attuali sezioni lavoro ovvero di quelle agrarie.
La Commissione ha ritenuto che l'esigenza di assicurare alla giustizia dell'impresa un giudice tecnicamente competente possa essere soddisfatta da giudici ordinari togati, inseriti nella struttura degli attuali uffici giudiziari, secondo la previsione dell'art. 102 Cost. Il che richiede, peraltro, anche un onere economico, non sembrando ragionevole, come pure previsto nel disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri, che si intenda realizzare un progetto così ambizioso "senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato".
In passato, l'esperienza giuridica italiana ha conosciuto, vigente il codice di commercio, i tribunali di commercio, che erano peraltro formati da magistrati non appartenenti alla magistratura ordinaria, espressione del ceto commerciale. Tale soluzione, abbandonata in Italia, è stata mantenuta in Francia, dove peraltro è in corso una profonda riforma. Storicamente il ricorso al giudice non togato si spiega con il carattere largamente consuetudinario del diritto commerciale. I commercianti chiamati a svolgere le funzioni di giudice conoscevano bene le consuetudini commerciali ed erano quindi in grado di risolvere le controversie. Dopo la codificazione del diritto commerciale essi, pur applicando le norme scritte, erano in grado di comprenderne meglio la reale portata, avendo diretta esperienza delle situazioni di fatto che quelle norme avevano ispirato ed alle quali dovevano essere applicate.
Oggi il problema sta in termini parzialmente diversi. Di fronte ad una legislazione sempre più complessa ed alluvionale è entrato in crisi il modello tradizionale del giudice quale tecnico indipendente ed imparziale, in grado di individuare rapidamente la legge che deve essere applicata al caso concreto e di applicarla utilizzando le consuete regole interpretative. Per questo modello ha scarsa importanza l'oggetto dell'interpretazione, l'essenziale è lo schema formale da applicarsi di volta in volta a situazioni anche molto diverse. E ciò spiega perché il giudice possa occuparsi di settori anche lontani dell'ordinamento: civile, penale, famiglia, lavoro, commerciale, ecc.
Secondo questo modello di specializzazione del giudice si può parlare, al più, dal punto di vista di una migliore conoscenza del fatto. Il diritto è per definizione conosciuto e conoscibile dal giudice. Qualunque tentativo, si è detto, di evocare per settori limitati dell'ordinamento difficoltà inenarrabili di ricostruzione ed interpretazione del sistema, sono destinate a scontrarsi con due dati: il giudice italiano, selezionato per concorso e soggetto solo alla legge, rinviene la sua legittimazione esclusivamente nella sua professionalità e nella sua capacità di conoscere ed interpretare il diritto; la complessità crescente dell'ordinamento è compensata dalla complessità crescente degli strumenti di conoscenza delle fonti, prima di tutto informatici.
La complessità dell'ordinamento, nel settore commerciale e societario come in altri settori, non pone soltanto un problema di difficoltà di reperimento delle fonti, anche se è indubbio che tale problema esiste e che incide sulla celerità e credibilità delle decisioni. E' vero che di fronte a discipline normative che sono sempre più il frutto di mediazioni di interessi in cui l'incertezza di significato dell'enunciato linguistico è stata la condizione dell'accordo politico, il giudice ha pur sempre come bussola di riferimento i valori costituzionali. Ma è evidente che egli deve anche conoscere bene il sistema normativo sul quale è chiamato ad operare, nella sua complessità e nelle sue fonti secondarie, ma non meno importanti (si pensi alle norme secondare emesse dalla Autorità indipendenti). Se il giudice del vecchio modello generalista poteva conoscere ed interpretare una qualunque norma, anche una cosiddetta leggina, perché doveva soltanto applicare i consueti schemi interpretativi e trovava senza troppa difficoltà il quadro di riferimento della norma nel sistema, oggi l'operazione è molto più complessa ed il rischio di sbagliare è molto più elevato. Soltanto un giurista che già conosca il quadro di riferimento entro il quale deve operare e che ne faccia quotidiana applicazione, è in grado di offrire risultati attendibili.
Nelle materie commerciali, inoltre, la norma è sovente scritta per un ambito ristretto di utenti ed ha un contenuto tecnico specifico, che non può essere letto da chiunque o che comunque presuppone nel lettore una conoscenza specifica di dati tecnici. Ad es. norme come l'art. 2426, n. 10, c.c., che richiamano per l'iscrizione in bilancio dei beni fungibili i metodi Fifo e Lifo, sono incomprensibili ad un giurista che non abbia frequentazione con questo genere di problematiche. La disciplina della revocatoria delle rimesse di conto corrente bancario solleva una serie di problemi, oggetto di elaborazione soltanto giurisprudenziale, che neppure possono essere sospettati ad una semplice lettura dell'art. 67 r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Principî di carattere generale, comuni ad altri settori dell'ordinamento, assumono significato specifico: l'obbligo di diligenza del mandatario, da valutarsi secondo il principio di professionalità ex art. 1176 c.c., assume connotazioni specifiche quando sia applicato al banchiere ed ai diversi rapporti che intercorrono tra più banche che hanno gestito un'unica operazione. Il principio di correttezza e buona fede in sede contrattuale presenta problematiche del tutto particolari in materia societaria, soprattutto quando si scontra con la teoria istituzionale dell'ente societario.
La specializzazione significa che il giudice è in grado di offrire una risposta all'altezza delle aspettative delle parti, risposta che presuppone le conoscenze tecniche e l'esperienza di un mondo che le parti, per il fatto stesso che vi operano, ben conoscono. Ancora oggi troppi pensano che la pari dignità delle funzioni giudiziarie, affermata dall'art. 107 Cost., significa che tutti i magistrati siano indistintamente in grado di fare qualunque mestiere. Non è così. Se vi sono molti magistrati in grado di impadronirsi delle difficoltà tecniche proprie del settore commerciale, certo il numero si riduce di molto quando sia questione di provvedere in tempi brevi e comunque non esasperatamente allungati per consentire l'occasionale "acculturamento" del giudicante.
Le sezioni specializzate commerciali di cui si propone l'istituzione dovrebbero essere un giudice fornito di specifica competenza tecnica nel settore in cui è chiamato ad operare. Tale risultato in altre esperienze, come ad esempio nel caso del tribunale dei minorenni o delle sezioni specializzate agrarie, è raggiunto chiamando a comporre il collegio membri laici dotati delle necessarie competenze tecniche.
Tale soluzione nel caso in esame è stata scartata in base alla considerazione che le recenti esperienze in ordine al reclutamento dei giudici di pace e dei giudici onorari chiamati a comporre le sezioni stralcio, dimostrano che professionisti e managers (le due categorie nel cui ambito i giudici onorari commerciali potrebbero essere reclutati) difficilmente lascerebbero le loro professioni per un'occupazione a tempo pieno quali giudici. E il rapido divenire del mondo dell'impresa esclude che questi giudici possano essere reclutati tra i pensionati. D'altra parte l'impiego di professionisti e managers che continuino a svolgere la loro professione intanto che sono chiamati ad operare come giudici, presenta evidenti controindicazioni sul piano dell'imparzialità e della trasparenza.
Le sezioni commerciali dovrebbero dunque essere formate esclusivamente da giudici togati.
3.1.- Il reclutamento.- Fondamentale diviene pertanto il reclutamento.
Il che pone problemi diversi in relazione all'avvio delle sezioni e al successivo funzionamento delle medesime.
In sede di prima applicazione "i criterî di selezione dei giudici dovrebbero fondarsi sulle esperienze acquisite.
Per le fasi successive, si dovrebbero prevedere adeguati ed efficaci strumenti di formazione e aggiornamento professionale dei magistrati assegnati alle sezioni.
Nella formulazione delle norme delegate, peraltro, dovrà essere considerato il contesto complessivo.
In particolare, non potranno essere ignorate
- le forme di attuazione della legge. 19 ottobre 1999, n. 370, "Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica" e
- quelle relative alla istituzione delle Scuole di specializzazione per le professioni legali previste dall'art. 17, co. 113° ss., l. 15 maggio 1997, n. 127, dal d.leg. 17 novembre 1997, n. 398, e dal decreto interministeriale 21 dicembre 1999, n. 537.
Non si potrà prescindere dagli sviluppi del disegno di legge sull'"Aumento del ruolo organico e disciplina dell'accesso in magistratura" approvato dal Consiglio dei Ministri il 22 marzo 2000.
La normativa delegata dovrà altresì tenere presente quanto previsto
- dall'art. 29 del Regolamento del Consiglio Superiore della Magistratura, nel testo risultante dalle delibere del 21 novembre 1994 e del 13 luglio 1996,
- dal d.P.R. 17 luglio 1998, sulla formazione degli uditori giudiziari e
- dalla Risoluzione dello stesso Consiglio del 26 novembre 1998 sulla formazione "decentrata".
Soprattutto in riferimento a tali aspetti, si renderanno necessari corsi di formazione.
La specializzazione, inoltre, si ottiene con la permanenza per un periodo di tempo sufficientemente lungo nella sezione e con la trattazione in via esclusiva degli affari giudiziari affidati alla sezione. Soltanto in questo modo le conoscenze acquisite possono divenire specializzazione, senza che per altro sia per reclutamento, sia per formazione professionale, sia per collocazione istituzionale il giudice commerciale cessi di essere un magistrato ordinario, partecipe della cultura della giurisdizione comune a tutta la magistratura.
3.2.- L'assegnazione e la rotazione.- La specializzazione del giudice, tuttavia, va conciliata con la temporaneità delle funzioni. Proprio perché partecipe della cultura della giurisdizione, proprio perché magistrato ordinario, il giudice commerciale non può svolgere indefinitamente queste funzioni. In difetto, la comune cultura della giurisdizione, la condivisione dei valori di fondo rischia di sbiadire. E nello stesso tempo l'eccessiva permanenza nello stesso ufficio può determinare l'appiattimento su prassi interpretative ormai recepite acriticamente, può comportare eccessiva familiarità con ausiliari di giustizia, personale di cancelleria, professionisti che appanna l'immagine di indipendenza che il giudice deve offrire.
Occorre dunque conciliare specializzazione e temporaneità. A questo proposito si è previsto che il legislatore delegato stabilisca criteri di rotazione, evitando comunque la dispersione delle competenze professionali acquisite. Ciò significa in concreto individuare all'interno della carriera del magistrato dei percorsi professionali, che consentano di continuare ad utilizzare in altro modo od in altro luogo, se lo si desidera, il proprio bagaglio professionale. Così il giudice commerciale potrà passare a trattare procedimenti penali per reati economici ovvero svolgere le funzioni di giudice del lavoro o ancora chiedere il trasferimento ad altra sede ed ivi continuare a svolgere le funzioni di giudice commerciale.
Si tratta di materia sulla quale il legislatore non è ancora intervenuto, ma che ha già formato oggetto di interventi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura nella "Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2000-2001", nella quale è stabilito il criterio della rotazione decorsi i dieci anni di permanenza nell'ufficio (un periodo inferiore sarebbe sconsigliabile perché impedirebbe di utilizzare per un numero di anni adeguato la professionalità acquisita) ed è pure previsto che per l'assegnazione alle sezioni che trattano diritto societario, fallimentare, famiglia, ecc. il criterio della professionalità faccia premio su quello dell'anzianità.
Nel testo che si propone, si è tenuto conto di questi precedenti, soprattutto coordinando temporaneità e specializzazione secondo il già ricordato criterio dei percorsi professionali.
Stabilito che la sezione specializzata commerciale sia un giudice specializzato, composto soltanto da magistrati togati, destinati a rimanervi per un certo numero di anni, secondo un criterio di rotazione, si è ritenuto che la formazione di queste sezioni presso un tribunale per ogni distretto di corte d'appello sia regolata dai principî generali oggi previsti dall'art. 46 dell'Ordinamento Giudiziario ex r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, (nel testo novellato dal d.lgs. 20 marzo 1998, n. 51, e dal d.lgs. 4 maggio 1999, n. 138), escludendo che sia, invece, organizzata secondo il modello adottato dal legislatore per le sezioni lavoro del tribunale.
In quest'ultimo caso l'assegnazione del magistrato alla sezione andrebbe disposta dal Consiglio Superiore della Magistratura a seguito di concorso. Il magistrato così assegnato alla sezione gode dell'inamovibilità ex art. 107 Cost., non può cioè essere assegnato ad altre funzioni se non a sua domanda e salvo il principio di rotazione. Diversamente invece l'assegnazione del magistrato alla sezione spetta al capo dell'Ufficio in sede di formazione delle tabelle previste dall'art. 46 dell'Ordinamento Giudiziario nel rispetto dei criteri stabiliti all'uopo dal Consiglio Superiore della Magistratura. Il modello sezione lavoro, introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 533/73 in un momento in cui si voleva affermare con particolare enfasi che le controversie di lavoro dovevano avere la precedenza nella trattazione degli affari giudiziari, non ha dato così buona prova da dover essere interamente riprodotto. Far dipendere l'assegnazione del magistrato alla sezione dalla decisione del Consiglio Superiore, fa scontare alla decisione i tempi lunghi che impiega il Consiglio (la cui organizzazione è rimasta sempre la stessa nonostante l'aumento degli organici della magistratura togata ed onoraria) nel provvedere sui trasferimenti.
E' preferibile lasciare che la sezione specializzata sia disciplinata dalle regole generali dettate dall'ordinamento giudiziario ed in via attuativa dal Consiglio Superiore della Magistratura per la formazione delle sezioni.
Tuttavia il numero dei magistrati da assegnare alla sezione specializzata non può seguire le regole generali. L'art. 46, comma 4, dell'Ordinamento Giudiziario prevede infatti che a ciascuna sezione di tribunale siano destinati giudici nel numero richiesto dalle esigenze di servizio, tenuto conto del numero dei processi pendenti, dell'urgenza della definizione delle controversie, nonché del numero delle controversie sulle quali il tribunale giudica in composizione collegiale. Ciò significa in pratica lasciare che siano il capo dell'ufficio, il consiglio giudiziario in sede di formazione del parere sulle tabelle ed il Consiglio Superiore della Magistratura in sede di approvazione delle tabelle stesse a decidere sul numero di magistrati da adibire alla trattazione degli affari commerciali. La decisione sarà quindi legata al particolare momento storico e risentirà delle emergenze che di volta in volta si presenteranno.
Questa possibilità dovrebbe essere esclusa. Il numero dei magistrati da assegnare alle sezioni commerciali va stabilito dal legislatore delegato, che potrà eventualmente prevedere meccanismi di verifica periodica da attuarsi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, sulla base peraltro di un parametro certo, rappresentato dal numero di imprese iscritte presso il registro delle imprese. Come il numero di giudici viene in genere rapportato alla popolazione residente, è forse ragionevole per il giudice commerciale fare riferimento al numero di imprese iscritte e dunque alla sommatoria dei dati ricavabili dal registro delle imprese per ciascun distretto di corte d'appello. Naturalmente la sezione non potrà avere in ogni caso un numero di giudici, escluso il presidente, inferiore a cinque, secondo la previsione dell'art. 46 dell'Ordinamento Giudiziario.
Si dovrebbe inoltre introdurre un principio di rigidità che ancori i magistrati della sezione alla trattazione degli affari della sezione stessa, negli stessi termini a suo tempo stabiliti dal legislatore per i giudici della sezione lavoro del tribunale. Di conseguenza i magistrati assegnati alle sezioni specializzate non potranno essere incaricati della trattazione di controversie o di affari di natura diversa da quelli di competenza delle sezioni stesse, salvo che non ricorrano particolari motivi da indicare espressamente nel provvedimento di assegnazione.
3.3.- La localizzazione.- Per quanto riguarda, infine, la localizzazione delle sezioni, la Commissione ritiene che la proposta debba prendere atto delle differenze esistenti nelle diverse realtà economiche del Paese: nella maggior parte dei casi, il tribunale della città sede della corte di appello coincide con il capoluogo di regione o comunque con la città nella quale più vivace è il tessuto economico. Ma non è così dovunque.
In funzione dell'obiettivo di fornire un giudice per i conflitti economici e in considerazione delle indicazioni raccolte nel corso degli incontri nei distretti, è opportuno consentire al legislatore delegato di individuare il tribunale presso il quale saranno istituite le sezioni in base al luogo nel quale più numerose sono le imprese iscritte nella sezione ordinaria del registro.
Tale soluzione, ancorata comunque ad un dato obiettivo, dovrebbe anche porre il legislatore delegato al riparo da eventuali pressioni locali, come, invece, è avvenuto in occasione della attuazione della disciplina del giudice unico. Quella esperienza suggerisce di escludere che il legislatore delegato abbia la facoltà di istituire sezioni specializzate in più tribunali di ciascun distretto: la localizzazione delle sezioni presso il tribunale sede della corte di appello ovvero, eccezionalmente, presso quello del registro nel quale è il maggior numero di imprese iscritte nella sezione ordinaria dello stesso dovrebbe contribuire anche a parare le obiezioni circa la emarginazione della provincia, delle quali si è fatto carico il Consiglio Nazionale Forense, con nota del 25 febbraio 2000.
In primo luogo, la tipologia dei procedimenti da assegnare alle istituende sezioni induce a ritenere che essi siano già attribuiti alla cognizione degli uffici giudiziari delle città dove è più vivace il tessuto economico.
In secondo luogo, non può essere pretermesso che l'esigenza di specializzazione non appartiene soltanto al giudice. La parte che si affida ad un avvocato o consulente privo della necessaria specializzazione è destinata ad operare in condizioni di inferiorità, come dimostra l'esperienza quotidiana ed il fatto che gli studi professionali si organizzano sempre più secondo principi di specializzazione e, quindi, tendono a concentrarsi nei luoghi nei quali è la domanda di specifiche prestazioni professionali.
A ben vedere, si tratta di dar risposta ad una domanda di giustizia che oggi, data l'inefficienza del sistema, non arriva neppure ai tribunali e che in parte soltanto viene tutelata nelle forme dell'arbitrato. I dati statistici relativi alle controversie che attualmente pendono avanti al giudice ordinario per le materie che il progetto di legge delega dovrebbe devolvere alle sezioni specializzate, indicano che si tratta di un numero limitato. E' da ritenere che la creazione di un giudice tecnicamente competente e veloce nelle sue decisioni, determinerà, in conformità a quanto avviene negli altri Paesi Europei, un notevole aumento della domanda ed una maggior trasparenza e razionalità delle decisioni e, quindi, un incremento della attività professionale per chi si occupa delle materie considerate.
Non si ritiene invece opportuno, come pure è stato prospettato, di concentrare la localizzazione delle sezioni in alcuni distretti soltanto, sulla base del modello previsto dai progetti di attuazione della legge 26 luglio 1993, n. 302, sul brevetto comunitario. Si è constatato, ad esempio, che in un intero distretto, nel corso di un anno, vi sono state appena otto sentenze dichiarative di fallimento; il che riflette un tessuto economico che non richiederebbe, obiettivamente, la istituzione di un giudice specializzato, ma la revisione delle circoscrizioni giudiziarie non sembra essere un problema da affrontare e risolvere in questo contesto, anche in riferimento alle reazioni suscitate dalla concentrazione, su base distrettuale, delle sezioni.
Le soluzioni proposte sulla composizione delle sezioni, peraltro, offrono un punto di equilibrio tra tali contrapposte esigenze, perché l'organico delle sezioni potrà essere adeguato alle esigenze di ciascun distretto.
In riferimento alla localizzazione delle istituende sezioni, è stata anche considerata vuoi la possibilità che esse operino come giudice itinerante e tengano, quindi, udienza presso ciascun tribunale del distretto, vuoi quella che i componenti conservino i propri ruoli di giudici monocratici presso ciascun tribunale ovvero svolgano in tali sedi le funzioni monocratiche, sul modello magistrato e del tribunale di sorveglianza.
Sennonché, le difficoltà pratiche di attuazione hanno indotto a respingere tali soluzioni: le esigenze sottese ai conflitti economici, infatti, impongono una rapidità di decisione che non appare conciliabile con la mobilità del giudice; né possono essere ignorati i maggiori costi di tali soluzioni.
Ciò, peraltro, non esclude che il legislatore delegato possa adeguare alla natura distrettuale delle sezioni la previsione dell'art. 48 quinquies dell'Ordinamento Giudiziario ex r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, (nel testo novellato dal d.lgs. 20 marzo 1998, n. 51, e dal d.lgs. 4 maggio 1999, n. 138), ai sensi del quale è facoltà del capo dell'ufficio disporre che, sentite le parti, singole cause siano trattate in sedi diverse ovvero che, sentiti il consiglio giudiziario ed il consiglio dell'ordine degli avvocati, ciò sia stabilito "in relazione a gruppi omogenei di procedimenti". A ben vedere, infatti, tale possibilità appare conseguente alla natura distrettuale delle sezioni ed alla attribuzione ai presidenti delle stesse dei poteri del presidente del tribunale.
Nel definire le materie competenza delle ipotizzate sezioni specializzate, il testo licenziato dalla Commissione "Mirone" il 14 febbraio 2000 si riferisce a quattro blocchi di questioni: quelle in materia societaria, quelle afferenti al testo unico sulla finanza ed al testo unico bancario, quelle in materia di concorrenza, brevetti, marchi e segni distintivi dell'impresa, e quelle (ma non tutte) in materia di fallimento ed altre procedure concorsuali.
In particolare, stabilisce che, nella competenza delle istituende sezioni specializzate in materia commerciale siano, tra l'altro, compresi:
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il diritto societario
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le materie disciplinate dal testo unico dei mercati finanziari e dal testo unico bancario;
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la concorrenza, i brevetti ed i segni distintivi dell'impresa;
- tutte o alcune delle controversie in materia fallimentare e concorsuale in genere, con esclusione della dichiarazione di fallimento e delle competenze gestorie del tribunale fallimentare.
Nei primi due numeri, la indicazione è per fonti e, negli altri, per materia.
Il disegno di legge approvato dal Governo il 26 maggio 2000 si riferisce ai "procedimenti in materia di diritto societario", specifica che sono comprese "le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali"; rimette al legislatore delegato la determinazione delle controversie previste dal testo unico dei mercati finanziari e dal testo unico bancario; aggiunge una specifica previsione per i procedimenti relativi alla amministrazione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza; riproduce in parte qua la previsione relativa alla materia fallimentare. Nella relazione che accompagna tale proposta si riconosce espressamente che le materie diverse dal diritto societario sono previste "per assicurare una "massa critica" di controversie sufficiente a giustificare l'istituzione di appositi organi giurisdizionali in tutte le attuali sedi di corte d'appello": si è, infatti, constatato che le controversie in materia di diritto societario, pur in base ad una valutazione approssimativa e per eccesso, coprono circa l'1% del contenzioso civile e che, quindi, un intervento legislativo limitato ad esse non sarebbe giustificato.
A ben vedere, la definizione dell'ambito di competenza delle sezioni costituisce comprensibilmente la parte meno chiaramente definita della proposta, rispetto alla quale, non si è trattato soltanto di proseguire in un percorso già segnato, individuando di volta in volta le soluzioni tecniche per una compiuta elaborazione dei principî e dei criteri direttivi ai sensi dell'art. 77 Cost. e per formulare le relative disposizioni delegate, ma di precisare le scelte altrove solo in parte operate.
Le esigenze sottese all'istituzione delle costituende sezioni specializzate, infatti, sebbene comuni alle materie indicate, lo sono anche ad altre: le obiezioni mosse all'istituzione di sezioni specializzate di rappresentare una sorta di miglior giustizia "di casta", vuoi per i soggetti giudicanti che per i soggetti giudicati, riceverebbe impulso se l'ambito delle materie fosse ristretto ai soli conflitti attinenti alle forme organizzative dell'impresa ed alla concorrenza fra imprenditori, mentre aggiungere alla forte motivazione della giustizia specializzata come fattore di efficienza e competitività dei mercati quella dell'affidamento ad una giustizia competente e rapida anche in materie come quelle dei contratti di impresa, specie bancari e finanziari, con positiva ricaduta anche sulla tutela dei risparmiatori, e così in generale anche dell'affidamento generale del mercato contribuirebbe significativamente ad allontanare le critiche di elitarismo.
In questa prospettiva, sono da escludere le soluzioni estreme:
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quella di attribuire alle sezioni tutte le controversie commerciali, come avveniva per i Tribunali di commercio, aboliti nel 1888. Sebbene tale soluzione (che potrebbe fondarsi sulla qualità di imprenditore commerciale ai sensi dell'art. 2195 c.c. di almeno una delle parti, ovvero sulla natura della controversia, ovvero ancora su criterî misti) sia certamente coerente con l'obiettivo di offrire un servizio giustizia efficiente per i conflitti economici, affinché le imprese possano reggere la concorrenza all'interno della Unione Europea, non appare praticabile, perché la competenza delle sezioni finirebbe con l'assorbire quasi tutto il contenzioso attualmente definito civile: resterebbero fuori, oltre alle controversie di lavoro, subordinato, parasubordinato e di pubblico impiego, quelle agrarie e di locazione, soltanto quelle riguardanti le persone e la famiglia, i diritti reali e le successioni;
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quella di attribuire alle sezioni soltanto le attuali competenze collegiali in materia commerciale e cioè
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le "cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione (...) delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi", ai sensi dell'art. 50 bis, n. 5, c.p.c. comprese, quindi, le impugnazioni dei bilanci e delle deliberazione di esclusione dei soci;
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le "cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali e i liquidatori, ai sensi dello stesso art. 50 bis, n. 5, c.p.c., nonché dell'art. 144 ter disp. att. c.p.c. e, quindi, quelle previste, tra l'altro, dagli artt. 2393, 2394, 2395 c.c., 129 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, 146 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, 90 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270;
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i reclami avverso i provvedimenti cautelari nelle materie commerciali, in deroga a quanto previsto dall'art. 669 terdecies c.p.c.;
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i procedimenti in camera di consiglio regolati dagli artt. 737 ss. c.p.c. e quelli nei quali è previsto l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, ancora ai sensi dell'art. 50 bis c.p.c., compreso, quindi, il procedimento per la denuncia di gravi irregolarità, ai sensi dell'art. 2409 c.c., al quale rinviano gli artt. 128, 152, 166 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, nonché l'art. 89 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270;
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le controversie inerenti procedure concorsuali previste dall'art. 50 bis, nn. 2 e 4, c.p.c. e dall'art. 92 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, e, quindi:
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le "cause di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti";
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le "cause di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo;
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la dichiarazione dello stato di insolvenza in funzione della ammissione alla amministrazione straordinaria;
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la verifica dei crediti nella amministrazione straordinaria;
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le "cause di approvazione del concordato" in riferimento alla amministrazione straordinaria;
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tutti gli altri provvedimenti previsti dal d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270;
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i reclami di cui all'art. 26 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e delle controversie indicate nell'art. 92 d.leg. 8 luglio 1999, n. 270.
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Nella consapevolezza che la precisa definizione dell'ambito di competenza non potrà che essere operata dal legislatore delegato, allorché sarà stata definitivamente approvata la legge delega e le scelte saranno state compiute dal Parlamento, e in considerazione delle esigenze di coerenza prima segnalate, è opportuna comunque la concentrazione presso le istituende sezioni di tutti i conflitti, incidenti su diritti soggettivi, nelle materie considerate, prevedendo espressamente che, in riferimento a ciascuna ipotesi, la competenza delle sezioni comprende anche i controlli sugli atti delle autorità indipendenti.
In questa prospettiva, è consequenziale concentrare presso le sezioni anche le attuali competenze speciali nelle materie considerate della corte di appello, quale giudice di unico grado, senza, peraltro, incidere sui criteri speciali di competenza per territorio; ne consegue che la competenza sul brevetto europeo dovrebbe essere attribuita soltanto alle istituende sezioni presso i tribunali di Torino, Milano, Bologna, Roma, Bari, Palermo e Cagliari; quella sulle sanzioni amministrative in materia bancaria alla sezione del tribunale di Roma.
In conclusione, per quanto riguarda la tipologia dei procedimenti e delle controversie, è opportuno riferirsi:
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a tutti i conflitti ed i procedimenti in materia societaria, attribuendo al legislatore delegato il compito di individuarli analiticamente;
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ad alcuni di quelli in materia bancaria e finanziaria che il legislatore delegato dovrà individuare "in base alla rilevanza economica e sociale dei medesimi",
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a quelli in materia di concorrenza, brevetti e segni distintivi dell'impresa, come già previsto con formula ampia e, quindi, idonea a comprendere sia i conflitti orizzontali tra imprese, sia quelli verticali con i consumatori ed i risparmiatori, nonché, eventualmente, anche quelli in materia di diritti su beni immateriali e sulla proprietà intellettuale inerenti l'esercizio dell'impresa;
- a quelli in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, precisando che restano esclusi quelli relativi alle società controllate previsti dalla disciplina dei gruppi contenuta nel d. leg. 8 luglio 1999, n. 270, nonché secondo l'opinione della maggioranza a quelli in materia concorsuale relativi alle società quando l'ammontare complessivo delle voci di bilancio relative ai debiti ed al trattamento di fine rapporto non sia inferiore a 5.000 milioni di lire.
4.1.- Segue. La competenza in materia fallimentare.- La materia fallimentare è sicuramente tra quelle per cui la specializzazione del giudice può essere considerata un requisito indispensabile per il corretto funzionamento dell'istituto. Specializzazione è presupposto di competenza, non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista dell'esperienza pratica e del complesso di nozioni, in senso lato economico, che sono necessarie per il concreto svolgimento delle funzioni. Va sottolineato che il giudice fallimentare deve avere buona conoscenza della contabilità e dei bilanci e di molte prassi gestionali delle imprese, sia ai fini dell'istruttoria prefallimentare, sia nella concreta gestione delle procedure, sia infine nelle procedure concorsuali minori (amministrazione controllata e concordato preventivo) dove la valutazione sulle possibilità di risanamento, sulla gestione dell'impresa in pendenza di procedura, sulle modalità di cessione dell'azienda o di un ramo d'azienda sono ordinario oggetto dell'attività del magistrato. Al giudice fallimentare si chiedono spesso valutazioni di opportunità, che sono impossibili se non si conosce, nel suo concreto svolgersi, la realtà su cui si è chiamati ad incidere.
La competenza tecnica del giudice fallimentare è anche garanzia di trasparenza. Pur essendo il giudice delegato un giudice monocratico, il procedimento per dichiarazione di fallimento e molti tra giudizi che dal fallimento derivano (opposizioni a dichiarazione di fallimento, opposizioni a stato passivo, impugnazione dei crediti ammessi, giudizi di insinuazione tardiva) sono rimasti di competenza del giudice collegiale. Il collegio interviene in sede di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato. Le autorizzazioni per gli atti di straordinaria amministrazione sono ugualmente di competenza del collegio. In molti tribunali, anche di medie dimensioni, la materia fallimentare è affidata ad un solo giudice. In questi casi il controllo del collegio, formato da magistrati privi di ogni competenza tecnica specifica, è del tutto privo di incisività.
La attribuzione anche della materia fallimentare alle istituende sezioni specializzate, inoltre, consentirebbe di soddisfare l'esigenza di individuare una "massa critica" da aggiungere ai procedimenti societari e finanziari.
In alternativa al criterio previsto dallo schema "Mirone" è possibile attuare il riparto secondo altri criteri: già l'art. 156 della Legge fallimentare ex r.d. 16 marzo 1942, n. 267, prevedeva che le funzioni del giudice delegato potessero essere affidate al pretore del luogo dove il debitore ha la sede principale dell'impresa; la disposizione è stata abrogata dall'art. 161 d.leg. 51/98, ma il principio da essa espresso potrebbe essere recuperato, prevedendo che alla sezione, comunque competente per tutto ciò che riguarda l'amministrazione straordinaria, siano anche attribuiti i fallimenti delle società "quando l'ammontare complessivo delle voci di bilancio relative ai debiti ed al trattamento di fine rapporto non sia inferiore a cinque miliardi di lire", secondo un criterio oggettivo non suscettibile di dare luogo a complesse questioni di competenza, fondato sul riferimento alle voci C e D del passivo dello stato patrimoniale secondo lo schema previsto dall'art. 2424 c.c.; a tali parametri si è ritenuto di aggiungere l'ammontare complessivo delle voci di bilancio relative ai debiti ed al trattamento di fine rapporto.
Attribuire, invece, alla sezione distrettuale la competenza a provvedere in ordine all'accertamento dei presupposti per far luogo a tutte le procedure concorsuali che debbano essere aperte nell'ambito del distretto significa attribuire a questo giudice specializzato la cognizione di un numero enorme di procedimenti, la maggior parte dei quali è di modesta rilevanza economica e che sovente sono promossi non per ottenere l'apertura della procedura, ma nella speranza più o meno fondata che il debitore, sottoposto a questo mezzo di pressione, si decida a pagare.
E' sembrato allora che la soluzione debba passare necessariamente tramite la determinazione di una competenza per valore della sezione distrettuale, limitata alla cognizione delle procedure di maggior importanza economica. Così delimitato il campo di cui la sezione distrettuale deve occuparsi, non pare che vi siano motivi per escludere che la sezione possa seguire anche la gestione dei procedimenti che apre. Il limite dimensionale esclude infatti che ne derivi un soverchio carico di lavoro.
Per quanto riguarda le forme processuali, il testo licenziato dalla Commissione "Mirone" il 14 febbraio 2000 individua tre modelli processuali "da applicare in tutti o in alcuni dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate".
Il disegno di legge approvato dal Governo il 26 maggio 2000 antepone a tale previsione "la concentrazione dei procedimenti e la riduzione dei termini processuali per le controversie nelle materie di competenza delle sezioni".
Ciascuno dei modelli processuali proposti, a ben vedere, costituisce una variante dello stesso tema.
Si tratta, in ogni caso, di procedimenti a cognizione sommaria, nell'ambito dei quali non sono predeterminate le forme di attuazione del contraddittorio e quelle di formazione del convincimento del giudice.
Il criterio discretivo, infatti, tra tutela a cognizione piena ed esauriente e tutela sommaria non risiede nella qualità del giudizio, sovente, di fatto, più apprezzabile nella seconda, in considerazione dell'immediato contatto tra giudice e parti, quanto, piuttosto, nella circostanza che, nella prima, sono predeterminate le forme di attuazione del contraddittorio e quelle di formazione del convincimento del giudice, mentre, nella seconda, le une e le altre sono affidate a formule ampie e generiche quali "convocate (o sentite) le parti" e "assunte informazioni".
Peraltro l'ampiezza dei poteri discrezionali del giudice nella direzione del procedimento è parsa contrapporsi alla esigenza di garantire "prevedibilità dei tempi e dei risultati dell'intervento del giudice", che è indicata tra le esigenze primarie e fondamentali della complessiva proposta.
In realtà, in considerazione delle ragioni e dei limiti del progetto, sopra posti in evidenza, non appare praticabile la elaborazione di nuovi ed autonomi modelli processuali; né, in considerazione della differenziata tipologia dei procedimenti e delle controversie attribuite alla cognizione delle sezioni, appare possibile individuare un modello processuale bonne a tout faire. Si tratta, piuttosto, di adeguare gli strumenti processuali attualmente disponibili alle specifiche esigenze del contenzioso in subiecta materia.
5.1.- La tutela a cognizione piena.- Con specifico riferimento alle "domande volte alla rimozione o alla cessazione degli effetti di atti negoziali già compiuti", anche altre strade appaiono proficuamente percorribili.
Non si tratta, infatti, di garantire una certezza purchessia, quanto piuttosto di conciliare l'esigenza di una valutazione consapevole ed approfondita dei motivi di invalidità della deliberazione o dell'atto impugnati con quella della rapidità della decisione.
L'ampio e risalente dibattito sulla tutela differenziata, rinverdito dal novellato art. 111 Cost., ha dimostrato che la ratio della tutela sommaria risiede nella natura degli interessi tutelati, destinati ad essere irreparabilmente pregiudicati, se costretti ad attendere i tempi, anche fisiologici, della tutela a cognizione e a contraddittorio pieni, ovvero nella economia processuale, in base alla ragionevole previsione che chi si trova in una determinata situazione ha ragione ed è, quindi, antieconomico imporgli di percorrere la via ordinaria, essendo, invece, più opportuno attribuire l'onere dei tempi e dei costi di quest'ultima al destinatario del provvedimento.
La unificazione di cautela e merito, inoltre, non può prescindere dalle questioni relative al contenuto dell'atto introduttivo, non essendo sufficiente a regolare compiutamente la materia quanto stabilito dall'art. 669 bis c.p.c.; occorre comunque prevedere che il potere di impugnazione si consuma con la proposizione della domanda.
D'altro canto, la possibilità di attuare il contraddittorio "sentite le parti" ed "omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio" non offre sufficiente garanzia in ordine alla congruità dei termini a comparire, completamente affidati alla discrezione del giudice; lascia aperta la possibilità di una costituzione alla udienza e quindi di un mero rinvio della stessa al fine di consentire all'attore di replicare.
La "mera facoltatività" del giudizio di merito implica che, se una soltanto delle parti lo instaura, la validità della deliberazione o dell'atto impugnati sarà valutata nelle forme comuni a tutti i processi a cognizione piena ed esauriente. Il raggiungimento dell'obiettivo indicato quale prioritario di garantire certezza ai rapporti societari ed all'esercizio della impresa sociale resterebbe subordinato alla concorde volontà delle parti di rinunciare al giudizio di merito.
Poiché, poi, la decisione sulla validità di una deliberazione ha ad oggetto diritti, diventa anche difficile sottrarla al controllo di legittimità, ai sensi dell'art. 111 Cost., quale che sia la forma attribuita al provvedimento.
In realtà, le controversie sulla "rimozione o alla cessazione degli effetti di atti negoziali già compiuti", si caratterizzano perché, in base all'id quod plerumque accidit, non richiedono l'assunzione di prove costituende; sovente implicano un giudizio di mero diritto. Il che presuppone una compiuta definizione in limine litis del thema decidendum; in particolare, presuppone, per un verso, che i motivi di invalidità siano compiutamente articolati nell'atto introduttivo e, per altro verso, che le ragioni a sostegno della validità dell'atto impugnato siano altrettanto compiutamente esposte nella difesa della società. Nell'ambito di tali controversie, durante il tempo occorrente ad accertare la validità dell'atto o del provvedimento impugnato, si manifesta l'esigenza della sospensione della esecuzione dello stesso, affidata, appunto in considerazione delle indicate esigenze, ad un procedimento incidentale. A tali elementi si aggiunge l'esigenza di "sentire" gli amministratori ed i sindaci, anche al fine di suggerire o, comunque, consentire la revoca o la sostituzione della deliberazione della cui validità si discute.
In considerazione di ciò, una ragionevole soluzione è sembrata quella di tentare di concentrare le obiettivamente limitate attività processuali che tali controversie richiedono, mediante l'individuazione degli strumenti per imporre al giudice ed alle parti una scansione temporale idonea a garantire certezza ai rapporti societari e all'esercizio della impresa sociale.
A tal fine si è sperimentato, anche mediante la formulazione delle ipotetiche disposizioni delegate, nell'ambito della disciplina del processo ordinario di cognizione, la possibilità di un procedimento, nell'ambito del quale sia prevista, dopo la compiuta definizione del thema decidendum e, quindi, la acquisizione vuoi dei motivi di invalidità vuoi delle contestazioni della società resistente, la comparizione delle parti innanzi al presidente della sezione o a un giudice all'uopo designato; in tale occasione saranno sentiti gli amministratori ed i sindaci, sarà eventualmente suggerita la revoca o la sostituzione della deliberazione impugnata, con il rinvio, a tale esclusivo fine, dell'udienza; il presidente, il giudice designato provvederà immediatamente sulla eventuale richiesta di sospensione della esecuzione. Soltanto qualora i dedotti motivi di invalidità della deliberazione o dell'atto impugnati richiedessero l'assunzione di prove o l'espletamento di una consulenza tecnica, all'esito di una tale prima udienza sarebbe designato il giudice istruttore per la trattazione della causa; altrimenti, constatata l'impossibilità di una revoca o di una sostituzione della deliberazione o dell'atto impugnati, le parti saranno invitate a precisare immediatamente le conclusioni e sarà fissato il termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle eventuali repliche; ma potrebbero anche essere invitate a discutere oralmente la causa, che sarebbe decisa all'esito di tale unica udienza dallo stesso collegio.
Il contemperamento tra le esigenze di rapidità e di concentrazione e quelle di garantire un controllo di merito sul provvedimento sulla sospensione della esecuzione della deliberazione e di attribuire tale controllo ad un giudice diverso suggeriscono di escludere la comparizione delle parti direttamente innanzi al collegio, secondo il modello del processo amministrativo, utilizzato anche per l'appello nel processo ordinario ed in quello del lavoro.
La sentenza non sarà appellabile, ma impugnabile per cassazione soltanto per violazione di legge. Salvo che le parti chiedano la discussione orale, la Corte potrebbe decidere in camera di consiglio.
Al fine di evitare che il carico dell'ufficio giudiziario favorisca lo sviluppo di prassi incompatibili con le esigenze di certezza dei rapporti societari e dell'esercizio dell'impresa sociale, potrebbe, infine, essere stabilito un termine per la decisione, come previsto nell'ambito del procedimento arbitrale dall'art. 820 c.p.c.; tale termine potrebbe essere prorogato o sospeso sia sull'accordo delle parti nelle stesse forme previste da tale disposizione sia nel caso in cui i dedotti motivi di invalidità richiedessero accertamenti di fatto e, quindi, la trattazione del merito in funzione della assunzione di prove costituende o dell'espletamento di consulenza tecnica.
L'inosservanza del termine per la decisione potrebbe essere configurata quale "diniego di giustizia" ai sensi dell'art. 3 l. 13 aprile 1988, n. 117, sulla responsabilità civile dei magistrati. Lo scopo di tale previsione non sarebbe sanzionatorio nei confronti dei giudici chiamati a decidere, ma dovrebbe avere la funzione di garantire ai giudizi di impugnazione delle deliberazioni societarie una corsia preferenziale; dovrebbe, perciò, operare anche per il giudizio di cassazione.
Un tale meccanismo dovrebbe evitare che i giudici ai quali fossero assegnate le controversie de quibus siano distolti per altri compiti. Spetterà, poi, alle tabelle di ciascun ufficio giudiziario, compresa la Corte di cassazione, la individuazione di un punto di equilibrio idoneo a contemperare le specifiche esigenze delle controversie societarie con quelle complessive dell'ufficio.
5.2.- La tutela sommaria.- La sommarizzazione dei procedimenti, mediante la previsione di un procedimento cautelare svincolato dal giudizio di merito, appare idonea a colmare una lacuna da tempo segnalata soprattutto nell'ambito del diritto industriale.
La tutela cautelare, infatti, è una tutela strumentale di doppio grado nel senso che la sua funzione è quella di far sì che la tutela ordinaria possa essere di una qualche concreta, pratica utilità per chi la invoca. Poiché normalmente l'onere di subire i tempi del processo a cognizione piena ed esauriente incombe a chi invoca giustizia, qualora, vuoi per la natura della situazione subiettiva fatta valere, vuoi per quella del torto lamentato, il provvedimento finale sarebbe praticamente inutile, è ragionevole ed anzi doveroso alterare la situazione considerata normale, scaricando l'onere relativo al tempo del processo sul soggetto nei confronti del quale l'azione è stata o sta per essere esercitata. Ciò avviene allorché vi sia un pregiudizio, valutato in concreto dal giudice.
La tutela cautelare differisce dalla tutela sommaria tout court, perché, in questa, la sussistenza del pregiudizio è valutata in astratto ed in generale dal legislatore, il quale, nella sua razionale discrezionalità, ha previsto forme più rapide e più semplici di tutela giurisdizionale, scaricando l'onere di attendere i tempi della giustizia ordinaria sul soggetto passivo.
In mancanza di specifiche forme di tutela sommaria, la tutela anticipatoria non può che essere quella cautelare, con le caratteristiche appena indicate. Il che non è privo di conseguenze sul piano pratico.
In primo luogo, infatti, perché possa invocarsi la tutela cautelare, vuoi tipica, se prevista, vuoi atipica, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., occorre dedurre un interesse meritevole di tutela alla stregua del diritto sostanziale, una situazione subiettiva, un diritto, l'esistenza del quale deve almeno apparire verosimile, cioè assistito dal tradizionale fumus.
In secondo luogo, questo interesse meritevole di tutela, questa situazione subiettiva, questo diritto deve rischiare di subire un pregiudizio nei tempi, anche fisiologici, per il suo accertamento nelle forme ordinarie dei processi a cognizione piena ed esauriente ed a contraddittorio pieno.
In terzo luogo, appunto in considerazione della natura strumentale della tutela cautelare, che trova generale conferma nell'art. 669 octies c.p.c., l'interesse meritevole di tutela, la situazione subiettiva, il diritto, che si lamentano esposti al pregiudizio, debbono anche essere fatti valere in via ordinaria.
In riferimento alle generali esigenze di rapidità che caratterizzano alcuni rapporti commerciali, questa terza, pur ovvia, conclusione implica una palese contraddizione sul piano pratico.
Ogni qual volta il provvedimento a cognizione sommaria esaurisca le esigenze di tutela del ricorrente, infatti, questi non ha alcun interesse alla prosecuzione della controversia: ottenuto ed attuato il provvedimento, l'unica funzione del giudizio di merito è quella di confermare, nelle forme dei processi a cognizione piena, il provvedimento anticipatorio. L'azione diretta ad ottenere il risarcimento danni, che, in quella sede, è solitamente esercitata ha un petitum diverso da quella esercitata nel procedimento a cognizione sommaria.
E' questo un fenomeno caratteristico del diritto industriale, nell'ambito del quale la tutela cautelare gioca un ruolo così ampio da poter essere qualificata come la tutela ordinaria delle situazioni in esso coinvolte, pur senza poter essere definita come tutela sommaria tout court, per effetto degli att. 669 octies e novies c.p.c. e della conseguente necessità di esercitare sempre e comunque le azioni ordinarie, rispetto alle quali, almeno formalmente, quelle cautelari hanno natura meramente strumentale.
In funzione della compiuta attuazione degli obiettivi indicati nello Schema "Mirone" e nel disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 maggio 2000, è apparso opportuno riferire soprattutto a tali fattispecie i casi di sommarizzazione del procedimento, prendendo atto vuoi di una realtà che già emerge dalla giurisprudenza, vuoi di analoghe proposte formulate sia in generale, sia in riferimento ad altri settori dell'ordinamento.
Nell'ambito delle soluzioni tecniche per l'attuazione di tale scopo, piuttosto che assumere a modello il procedimento cautelare, limitandosi a scindere il procedimento a cognizione sommaria dal giudizio di merito, è sembrata soluzione più congrua quella di assumere quale modello il procedimento per la repressione della condotta antisindacale ex art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, già esteso alla repressione dei comportamenti discriminatori tra sessi ex art. 15 legge 9 dicembre 1977, n. 903, integrandone le previsioni con quelle del procedimento cautelare, quali la forma del provvedimento finale e i rimedi.
5.3.- I procedimenti in camera di consiglio.- In riferimento, infine, ai procedimenti camerali, nonostante alcune opinioni contrarie, è prevalso l'orientamento per il quale la sommarizzazione o la cameralizzazione dei procedimenti non si manifesta una risposta adeguata perché il problema della efficienza della giustizia si pone più che in riferimento alla disciplina, alla concreta prassi applicativa della stessa, e, quindi, la soluzione non può essere quella di affidarsi totalmente ai poteri discrezionali del giudice e cioè proprio alla prassi applicativa che si vuole combattere.
Infatti i dati, pur incompleti, raccolti nei ventisei distretti di corte di appello e nei centosessantotto circondari di tribunali mostrano una applicazione fortemente differenziata della applicazione dell'art. 2409 c.c., mentre appare un obiettivo meritevole di essere perseguito quello di consentire a ciascuno di affacciarsi nell'aula di ogni ufficio giudiziario prevedendo cosa possa accadere, senza avere la necessità di informarsi preventivamente sulle prassi locali.
A tal fine non è apparsa sufficiente la concentrazione dei più rilevanti conflitti economici a livello distrettuale innanzi a giudici professionalmente attrezzati a comprendere sia i presupposti di fatto, sia le conseguenze dell'intervento richiesto; si è anche ritenuto necessario escludere che il modus procedendi sia affidato all'estro dei componenti la sezione, ma sia predeterminato dalla legge.
Si è, inoltre, ritenuto doveroso prendere esplicitamente atto che, nel nuovo quadro costituzionale, il "giusto processo" non può essere che quello "regolato dalla legge" e, quindi, si potrebbe ragionevolmente dubitare della legittimità della scelta legislativa di affidare la tutela di diritti ad un modello processuale nel quale la decisione sui diritti sia emessa "sentite le parti" ed "omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio", le cui cadenze, cioè, siano affidate esclusivamente ai poteri discrezionali del giudice, comunque tenuto a garantire i diritti fondamentali delle parti, ma secondo modalità non predeterminate.
Appunto in considerazione delle definizione, a livello delle norme costituzionali, della nozione di "giusto processo", è sembrato opportuno ribadirne espressamente i requisiti, affinché il legislatore delegato, nelle numerose ipotesi di applicazione del procedimento camerale nelle materie considerate, possa riempire di contenuti la scarna disciplina prevista dagli articoli 737 e seguenti del c.p.c.
Nella attuazione di tali principî e criterî direttivi, tanto in sede di prima applicazione, quanto successivamente, peraltro, acquista pregnante rilevanza la previsione, già contenuta nello Schema "Mirone", relativa alle "forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento".
Tale previsione, unita a quella per la quale, nell'ambito dei principî e criterî direttivi fissati dalla legge delega, al legislatore delegato è attribuito il potere di emanare disposizioni integrative e correttive, consentirà la diffusione delle prassi virtuose, suscettibili di essere assunte quale modello normativo, secondo un modus operandi funzionante con successo in altri ordinamenti.
Le disposizioni processuali, di elevato contenuto tecnico e, per loro natura, generali ed astratte, infatti, per un verso si prestano ad essere contenute in norme di produzione secondaria, e, per altro verso, sono inevitabilmente destinate a funzionare in modo diverso a seconda del contesto nel quale vengono applicate.
Il che, però, ha conseguenze negative soprattutto nelle ipotesi in cui maggiori sono i poteri discrezionali del giudice di direzione del procedimento, perché subordina l'esercizio di diritti fondamentali alla conoscenza delle prassi locali.
Un tale effetto contrasta con l'obiettivo di favorire la soluzione dei conflitti economici, garantendo la circolazione delle persone, fisiche e giuridiche, la libertà di impresa e quella di concorrenza.
Con specifico riferimento ai procedimenti camerali (che si chiedono con ricorso, si concludono con decreto ed implicano la "assunzione di informazioni"), ciò ha suggerito di attribuire al legislatore delegato sia il compito di adeguare la disciplina ai nuovi precetti costituzionali, sia di determinare l'ambito di applicazione, sia, mediante le menzionate "forme di comunicazione periodica", di riservarsi l'adattamento della disciplina alle concrete esigenze operative.
6.- Gli strumenti alternativi di composizione delle controversie
Le proposte, nella attuale formulazione, prevedono altresì strumenti alternativi di composizione delle controversie.
Questi, peraltro, quale che ne sia la forma, sono naturalmente destinati ad affiancarsi, non a sostituire la tutela ordinaria: l'efficienza e l'utilità degli strumenti di ADR non possono prescindere dalla efficienza delle forme di tutela giudiziale, perché la parte che ritiene di avere torto, se non ha un valido deterrente nell'esercizio dell'azione, non avrà alcun incentivo definire altrimenti della controversia.
In realtà, paradossalmente, l'efficienza della tutela giudiziale costituisce il maggior incentivo alla utilizzazione degli strumenti di ADR, i quali, peraltro, con un isteron-proteron sono sovente pensati in funzione della efficienza della prima.
6.1.- La conciliazione.- Per quanto riguarda il tentativo di conciliazione, già regolato nell'ambito di ciascuno schema processuale, comunque previsto in ogni stato e grado del procedimento e destinato ad essere valorizzato ed ampliato da diverse e concorrenti iniziative legislative, è stata valutata l'opportunità di circoscriverne l'ambito nel contesto della complessiva proposta ai giudizi di impugnazione delle deliberazioni e degli atti negoziali.
La previsione, secondo lo Schema "Mirone", integralmente recepito, in parte qua, dal Governo, infatti, appare limitata a tale ambito: si attribuisce al giudice il potere di assegnare termini "per la modificazione o la rinnovazione degli atti negoziali su cui verte la causa".
Ma pare preferibile conservarne la collocazione autonoma, pur spostandola alla fine del capoverso dedicato alle forme processuali, al fine di consentire al legislatore delegato, anche in relazione agli sviluppi delle altre iniziative in materia, di leggere in senso ampio la nozione di "atti negoziali", allargando l'ambito del potere giudiziale di suggerire i termini di definizione della controversia, conservando comunque la terzietà e la imparzialità.
6.2.- L'arbitrato.- Per quanto riguarda, infine, l'arbitrato e, in particolare, l'esigenza di favorirne la utilizzazione, la formulazione del principio previsto nel testo licenziato dalla Commissione "Mirone" il 14 febbraio 2000 ha suscitato perplessità, delle quali si è già fatto, in sostanza, carico il Governo nel testo approvato il 26 maggio 2000.
Considerando, infatti, le materie sottratte alla competenza arbitrale dagli artt. 806 e 808 c.p.c., spiccano appunto le questioni attinenti a diritti indisponibili, nonché le questioni attinenti a contratti illeciti, cosicché ammettere che uno statuto sociale possa stabilire per ogni controversia coinvolgente la società la devoluzione senza limite alcuno alla competenza arbitrale, potrebbe condurre ad ammettere, ad esempio, che le impugnative di delibere assembleari per nullità dell'approvazione del bilancio per la sua falsità vengano sottratte alla competenza del giudice ordinario; oppure potrebbe prevedersi una clausola statutaria che incida illegittimamente sulla disciplina di un'offerta pubblica di acquisto, rendendola obbligatoria in favore di taluni azionisti anche la di là del disposto legislativo, e che attribuisca ogni controversia al riguardo alla competenza di un collegio arbitrale, svincolato dalla applicazione di norme di diritto.
Si è suggerito, quindi, di bilanciare la deroga ai limiti alla compromettibilità, con l'espressa previsione del vincolo a giudicare secondo diritto in base ad arbitrato rituale, comunque soggetto ad impugnazione per violazione di legge.
SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO
Bozze di norme delegate: 1 - Impugnazione delle deliberazioni
Art. 1
1. Il secondo comma dell'art. 2377 del codice civile è sostituito dai seguente:
"Le deliberazioni invalide possono essere impugnate dagli amministratori, dai sindaci o dai soci assenti o dissenzienti, e quelle dell'assemblea ordinaria altresì dai soci con diritto di voto limitato, entro *** giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro *** giorni dall'iscrizione".
2. In tutte le ipotesi nelle quali per la impugnazione delle deliberazioni della assemblea o del consiglio di amministrazione delle società di capitali sia previsto un termine maggiore di *** giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, maggiore di *** giorni dall'iscrizione, tali termini sono ridotti a *** giorni."
Art. 2
Dopo il terzo comma dell'art. 2377 del codice civile è inserito il seguente:
"Nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni, il giudice o l'arbitro devono tentare preliminarmente la conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, e possono assegnare un termine per la modificazione o la rinnovazione della deliberazione impugnata, valutando il comportamento delle parti ai sensi dell'art. 116 del codice di procedura civile ed ai fini della decisione sulle spese di lite".
Art. 3
L'art. 2378 del codice civile è sostituito dal seguente:
"2378. Procedimento d'impugnazione.
1. L'impugnazione è proposta davanti alla sezione specializzata del luogo nel quale la società ha sede.
2. La domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere:
1) l'indicazione della sezione specializzata davanti al quale la domanda è proposta;
2) il nome, il cognome e la residenza del ricorrente, la denominazione, la sede della società resistente, il nome, il cognome degli amministratori, con l'indicazione di quali tra essi hanno la rappresentanza della società, il nome, il cognome dei componenti il collegio sindacale. Se attore è una persona giuridica, un ente privo di personalità giuridica, il ricorso deve contenerne la denominazione con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio;
3) l'indicazione della deliberazione impugnata, con la data di approvazione e della eventuale iscrizione nel registro delle imprese;
4) l'indicazione specifica dei motivi di impugnazione;
5) l'elezione di domicilio nel comune nel quale ha sede il tribunale adito;
6) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata.
3. Il ricorso è nullo se mancano o sono assolutamente incerti i requisiti di cui ai numeri 3 e 4. In tal caso si applica l'articolo 164, comma 5°, del codice di procedura civile. In mancanza del requisito di cui al numero 5, le notificazioni al ricorrente si fanno presso la cancelleria del tribunale adito.
4. Il ricorso è depositato nella cancelleria del tribunale competente insieme con i documenti in esso indicati e la nota di iscrizione a ruolo. Il socio ricorrente deve depositare in cancelleria almeno un'azione. All'atto del deposito e della conseguente costituzione del ricorrente, il cancelliere iscrive la causa nel ruolo generale, forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza indugio al presidente della sezione specializzata, il quale, con decreto in calce della nota d'iscrizione a ruolo, designa il giudice davanti al quale le parti debbono comparire, se non ritiene di assegnare la causa a se stesso. Il giudice designato, con decreto, fissa senza indugio l'udienza di comparizione delle parti innanzi a sé, assegnando al ricorrente un termine perentorio non superiore a *** giorni per la notificazione del ricorso e del decreto.
5. Se il ricorso è proposto oltre il termine previsto per l'impugnazione o se è altrimenti inammissibile, il giudice ne dichiara l'inammissibilità con decreto ricorribile per cassazione.
6. Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione devono essere trattate e decise congiuntamente. La trattazione della causa ha inizio dopo la scadenza del termine per l'impugnazione.
7. Tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza non devono decorrere più di *** giorni.
8. Con il ricorso può essere chiesta la sospensione per gravi motivi della esecuzione della deliberazione impugnata. Nella considerazione dei gravi motivi, il giudice deve valutare comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione e può ordinare le opportune cautele per il risarcimento del danno prodotto alla società dalla sospensione, qualora la impugnazione risulti infondata, ovvero per la reintegrazione dei diritti del ricorrente e per il risarcimento del danno che possa soffrirne, se, nonostante l'esecuzione, la impugnazione venga accolta.
9. Sulla sospensione della deliberazione impugnata, il giudice provvede con ordinanza, sentiti gli amministratori e i sindaci ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio. Nei casi di eccezionale urgenza, provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a *** giorni. Instaurato il contraddittorio, il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. Il dispositivo della ordinanza di accoglimento deve essere iscritto, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.
10. L'ordinanza conserva la sua efficacia anche dopo l'estinzione del processo in deroga a quanto previsto dall'art. 669 novies del codice di procedura civile, senza pregiudizio del diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci, ai terzi danneggiati ovvero alla società.
11. Tra la data di notificazione alla società e quella dell'udienza di comparizione deve intercorrere un termine non minore di *** giorni.
12. La società deve costituirsi almeno *** giorni prima della udienza mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella quale, a pena di decadenza, deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i motivi di invalidità dedotti a fondamento del ricorso.
13. Alla udienza di comparizione delle parti, il giudice, qualora non lo abbia già fatto in funzione della sospensione della esecuzione della deliberazione impugnata, sente gli amministratori ed i sindaci, tenta la conciliazione della controversia e, se la società lo richiede, assegna a quest'ultima un termine non superiore a *** giorni per la revoca o la sostituzione della deliberazione impugnata. In tal caso rinvia l'udienza a non oltre *** giorni dalla scadenza del termine assegnato.
14. Se la conciliazione non riesce ovvero se, nonostante la fissazione del termine per la revoca o per la sostituzione della deliberazione impugnata, questa non viene revocata o sostituita, il giudice invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali entro un termine non superiore a *** giorni e delle memorie di replica entro un successivo termine non superiore a *** giorni; la sentenza è deliberata dal collegio ed è depositata in cancelleria entro *** giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. Ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini per il deposito delle difese scritte, il giudice fissa la data dell'udienza di discussione da tenersi entro *** giorni, in base al calendario all'uopo stabilito dal presidente della sezione specializzata al principio dell'anno giudiziario, con decreto approvato dal primo presidente della corte di appello. La discussione è preceduta dalla relazione della causa; la sentenza è depositata in cancelleria entro i *** giorni successivi.
15. Il collegio, del quale non può far parte il giudice che ha deciso sulla richiesta di sospensione della esecuzione della deliberazione impugnata, con sentenza anche non definitiva, non appellabile, né riservabile ma ricorribile per cassazione soltanto per violazione di legge, decide sulla validità della deliberazione impugnata, conferma, modifica o revoca l'eventuale provvedimento sulla sospensione della esecuzione e, con distinti provvedimenti, dispone per l'ulteriore prosecuzione del processo sulle eventuali pretese risarcitorie. Il dispositivo della sentenza che accoglie l'impugnazione deve essere iscritto, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.
16. Dal deposito del ricorso nella cancelleria della sezione specializzata al deposito della sentenza non possono decorrere più di *** giorni. Il termine per la decisione è sospeso in pendenza di quello per la revoca o per la sostituzione della deliberazione impugnata, se debbono essere assunti mezzi di prova e se sia disposta consulenza tecnica. In ogni caso si applica l'art. 296 del codice di procedura civile. L'inosservanza di tale termine costituisce diniego di giustizia ai sensi dell'art. 3 della legge 13 aprile 1988, n. 117. Decorso il termine per la decisione, il processo prosegue soltanto per le eventuali pretese risarcitorie, ma restano salvi gli effetti del provvedimento sulla sospensione della esecuzione della deliberazione.
17. Il ricorso immediato per cassazione contro la sentenza che ha pronunciato sulla validità della deliberazione è deciso nelle forme previste dall'art. 375 del codice di procedura civile. *** giorni prima della adunanza della corte in camera di consiglio, ciascuna parte ed il pubblico ministero possono chiedere che la causa sia discussa alla pubblica udienza. Questa deve essere fissata entro un termine non superiore a *** giorni. In ogni caso, anche ai fini della applicazione del comma precedente, dalla notificazione del ricorso al deposito della sentenza non possono decorrere più di *** giorni. Decorso tale termine, il ricorso contro la sentenza che ha deciso sulla validità della deliberazione impugnata è improcedibile. L'inosservanza del termine costituisce diniego di giustizia ai sensi dell'art. 3 della legge 13 aprile 1988, n. 117.
Art. 4
L'art. 2379 del codice civile è sostituito dal seguente:
"2379 (Deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità dell'oggetto) Alle deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità dell'oggetto si applicano le disposizioni degli articoli 1421 e 1423, nonché, in quanto compatibile, l'articolo precedente".
Legenda - Schema di decreto legislativo
In riferimento alle esigenze di garantire certezza ai rapporti societari ed all'esercizio della impresa sociale mediante uno strumento processuale congruo, si è posto in evidenza che occorre prevedere, (a) sul piano sostanziale, (aa) una limitazione delle ipotesi di nullità assoluta a quelle di assoluta inesistenza della deliberazione e (ab) una revisione dei termini per le impugnazioni, (b) sul piano processuale (ba) una puntuale disciplina della fase introduttiva in funzione della compiuta articolazione in limine litis dei motivi di invalidità, (bb) che siano "sentiti" gli amministratori ed i sindaci, anche al fine di suggerire o, comunque, consentire la revoca o la sostituzione della deliberazione della cui validità si discute, (bc) un procedimento o una fase incidentale per provvedere sulla (eventuale) richiesta di sospensione della esecuzione della deliberazione impugnata, (bd) un modello processuale concentrato funzionale ad un giudizio nell'ambito del quale gli accertamenti di fatto e l'assunzione di prove costituende sono l'eccezione, non la regola, ma con una scansione temporale predeterminata per scongiurare il diffondersi di prassi lassiste; (be) un controllo di legittimità, imprescindibile, ai sensi dell'art. 111 Cost., anche limitato alla "violazione di legge".
Gli artt. 1 e 4 rispondono alle due esigenze sub (a).
I commi 2°, 3° e 12° dell'art. 3 rispondono alla esigenza sub (ba): la forma del ricorso da depositare consente di acquisire immediata certezza sulla data della udienza di comparizione; esclude la espressa comminatoria di nullità per quanto riguarda i requisiti dell'atto introduttivo inerenti la vocatio in jus (indicazione del giudice, delle parti, della udienza, violazione dei termini a comparire); l'onere di costituzione anticipata rispetto alla udienza consente di evitare un rinvio della stessa a richiesta del ricorrente; la natura delle controversie suggerisce una completa definizione del thema decidendum anticipata rispetto alla udienza.
L'art. 2 ed il comma 13° dell'art. 3 rispondono alla esigenza sub (bb): corrispondono a specifiche indicazioni in tal senso della bozza "Mirone".
I commi 8°, 9°, 10° dell'art. 3 rispondono alla esigenza sub (bc): specificano la nozione di "gravi motivi", imponendo una valutazione comparativa, sul modello previsto per la denuncia di nuova opera dall'art. 1171 cod.civ.; riproducono il modulo del procedimento cautelare di cui all'art. 669 sexies c.p.c.
I commi 5°, 10°, 14°, 15°, 16° dell'art. 3 rispondono alla esigenza sub (bd): il primo corrisponde al 1° comma dell'art. 23 l. 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale; il secondo esclude l'onere della prosecuzione del giudizio sul merito dopo la pronuncia dell'eventuale provvedimento anticipatorio, come suggerito dalla bozza "Mirone", secondo i modelli di cui agli artt. 2504 quater cod.civ. e 189 disp. att. cod. proc. civ.; il terzo si ispira ai modelli di processo a cognizione piena a trattazione collegiale ai sensi degli artt. 352, 437, 830 cod.proc.civ.; il quarto si ispira al modello di cui all'art. 4, comma 9°, l. 1° dicembre 1970, n. 898 (quale modificata dalla l. 6 marzo 1987, n. 74) e tenta di contemperare le esigenze di imparzialità a fondamento dell'art. 669 terdecies c.p.c. e delle recenti pronunce della Corte costituzionale con quella di garantire comunque un controllo di merito sull'eventuale provvedimento anticipatorio; il quinto, infine, assume a modello la previsione di cui all'att. 820 cod.proc.civ. coordinandola con l'esigenza a fondamento della previsione di cui all'art. 2504 quater cod.civ.: la indicazione, solo in tale contesto, del giudice "competente" assolve lo scopo di evitare che, qualora sia adito un giudice incompetente, il tempo necessario alla translatio judicii sia calcolato ai fini del termine per la decisione; questo è soltanto quello necessario alla decisione del merito; ne è, quindi, escluso anche quello necessario all'espletamento della eventuale attività istruttoria; ed è prevista altresì non la proroga, ma la sospensione, nelle forme previste dall'art. 296 cod.proc.civ.
Il comma 17° dell'art. 3 risponde alla esigenza sub (be), ma riprende la proposta più volte avanzata di rendere facoltativa l'udienza di discussione innanzi alla Corte; si fa carico delle esigenze acceleratorie di cui agli artt. 2504 quater cod.civ. e 189 disp. att. cod. proc. civ.
I commi 1°, 6° dell'art. 3 corrispondono al vigente art. 2378 cod.civ.
I commi 4° 7°, 11° dell'art. 3 stabiliscono requisiti meramente formali e corrispondono ai vigenti artt. 168, 168 bis e 415 c.p.c. cod.proc.civ.
Bozza di norme delegate 2 - Procedimento sommario
Art.
1. Qualora siano posti in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della concorrenza, della libertà e dell'attività di impresa, nonché dei diritti sui marchi, sui brevetti e sui segni distintivi dell'impresa, (...) su ricorso di chi vi abbia interesse, il giudice della sezione specializzata del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei *** giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina, con ordinanza immediatamente esecutiva, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
2. Contro l'ordinanza, vuoi di accoglimento vuoi di rigetto, è ammesso, entro *** giorni dalla comunicazione, reclamo al collegio della sezione specializzata, del quale non può far parte il giudice che la ha emessa; il collegio decide in camera di consiglio con sentenza immediatamente esecutiva.
3. Per ogni altro aspetto, il procedimento sul reclamo è regolato dalla disciplina della opposizione a decreto ingiuntivo.
4. L'ordinanza non reclamata e quella nei confronti della quale il reclamo sia stato dichiarato inammissibile o improcedibile non fa stato negli eventuali giudizi di risarcimento dei danni provocati dai comportamenti denunciati.
5. Pronunciando l'inibitoria il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento, indipendentemente dalla liquidazione del danno.